Comunicati stampa
25 2024
PNRR Missione Salute, al 2° trimestre 2024 raggiunta l’unica scadenza europea: 2.700 borse di studio per i MMG. Ma senza dati impossibile sapere se siano realmente aggiuntive rispetto alle borse ordinarie. Slitta il target nazionale sul Fascicolo Sanitario Elettronico
«Al 30 giugno 2024 – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – l’unica scadenza europea della missione Salute del PNRR, che condiziona il pagamento delle rate, è stata rispettata». Continua l’attività di monitoraggio indipendente dello status di avanzamento delle riforme dell’Osservatorio GIMBE sul Servizio Sanitario Nazionale, che mira a fornire un quadro oggettivo sui risultati raggiunti, di informare i cittadini ed evitare strumentalizzazioni politiche.
Il monitoraggio, oltre allo status di avanzamento, analizza le criticità conseguenti alla rimodulazione delle scadenze e all’esecuzione delle attività previste.
STATO DI AVANZAMENTO AL 30 GIUGNO 2024. Secondo i dati resi pubblici il 23 luglio 2024 sul portale del Ministero della Salute che monitora lo stato di attuazione della Missione Salute del PNRR:
- Milestone e target europei: al 30 giugno 2024 è stata raggiunta l’unica scadenza prevista, relativa all’assegnazione di 2.700 borse di studio aggiuntive per corsi specifici di medicina generale, che garantiranno il completamento di tre cicli di apprendimento triennali.
- Milestone e target nazionali: «Anche se non condizionano l’erogazione dei fondi del PNRR – spiega Cartabellotta – questi step intermedi richiedono un attento monitoraggio perché potrebbero compromettere le correlate scadenze europee». Al 30 giugno 2024 sono stati raggiunti tutti i target previsti nel 2021, 2022 e 2023, ad eccezione del target “Stipula di un contratto per gli strumenti di intelligenza artificiale a supporto dell’assistenza primaria” che era già stato differito dal 30 giugno 2023 al 31 dicembre 2024 (+ 18 mesi). Relativamente al 2024, il target “Realizzazione, implementazione e messa in funzione delle componenti architetturali che garantiscono l’interoperabilità nazionale di documenti e dati sanitari all’interno del Fascicolo sanitario elettronico” è slittato dal 30 giugno al 31 dicembre 2024 (+ 6 mesi). È stato invece stato raggiunto con un anticipo di 6 mesi il target “Pubblicazione di una procedura di selezione biennale per l'assegnazione di voucher per progetti PoC (Proof of Concept) e stipula di convenzioni, progetti di ricerca su tumori e malattie rare e progetti di ricerca ad alto impatto sulla salute” fissato al 31 dicembre 2024.
CRITICITÀ. «Sul raggiungimento del target europeo per l’assegnazione di 2.700 borse di studio aggiuntive per la medicina generale – segnala il Presidente – se è certo che 900 borse annuali finanziate dal PNRR sono state assegnate raggiungendo così il target, in assenza di una rendicontazione pubblica del totale delle borse di studio ordinarie è impossibile verificare se le borse PNRR siano realmente “aggiuntive”».
«Formalmente – conclude Cartabellotta – al 30 giugno 2024 le scadenze europee sul PNRR che condizionano il pagamento delle rate sono state tutte rispettate. Tuttavia, commenta il Presidente «effettuata la “messa a terra” della Missione Salute, il rispetto delle scadenze successive sarà condizionato soprattutto dalle criticità di attuazione del DM 77 nei 21 servizi sanitari regionali, legate sia alle figure chiave del personale sanitario coinvolte nella riorganizzazione dell’assistenza territoriale, sia alle rilevanti differenze regionali di partenza. In tal senso, il primo banco di prova è al 31 dicembre 2024 quando dovranno essere “pienamente funzionanti” almeno 480 Centrali Operative Territoriali».
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18 2024
Cure essenziali 2022, le pagelle del Ministero della Salute: promosse solo 13 regioni. Emilia-Romagna in vetta, al sud passano solo Puglia e Basilicata. Peggiorano le performance in 10 regioni e aumentano i divari tra nord e sud del Paese. La legge sull’autonomia differenziata compromette l’uguaglianza in sanità
Nel 2022 solo 13 Regioni rispettano gli standard essenziali di cura, con un ulteriore aumento del divario Nord-Sud: la Puglia e la Basilicata uniche promosse al Sud, ma in posizioni di coda. In 10 Regioni le performance peggiorano rispetto al 2021.
Sono i dati del Ministero della Salute che, come ogni anno, valuta l’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), ovvero delle prestazioni sanitarie che tutte le Regioni e Province Autonome devono garantire gratuitamente o previo il pagamento del ticket. «Si tratta di una vera e propria “pagella” per i servizi sanitari regionali – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE– che identifica quali Regioni sono promosse (adempienti), pertanto meritevoli di accedere alla quota di finanziamento premiale, e quali bocciate (inadempienti)». Le Regioni inadempienti vengono sottoposte ai Piani di rientro, uno specifico affiancamento da parte del Ministero della Salute che nelle situazioni più critiche può arrivare sino al commissariamento della Regione.
Dal 2020 la “Griglia LEA” è stata sostituita da 22 indicatori CORE del Nuovo Sistema di Garanzia (NSG), suddivisi in tre aree: prevenzione collettiva e sanità pubblica, assistenza distrettuale e assistenza ospedaliera. In ogni area le Regioni possono ottenere un punteggio tra 0 e 100 e vengono considerate adempienti se raggiungono almeno 60 punti in tutte le tre aree; invece, se il punteggio è inferiore a 60 anche in una sola area, la Regione risulta inadempiente. «Se nel 2020 e nel 2021, segnati dall’emergenza pandemica, il monitoraggio ha avuto solo un ruolo informativo – precisa il Presidente – nel 2022 per la prima volta i risultati degli indicatori CORE vengono utilizzati a scopo valutativo».
A seguito della recente pubblicazione della Relazione 2022 del “Monitoraggio dei LEA attraverso il Nuovo Sistema di Garanzia” da parte del Ministero della Salute, «la Fondazione GIMBE – spiega il Presidente – ha effettuato alcune analisi per stimare l’entità dell’attuale frattura Nord-Sud nel garantire il diritto costituzionale alla tutela della salute anche alla luce della recente approvazione della legge sull’autonomia differenziata».
Adempimenti LEA 2022. Rispetto al 2021 le Regioni adempienti nel 2022 scendono da 14 a 13: Basilicata, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Provincia Autonoma di Trento, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria e Veneto. In particolare, dal 2021 al 2022 nessuna Regione passa da inadempiente ad adempiente, mentre l’Abruzzo diventa inadempiente per il punteggio insufficiente nell’area della prevenzione. Rimangono inadempienti 7 Regioni: Campania, Molise, Provincia Autonoma di Bolzano con un punteggio insufficiente in una sola area; Calabria, Sardegna e Sicilia con un punteggio insufficiente in due aree; Valle D’Aosta insufficiente in tutte le tre aree (tabella 1).
«Nel 2022 – commenta il Presidente – aumenta il gap Nord-Sud, visto che solo Puglia e Basilicata si trovano tra le 13 Regioni adempienti, collocandosi rispettivamente in terzultima e in ultima posizione tra quelle “promosse”».
Considerato che il Ministero della Salute non sintetizza in un punteggio unico la valutazione degli adempimenti LEA, la Fondazione GIMBE ha elaborato una classifica di Regioni e Province Autonome sommando gli score ottenuti nelle tre aree; i risultati sono riportati in ordine decrescente di punteggio totale e suddivisi in quartili.
«Rispetto al semplice status di adempiente o inadempiente – commenta Cartabellotta – il punteggio totale mostra ancora più chiaramente l’entità del gap Nord-Sud: infatti, ai primi 10 posti si trovano 6 Regioni del Nord, 4 del Centro e nessuna del Sud, mentre nelle ultime 7 posizioni – fatta eccezione per la Valle D’Aosta – si collocano solo Regioni del Mezzogiorno».
Variazioni 2021-2022. La Fondazione GIMBE ha analizzato le differenze tra gli adempimenti 2021 e quelli 2022, misurando i punteggi totali delle Regioni e le performance nazionali sui tre macro-livelli assistenziali. Nel 2022 quasi la metà delle Regioni ha performance inferiori al 2021, seppure con gap di entità notevolmente diversa: Umbria (-0,03), Sardegna (-3,57), Campania (-4,47), Liguria (-6,86), Lazio (-8,06), Marche (-14,7), Molise (-17,48), Friuli Venezia Giulia (-23,13), Calabria (-24,74), Abruzzo (-30,86).
«Anche questo dato – commenta il Presidente – conferma l’aumento del divario Nord-Sud: infatti, fatta eccezione per Liguria e Friuli-Venezia Giulia, tutte le Regioni in cui si rilevano riduzioni dei punteggi totali si trovano al Centro o al Sud del Paese».
Nel 2022 a livello nazionale si rileva un miglioramento nell’area ospedaliera (+90 punti), un lieve peggioramento per l’area distrettuale (-12 punti) e un netto peggioramento nell’area della prevenzione (-146 punti); complessivamente le tre aree perdono 68 punti rispetto al 2021.
«Gli indicatori più critici dell’area prevenzione – spiega il Presidente – riguardano gli screening oncologici, in particolare nelle Regioni del Sud, e le coperture vaccinali in età pediatrica su cui potrebbe aver inciso il passaggio alla fonte informativa dell’Anagrafe Vaccinale Nazionale».
«Il monitoraggio del Ministero della Salute 2022 sulle cure essenziali – conclude Cartabellotta – conferma che la frattura strutturale tra Nord e Sud del Paese non solo non accenna a ridursi, ma addirittura si amplia sia con l’Abruzzo che diventa inadempiente, sia per riduzione dei punteggi LEA nella maggior parte delle Regioni del Mezzogiorno. Proprio nel momento in cui entra in vigore la legge sull’autonomia differenziata che in materia di salute non ha ritenuto necessario definire i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) in quanto esistono già i LEA. Considerato che i dati sull’esigibilità dei LEA, oltre a segnare un peggioramento complessivo rispetto al 2021, confermano anche per l’anno 2022 un enorme gap Nord-Sud, è evidente che senza definire, finanziare e garantire i LEP anche in sanità, le maggiori autonomie in sanità legittimeranno normativamente questa frattura, compromettendo l’uguaglianza dei cittadini di fronte al diritto costituzionale alla tutela della salute».
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25 giugno 2024
Decreto Legge sulle liste d’attesa: nessun finanziamento aggiuntivo e tempi di realizzazione incerti. Ulteriore sovraccarico per il personale sanitario e nessuna misura per ridurre gli esami inutili. Audizione della Fondazione Gimbe al Senato.
«Il decreto legge sulle liste di attesa – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – non prevede risorse aggiuntive e potrà essere pienamente operativo solo previa approvazione di almeno sette decreti attuativi con scadenze non sempre definite e tempi di attuazione che rischiano di diventare biblici. Ancora, non include misure per ridurre la domanda inappropriata di esami diagnostici e visite specialistiche e punta, oltre che su attività ispettive e sanzioni, sul potenziamento dell’offerta di prestazioni sanitarie con ulteriore sovraccarico dei professionisti sanitari che hanno carichi di lavoro già inaccettabili». Queste le principali criticità emerse dall’analisi GIMBE del provvedimento dell’Esecutivo per la riduzione dei tempi d’attesa che, insieme ad azioni propositive, saranno illustrate in audizione oggi alle ore 14.30 presso la 10a Commissione del Senato.
CRITICITÀ RELATIVE ALL’IMPIANTO GENERALE DEL DL
Misure previste. I tempi di attesa aumentano a causa dello squilibrio tra l’offerta e la domanda di prestazioni sanitarie, di cui non tutte soddisfano reali bisogni di salute. Ovvero una quota di esami diagnostici e visite specialistiche è inappropriata: la loro esecuzione non apporta alcun beneficio in termini di salute e contribuisce ad “ingolfare” il sistema, lasciando indietro pazienti più gravi. «Tuttavia le misure previste dal DL – commenta Cartabellotta – prevedono solo di inseguire la domanda aumentando l’offerta, una strategia perdente: come dimostrano numerosi studi, infatti, una volta esaurito il cosiddetto “effetto spugna” nel breve periodo, l’incremento dell’offerta induce sempre un ulteriore aumento della domanda». In tal senso, è indispensabile definire criteri di appropriatezza di esami e visite specialistiche e un piano di formazione sui professionisti e d’informazione sui pazienti, al fine di arginare la domanda inappropriata di prestazioni.
Decreti attuativi e tempi di attuazione. Il DL prevede almeno sette decreti attuativi e per quattro di loro (uno relativo alle “Disposizioni per l’implementazione del sistema di prenotazione delle prestazioni sanitarie” e tre al “Superamento del tetto di spesa per l’assunzione di personale sanitario”) non sono nemmeno definiti i termini di pubblicazione. «Un numero così elevato di decreti attuativi – commenta Cartabellotta – oltre che in contrasto con il carattere di urgenza del provvedimento, lascia molte perplessità sui tempi di attuazione delle misure. Infatti, nonostante le rassicurazioni del Ministro Schillaci sul rispetto dei tempi, la storia insegna che, tra valutazioni tecniche, attriti politici e passaggi tra Camere e Ministeri, dei decreti attuativi si perdono spesso le tracce con la conseguente impossibilità di applicare le misure previste».
Aspetti finanziari. Il DL è frutto di un prolungato braccio di ferro tra il Ministero della Salute e il Ministero dell’Economia e delle Finanze e tutte le misure previste sono senza maggiori oneri per la finanza pubblica, in quanto utilizzano risorse già stanziate, sottraendole ad altri capitoli di spesa. «È evidente – commenta Cartabellotta – che la versione definitiva del DL risente dell’impossibilità da parte del Governo di investire ulteriori risorse in sanità e che la scure del MEF ha fortemente ridimensionato gli obiettivi del Ministero della Salute, generando un provvedimento tanto perentorio nei termini e sovrabbondante nella forma, quanto povero di contenuti realmente efficaci per risolvere i problemi strutturali del SSN che generano il problema delle liste di attesa. D’altronde per superare il tetto di spesa per il personale sanitario sono necessarie risorse da investire e professionisti da assumere: le prime sono pari a zero e i secondi sono sempre meno. Anche se il DL pone le basi per conoscere meglio il fenomeno e prevede l’implementazione di varie misure, in larga parte già esistenti, la loro attuazione richiede tempo e soprattutto una stretta collaborazione di Regioni e Aziende sanitarie».
CRITICITÀ RELATIVE ALLE SINGOLE MISURE
Entrando nel merito delle misure previste dal DL, indubbiamente la Piattaforma Nazionale per le Liste d’Attesa permetterà di realizzare un monitoraggio rigoroso e analitico per le varie prestazioni sanitarie in tutte le Regioni con le stesse modalità. «Tale strumento – spiega Cartabellotta – rappresenta l’unica vera novità del DL, anche se la sua implementazione richiederà tempi medio-lunghi considerata l’estrema eterogeneità e la limitata trasparenza di numerosi sistemi informativi regionali sulle liste di attesa. Inoltre, al di là di una puntuale conoscenza di vari aspetti del fenomeno, il suo potenziale impatto sui tempi di attesa è difficilmente prevedibile, anche in considerazione dei poteri esclusivi delle Regioni sulla programmazione ed erogazione dei servizi sanitari».
«Lascia molto perplessi – continua il Presidente – l’istituzione di un Organismo di verifica e controllo sull'assistenza sanitaria con l’obiettivo di rafforzare le attività del già esistente Sistema nazionale di verifica e controllo sull’assistenza sanitaria (SIVeAS), a cui si aggiungono solo funzioni di polizia amministrativa e giudiziaria che riconoscono all’Organismo la qualifica di agente di pubblica sicurezza». Tali perplessità derivano da almeno tre ragioni. Innanzitutto scientifiche: utilizzare strategie ispettive e sanzionatorie prevalenti rispetto a quelle premianti aumenta il rischio di effetto boomerang, come documentato dalla letteratura internazionale. In secondo luogo giuridiche: non è chiaro come applicare direttamente sanzioni e premialità nei confronti dei Direttori generali degli Assessorati regionali e delle Aziende sanitarie, viste le competenze esclusive delle Regioni in materia. Infine operative, visto che il volume delle segnalazioni di cittadini, enti locali e associazioni di categoria sarà indubbiamente enorme e i tempi di chiarimenti richiesti alle Regioni molto stretti. «Peraltro – chiosa Cartabellotta – tale Organismo avrà un costo di oltre € 2,65 milioni l’anno a carico del bilancio del Ministero della Salute».
«Potenzialmente molto rilevante – continua Cartabellotta – l’implementazione del sistema di prenotazione delle prestazioni sanitarie, visto che ad oggi non è nota la reale disponibilità di prestazioni sanitarie delle strutture pubbliche e private accreditate nelle singole Regioni. Si tratta, comunque, in larga parte di misure già previste da normative vigenti e mai implementate in maniera adeguata».
Il potenziamento dell’offerta di visite diagnostiche e specialistiche tramite l’estensione delle attività a sabato e domenica e prolungando le fasce orarie trova il principale ostacolo nella carenza di professionisti sanitari. «In particolare – chiosa il Presidente – se i professionisti sono sempre gli stessi e con carichi di lavoro già inaccettabili, come potranno mai erogare le prestazioni anche il sabato e la domenica, senza violare la direttiva UE sugli orari di riposo che prevede, oltre alle 11 ore al giorno, almeno un giorno intero (24 ore) di riposo a settimana?». Va peraltro ribadito che tale misura dispone di una copertura finanziaria solo per l’anno 2024, come previsto dall’ultima Legge di Bilancio.
Per incentivare tali attività viene introdotta un’aliquota unica al 15% sulle prestazioni aggiuntive del personale sanitario, ma è doveroso segnalare che tale defiscalizzazione viene interamente “scaricata” sul fabbisogno sanitario nazionale. «In particolare – precisa Cartabellotta – nel 2024 gli € 80 milioni necessari saranno recuperati dal fondo per i danneggiati da trasfusioni e vaccinazioni e da altri obiettivi nazionali. Dal 2025 gli oltre € 160 milioni verranno dalla corrispondente riduzione della spesa destinata al perseguimento degli obiettivi sanitari di carattere prioritario e di rilievo nazionale previsti dalla Legge di Bilancio 2024».
Il superamento del tetto di spesa per l’assunzione di personale sanitario viene rinviato al 2025 dopo la definizione da parte delle Regioni del fabbisogno di personale, secondo la nuova metodologia messa a punto da Agenas. «Peraltro il DL – precisa Cartabellotta – prevede almeno tre decreti attuativi senza definire alcuna scadenza temporale. Un accidentato percorso burocratico che rischia di generare ulteriori ritardi sulla priorità più urgente del SSN». Il DL salvaguarda comunque la retribuzione accessoria del personale sanitario preservando gli effetti del Decreto Calabria fino alla piena operatività della nuova metodologia di calcolo del fabbisogno.
Le misure per il potenziamento dell’offerta assistenziale e il rafforzamento dei Dipartimenti di salute mentale fanno riferimento a norme e finanziamenti già esistenti, ovvero quelli del Programma Nazionale Equità in Salute (PNES) che riguardano le Regioni del Mezzogiorno.
«Le interminabili liste d’attesa, fonte di grande disagio per cittadini e pazienti – conclude Cartabellotta –rappresentano il sintomo di un indebolimento organizzativo e soprattutto professionale che richiederebbero consistenti investimenti e coraggiose riforme. In tal senso, ricondurre tutti i problemi del SSN alle liste di attesa è estremamente semplicistico perché si continua a guardare al dito e non alla luna. Una sorta di “riduzione prestazionistica” del SSN dove l’importante è esigere/erogare una prestazione sanitaria in tempi brevi, e non importa se l’erogatore sia pubblico o privato. Dimenticando che quello che abbiamo perduto è la capacità del SSN di prendere in carico i pazienti, soprattutto quelli cronici, in primis quelli oncologici. Pazienti oggi costretti, come novelli Ulisse, a peregrinare tra diversi CUP, tra vari ospedali sino a Regioni diverse, nel disperato tentativo di prenotare una visita o un esame diagnostico, attività di cui un tempo si occupava il SSN seguendo il percorso diagnostico-terapeutico del malato. Ecco perché bisogna investire sul personale sanitario aumentando gli organici, e non stremare ulteriormente quello già in servizio, con il rischio di alimentare la fuga dei professionisti dal SSN».
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29 maggio 2024
Programma OMS “Scuole che Promuovono Salute”: in Italia hanno aderito solo 3 scuole su 5. Alfabetizzazione sanitaria: nessuna formazione al personale per quasi il 40% degli istituti scolastici. Nei programmi scolastici scarsa attenzione a salute mentale e prevenzione delle malattie infettive
La Fondazione GIMBE ha pubblicato il report “Scuole che Promuovono Salute: status di attuazione in Italia del programma dell’Organizzazione Mondiale della Sanità” sulla partecipazione degli istituti scolastici italiani all’iniziativa dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che mira a rendere la scuola un luogo che sostiene attivamente la salute e il benessere degli studenti. Lo studio è stato finanziato dalla Fondazione GIMBE con la borsa di studio “Gioacchino Cartabellotta” 2023 assegnata a Simone Salemme, medico neurologo dottorando presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia.
«In assenza di dati sistematici sull’attuazione del programma “Scuole che Promuovono Salute” (SPS) nelle scuole italiane, abbiamo realizzato una survey per raccogliere informazioni oggettive direttamente dai dirigenti scolastici» dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE.
METODI. Il questionario utilizzato dalla survey è stato tradotto e adattato dal manuale OMS per l’implementazione delle SPS, in collaborazione con la Fondazione ANP ETS. Tutti gli istituti scolastici italiani sono stati invitati a partecipare alla survey, che è stata realizzata da luglio a dicembre 2023.
RISULTATI. All’indagine hanno partecipato 493 scuole italiane, da 20 Regioni e 101 Province. Il campione è rappresentativo al livello nazionale con un margine di errore del ±4,4%. Delle 493 scuole rispondenti, il 51,7% sono istituti comprensivi, il 40,6% scuole secondarie di 2° grado, il 4,7% direzioni didattiche e il 3% scuole secondarie di 1° grado.
- Conoscenza del programma OMS “Scuole che Promuovono Salute”. La quasi totalità delle scuole (95,8%) afferma che il proprio programma scolastico promuove un consumo e un ambiente sostenibili, ma solo il 61,9% ha aderito al programma dell’OMS ovvero poco più di 3 scuole su 5. E tra queste il 25% circa, nonostante la formale adesione, non possiede o non è a conoscenza di un piano dedicato al programma stesso. «Ci sono ampi margini di miglioramento – afferma Cartabellotta – ed è essenziale che tutte le scuole sviluppino e implementino piani completi e ricevano il supporto necessario per creare ambienti di apprendimento sicuri e sostenibili. Solo così possiamo garantire un futuro migliore e più sano ai nostri studenti».
- Governance e leadership scolastica. Il 98% ha riportato di ricevere sostegno e promozione del programma da parte del dirigente e dei suoi collaboratori, «a dimostrazione del fatto – sottolinea il Presidente – che l’implementazione di successo del programma SPS è strettamente dipendente dal commitment dei dirigenti scolastici».
- Alfabetizzazione sanitaria. In quasi il 40% delle scuole non è prevista formazione del personale e supporto all’alfabetizzazione sanitaria: «L’assenza di investimenti – commenta Cartabellotta – per la formazione del personale scolastico sui temi dell’alfabetizzazione sanitaria rappresentano un ostacolo rilevante per l’implementazione delle SPS».
- Programma scolastico. La ricerca evidenzia che solo il 60,8% degli istituti monitora regolarmente l’attuazione del programma scolastico portato avanti con il fine di sostenere la salute e il benessere. Tra i temi più trattati da oltre il 70% delle scuole ci sono: prevenzione di violenza, bullismo e cyberbullismo, educazione alimentare, educazione fisica, life skills. In due scuole su tre viene approfondita anche la dipendenza da internet e videogame. «Da rilevare – puntualizza Cartabellotta – che tutti i temi sono risultati più frequentemente trattati negli istituti aderenti al programma SPS rispetto a quelli non aderenti. Ma alcuni argomenti rilevanti, quali salute mentale e prevenzione delle malattie infettive, sono trattati in meno di un istituto su 5».
- Ambiente scolastico. Il 76,9% delle scuole riporta investimenti e risorse adeguate per mantenere sicuri gli ambienti scolastici e l’86,2% monitora regolarmente la sicurezza dell’ambiente scolastico intraprendendo eventuali azioni correttive. «Questi dati – commenta Cartabellotta – dimostrano l'impegno costante delle nostre istituzioni educative verso la sicurezza e il benessere degli studenti e incoraggiano a continuare a investire per garantire ambienti di apprendimento sicuri e protetti».
- Collaborazione tra scuola e comunità. Il 59% degli istituti aderenti al programma SPS coinvolge attivamente studenti e familiari. «Questo dato – puntualizza Cartabellotta – rileva che l’attuazione del programma SPS, in 2 scuole su 5 avviene in maniera unidirezionale, senza coinvolgimento attivo di famiglie e studenti, indispensabile per la condivisione partecipata ed il successo del programma SPS».
- Governance e leadership scolastica. Il 98% degli istituti aderenti al programma SPS (n=299) riceve sostegno dai dirigenti scolastici per la promozione del valore e dell’etica dell’iniziativa dell’OMS.
Antonello Giannelli, Presidente della Fondazione ANP E.T.S., commenta i dati: «Dalla ricerca emergono importanti spunti di analisi sulla diffusione delle pratiche di alfabetizzazione sanitaria nelle scuole. Queste ultime, per via del loro impianto curricolare e degli spazi garantiti dall’autonomia, si confermano il luogo ideale per lo sviluppo di tematiche legate al benessere fisico e mentale di alunni e studenti per accompagnare il loro percorso di crescita. I dati, peraltro, attestano la fondamentale sinergia che le scuole hanno con il territorio, anche nell'ottica del civic center. Le figure del dirigente scolastico e dei suoi collaboratori risultano strategiche per il sostegno e la promozione del programma SPE: infatti, secondo la ricerca, ben il 98% del campione afferma di ricevere costantemente input in tal senso dalla leadership della scuola. In chiave di prevenzione, poi, la parte prevalente degli istituti riesce a garantire un ambiente sicuro, sia esso fisico che virtuale, a favore della comunità scolastica grazie a specifiche policy, investimenti, risorse e attività di monitoraggio. Sorprende, infine, come le scuole, proiettate in modo consistente verso il contrasto di fenomeni quali il bullismo e il cyberbullismo e verso disturbi tipici dell’età adolescenziale quali quelli alimentari, abbiano in parte perso di vista il contrasto del fenomeno delle dipendenze da fumo, alcol o altre sostanze, sebbene in Italia ciò rappresenti una vera e propria emergenza tra i nostri ragazzi. Intendiamo, quindi, continuare la collaborazione con la Fondazione GIMBE in quanto pienamente consapevoli del ruolo nodale dell’educazione alla salute».
«Alla luce dei risultati della survey – puntualizza Cartabellotta – emerge chiaramente la necessità da un lato che il programma SPS raggiunga il massimo grado di implementazione, dall’altro che vengano progettate di iniziative per supportare le scuole italiane nella promozione della salute pubblica e l’utilizzo consapevole dei servizi sanitari».
«Ecco perché in questo contesto, nel gennaio 2023 la Fondazione GIMBE ha dato il via a “La Salute Tiene Banco”– conclude Elena Cottafava, Segretaria Generale della Fondazione – iniziativa finalizzata a supportare le scuole italiane nella promozione della salute pubblica e nella conoscenza del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Il progetto mira a promuovere tra i ragazzi l’alfabetizzazione sanitaria, una materia sulla quale non è fornito supporto al personale scolastico quasi in 2 scuole su 5. Per questo vogliamo estendere il programma “La Salute Tiene Banco” a tutte le scuole del Paese e abbiamo bisogno del supporto di tutti: insieme possiamo educare giovani cittadini consapevoli protagonisti attivi della propria salute e utenti consapevoli del SSN, al fine di contribuire alla sua sostenibilità».
Il report dell’Osservatorio GIMBE “Scuole che Promuovono Salute: status di attuazione in Italia del programma dell’Organizzazione Mondiale della Sanità” è disponibile a: www.gimbe.org/report-sps
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21 maggio 2024
Carenza pediatri: ne mancano almeno 827, due su tre in Lombardia, Piemonte e Veneto. Oltre 1.000 bambini per pediatra in Piemonte, Veneto, Valle d’Aosta e Bolzano. Entro il 2026 previsti oltre 1.700 pensionamenti, ma nessuna certezza sul ricambio generazionale
Secondo quanto riportato sul sito del Ministero della Salute, il pediatra di libera scelta (PLS) – cd. pediatra di famiglia – è il medico preposto alla tutela della salute di bambini e ragazzi tra 0 e 14 anni. Ad ogni bambino, sin dalla nascita, deve essere assegnato un PLS per accedere a servizi e prestazioni inclusi nei Livelli Essenziali di Assistenza garantiti dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN). «L’allarme sulla carenza di PLS – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – oggi è sollevato da genitori di tutte le Regioni, da Nord a Sud. Le loro testimonianze evidenziano problemi burocratici, mancanza di risposte da parte delle ASL, pediatri con un numero eccessivo di assistiti e impossibilità di iscrivere i propri figli al pediatra di famiglia, mettendo potenzialmente a rischio la salute, soprattutto dei più piccoli e dei più vulnerabili».
Per comprendere meglio le cause e le dimensioni del fenomeno, la Fondazione GIMBE ha analizzato dinamiche e criticità che regolano l’inserimento dei PLS nel SSN e stimato l’entità della carenza di PLS nelle Regioni italiane. «Due aspetti fondamentali – spiega Cartabellotta – devono essere precisati: innanzitutto, le stime sulle carenze dei PLS sono state effettuate a livello regionale, perché la loro reale necessità viene definita dalle Aziende Sanitarie Locali (ASL) in relazione agli ambiti territoriali carenti; in secondo luogo, le stime sul ricambio generazionale sono ostacolate dall’impossibilità di sapere quanti nuovi specialisti in pediatria scelgono la carriera di PLS».
DINAMICHE E CRITICITÀ
Fasce di età. Sino al compimento del 6° anno di età i bambini devono essere assistiti per legge da un PLS, mentre dai 6 ai 13 anni inclusi i genitori possono scegliere tra PLS e medico di medicina generale (MMG). Al compimento dei 14 anni la revoca del PLS è automatica, tranne per pazienti con documentate patologie croniche o disabilità per i quali può essere richiesta una proroga fino al compimento del 16° anno. «Queste regole – spiega Cartabellotta – se da un lato contrastano con la definizione di PLS come medico preposto alla tutela della salute di bambini e ragazzi sino al compimento dei 14 anni, dall’altro rappresentano un ostacolo rilevante per un’accurata programmazione del fabbisogno di PLS». Infatti, secondo i dati ISTAT al 1° gennaio 2023 la fascia 0-5 anni (iscrizione obbligatoria al PLS) include più di 2,5 milioni di bambini e quella 6-13 oltre 4,2 milioni, che potrebbero essere iscritti al PLS o al MMG in base alle preferenze dei genitori.
Massimale di assisiti. Secondo quanto previsto dall’Accordo Collettivo Nazionale (ACN), il numero massimo di assistiti di un PLS è fissato a 880, con deroga nazionale di ulteriori 120 scelte temporanee (residenti in ambiti limitrofi, non residenti, extracomunitari). Tuttavia, esistono inoltre deroghe regionali e locali che portano a superare i 1.000 iscritti: indisponibilità di altri pediatri del territorio, fratelli di bambini già in carico ad un PLS. «In realtà – commenta il Presidente – il numero di 1.000 assistiti non potrebbe essere superato in quanto la determinazione del massimale di scelte è stabilita dall’Accordo Collettivo Nazionale (ACN), come previsto dalla L. 502/1992, e non è derogabile dalle Regioni o dalle singole ASL».
Ambiti territoriali carenti. I nuovi PLS vengono inseriti nel SSN previa identificazione da parte della Regione – o soggetto da questa individuato – degli ambiti territoriali carenti, dove bisogna colmare un fabbisogno assistenziale e garantire una diffusione capillare degli studi dei PLS. Attualmente, la necessità della zona carente viene calcolata solo sulla fascia di età 0-6 anni tenendo conto di un rapporto ottimale di 1 PLS ogni 600 bambini. «È del tutto evidente – chiosa il Presidente – che questo metodo di calcolo sottostima il fabbisogno di PLS: paradossalmente, facendo riferimento alle regole vigenti, i PLS sarebbero addirittura in esubero perché il loro fabbisogno viene stimato solo per i piccoli sino al compimento dei 6 anni. Mentre di fatto i PLS assistono oltre l’81% di quelli della fascia 6-13 anni». Va segnalato che l’atto di indirizzo per la contrattazione in corso dispone di rivedere il calcolo del rapporto ottimale tenendo conto degli assistibili di età 0-13 anni, decurtati dagli assistiti di età ≥6 anni in carico ai MMG e di portare il massimale a 1.000 assistiti, eliminando la distinzione tra scelte ordinarie e deroghe.
Pensionamenti. Secondo i dati forniti dalla Federazione Italiana dei Medici Pediatri (FIMP), tra il 2023 e il 2026 sono 1.738 i PLS che hanno compiuto/compiranno 70 anni, raggiungendo così l’età massima per la pensione, deroghe a parte: dai 236 PLS del Lazio a 1 PLS in Valle d’Aosta (figura 1).
Nuovi PLS. Il numero di borse di studio per la scuola di specializzazione in pediatria, dopo un decennio di sostanziale stabilità, è nettamente aumentato negli ultimi 5 anni: da 496 nell’anno accademico 2017-2018 a 885 nel 2022-2023, raggiungendo un picco di 973 nell’anno accademico 2020-2021 (figura 2). «Tuttavia – spiega Cartabellotta – considerato che gli specializzandi in pediatria possono scegliere anche la carriera ospedaliera, è impossibile prevedere quanti nuovi pediatri opteranno per la professione di PLS».
STIMA DELLE CARENZE ATTUALI E FUTURE
Trend 2019-2022. Secondo la “fotografia” scattata dal Ministero della Salute e riportata nell’Annuario Statistico del SSN 2022, in Italia i PLS nel 2022 in attività erano 6.962, ovvero 446 in meno rispetto al 2019 (-6%). Inoltre, i PLS con oltre 23 anni di specializzazione sono passati dal 39% nel 2009 al 79% nel 2022. «Un dato – commenta Cartabellotta – che se da un lato documenta una crescente anzianità dei PLS in attività, dall’altro richiederebbe stime molto precise su quanti PLS potrà contare il SSN nei prossimi anni per garantire il ricambio generazionale evitando di creare un “baratro” dell’assistenza pediatrica territoriale».
Numero di assistiti per PLS. Secondo le rilevazioni della Struttura Interregionale Sanitari Convenzionati (SISAC), al 1° gennaio 2023 6.681 PLS avevano in carico quasi 6 milioni di iscritti, di cui il 42,5% (2,55 milioni) della fascia 0-5 anni e il 57,5% (3,45 milioni) della fascia 6-13 anni. Ovvero l’81,8% della popolazione ISTAT al 1° gennaio 2023 di età 6-13 anni risulta assistita dai PLS, con percentuali molto diverse tra le Regioni: dal 95,9% della Liguria al 60,3% della Sardegna (figura 3). In termini assoluti, la media nazionale è di 898 assistiti per PLS: superano la media di 880 assistiti (massimale di assistiti senza deroghe) 12 Regioni, di cui Piemonte (1.108), Valle d’Aosta (1.047), Provincia Autonoma di Bolzano (1.026) e Veneto (1.011) vanno oltre la media di 1.000 assistiti per PLS (figura 4). «In realtà – spiega Cartabellotta – lo scenario è più critico di quanto lasciano trasparire i numeri, perché con un tale livello di saturazione non solo viene ostacolato il principio della libera scelta, ma in alcune Regioni diventa impossibile trovare disponibilità di PLS sia nelle aree interne o disagiate, sia vicino casa nelle grandi città».
Stima della carenza di PLS al 1° gennaio 2023. «Tutte le criticità sopra rilevate – spiega Cartabellotta – permettono solo di stimare il fabbisogno di PLS a livello regionale, in quanto la necessità di ciascuna zona carente viene identificata dalle ASL in relazione a numerose variabili locali». Se l’obiettivo è garantire la qualità dell’assistenza, la distribuzione capillare in relazione alla densità abitativa, la prossimità degli ambulatori e l’esercizio della libera scelta, non si può far riferimento al massimale con deroga delle scelte per stimare il fabbisogno di PLS. Di conseguenza la Fondazione GIMBE, ritenendo accettabile un rapporto di 1 PLS ogni 800 assistiti (valore medio tra il rapporto ottimale di 600 e il massimale con deroga di 1.000) e utilizzando le rilevazioni SISAC al 1° gennaio 2023, stima una carenza di 827 PLS, con notevoli differenze regionali. Infatti il 62% delle carenze si concentra in sole 3 grandi Regioni del Nord: Lombardia (244), Piemonte (136), Veneto (134); mentre in 4 Regioni (Lazio, Molise, Puglia e Umbria) non si rileva alcuna carenza visto che la media di assistiti per PLS è inferiore a 800 (figura 5).
Stima della carenza di PLS 2026. Conoscendo il numero dei pensionamenti attesi e il numero di borse di studio disponibili per la scuola di specializzazione in pediatria si potrebbe stimare la carenza di PLS al 2026, anno in cui dovrebbe “decollare” la riforma dell’assistenza territoriale prevista dal PNRR. «Tuttavia – commenta Cartabellotta – considerato che non è noto quanti specialisti pediatri intraprenderanno la carriera di PLS, è impossibile stimare se per i 1.738 PLS che tra il 2023 e il 2026 hanno compiuto/compiranno 70 anni ci sarà un adeguato ricambio generazionale e se questo sarà omogeneo nelle varie Regioni».
«La carenza di PLS – conclude Cartabellotta – oggi riguarda in particolare alcune grandi Regioni del Nord e deriva da errori di programmazione del fabbisogno, in particolare la mancata sincronia per bilanciare pensionamenti attesi e borse di studio per la scuola di specializzazione. E, comunque, la distribuzione capillare sul territorio rimane sempre condizionata da variabili e scelte locali non sempre prevedibili. In tal senso, serve innanzitutto un’adeguata programmazione del fabbisogno che richiede tre elementi: ridefinire la fascia di età di esclusiva competenza dei PLS, disporre di stime accurate sul numero di pediatri che intraprendono la carriera di PLS e, nel medio e lungo periodo, considerare il fenomeno della denatalità. Servono inoltre l’adozione di modelli organizzativi che promuovano il lavoro in team, l’effettiva realizzazione della riforma dell’assistenza territoriale prevista dal PNRR (Case di comunità, Ospedali di Comunità, assistenza domiciliare, telemedicina), accordi sindacali in linea con il ricambio generazionale e la distribuzione capillare dei PLS, come indicato negli stessi atti di indirizzo. Perché guardando ai pensionamenti attesi, non è affatto certo che nei prossimi anni i nuovi PLS saranno sufficienti a garantire il ricambio generazionale, con l’inevitabile acuirsi della carenza in alcune Regioni».
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14 maggio 2024
DdL per il sostegno finanziario della sanità pubblica: importante “iniezione” da € 4 miliardi all’anno, ma non basterà a ridurre il gap con l’Europa. Incognita sul reperimento delle risorse. Senza rilancio del finanziamento pubblico ulteriore indebolimento del personale sanitario, innovazioni inaccessibili e addio all’universalismo
La Fondazione GIMBE audita presso la XII Commissione Affari sociali alla Camera dei Deputati nell’ambito dell’esame delle proposte di legge recanti disposizioni per il sostegno finanziario del Servizio Sanitario Nazionale (SSN).
«Negli ultimi 15 anni – esordisce Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – è bene ribadire che tutti i Governi, di ogni colore, hanno tagliato risorse o non finanziato adeguatamente il SSN, portando il nostro Paese ad essere in Europa “primo tra i paesi poveri” in termini di spesa sanitaria pubblica sia in percentuale del PIL, sia soprattutto pro-capite». Infatti, nel 2022 siamo davanti solo ai paesi dell’Europa meridionale (Spagna, Portogallo, Grecia) e a quelli dell’Europa dell’Est, eccetto la Repubblica Ceca» (figura 1). Il gap rispetto alla media dei paesi europei dal 2010 è progressivamente aumentato, arrivando nel 2022 a $ 867, pari a quasi € 810 (figura 2), che, parametrato ad una popolazione residente ISTAT al 1° gennaio 2023, per l’anno 2022 corrisponde ad una voragine di € 47,7 miliardi. Nell’intero periodo 2010-2022 il gap cumulativo arriva alla cifra monstre di $ 363 miliardi, pari a circa € 336 miliardi (figura 3). «Una progressiva sottrazione di risorse pubbliche – continua Cartabellotta – che determinato l’inesorabile indebolimento del SSN nelle sue componenti strutturale, tecnologica, organizzativa e, soprattutto, professionale, con drammatiche conseguenze che oggi ricadono su 60 milioni di persone».
«I princìpi fondanti del SSN, universalità, uguaglianza, equità – continua il Presidente – sono stati ampiamente traditi e la vita quotidiana delle persone, in particolare delle fasce socio-economiche più deboli, è sempre più condizionata da esperienze che documentano la mancata esigibilità del diritto alla tutela della salute: interminabili tempi di attesa, pronto soccorso affollatissimi, impossibilità di trovare un medico o un pediatra di famiglia vicino casa, necessità di ricorrere alla spesa privata sino all’impoverimento delle famiglie e alla rinuncia alle cure, enormi diseguaglianze regionali e locali sino alla migrazione sanitaria».
«Conseguenze del fatto che a partire dal 2010 – commenta Cartabellotta – indipendentemente dalle cifre assolute, la sanità pubblica è continuamente definanziata, come documentato dall’inesorabile aumento del gap della spesa sanitaria pro-capite rispetto alla media dei paesi europei».
FABBISOGNO SANITARIO NAZIONALE (FSN) PASSATO E PRESENTE:
- Periodo 2010-2019: il FSN è aumentato di € 8,2 miliardi con una percentuale di crescita complessiva dello 0,9% rispetto all’1,2 % dell’inflazione. «Per 10 anni – chiosa il Presidente – Regioni, Aziende sanitarie e professionisti hanno lavorato in un contesto iso-risorse che ha progressivamente eroso la resilienza del SSN, poi travolto dalla pandemia quando già gravemente indebolito». (figura 4).
- Periodo 2020-2023: l’incremento del FSN è pari a € 15,1 miliardi che, spiega Cartabellotta «non hanno consentito alcun rinforzo strutturale del SSN, né hanno permesso alle Regioni – anche quelle più virtuose – di mantenere i conti in ordine senza tagliare i servizi o aumentare le imposte regionali». Sia perché le risorse sono state utilizzate in larga misura per fronteggiare l’emergenza pandemica, sia perché l’incremento del 2,9% nel 2022 e del 2,8% nel 2023 è stato pesantemente eroso dall’inflazione (8,1% nel 2022 e 5,7% nel 2023) (figura 5).
- Legge di Bilancio 2024. Il FSN viene incrementato di € 3 miliardi per il 2024, € 4 miliardi per il 2025 e € 4,2 miliardi per il 2026, salendo a € 134 miliardi per il 2024, € 135,4 miliardi per il 2025 e € 135,6 miliardi per il 2026. «Se in termini assoluti è ben evidente il netto incremento del FSN nel 2024 – spiega Cartabellotta – è bene rilevare da un lato che oltre l’80% è destinato al doveroso rinnovo dei contratti del personale dipendente e convenzionato, dall’altro che l’ultima Manovra non lascia intravedere alcun rilancio del finanziamento pubblico. Infatti, gli incrementi previsti nel 2025 (+1%) e nel 2026 (+0,15%) sono talmente esigui che non riusciranno a compensare l’inflazione, né l’aumento dei prezzi di beni e servizi».
«A parte piccole differenze – continua Cartabellotta – le proposte dei DdL in esame sull’aumento del FSN sono sì in linea con il Piano di Rilancio del SSN elaborato dalla Fondazione GIMBE, ma sono limitate ad un arco temporale di 5 anni con un finanziamento aggiuntivo di € 4 miliardi l’anno per un totale di € 20 miliardi. Al contrario, il Piano GIMBE suggerisce un incremento progressivo del finanziamento pubblico per allineare la spesa sanitaria pro-capite alla media dei paesi europei».
Dal punto di vista quantitativo, il recente paper dell’OCSE sulla sostenibilità fiscale dei sistemi sanitari entro il 2040 stima un aumento medio della spesa sanitaria nei paesi OCSE del 2,6%, ma prevede al contempo che le entrate attese, fiscali e non fiscali saranno pari all’1,3%, evidenziando dunque una possibile criticità nella sostenibilità della spesa sanitaria. Nelle stime OCSE l’Italia si trova al penultimo posto per incremento delle entrate attese (0,2%) e al terzultimo per l’aumento di spesa sanitaria (1,5%). «Una situazione – commenta Cartabellotta – che, in assenza di coraggiose scelte politiche, vede il rilancio del SSN pesantemente condizionato dalle difficoltà a reperire le risorse necessarie. In ogni caso, l’incremento del FSN di € 4 miliardi/anno proposto dai DdL in esame è superiore al 2,6% previsto dall’OCSE fino al 2035, salvo poi essere inferiore dal 2036 (figura 6): un’importante iniezione di denaro pubblico per il SSN, tuttavia non sufficiente recuperare l’enorme gap della spesa sanitaria pro-capite rispetto alla media dei paesi europei».
Quanto al reperimento delle risorse necessarie, i DdL in esame fanno riferimento a maggiori risorse derivanti dalla crescita economica, al recupero di risorse dall’evasione/elusione fiscale e alla revisione delle politiche contributive. «Se da un lato i tempi di attuazione di queste ultime misure non permettono di recuperare risorse a breve termine – commenta Cartabellotta – dall’altro è indifferibile rivedere le priorità di investimento del Paese per evitare il crollo imminente di un pilastro della nostra democrazia. Peraltro, con la difficoltà di recuperare risorse da sprechi e inefficienze in assenza di coraggiose riforme, le uniche ipotesi aperte rimangono quelle di una tassa di scopo (es. su alcool, fumo, gioco d’azzardo, bevande zuccherate) e/o una tassazione aggiuntiva e incrementale dei redditi più elevati».
«Il persistere del sotto-finanziamento pubblico – conclude Cartabellotta – avrà tre conseguenze fondamentali sul SSN. Innanzitutto, l’ulteriore demotivazione del personale sanitario con impoverimento del capitale umano che rischia di mettere definitivamente in ginocchio la sanità pubblica; in secondo luogo, la difficoltà sempre crescente nel garantire le innovazioni farmacologiche e tecnologiche; infine, l’addio all’universalismo con l’involuzione del SSN in una sanità a doppio binario, dove il diritto alla tutela della salute sarà condizionato della capacità di spesa delle persone. Tuttavia per rilanciare il SSN il progressivo incremento del finanziamento pubblico è condizione necessaria, ma non sufficiente: sono ormai inderogabili coraggiose riforme di sistema visto che, a fronte di varie transizioni (epidemiologica, demografica, digitale), le modalità di finanziamento, programmazione, erogazione e valutazione dei servizi sanitari “obbediscono” a leggi che risalgono a 25-30 anni fa. Ma ancor prima, serve una visione chiara su quale modello di SSN la politica vuole lasciare in eredità alle future generazioni, attraverso un patto sociale e politico che, prescindendo da ideologie partitiche e avvicendamenti di Governi, riconosca nel modello del SSN un pilastro della nostra democrazia, una conquista irrinunciabile e una grande leva per lo sviluppo economico del Paese».
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30 aprile 2024
PNRR Missione Salute: al 1° trimestre 2024 rispettate tutte le scadenze europee. Assistenza domiciliare: sugli step intermedi arrancano Campania e Sardegna, Sicilia ferma all’1%. Rimodulazione al ribasso del PNRR: incognite su risorse e progetti che slittano dopo il 2026. 1.803 posti di terapia intensiva in cerca di fondi. Riforma assistenza territoriale e nodo infermieri: pochi e sottopagati
«Anche se al 31 marzo 2024 non erano previste scadenze europee sulla missione Salute del PNRR che condizionano il pagamento delle rate – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – continua l’attività del nostro Osservatorio sul Servizio Sanitario Nazionale di monitoraggio indipendente dello status di avanzamento delle riforme, al fine di fornire un quadro oggettivo sui risultati raggiunti, di informare i cittadini ed evitare strumentalizzazioni politiche».
Il presente monitoraggio, oltre allo status di avanzamento, analizza nei dettagli la rimodulazione della Missione 6 secondo quanto riportato dalla Quarta Relazione sullo stato di avanzamento del PNRR e quanto disposto dal DL PNRR, approvato lo scorso 23 aprile.
STATO DI AVANZAMENTO AL 31 MARZO 2024. Secondo i dati resi pubblici il 20 aprile 2024 sul portale del Ministero della Salute che monitora lo stato di attuazione della Missione Salute del PNRR:
- Milestone e target europei: risultano tutti raggiunti in quanto al 31 marzo 2024 non erano previste nuove scadenze e tutte quelle relative agli anni 2021-2023 erano già state raggiunte al 31 dicembre 2023.
- Milestone e target nazionali: «Anche se non condizionano l’erogazione dei fondi del PNRR – spiega Cartabellotta – questi step intermedi richiedono un attento monitoraggio perché potrebbero compromettere le correlate scadenze europee». Entro le scadenze fissate sono stati raggiunti tutti quelli previsti nel 2021 e 2022. Relativamente al 2023, sono stati differiti tre target: due da giugno 2023 a giugno 2024, ovvero la “Stipula di un contratto per gli strumenti di intelligenza artificiale a supporto dell'assistenza primaria” e la “Stipula dei contratti per l'interconnessione aziendale” (tabella 1). L’ulteriore target “Nuovi pazienti che ricevono assistenza domiciliare (prima parte)” differito da marzo 2023 a marzo 2024 è stato raggiunto alla scadenza prevista, insieme a quello previsto per marzo 2024 “Nuovi pazienti che ricevono assistenza domiciliare (seconda parte)”.
«Raggiunti gli obiettivi per l’assistenza domiciliare integrata (ADI) negli over 65 – commenta Cartabellotta – i ritardi attuali sulle scadenze nazionali non sono particolarmente critici. Tuttavia, il raggiungimento degli obiettivi nazionali sull’ADI è condizionato da rilevanti differenze regionali, conseguenti sia al “punto di partenza” delle Regioni del Mezzogiorno, sia alle loro capacità di recuperare il gap con l’avvio del PNRR». In dettaglio, secondo quanto previsto dal Decreto del Ministero della Salute del 13 marzo 2023 per assistere almeno il 10% della popolazione over 65 in ADI, il PNRR ha l’obiettivo di aumentare le persone prese in carico dagli oltre 640 mila del dicembre 2019 a poco meno di 1,5 milioni nel 2026, per un incremento totale di oltre 808 mila assistiti. Rispetto ai target intermedi per raggiungere tale numero, la recente relazione dell’Agenas documenta che nel 2023 il target nazionale di 526 mila, previsto dal DM 13 marzo 2023, è stato superato (+1%). «Tuttavia – spiega Cartabellotta – il dato nazionale è distorto dai risultati estremamente differenti raggiunti dalle Regioni. Infatti, rispetto ad una media nazionale del 101%, alcune Regioni fanno registrare incrementi molto rilevanti: Provincia autonoma di Trento (235%), Umbria (206%), Puglia (145%), Toscana (144%). Risultati che “compensano” quelli di altre Regioni: in particolare Sardegna (77%), Campania (62%) e, soprattutto, Sicilia che rimane fanalino di coda all’1%».
RIMODULAZIONE DELLA MISSIONE 6 SALUTE. La “Quarta Relazione sullo stato di attuazione del PNRR”, pubblicata lo scorso 22 febbraio, riporta le variazioni rispetto al piano originale approvate dalla Commissione Europea il 24 novembre 2023, relative alla rimodulazione delle risorse tra le due Componenti della Missione Salute, alle variazioni quantitative dei progetti e ai differimenti temporali.
Risorse. La dotazione finanziaria della Missione 6 Salute, pari a circa € 15,6 miliardi, è rimasta invariata. La rimodulazione ha redistribuito € 750 milioni dalla Componente 2 alla Componente 1. In particolare, sono stati potenziati i nuovi progetti riferiti all’assistenza domiciliare (+ € 250 milioni) e alla telemedicina (+ € 500 milioni), con una riduzione (- € 750 milioni) che sarà compensata dalle risorse per progetti già in essere di edilizia sanitaria ex. art. 20.
Variazioni quantitative.
- Riduzione di Case della Comunità (-312), Centrali Operative Territoriali (-120) e Ospedali di Comunità (-93) e interventi di antisismica (-25) secondo criteri di distribuzione regionale al momento non noti. «Se, come previsto dal piano di rimodulazione presentato dall’Italia, saranno espunte le strutture da realizzare ex novo – spiega Cartabellotta – ad essere penalizzate saranno le Regioni del Mezzogiorno la cui dotazione iniziale era esigua». Per garantire la realizzazione di tutte le strutture e di tutti gli interventi inizialmente programmati, è previsto l’utilizzo di fondi alternativi: “risorse da Accordo di Programma ex art. 20 L. 67/1988 ed eventuali risorse alternative, nonché le risorse addizionali del Fondo Opere Indifferibili, istituito per fronteggiare l’eccezionale aumento dei costi dei materiali da costruzione negli appalti pubblici, e risorse derivanti dai bilanci regionali/provinciali”. «Senza entrare nel merito di tecnicismi contabili né dell’entità dei fondi alternativi citati – precisa il Presidente – l’unica certezza è che tutto quanto espunto dal piano di rimodulazione potrà essere realizzato solo dopo giugno del 2026, data di scadenza ultima delle opere del PNRR».
- Riduzione dei posti letto di terapia intensiva (-808) e semi-intensiva (-995), secondo criteri di distribuzione regionale al momento non noti. «Se da un lato il piano di rimodulazione indica la riduzione di 1.803 posti letto totali come “prudenziale” per l’aumento dei costi di realizzazione – spiega Cartabellotta – dall’altro non fa alcun riferimento alle risorse a cui attingere per realizzare i posti letto espunti, nonostante venga riportato che “Resta comunque ferma la programmazione definita dai Piani di riorganizzazione approvati dal Ministero con le Regioni e le Province Autonome”».
- Aumento degli over 65 da prendere in carico in assistenza domiciliare (da almeno 800 mila a 842 mila) e dei pazienti assistiti in telemedicina (da almeno 200 mila a 300 mila).
Differimenti temporali. Sono relativi a due target:
- Attivazione delle Centrali Operative Territoriali dal 30 giugno 2024 al 31 dicembre 2024 (+ 6 mesi).
- Installazione delle grandi apparecchiature dal 31 dicembre 2024 al 30 giugno 2026 (+ 18 mesi).
«Un differimento temporale – commenta il Presidente – motivato da criticità minori, quali lo smaltimento delle vecchie apparecchiature e l’adeguamento dei locali, che inevitabilmente condizionerà l’esigibilità delle prestazioni diagnostiche con apparecchiature più moderne ed efficienti, in un periodo storico caratterizzato da tempi di attesa già estremamente lunghi».
DL PNRR. L’art. 1 dirotta circa € 1,2 miliardi destinati all’ammodernamento degli ospedali dal Piano Nazionale per gli investimenti complementari – il co-finanziamento del PNRR garantito dall’Italia - ai fondi generici per l’edilizia sanitaria (ex. art. 20). «Anche se potrebbe sembrare solo una “mossa contabile” – commenta il Presidente – nei fatti lo spostamento di risorse non avviene tra “vasi comunicanti” e gli interventi espunti sono rimandati a data da destinarsi perché non dovranno più rispettare la scadenza del giugno 2026 fissate dal PNRR». In particolare, si tratta dell’investimento denominato “Verso un ospedale sicuro e sostenibile” che ha l’obiettivo di migliorare la sicurezza degli ospedali per adeguarli alle norme antisismiche, «tenendo conto – spiega Cartabellotta – del loro ruolo strategico in caso di disastro, visto che gli ospedali se da un lato svolgono la fondamentale funzione di soccorso, sono particolarmente a rischio in caso di evento sismico perché ospitano un elevato numero di persone la cui messa in sicurezza è condizionata dalle inabilità individuali».
«Dopo aver “messo a terra” – commenta il Presidente – la Missione Salute del PNRR, il rispetto delle scadenze future sarà condizionato dalle criticità di attuazione della riforma dell’assistenza territoriale nei 21 servizi sanitari regionali. In particolare, il ruolo dei medici di famiglia e la grave carenza infermieri, figure chiave nella riorganizzazione dell’assistenza territoriale, oltre alle differenze regionali che non pongono tutte le Regioni sulla stessa linea di partenza per raggiungere gli obiettivi del PNRR e che, inevitabilmente, rischiano di essere amplificate dall’autonomia differenziata».
Riguardo l’imponente carenza di personale infermieristico utile riportare tre dati. Innanzitutto, nel 2021 il numero di infermieri in Italia è pari a 6,2 per 1.000 abitanti, rispetto ad una media OCSE di 9,9, con rilevanti differenze regionali. Una carenza che stride con il fabbisogno di infermieri di comunità/di famiglia stimato da Agenas per attuare la riforma dell’assistenza territoriale: tra 19.450 a 26.850. In secondo luogo, la scarsa attrattività della professione infermieristica conseguente a vari fattori: limitate prospettive di carriera, problemi organizzativi e di sicurezza sul lavoro e, ovviamente, aspetti economici, visto che la retribuzione dei nostri infermieri è ben al di sotto della media OCSE (€ 35.030 vs € 44.250 a dicembre 2021). Inoltre, negli ultimi 20 anni il potere di acquisto dei loro stipendi si è ridotto sia nel periodo 2000-2019 (-1,5%), sia nel periodo 2019-2021 (-1%), più che in ogni altro paese OCSE.
«La Missione Salute del PNRR – conclude Cartabellotta – è indubbiamente una grande opportunità per potenziare il SSN, ma solo nell’ambito di un rilancio complessivo della sanità pubblica. Ovvero, non può essere la “stampella” per sostenere un SSN claudicante. E, se da un lato la sua attuazione deve essere sostenuta da coraggiose azioni politiche, rinviare le scadenze e rimodulare al ribasso gli obiettivi del PNRR senza chiarire la distribuzione regionale dei “tagli”, l’entità e la disponibilità delle risorse necessarie e la definizione di nuove scadenze per quanto rimasto fuori dal piano di rimodulazione, indebolisce ulteriormente il potenziale impatto del PNRR sul rilancio del SSN».
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16 aprile 2024
DEF: spesa sanitaria in calo nel 2023, per il 2024 l’aumento è illusorio. Scende il rapporto spesa sanitaria/Pil: 6,3% nel 2025-2026 e poi 6,2%, sotto il livello pre-Pandemia. Investimenti inadeguati in sanità: Italia ultima tra i paesi del G7, a rischio diritto alla tutela della salute
Lo scorso 9 aprile il Consiglio dei Ministri ha approvato il Documento di Economia e Finanza (DEF) 2024 in forma “semplificata”, ovvero con le sole stime tendenziali calcolate sulle norme in vigore, e senza stime programmatiche che rimangono in attesa del nuovo Patto di Stabilità.
«Rispetto alle previsioni di spesa sanitaria sino al 2027 – afferma Nino Cartabellotta Presidente della Fondazione GIMBE – il DEF 2024 certifica l’assenza di un cambio di rotta e ignora il pessimo “stato di salute” del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), i cui princìpi fondamentali di universalità, uguaglianza ed equità sono stati traditi, con conseguenze che condizionano la vita delle persone, in particolare delle fasce socio-economiche più deboli e delle persone residenti nel Mezzogiorno. Dai lunghissimi tempi di attesa all’affollamento inaccettabile dei pronto soccorso; dalle diseguaglianze regionali e locali nell’offerta di prestazioni sanitarie alla migrazione sanitaria dal Sud al Nord; dall’aumento della spesa privata all’impoverimento delle famiglie sino alla rinuncia alle cure».
Relativamente alla spesa sanitaria vengono di seguito riportate le analisi indipendenti della Fondazione GIMBE sul consuntivo 2023 e sulle stime per l’anno 2024 e per il triennio 2025-2027 (Tabella).
Consuntivo 2023. Il DEF 2024 certifica per l’anno 2023 un rapporto spesa sanitaria/PIL del 6,3% e, in termini assoluti, una spesa sanitaria di € 131.119 milioni, oltre € 3.600 milioni in meno rispetto a quanto previsto dalla NaDEF 2023 (€ 134.734 milioni). «Tale riduzione di spesa – spiega il Presidente – consegue in larga misura al mancato perfezionamento del rinnovo dei contratti del personale dirigente e convenzionato per il triennio 2019-2021, i cui oneri non sono stati inputati nel 2023 e spostati al 2024. In misura minore hanno inciso le spese per contrastare la pandemia, che sono state inferiori al previsto». Rispetto al 2022 la spesa sanitaria nel 2023 si è ridotta dal 6,7% al 6,3% del PIL e di € 555 milioni in termini assoluti. «Questo primo dato – commenta Cartabellotta – certifica che il 2023 è stato segnato da un netto definanziamento in termini di rapporto spesa sanitaria/PIL (-0,4%), facendo addirittura segnare un valore negativo della spesa sanitaria, il cui potere d’acquisto è stato anche ridotto da un’inflazione che nel 2023 ha raggiunto il 5,7% su base annua».
Previsionale 2024. Il rapporto spesa sanitaria/PIL nel 2024 sale al 6,4% rispetto al 6,3% del 2023; in termini assoluti la previsione di spesa sanitaria è di € 138.776 milioni, ovvero € 7.657 milioni in più rispetto al 2023 (+5,8%). «In realtà – precisa Cartabellotta – l’altisonante incremento di oltre € 7,6 miliardi stimato per il 2024 è illusorio: infatti, in parte è dovuto al un mero spostamento al 2024 della spesa prevista nel 2023 per i rinnovi contrattuali 2019-2021, in parte agli oneri correlati al personale sanitario dipendente per il triennio 2022-2024 e, addirittura, all’anticipo del rinnovo per il triennio 2025-2027. Una previsione poco comprensibile, visto che la Legge di Bilancio 2024 non ha affatto stanziato le risorse per questi due capitoli di spesa». Senza considerare, peraltro, l’erosione del potere di acquisto, visto che secondo l’ISTAT ad oggi l’inflazione si attesta su base annua a +1,3%.
Previsionale 2025-2027. Nel triennio 2025-2027, a fronte di una crescita media annua del PIL nominale del 3,1%, il DEF 2024 stima al 2% la crescita media annua della spesa sanitaria. Il rapporto spesa sanitaria/PIL si riduce dal 6,4% del 2024 al 6,3% nel 2025-2026, al 6,2% nel 2027. Rispetto al 2024, in termini assoluti la spesa sanitaria nel 2025 sale a € 141.814 milioni (+2,2%), a € 144.760 milioni (+2,1%) nel 2026 e a € 147.420 milioni (+1,8%) nel 2027. «Considerato che il DEF in forma “semplificata” non contiene indicazioni sulle politiche economiche per la prossima Legge di Bilancio – commenta il Presidente – se da un lato le previsioni sul triennio 2025-2027 confermano il progressivo calo del rapporto spesa sanitaria/PIL, dall’altro non si possono escludere ulteriori riduzioni della spesa sanitaria visti i margini molto risicati per finanziare in deficit la prossima Manovra. In tal senso rimangono molto azzardate le stime assolute di € 6.414 milioni in più nel 2025 e di € 9.160 milioni nel 2026, tenendo conto che il Fabbisogno Sanitario Nazionale fissato dalla Legge di Bilancio 2024 è pari a € 135.400 milioni per il 2025 e € 135.600 milioni per il 2026».
Peraltro, in assenza di misure programmatiche nel DEF 2024, aggiunge il Presidente «bisognerà capire dove reperire le risorse sia per abolire gradualmente il tetto di spesa per il personale sanitario – come annunciato dal Presidente Meloni e del Ministro Schillaci – sia da destinare alle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale e di protesica, visto che l’aggiornamento dei nomenclatori tariffari è stato rinviato in accordo con le Regioni al 1° gennaio 2025 per mancanza di fondi, posticipando ancora una volta l’esigibilità dei “nuovi” Livelli Essenziali di Assistenza, ben 8 anni dopo la loro approvazione».
«Il DEF 2024 – chiosa il Presidente – conferma che, in linea con quanto accaduto negli ultimi 15 anni, la sanità pubblica non rappresenta affatto una priorità neppure per l’attuale Governo. In tal senso, la comunicazione pubblica dell’Esecutivo continua a puntare esclusivamente sulla spesa sanitaria in termini assoluti che dal 2012 è (quasi) sempre aumentata rispetto all’anno precedente, e non sul rapporto spesa sanitaria/PIL che documenta al contrario un lento e inesorabile declino, collocando l’Italia prima tra i paesi poveri dell’Europa e ultima del G7 di cui proprio nel 2024 il nostro Paese ha la presidenza».
«Il Piano di Rilancio del SSN elaborato dalla Fondazione GIMBE – conclude Cartabellotta – propone di aumentare progressivamente la spesa sanitaria, con l’obiettivo di allinearla entro il 2030 alla media dei paesi europei, al fine di garantire il rilancio delle politiche del personale sanitario, l’erogazione uniforme dei Livelli Essenziali di Assistenza e l’accesso equo alle innovazioni. Considerato che nel 2022 il gap della spesa sanitaria pro-capite con la media dei paesi europei ha superato in totale i € 47 miliardi, il DEF 2024 non pone affatto le basi per ridurlo progressivamente: anzi, il rapporto spesa sanitaria/PIL scende a 6,3% nel 2025-2026 e al 6,2% nel 2027, valori inferiori al 2019 (6,4%), confermando che la pandemia non ha insegnato proprio nulla. Infatti, il perseverante definanziamento pubblico aumenterà la distanza con i paesi europei e affonderà definitivamente il SSN, compromettendo il diritto costituzionale alla tutela della salute delle persone, in particolare per le classi meno abbienti e per i residenti nelle Regioni del Sud».
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9 aprile 2024
Spesa sanitaria delle famiglie nel 2022: spesi € 64 in più rispetto all’anno precedente e oltre € 100 al centro-sud. 4,2 milioni di famiglie hanno limitato le spese per la salute, in particolare al Sud. Oltre 1,9 milioni di persone hanno rinunciato a prestazioni sanitarie per ragioni economiche. A rischio la salute di oltre 2,1 milioni di famiglie indigenti
Nel 2022 la spesa sanitaria out-of-pocket, ovvero quella sostenuta direttamente dalle famiglie, ammonta a quasi € 37 miliardi: in quell’anno oltre 25,2 milioni di famiglie italiane in media hanno speso per la salute € 1.362, oltre € 64 euro in più rispetto al 2021. «Considerato il rilevante impatto sui bilanci familiari della spesa sanitaria out-of-pocket – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – e tenuto conto di un contesto caratterizzato dalla grave crisi di sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e dall’aumento della povertà assoluta, abbiamo analizzato vari indicatori per misurare le dimensioni di questo preoccupante fenomeno, utilizzando esclusivamente i dati pubblicati da ISTAT. L’obiettivo è quello di fornire una base oggettiva per il dibattito pubblico e le decisioni politiche, oltre che prevenire strumentalizzazioni basate sull’enfasi posta su singoli dati».
Spesa sanitaria out-of-pocket. Secondo il sistema dei conti ISTAT-SHA, nel 2022 (ultimo anno disponibile) la spesa sanitaria totale in Italia ammonta a € 171.867 milioni: € 130.364 milioni di spesa pubblica (75,9%) e € 41.503 milioni di spesa privata, di cui € 36.835 milioni (21,4%) out-of-pocket e € 4.668 milioni (2,7%) intermediata da fondi sanitari e assicurazioni (figura 1). «Se da un lato la spesa out-of-pocket supera la soglia del 15% – commenta il Presidente – concretizzando di fatto, secondo i parametri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, un sistema sanitario misto, va rilevato che quasi l’89% della spesa privata è a carico delle famiglie». Complessivamente, nel periodo 2012-2022 la spesa out-of-pocket è aumentata in media dell’1,6% annuo, per un totale di € 5.326 milioni in 10 anni (figura 2). «Un dato – spiega il Presidente – che documenta solo in parte l’impatto del progressivo indebolimento del SSN, perché non tiene conto di altri indicatori. Infatti, la limitazione delle spese per la salute, l’indisponibilità economica temporanea e, soprattutto, la rinuncia alle cure sono fenomeni che, pur non aumentando la spesa out-of-pocket, contribuiscono a peggiorare la salute delle persone».
Impatto della spesa per la salute sulle famiglie. Secondo l’indagine ISTAT sui consumi delle famiglie, nel 2022 la media nazionale delle spese per la salute è pari a € 1.362,24 a famiglia, in aumento rispetto ai € 1.298,04 del 2021. «Ad eccezione del Nord-Ovest – spiega il Presidente – dove si registra una lieve riduzione, l’aumento delle spese per la salute nel 2022 riguarda tutte le macro-aree del Paese: in particolare al Centro e al Sud si registrano aumenti di oltre € 100 a famiglia» (tabella 1). I dati regionali restituiscono, invece, un quadro molto eterogeneo. In dettaglio, dal 2021 al 2022 i maggiori incrementi si rilevano in Puglia con +26,1% (€ 910,20 vs € 1.147,80) e in Toscana con +19,3% (€ 1.178,40 vs € 1.405,92). Altre Regioni, invece, hanno registrato una diminuzione dal 2021 al 2022: la Valle d’Aosta del 24,3% (€ 1.834,08 vs € 1.387,56) e la Calabria che segna un -15,3% (€ 1.060,92 vs € 899,04) (tabella 2). «L’interpretazione dei dati regionali – spiega Cartabellotta – non è univoca perché la spesa delle famiglie per la salute è influenzata da numerose variabili: la qualità e l’accessibilità dei servizi sanitari pubblici, la capacità di spesa delle famiglie, il consumismo sanitario e, in misura minore, l’eventuale rimborso della spesa da parte di assicurazioni e fondi sanitari». Ad esempio, il fatto che nel 2022 la spesa per la salute delle famiglie calabresi e marchigiane rimanga al di sotto di € 1.000 è verosimilmente imputabile a motivazioni differenti. Analogamente, nelle prime posizioni per spesa delle famiglie si collocano le Regioni più ricche e/o con più elevata qualità dei servizi sanitari, documentando, aggiunge il Presidente «che la spesa out-of-pocket non è un indicatore affidabile per valutare la riduzione delle tutele pubbliche; di conseguenza, lasciare che il dibattito pubblico si concentri solo su questo dato restituisce un quadro distorto della realtà, sia perché alcune famiglie spendono per servizi e prestazioni inutili, sia perché altre non riescono a spendere per bisogni reali di salute a causa di difficoltà economiche».
Limitazione delle spese per la salute. Secondo i dati ISTAT sul cambiamento delle abitudini di spesa nel 2022 il 16,7% delle famiglie dichiarano di avere limitato la spesa per visite mediche e accertamenti periodici preventivi in quantità e/o qualità. Se il Nord-Est (10,6%), il Nord-Ovest (12,8%) e il Centro (14,6%) si trovano sotto la media nazionale, tutto il Mezzogiorno si colloca al di sopra: di poco le Isole (18,5%), di oltre 10 punti percentuali il Sud (28,7%), in pratica più di 1 famiglia su 4 (figura 3). «Un cambiamento nelle abitudini di spesa – commenta Cartabellotta – che ovviamente argina la spesa out-of-pocket: infatti, proiettando sulla popolazione i dati dell’indagine campionaria ISTAT, sarebbero oltre 4,2 milioni le famiglie che nel 2022 hanno limitato le spesa per la salute».
Indisponibilità economiche temporanee delle spese per la salute. Risultati sovrapponibili, seppur in percentuali ridotte, vengono restituiti dall’indagine ISTAT sulle condizioni di vita. Il 4,2% delle famiglie dichiara di non disporre di soldi in alcuni periodi dell’anno per far fronte a spese relative alle malattie. Sono al di sotto della media nazionale il Nord-Est (2%), il Centro (3,1%) e il Nord-Ovest (3,2%), mentre il Mezzogiorno si colloca al di sopra della media nazionale: rispettivamente le Isole al 5,3% e il Sud all’8%, un dato quasi doppio rispetto alla media nazionale (figura 4). «Anche questo fenomeno – spiega il Presidente – contribuisce a contenere la spesa out-of-pocket: infatti, proiettando sulla popolazione i dati dell’indagine campionaria ISTAT, oltre 1 milione di famiglie in alcuni periodi del 2022 non sono riuscite a fronteggiare le spese per la salute per indisponibilità economica».
Rinunce a prestazioni sanitarie. I dati forniti dal Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile (BES) 2022, realizzato in collaborazione tra ISTAT e CNEL documentano che la percentuale di persone che rinunciano a prestazioni sanitarie – dopo i dati drammatici del periodo pandemico (9,6% nel 2020 e 11,1% nel 2021) – nel 2022 si è attestata al 7%, percentuale comunque maggiore a quella pre-pandemica del 2019 (6,3%). Si tratta di oltre 4,13 milioni di persone che, secondo la definizione ISTAT, spiega Cartabellotta «dichiarano di aver rinunciato nell’ultimo anno a visite specialistiche o esami diagnostici pur avendone bisogno, per uno o più motivi: problemi economici (impossibilità di pagare, costo eccessivo), difficoltà di accesso (struttura lontana, mancanza di trasporti, orari scomodi), lunghi tempi di attesa». In particolare, nel 2022 ha rinunciato alle cure per motivi economici il 3,2% della popolazione, ovvero quasi 1,9 milioni di persone. «In ogni caso dal 2018 – commenta Cartabellotta – fatta eccezione per il biennio 2020-2021, la percentuale di persone che hanno rinunciato alle cure rimane sostanzialmente stabile, anche se le motivazioni possono mutare negli anni». La distribuzione per aree geografiche non documenta grandi differenze rispetto alla media nazionale, dimostrando che si tratta di un problema diffuso: Nord-Ovest 7,5%, Nord-Est 6,4%, Centro 7%, Sud 6,2%, Isole 8,5%. Anche a livello regionale le differenze sono modeste, fatta eccezione per i dati estremi non sempre di facile interpretazione: da un lato Sardegna (12,3%) e Piemonte (9,6%), dall’altro la Provincia Autonoma di Bolzano e la Campania (4,7%). (figura 5).
Povertà assoluta. «L’impatto sulla salute individuale e collettiva dell’indebolimento della sanità pubblica – afferma Cartabellotta – non può limitarsi a valutare gli indicatori relativi alla spesa delle famiglie, ma deve anche considerare il livello di povertà assoluta della popolazione». Secondo le statistiche ISTAT sulla povertà, tra il 2021 e il 2022 l’incidenza della povertà assoluta per le famiglie in Italia – ovvero il rapporto tra le famiglie con spesa sotto la soglia di povertà e il totale delle famiglie residenti – è salita dal 7,7% al 8,3%, ovvero quasi 2,1 milioni di famiglie. Il Nord-Est ha registrato l’incremento più significativo, passando dal 7,1% al 7,9%, seguito dal Sud con un aumento dal 10,5% all'11,2% e dalle Isole con un incremento dal 9,2% al 9,8%. Anche se il Nord-Ovest e il Centro hanno registrato un aumento più contenuto (0,4%), il fenomeno della povertà assoluta è diffuso su tutto il territorio nazionale (tabella 3). E le stime preliminari ISTAT per l’anno 2023 documentano un ulteriore incremento della povertà assoluta delle famiglie: dall’8,3% all’8,5%. «È evidente – commenta Cartabellotta – che l’aumento del numero di famiglie che vivono sotto la soglia della povertà assoluta avrà un impatto residuale sulla spesa out-of-pocket, ma aumenterà la rinuncia alle cure, condizionando il peggioramento della salute e la riduzione dell’aspettativa di vita delle persone più povere del Paese».
«Dalle nostre analisi – conclude Cartabellotta – emergono tre considerazioni. Innanzitutto l’entità della spesa out-of-pocket, seppur in lieve e costante aumento, sottostima le mancate tutele pubbliche perché viene arginata da fenomeni conseguenti alle difficoltà economiche delle famiglie: la limitazione delle spese per la salute, l’indisponibilità economica temporanea e la rinuncia alle cure. In secondo luogo, questi fenomeni sono molto più frequenti nelle Regioni del Mezzogiorno, proprio quelle dove l’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza è inadeguata: di conseguenza, l’insufficiente offerta pubblica di servizi sanitari associata alla minore capacità di spesa delle famiglie del Sud condiziona negativamente lo stato di salute e l’aspettativa di vita alla nascita, un indicatore che vede tutte le Regioni del Mezzogiorno al di sotto della media nazionale. Infine, lo status di povertà assoluta che coinvolge oggi più di due milioni di famiglie richiede urgenti politiche di contrasto alla povertà, non solo per garantire un tenore di vita dignitoso a tutte le persone, ma anche perché le diseguaglianze sociali nell’accesso alle cure e l’impossibilità di far fronte ai bisogni di salute con risorse proprie rischiano di compromettere la salute e la vita dei più poveri, in particolare nel Mezzogiorno. Dove l’impatto sanitario, economico e sociale senza precedenti rischia di peggiorare ulteriormente con l’autonomia differenziata».
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Pagina aggiornata il 22/06/2022