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25 2024
PNRR Missione Salute, al 2° trimestre 2024 raggiunta l’unica scadenza europea: 2.700 borse di studio per i MMG. Ma senza dati impossibile sapere se siano realmente aggiuntive rispetto alle borse ordinarie. Slitta il target nazionale sul Fascicolo Sanitario Elettronico

«Al 30 giugno 2024 – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – l’unica scadenza europea della missione Salute del PNRR, che condiziona il pagamento delle rate, è stata rispettata». Continua l’attività di monitoraggio indipendente dello status di avanzamento delle riforme dell’Osservatorio GIMBE sul Servizio Sanitario Nazionale, che mira a fornire un quadro oggettivo sui risultati raggiunti, di informare i cittadini ed evitare strumentalizzazioni politiche.

Il monitoraggio, oltre allo status di avanzamento, analizza le criticità conseguenti alla rimodulazione delle scadenze e all’esecuzione delle attività previste.

STATO DI AVANZAMENTO AL 30 GIUGNO 2024. Secondo i dati resi pubblici il 23 luglio 2024 sul portale del Ministero della Salute che monitora lo stato di attuazione della Missione Salute del PNRR:

  • Milestone e target europei: al 30 giugno 2024 è stata raggiunta l’unica scadenza prevista, relativa all’assegnazione di 2.700 borse di studio aggiuntive per corsi specifici di medicina generale, che garantiranno il completamento di tre cicli di apprendimento triennali.
  • Milestone e target nazionali: «Anche se non condizionano l’erogazione dei fondi del PNRR – spiega Cartabellotta – questi step intermedi richiedono un attento monitoraggio perché potrebbero compromettere le correlate scadenze europee». Al 30 giugno 2024 sono stati raggiunti tutti i target previsti nel 2021, 2022 e 2023, ad eccezione del target “Stipula di un contratto per gli strumenti di intelligenza artificiale a supporto dell’assistenza primaria” che era già stato differito dal 30 giugno 2023 al 31 dicembre 2024 (+ 18 mesi). Relativamente al 2024, il target “Realizzazione, implementazione e messa in funzione delle componenti architetturali che garantiscono l’interoperabilità nazionale di documenti e dati sanitari all’interno del Fascicolo sanitario elettronico” è slittato dal 30 giugno al 31 dicembre 2024 (+ 6 mesi). È stato invece stato raggiunto con un anticipo di 6 mesi il target “Pubblicazione di una procedura di selezione biennale per l'assegnazione di voucher per progetti PoC (Proof of Concept) e stipula di convenzioni, progetti di ricerca su tumori e malattie rare e progetti di ricerca ad alto impatto sulla salute” fissato al 31 dicembre 2024.

CRITICITÀ. «Sul raggiungimento del target europeo per l’assegnazione di 2.700 borse di studio aggiuntive per la medicina generale – segnala il Presidente – se è certo che 900 borse annuali finanziate dal PNRR sono state assegnate raggiungendo così il target, in assenza di una rendicontazione pubblica del totale delle borse di studio ordinarie è impossibile verificare se le borse PNRR siano realmente “aggiuntive”».

«Formalmente – conclude Cartabellotta – al 30 giugno 2024 le scadenze europee sul PNRR che condizionano il pagamento delle rate sono state tutte rispettate. Tuttavia, commenta il Presidente «effettuata la “messa a terra” della Missione Salute, il rispetto delle scadenze successive sarà condizionato soprattutto dalle criticità di attuazione del DM 77 nei 21 servizi sanitari regionali, legate sia alle figure chiave del personale sanitario coinvolte nella riorganizzazione dell’assistenza territoriale, sia alle rilevanti differenze regionali di partenza. In tal senso, il primo banco di prova è al 31 dicembre 2024 quando dovranno essere “pienamente funzionanti” almeno 480 Centrali Operative Territoriali».


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18 2024
Cure essenziali 2022, le pagelle del Ministero della Salute: promosse solo 13 regioni. Emilia-Romagna in vetta, al sud passano solo Puglia e Basilicata. Peggiorano le performance in 10 regioni e aumentano i divari tra nord e sud del Paese. La legge sull’autonomia differenziata compromette l’uguaglianza in sanità

Nel 2022 solo 13 Regioni rispettano gli standard essenziali di cura, con un ulteriore aumento del divario Nord-Sud: la Puglia e la Basilicata uniche promosse al Sud, ma in posizioni di coda. In 10 Regioni le performance peggiorano rispetto al 2021.

Sono i dati del Ministero della Salute che, come ogni anno, valuta l’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), ovvero delle prestazioni sanitarie che tutte le Regioni e Province Autonome devono garantire gratuitamente o previo il pagamento del ticket. «Si tratta di una vera e propria “pagella” per i servizi sanitari regionali – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE– che identifica quali Regioni sono promosse (adempienti), pertanto meritevoli di accedere alla quota di finanziamento premiale, e quali bocciate (inadempienti)». Le Regioni inadempienti vengono sottoposte ai Piani di rientro, uno specifico affiancamento da parte del Ministero della Salute che nelle situazioni più critiche può arrivare sino al commissariamento della Regione.

Dal 2020 la “Griglia LEA” è stata sostituita da 22 indicatori CORE del Nuovo Sistema di Garanzia (NSG), suddivisi in tre aree: prevenzione collettiva e sanità pubblica, assistenza distrettuale e assistenza ospedaliera. In ogni area le Regioni possono ottenere un punteggio tra 0 e 100 e vengono considerate adempienti se raggiungono almeno 60 punti in tutte le tre aree; invece, se il punteggio è inferiore a 60 anche in una sola area, la Regione risulta inadempiente. «Se nel 2020 e nel 2021, segnati dall’emergenza pandemica, il monitoraggio ha avuto solo un ruolo informativo – precisa il Presidente – nel 2022 per la prima volta i risultati degli indicatori CORE vengono utilizzati a scopo valutativo».

A seguito della recente pubblicazione della Relazione 2022 del “Monitoraggio dei LEA attraverso il Nuovo Sistema di Garanzia” da parte del Ministero della Salute, «la Fondazione GIMBE – spiega il Presidente – ha effettuato alcune analisi per stimare l’entità dell’attuale frattura Nord-Sud nel garantire il diritto costituzionale alla tutela della salute anche alla luce della recente approvazione della legge sull’autonomia differenziata».

Adempimenti LEA 2022. Rispetto al 2021 le Regioni adempienti nel 2022 scendono da 14 a 13: Basilicata, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Provincia Autonoma di Trento, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria e Veneto. In particolare, dal 2021 al 2022 nessuna Regione passa da inadempiente ad adempiente, mentre l’Abruzzo diventa inadempiente per il punteggio insufficiente nell’area della prevenzione. Rimangono inadempienti 7 Regioni: Campania, Molise, Provincia Autonoma di Bolzano con un punteggio insufficiente in una sola area; Calabria, Sardegna e Sicilia con un punteggio insufficiente in due aree; Valle D’Aosta insufficiente in tutte le tre aree (tabella 1).

«Nel 2022 – commenta il Presidente – aumenta il gap Nord-Sud, visto che solo Puglia e Basilicata si trovano tra le 13 Regioni adempienti, collocandosi rispettivamente in terzultima e in ultima posizione tra quelle “promosse”».

 

Considerato che il Ministero della Salute non sintetizza in un punteggio unico la valutazione degli adempimenti LEA, la Fondazione GIMBE ha elaborato una classifica di Regioni e Province Autonome sommando gli score ottenuti nelle tre aree; i risultati sono riportati in ordine decrescente di punteggio totale e suddivisi in quartili.

«Rispetto al semplice status di adempiente o inadempiente – commenta Cartabellotta – il punteggio totale mostra ancora più chiaramente l’entità del gap Nord-Sud: infatti, ai primi 10 posti si trovano 6 Regioni del Nord, 4 del Centro e nessuna del Sud, mentre nelle ultime 7 posizioni – fatta eccezione per la Valle D’Aosta – si collocano solo Regioni del Mezzogiorno».

 

Variazioni 2021-2022. La Fondazione GIMBE ha analizzato le differenze tra gli adempimenti 2021 e quelli 2022, misurando i punteggi totali delle Regioni e le performance nazionali sui tre macro-livelli assistenziali. Nel 2022 quasi la metà delle Regioni ha performance inferiori al 2021, seppure con gap di entità notevolmente diversa: Umbria (-0,03), Sardegna (-3,57), Campania (-4,47), Liguria (-6,86), Lazio (-8,06), Marche (-14,7), Molise (-17,48), Friuli Venezia Giulia (-23,13), Calabria (-24,74), Abruzzo (-30,86).

«Anche questo dato – commenta il Presidente – conferma l’aumento del divario Nord-Sud: infatti, fatta eccezione per Liguria e Friuli-Venezia Giulia, tutte le Regioni in cui si rilevano riduzioni dei punteggi totali si trovano al Centro o al Sud del Paese».

 

Nel 2022 a livello nazionale si rileva un miglioramento nell’area ospedaliera (+90 punti), un lieve peggioramento per l’area distrettuale (-12 punti) e un netto peggioramento nell’area della prevenzione (-146 punti); complessivamente le tre aree perdono 68 punti rispetto al 2021.

«Gli indicatori più critici dell’area prevenzione – spiega il Presidente – riguardano gli screening oncologici, in particolare nelle Regioni del Sud, e le coperture vaccinali in età pediatrica su cui potrebbe aver inciso il passaggio alla fonte informativa dell’Anagrafe Vaccinale Nazionale».

 

«Il monitoraggio del Ministero della Salute 2022 sulle cure essenziali – conclude Cartabellotta – conferma che la frattura strutturale tra Nord e Sud del Paese non solo non accenna a ridursi, ma addirittura si amplia sia con l’Abruzzo che diventa inadempiente, sia per riduzione dei punteggi LEA nella maggior parte delle Regioni del Mezzogiorno. Proprio nel momento in cui entra in vigore la legge sull’autonomia differenziata che in materia di salute non ha ritenuto necessario definire i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) in quanto esistono già i LEA. Considerato che i dati sull’esigibilità dei LEA, oltre a segnare un peggioramento complessivo rispetto al 2021, confermano anche per l’anno 2022 un enorme gap Nord-Sud, è evidente che senza definire, finanziare e garantire i LEP anche in sanità, le maggiori autonomie in sanità legittimeranno normativamente questa frattura, compromettendo l’uguaglianza dei cittadini di fronte al diritto costituzionale alla tutela della salute».


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25 giugno 2024
Decreto Legge sulle liste d’attesa: nessun finanziamento aggiuntivo e tempi di realizzazione incerti. Ulteriore sovraccarico per il personale sanitario e nessuna misura per ridurre gli esami inutili. Audizione della Fondazione Gimbe al Senato.

«Il decreto legge sulle liste di attesa – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – non prevede risorse aggiuntive e potrà essere pienamente operativo solo previa approvazione di almeno sette decreti attuativi con scadenze non sempre definite e tempi di attuazione che rischiano di diventare biblici. Ancora, non include misure per ridurre la domanda inappropriata di esami diagnostici e visite specialistiche e punta, oltre che su attività ispettive e sanzioni, sul potenziamento dell’offerta di prestazioni sanitarie con ulteriore sovraccarico dei professionisti sanitari che hanno carichi di lavoro già inaccettabili». Queste le principali criticità emerse dall’analisi GIMBE del provvedimento dell’Esecutivo per la riduzione dei tempi d’attesa che, insieme ad azioni propositive, saranno illustrate in audizione oggi alle ore 14.30 presso la 10a Commissione del Senato.

CRITICITÀ RELATIVE ALL’IMPIANTO GENERALE DEL DL

Misure previste. I tempi di attesa aumentano a causa dello squilibrio tra l’offerta e la domanda di prestazioni sanitarie, di cui non tutte soddisfano reali bisogni di salute. Ovvero una quota di esami diagnostici e visite specialistiche è inappropriata: la loro esecuzione non apporta alcun beneficio in termini di salute e contribuisce ad “ingolfare” il sistema, lasciando indietro pazienti più gravi. «Tuttavia le misure previste dal DL – commenta Cartabellotta – prevedono solo di inseguire la domanda aumentando l’offerta, una strategia perdente: come dimostrano numerosi studi, infatti, una volta esaurito il cosiddetto “effetto spugna” nel breve periodo, l’incremento dell’offerta induce sempre un ulteriore aumento della domanda». In tal senso, è indispensabile definire criteri di appropriatezza di esami e visite specialistiche e un piano di formazione sui professionisti e d’informazione sui pazienti, al fine di arginare la domanda inappropriata di prestazioni.

Decreti attuativi e tempi di attuazione. Il DL prevede almeno sette decreti attuativi e per quattro di loro (uno relativo alle “Disposizioni per l’implementazione del sistema di prenotazione delle prestazioni sanitarie” e tre al “Superamento del tetto di spesa per l’assunzione di personale sanitario”) non sono nemmeno definiti i termini di pubblicazione. «Un numero così elevato di decreti attuativi – commenta Cartabellotta – oltre che in contrasto con il carattere di urgenza del provvedimento, lascia molte perplessità sui tempi di attuazione delle misure. Infatti, nonostante le rassicurazioni del Ministro Schillaci sul rispetto dei tempi, la storia insegna che, tra valutazioni tecniche, attriti politici e passaggi tra Camere e Ministeri, dei decreti attuativi si perdono spesso le tracce con la conseguente impossibilità di applicare le misure previste».

Aspetti finanziari. Il DL è frutto di un prolungato braccio di ferro tra il Ministero della Salute e il Ministero dell’Economia e delle Finanze e tutte le misure previste sono senza maggiori oneri per la finanza pubblica, in quanto utilizzano risorse già stanziate, sottraendole ad altri capitoli di spesa. «È evidente – commenta Cartabellotta – che la versione definitiva del DL risente dell’impossibilità da parte del Governo di investire ulteriori risorse in sanità e che la scure del MEF ha fortemente ridimensionato gli obiettivi del Ministero della Salute, generando un provvedimento tanto perentorio nei termini e sovrabbondante nella forma, quanto povero di contenuti realmente efficaci per risolvere i problemi strutturali del SSN che generano il problema delle liste di attesa. D’altronde per superare il tetto di spesa per il personale sanitario sono necessarie risorse da investire e professionisti da assumere: le prime sono pari a zero e i secondi sono sempre meno. Anche se il DL pone le basi per conoscere meglio il fenomeno e prevede l’implementazione di varie misure, in larga parte già esistenti, la loro attuazione richiede tempo e soprattutto una stretta collaborazione di Regioni e Aziende sanitarie».

CRITICITÀ RELATIVE ALLE SINGOLE MISURE

Entrando nel merito delle misure previste dal DL, indubbiamente la Piattaforma Nazionale per le Liste d’Attesa permetterà di realizzare un monitoraggio rigoroso e analitico per le varie prestazioni sanitarie in tutte le Regioni con le stesse modalità. «Tale strumento – spiega Cartabellotta – rappresenta l’unica vera novità del DL, anche se la sua implementazione richiederà tempi medio-lunghi considerata l’estrema eterogeneità e la limitata trasparenza di numerosi sistemi informativi regionali sulle liste di attesa. Inoltre, al di là di una puntuale conoscenza di vari aspetti del fenomeno, il suo potenziale impatto sui tempi di attesa è difficilmente prevedibile, anche in considerazione dei poteri esclusivi delle Regioni sulla programmazione ed erogazione dei servizi sanitari».

«Lascia molto perplessi – continua il Presidente – l’istituzione di un Organismo di verifica e controllo sull'assistenza sanitaria con l’obiettivo di rafforzare le attività del già esistente Sistema nazionale di verifica e controllo sull’assistenza sanitaria (SIVeAS), a cui si aggiungono solo funzioni di polizia amministrativa e giudiziaria che riconoscono all’Organismo la qualifica di agente di pubblica sicurezza». Tali perplessità derivano da almeno tre ragioni. Innanzitutto scientifiche: utilizzare strategie ispettive e sanzionatorie prevalenti rispetto a quelle premianti aumenta il rischio di effetto boomerang, come documentato dalla letteratura internazionale. In secondo luogo giuridiche: non è chiaro come applicare direttamente sanzioni e premialità nei confronti dei Direttori generali degli Assessorati regionali e delle Aziende sanitarie, viste le competenze esclusive delle Regioni in materia. Infine operative, visto che il volume delle segnalazioni di cittadini, enti locali e associazioni di categoria sarà indubbiamente enorme e i tempi di chiarimenti richiesti alle Regioni molto stretti. «Peraltro – chiosa Cartabellotta – tale Organismo avrà un costo di oltre € 2,65 milioni l’anno a carico del bilancio del Ministero della Salute».

«Potenzialmente molto rilevante – continua Cartabellotta – l’implementazione del sistema di prenotazione delle prestazioni sanitarie, visto che ad oggi non è nota la reale disponibilità di prestazioni sanitarie delle strutture pubbliche e private accreditate nelle singole Regioni. Si tratta, comunque, in larga parte di misure già previste da normative vigenti e mai implementate in maniera adeguata».

Il potenziamento dell’offerta di visite diagnostiche e specialistiche tramite l’estensione delle attività a sabato e domenica e prolungando le fasce orarie trova il principale ostacolo nella carenza di professionisti sanitari. «In particolare – chiosa il Presidente – se i professionisti sono sempre gli stessi e con carichi di lavoro già inaccettabili, come potranno mai erogare le prestazioni anche il sabato e la domenica, senza violare la direttiva UE sugli orari di riposo che prevede, oltre alle 11 ore al giorno, almeno un giorno intero (24 ore) di riposo a settimana?». Va peraltro ribadito che tale misura dispone di una copertura finanziaria solo per l’anno 2024, come previsto dall’ultima Legge di Bilancio.

Per incentivare tali attività viene introdotta un’aliquota unica al 15% sulle prestazioni aggiuntive del personale sanitario, ma è doveroso segnalare che tale defiscalizzazione viene interamente “scaricata” sul fabbisogno sanitario nazionale. «In particolare – precisa Cartabellotta – nel 2024 gli € 80 milioni necessari saranno recuperati dal fondo per i danneggiati da trasfusioni e vaccinazioni e da altri obiettivi nazionali. Dal 2025 gli oltre € 160 milioni verranno dalla corrispondente riduzione della spesa destinata al perseguimento degli obiettivi sanitari di carattere prioritario e di rilievo nazionale previsti dalla Legge di Bilancio 2024».

Il superamento del tetto di spesa per l’assunzione di personale sanitario viene rinviato al 2025 dopo la definizione da parte delle Regioni del fabbisogno di personale, secondo la nuova metodologia messa a punto da Agenas. «Peraltro il DL – precisa Cartabellotta – prevede almeno tre decreti attuativi senza definire alcuna scadenza temporale. Un accidentato percorso burocratico che rischia di generare ulteriori ritardi sulla priorità più urgente del SSN». Il DL salvaguarda comunque la retribuzione accessoria del personale sanitario preservando gli effetti del Decreto Calabria fino alla piena operatività della nuova metodologia di calcolo del fabbisogno.

Le misure per il potenziamento dell’offerta assistenziale e il rafforzamento dei Dipartimenti di salute mentale fanno riferimento a norme e finanziamenti già esistenti, ovvero quelli del Programma Nazionale Equità in Salute (PNES) che riguardano le Regioni del Mezzogiorno.

«Le interminabili liste d’attesa, fonte di grande disagio per cittadini e pazienti – conclude Cartabellotta –rappresentano il sintomo di un indebolimento organizzativo e soprattutto professionale che richiederebbero consistenti investimenti e coraggiose riforme. In tal senso, ricondurre tutti i problemi del SSN alle liste di attesa è estremamente semplicistico perché si continua a guardare al dito e non alla luna. Una sorta di “riduzione prestazionistica” del SSN dove l’importante è esigere/erogare una prestazione sanitaria in tempi brevi, e non importa se l’erogatore sia pubblico o privato. Dimenticando che quello che abbiamo perduto è la capacità del SSN di prendere in carico i pazienti, soprattutto quelli cronici, in primis quelli oncologici. Pazienti oggi costretti, come novelli Ulisse, a peregrinare tra diversi CUP, tra vari ospedali sino a Regioni diverse, nel disperato tentativo di prenotare una visita o un esame diagnostico, attività di cui un tempo si occupava il SSN seguendo il percorso diagnostico-terapeutico del malato. Ecco perché bisogna investire sul personale sanitario aumentando gli organici, e non stremare ulteriormente quello già in servizio, con il rischio di alimentare la fuga dei professionisti dal SSN».


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29 maggio 2024
Programma OMS “Scuole che Promuovono Salute”: in Italia hanno aderito solo 3 scuole su 5. Alfabetizzazione sanitaria: nessuna formazione al personale per quasi il 40% degli istituti scolastici. Nei programmi scolastici scarsa attenzione a salute mentale e prevenzione delle malattie infettive

La Fondazione GIMBE ha pubblicato il report “Scuole che Promuovono Salute: status di attuazione in Italia del programma dell’Organizzazione Mondiale della Sanità” sulla partecipazione degli istituti scolastici italiani all’iniziativa dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che mira a rendere la scuola un luogo che sostiene attivamente la salute e il benessere degli studenti. Lo studio è stato finanziato dalla Fondazione GIMBE con la borsa di studio “Gioacchino Cartabellotta” 2023 assegnata a Simone Salemme, medico neurologo dottorando presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia.

«In assenza di dati sistematici sull’attuazione del programma “Scuole che Promuovono Salute” (SPS) nelle scuole italiane, abbiamo realizzato una survey per raccogliere informazioni oggettive direttamente dai dirigenti scolastici» dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE.

METODI. Il questionario utilizzato dalla survey è stato tradotto e adattato dal manuale OMS per l’implementazione delle SPS, in collaborazione con la Fondazione ANP ETS.  Tutti gli istituti scolastici italiani sono stati invitati a partecipare alla survey, che è stata realizzata da luglio a dicembre 2023.

RISULTATI. All’indagine hanno partecipato 493 scuole italiane, da 20 Regioni e 101 Province. Il campione è rappresentativo al livello nazionale con un margine di errore del ±4,4%. Delle 493 scuole rispondenti, il 51,7% sono istituti comprensivi, il 40,6% scuole secondarie di 2° grado, il 4,7% direzioni didattiche e il 3% scuole secondarie di 1° grado.

  • Conoscenza del programma OMS “Scuole che Promuovono Salute”. La quasi totalità delle scuole (95,8%) afferma che il proprio programma scolastico promuove un consumo e un ambiente sostenibili, ma solo il 61,9% ha aderito al programma dell’OMS ovvero poco più di 3 scuole su 5. E tra queste il 25% circa, nonostante la formale adesione, non possiede o non è a conoscenza di un piano dedicato al programma stesso. «Ci sono ampi margini di miglioramento – afferma Cartabellotta – ed è essenziale che tutte le scuole sviluppino e implementino piani completi e ricevano il supporto necessario per creare ambienti di apprendimento sicuri e sostenibili. Solo così possiamo garantire un futuro migliore e più sano ai nostri studenti».
  • Governance e leadership scolastica. Il 98% ha riportato di ricevere sostegno e promozione del programma da parte del dirigente e dei suoi collaboratori, «a dimostrazione del fatto – sottolinea il Presidente – che l’implementazione di successo del programma SPS è strettamente dipendente dal commitment dei dirigenti scolastici».
  • Alfabetizzazione sanitaria. In quasi il 40% delle scuole non è prevista formazione del personale e supporto all’alfabetizzazione sanitaria: «L’assenza di investimenti – commenta Cartabellotta – per la formazione del personale scolastico sui temi dell’alfabetizzazione sanitaria rappresentano un ostacolo rilevante per l’implementazione delle SPS».
  • Programma scolastico. La ricerca evidenzia che solo il 60,8% degli istituti monitora regolarmente l’attuazione del programma scolastico portato avanti con il fine di sostenere la salute e il benessere. Tra i temi più trattati da oltre il 70% delle scuole ci sono: prevenzione di violenza, bullismo e cyberbullismo, educazione alimentare, educazione fisica, life skills. In due scuole su tre viene approfondita anche la dipendenza da internet e videogame. «Da rilevare – puntualizza Cartabellotta – che tutti i temi sono risultati più frequentemente trattati negli istituti aderenti al programma SPS rispetto a quelli non aderenti. Ma alcuni argomenti rilevanti, quali salute mentale e prevenzione delle malattie infettive, sono trattati in meno di un istituto su 5».
  • Ambiente scolastico. Il 76,9% delle scuole riporta investimenti e risorse adeguate per mantenere sicuri gli ambienti scolastici e l’86,2% monitora regolarmente la sicurezza dell’ambiente scolastico intraprendendo eventuali azioni correttive. «Questi dati – commenta Cartabellotta – dimostrano l'impegno costante delle nostre istituzioni educative verso la sicurezza e il benessere degli studenti e incoraggiano a continuare a investire per garantire ambienti di apprendimento sicuri e protetti».
  • Collaborazione tra scuola e comunità. Il 59% degli istituti aderenti al programma SPS coinvolge attivamente studenti e familiari. «Questo dato – puntualizza Cartabellotta – rileva che l’attuazione del programma SPS, in 2 scuole su 5 avviene in maniera unidirezionale, senza coinvolgimento attivo di famiglie e studenti, indispensabile per la condivisione partecipata ed il successo del programma SPS».
  • Governance e leadership scolastica. Il 98% degli istituti aderenti al programma SPS (n=299) riceve sostegno dai dirigenti scolastici per la promozione del valore e dell’etica dell’iniziativa dell’OMS.

 

Antonello Giannelli, Presidente della Fondazione ANP E.T.S., commenta i dati: «Dalla ricerca emergono importanti spunti di analisi sulla diffusione delle pratiche di alfabetizzazione sanitaria nelle scuole. Queste ultime, per via del loro impianto curricolare e degli spazi garantiti dall’autonomia, si confermano il luogo ideale per lo sviluppo di tematiche legate al benessere fisico e mentale di alunni e studenti per accompagnare il loro percorso di crescita. I dati, peraltro, attestano la fondamentale sinergia che le scuole hanno con il territorio, anche nell'ottica del civic center. Le figure del dirigente scolastico e dei suoi collaboratori risultano strategiche per il sostegno e la promozione del programma SPE: infatti, secondo la ricerca, ben il 98% del campione afferma di ricevere costantemente input in tal senso dalla leadership della scuola. In chiave di prevenzione, poi, la parte prevalente degli istituti riesce a garantire un ambiente sicuro, sia esso fisico che virtuale, a favore della comunità scolastica grazie a specifiche policy, investimenti, risorse e attività di monitoraggio. Sorprende, infine, come le scuole, proiettate in modo consistente verso il contrasto di fenomeni quali il bullismo e il cyberbullismo e verso disturbi tipici dell’età adolescenziale quali quelli alimentari, abbiano in parte perso di vista il contrasto del fenomeno delle dipendenze da fumo, alcol o altre sostanze, sebbene in Italia ciò rappresenti una vera e propria emergenza tra i nostri ragazzi. Intendiamo, quindi, continuare la collaborazione con la Fondazione GIMBE in quanto pienamente consapevoli del ruolo nodale dell’educazione alla salute».

«Alla luce dei risultati della survey – puntualizza Cartabellotta – emerge chiaramente la necessità da un lato che il programma SPS raggiunga il massimo grado di implementazione, dall’altro che vengano progettate di iniziative per supportare le scuole italiane nella promozione della salute pubblica e l’utilizzo consapevole dei servizi sanitari».

«Ecco perché in questo contesto, nel gennaio 2023 la Fondazione GIMBE ha dato il via a “La Salute Tiene Banco”– conclude Elena Cottafava, Segretaria Generale della Fondazione – iniziativa finalizzata a supportare le scuole italiane nella promozione della salute pubblica e nella conoscenza del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Il progetto mira a promuovere tra i ragazzi l’alfabetizzazione sanitaria, una materia sulla quale non è fornito supporto al personale scolastico quasi in 2 scuole su 5. Per questo vogliamo estendere il programma “La Salute Tiene Banco” a tutte le scuole del Paese e abbiamo bisogno del supporto di tutti: insieme possiamo educare giovani cittadini consapevoli protagonisti attivi della propria salute e utenti consapevoli del SSN, al fine di contribuire alla sua sostenibilità».

Il report dell’Osservatorio GIMBE “Scuole che Promuovono Salute: status di attuazione in Italia del programma dell’Organizzazione Mondiale della Sanità” è disponibile a: www.gimbe.org/report-sps


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21 maggio 2024
Carenza pediatri: ne mancano almeno 827, due su tre in Lombardia, Piemonte e Veneto. Oltre 1.000 bambini per pediatra in Piemonte, Veneto, Valle d’Aosta e Bolzano. Entro il 2026 previsti oltre 1.700 pensionamenti, ma nessuna certezza sul ricambio generazionale

Secondo quanto riportato sul sito del Ministero della Salute, il pediatra di libera scelta (PLS) – cd. pediatra di famiglia – è il medico preposto alla tutela della salute di bambini e ragazzi tra 0 e 14 anni. Ad ogni bambino, sin dalla nascita, deve essere assegnato un PLS per accedere a servizi e prestazioni inclusi nei Livelli Essenziali di Assistenza garantiti dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN). «L’allarme sulla carenza di PLS – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – oggi è sollevato da genitori di tutte le Regioni, da Nord a Sud. Le loro testimonianze evidenziano problemi burocratici, mancanza di risposte da parte delle ASL, pediatri con un numero eccessivo di assistiti e impossibilità di iscrivere i propri figli al pediatra di famiglia, mettendo potenzialmente a rischio la salute, soprattutto dei più piccoli e dei più vulnerabili».

Per comprendere meglio le cause e le dimensioni del fenomeno, la Fondazione GIMBE ha analizzato dinamiche e criticità che regolano l’inserimento dei PLS nel SSN e stimato l’entità della carenza di PLS nelle Regioni italiane. «Due aspetti fondamentali – spiega Cartabellotta – devono essere precisati: innanzitutto, le stime sulle carenze dei PLS sono state effettuate a livello regionale, perché la loro reale necessità viene definita dalle Aziende Sanitarie Locali (ASL) in relazione agli ambiti territoriali carenti; in secondo luogo, le stime sul ricambio generazionale sono ostacolate dall’impossibilità di sapere quanti nuovi specialisti in pediatria scelgono la carriera di PLS».

DINAMICHE E CRITICITÀ

Fasce di età. Sino al compimento del 6° anno di età i bambini devono essere assistiti per legge da un PLS, mentre dai 6 ai 13 anni inclusi i genitori possono scegliere tra PLS e medico di medicina generale (MMG). Al compimento dei 14 anni la revoca del PLS è automatica, tranne per pazienti con documentate patologie croniche o disabilità per i quali può essere richiesta una proroga fino al compimento del 16° anno. «Queste regole – spiega Cartabellotta – se da un lato contrastano con la definizione di PLS come medico preposto alla tutela della salute di bambini e ragazzi sino al compimento dei 14 anni, dall’altro rappresentano un ostacolo rilevante per un’accurata programmazione del fabbisogno di PLS». Infatti, secondo i dati ISTAT al 1° gennaio 2023 la fascia 0-5 anni (iscrizione obbligatoria al PLS) include più di 2,5 milioni di bambini e quella 6-13 oltre 4,2 milioni, che potrebbero essere iscritti al PLS o al MMG in base alle preferenze dei genitori.

Massimale di assisiti. Secondo quanto previsto dall’Accordo Collettivo Nazionale (ACN), il numero massimo di assistiti di un PLS è fissato a 880, con deroga nazionale di ulteriori 120 scelte temporanee (residenti in ambiti limitrofi, non residenti, extracomunitari). Tuttavia, esistono inoltre deroghe regionali e locali che portano a superare i 1.000 iscritti: indisponibilità di altri pediatri del territorio, fratelli di bambini già in carico ad un PLS. «In realtà – commenta il Presidente – il numero di 1.000 assistiti non potrebbe essere superato in quanto la determinazione del massimale di scelte è stabilita dall’Accordo Collettivo Nazionale (ACN), come previsto dalla L. 502/1992, e non è derogabile dalle Regioni o dalle singole ASL».

Ambiti territoriali carenti. I nuovi PLS vengono inseriti nel SSN previa identificazione da parte della Regione – o soggetto da questa individuato – degli ambiti territoriali carenti, dove bisogna colmare un fabbisogno assistenziale e garantire una diffusione capillare degli studi dei PLS. Attualmente, la necessità della zona carente viene calcolata solo sulla fascia di età 0-6 anni tenendo conto di un rapporto ottimale di 1 PLS ogni 600 bambini. «È del tutto evidente – chiosa il Presidente – che questo metodo di calcolo sottostima il fabbisogno di PLS: paradossalmente, facendo riferimento alle regole vigenti, i PLS sarebbero addirittura in esubero perché il loro fabbisogno viene stimato solo per i piccoli sino al compimento dei 6 anni. Mentre di fatto i PLS assistono oltre l’81% di quelli della fascia 6-13 anni». Va segnalato che l’atto di indirizzo per la contrattazione in corso dispone di rivedere il calcolo del rapporto ottimale tenendo conto degli assistibili di età 0-13 anni, decurtati dagli assistiti di età ≥6 anni in carico ai MMG e di portare il massimale a 1.000 assistiti, eliminando la distinzione tra scelte ordinarie e deroghe.

Pensionamenti. Secondo i dati forniti dalla Federazione Italiana dei Medici Pediatri (FIMP), tra il 2023 e il 2026 sono 1.738 i PLS che hanno compiuto/compiranno 70 anni, raggiungendo così l’età massima per la pensione, deroghe a parte: dai 236 PLS del Lazio a 1 PLS in Valle d’Aosta (figura 1).

Nuovi PLS. Il numero di borse di studio per la scuola di specializzazione in pediatria, dopo un decennio di sostanziale stabilità, è nettamente aumentato negli ultimi 5 anni: da 496 nell’anno accademico 2017-2018 a 885 nel 2022-2023, raggiungendo un picco di 973 nell’anno accademico 2020-2021 (figura 2). «Tuttavia – spiega Cartabellotta – considerato che gli specializzandi in pediatria possono scegliere anche la carriera ospedaliera, è impossibile prevedere quanti nuovi pediatri opteranno per la professione di PLS».

STIMA DELLE CARENZE ATTUALI E FUTURE

Trend 2019-2022. Secondo la “fotografia” scattata dal Ministero della Salute e riportata nell’Annuario Statistico del SSN 2022, in Italia i PLS nel 2022 in attività erano 6.962, ovvero 446 in meno rispetto al 2019 (-6%). Inoltre, i PLS con oltre 23 anni di specializzazione sono passati dal 39% nel 2009 al 79% nel 2022. «Un dato – commenta Cartabellotta – che se da un lato documenta una crescente anzianità dei PLS in attività, dall’altro richiederebbe stime molto precise su quanti PLS potrà contare il SSN nei prossimi anni per garantire il ricambio generazionale evitando di creare un “baratro” dell’assistenza pediatrica territoriale».

Numero di assistiti per PLS. Secondo le rilevazioni della Struttura Interregionale Sanitari Convenzionati (SISAC), al 1° gennaio 2023 6.681 PLS avevano in carico quasi 6 milioni di iscritti, di cui il 42,5% (2,55 milioni) della fascia 0-5 anni e il 57,5% (3,45 milioni) della fascia 6-13 anni. Ovvero l’81,8% della popolazione ISTAT al 1° gennaio 2023 di età 6-13 anni risulta assistita dai PLS, con percentuali molto diverse tra le Regioni: dal 95,9% della Liguria al 60,3% della Sardegna (figura 3). In termini assoluti, la media nazionale è di 898 assistiti per PLS: superano la media di 880 assistiti (massimale di assistiti senza deroghe) 12 Regioni, di cui Piemonte (1.108), Valle d’Aosta (1.047), Provincia Autonoma di Bolzano (1.026) e Veneto (1.011) vanno oltre la media di 1.000 assistiti per PLS (figura 4). «In realtà – spiega Cartabellotta – lo scenario è più critico di quanto lasciano trasparire i numeri, perché con un tale livello di saturazione non solo viene ostacolato il principio della libera scelta, ma in alcune Regioni diventa impossibile trovare disponibilità di PLS sia nelle aree interne o disagiate, sia vicino casa nelle grandi città».

Stima della carenza di PLS al 1° gennaio 2023. «Tutte le criticità sopra rilevate – spiega Cartabellotta – permettono solo di stimare il fabbisogno di PLS a livello regionale, in quanto la necessità di ciascuna zona carente viene identificata dalle ASL in relazione a numerose variabili locali». Se l’obiettivo è garantire la qualità dell’assistenza, la distribuzione capillare in relazione alla densità abitativa, la prossimità degli ambulatori e l’esercizio della libera scelta, non si può far riferimento al massimale con deroga delle scelte per stimare il fabbisogno di PLS. Di conseguenza la Fondazione GIMBE, ritenendo accettabile un rapporto di 1 PLS ogni 800 assistiti (valore medio tra il rapporto ottimale di 600 e il massimale con deroga di 1.000) e utilizzando le rilevazioni SISAC al 1° gennaio 2023, stima una carenza di 827 PLS, con notevoli differenze regionali. Infatti il 62% delle carenze si concentra in sole 3 grandi Regioni del Nord: Lombardia (244), Piemonte (136), Veneto (134); mentre in 4 Regioni (Lazio, Molise, Puglia e Umbria) non si rileva alcuna carenza visto che la media di assistiti per PLS è inferiore a 800 (figura 5).

Stima della carenza di PLS 2026. Conoscendo il numero dei pensionamenti attesi e il numero di borse di studio disponibili per la scuola di specializzazione in pediatria si potrebbe stimare la carenza di PLS al 2026, anno in cui dovrebbe “decollare” la riforma dell’assistenza territoriale prevista dal PNRR. «Tuttavia – commenta Cartabellotta – considerato che non è noto quanti specialisti pediatri intraprenderanno la carriera di PLS, è impossibile stimare se per i 1.738 PLS che tra il 2023 e il 2026 hanno compiuto/compiranno 70 anni ci sarà un adeguato ricambio generazionale e se questo sarà omogeneo nelle varie Regioni».

«La carenza di PLS – conclude Cartabellotta – oggi riguarda in particolare alcune grandi Regioni del Nord e deriva da errori di programmazione del fabbisogno, in particolare la mancata sincronia per bilanciare pensionamenti attesi e borse di studio per la scuola di specializzazione. E, comunque, la distribuzione capillare sul territorio rimane sempre condizionata da variabili e scelte locali non sempre prevedibili. In tal senso, serve innanzitutto un’adeguata programmazione del fabbisogno che richiede tre elementi: ridefinire la fascia di età di esclusiva competenza dei PLS, disporre di stime accurate sul numero di pediatri che intraprendono la carriera di PLS e, nel medio e lungo periodo, considerare il fenomeno della denatalità. Servono inoltre l’adozione di modelli organizzativi che promuovano il lavoro in team, l’effettiva realizzazione della riforma dell’assistenza territoriale prevista dal PNRR (Case di comunità, Ospedali di Comunità, assistenza domiciliare, telemedicina), accordi sindacali in linea con il ricambio generazionale e la distribuzione capillare dei PLS, come indicato negli stessi atti di indirizzo. Perché guardando ai pensionamenti attesi, non è affatto certo che nei prossimi anni i nuovi PLS saranno sufficienti a garantire il ricambio generazionale, con l’inevitabile acuirsi della carenza in alcune Regioni».


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14 maggio 2024
DdL per il sostegno finanziario della sanità pubblica: importante “iniezione” da € 4 miliardi all’anno, ma non basterà a ridurre il gap con l’Europa. Incognita sul reperimento delle risorse. Senza rilancio del finanziamento pubblico ulteriore indebolimento del personale sanitario, innovazioni inaccessibili e addio all’universalismo

La Fondazione GIMBE audita presso la XII Commissione Affari sociali alla Camera dei Deputati nell’ambito dell’esame delle proposte di legge recanti disposizioni per il sostegno finanziario del Servizio Sanitario Nazionale (SSN).

«Negli ultimi 15 anni – esordisce Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – è bene ribadire che tutti i Governi, di ogni colore, hanno tagliato risorse o non finanziato adeguatamente il SSN, portando il nostro Paese ad essere in Europa “primo tra i paesi poveri” in termini di spesa sanitaria pubblica sia in percentuale del PIL, sia soprattutto pro-capite». Infatti, nel 2022 siamo davanti solo ai paesi dell’Europa meridionale (Spagna, Portogallo, Grecia) e a quelli dell’Europa dell’Est, eccetto la Repubblica Ceca» (figura 1). Il gap rispetto alla media dei paesi europei dal 2010 è progressivamente aumentato, arrivando nel 2022 a $ 867, pari a quasi € 810 (figura 2), che, parametrato ad una popolazione residente ISTAT al 1° gennaio 2023, per l’anno 2022 corrisponde ad una voragine di € 47,7 miliardi. Nell’intero periodo 2010-2022 il gap cumulativo arriva alla cifra monstre di $ 363 miliardi, pari a circa € 336 miliardi (figura 3). «Una progressiva sottrazione di risorse pubbliche – continua Cartabellotta – che determinato l’inesorabile indebolimento del SSN nelle sue componenti strutturale, tecnologica, organizzativa e, soprattutto, professionale, con drammatiche conseguenze che oggi ricadono su 60 milioni di persone».

«I princìpi fondanti del SSN, universalità, uguaglianza, equità – continua il Presidente – sono stati ampiamente traditi e la vita quotidiana delle persone, in particolare delle fasce socio-economiche più deboli, è sempre più condizionata da esperienze che documentano la mancata esigibilità del diritto alla tutela della salute: interminabili tempi di attesa, pronto soccorso affollatissimi, impossibilità di trovare un medico o un pediatra di famiglia vicino casa, necessità di ricorrere alla spesa privata sino all’impoverimento delle famiglie e alla rinuncia alle cure, enormi diseguaglianze regionali e locali sino alla migrazione sanitaria».

«Conseguenze del fatto che a partire dal 2010 – commenta Cartabellotta – indipendentemente dalle cifre assolute, la sanità pubblica è continuamente definanziata, come documentato dall’inesorabile aumento del gap della spesa sanitaria pro-capite rispetto alla media dei paesi europei».

FABBISOGNO SANITARIO NAZIONALE (FSN) PASSATO E PRESENTE:

  • Periodo 2010-2019: il FSN è aumentato di € 8,2 miliardi con una percentuale di crescita complessiva dello 0,9% rispetto all’1,2 % dell’inflazione. «Per 10 anni – chiosa il Presidente – Regioni, Aziende sanitarie e professionisti hanno lavorato in un contesto iso-risorse che ha progressivamente eroso la resilienza del SSN, poi travolto dalla pandemia quando già gravemente indebolito». (figura 4).
  • Periodo 2020-2023: l’incremento del FSN è pari a € 15,1 miliardi che, spiega Cartabellotta «non hanno consentito alcun rinforzo strutturale del SSN, né hanno permesso alle Regioni – anche quelle più virtuose – di mantenere i conti in ordine senza tagliare i servizi o aumentare le imposte regionali». Sia perché le risorse sono state utilizzate in larga misura per fronteggiare l’emergenza pandemica, sia perché l’incremento del 2,9% nel 2022 e del 2,8% nel 2023 è stato pesantemente eroso dall’inflazione (8,1% nel 2022 e 5,7% nel 2023) (figura 5).
  • Legge di Bilancio 2024. Il FSN viene incrementato di € 3 miliardi per il 2024, € 4 miliardi per il 2025 e € 4,2 miliardi per il 2026, salendo a € 134 miliardi per il 2024, € 135,4 miliardi per il 2025 e € 135,6 miliardi per il 2026. «Se in termini assoluti è ben evidente il netto incremento del FSN nel 2024 – spiega Cartabellotta – è bene rilevare da un lato che oltre l’80% è destinato al doveroso rinnovo dei contratti del personale dipendente e convenzionato, dall’altro che l’ultima Manovra non lascia intravedere alcun rilancio del finanziamento pubblico. Infatti, gli incrementi previsti nel 2025 (+1%) e nel 2026 (+0,15%) sono talmente esigui che non riusciranno a compensare l’inflazione, né l’aumento dei prezzi di beni e servizi».

«A parte piccole differenze – continua Cartabellotta – le proposte dei DdL in esame sull’aumento del FSN sono sì in linea con il Piano di Rilancio del SSN elaborato dalla Fondazione GIMBE, ma sono limitate ad un arco temporale di 5 anni con un finanziamento aggiuntivo di € 4 miliardi l’anno per un totale di € 20 miliardi. Al contrario, il Piano GIMBE suggerisce un incremento progressivo del finanziamento pubblico per allineare la spesa sanitaria pro-capite alla media dei paesi europei».

Dal punto di vista quantitativo, il recente paper dell’OCSE sulla sostenibilità fiscale dei sistemi sanitari entro il 2040 stima un aumento medio della spesa sanitaria nei paesi OCSE del 2,6%, ma prevede al contempo che le entrate attese, fiscali e non fiscali saranno pari all’1,3%, evidenziando dunque una possibile criticità nella sostenibilità della spesa sanitaria. Nelle stime OCSE l’Italia si trova al penultimo posto per incremento delle entrate attese (0,2%) e al terzultimo per l’aumento di spesa sanitaria (1,5%). «Una situazione – commenta Cartabellotta – che, in assenza di coraggiose scelte politiche, vede il rilancio del SSN pesantemente condizionato dalle difficoltà a reperire le risorse necessarie. In ogni caso, l’incremento del FSN di € 4 miliardi/anno proposto dai DdL in esame è superiore al 2,6% previsto dall’OCSE fino al 2035, salvo poi essere inferiore dal 2036 (figura 6): un’importante iniezione di denaro pubblico per il SSN, tuttavia non sufficiente recuperare l’enorme gap della spesa sanitaria pro-capite rispetto alla media dei paesi europei».

Quanto al reperimento delle risorse necessarie, i DdL in esame fanno riferimento a maggiori risorse derivanti dalla crescita economica, al recupero di risorse dall’evasione/elusione fiscale e alla revisione delle politiche contributive. «Se da un lato i tempi di attuazione di queste ultime misure non permettono di recuperare risorse a breve termine – commenta Cartabellotta – dall’altro è indifferibile rivedere le priorità di investimento del Paese per evitare il crollo imminente di un pilastro della nostra democrazia. Peraltro, con la difficoltà di recuperare risorse da sprechi e inefficienze in assenza di coraggiose riforme, le uniche ipotesi aperte rimangono quelle di una tassa di scopo (es. su alcool, fumo, gioco d’azzardo, bevande zuccherate) e/o una tassazione aggiuntiva e incrementale dei redditi più elevati».

«Il persistere del sotto-finanziamento pubblico – conclude Cartabellotta – avrà tre conseguenze fondamentali sul SSN. Innanzitutto, l’ulteriore demotivazione del personale sanitario con impoverimento del capitale umano che rischia di mettere definitivamente in ginocchio la sanità pubblica; in secondo luogo, la difficoltà sempre crescente nel garantire le innovazioni farmacologiche e tecnologiche; infine, l’addio all’universalismo con l’involuzione del SSN in una sanità a doppio binario, dove il diritto alla tutela della salute sarà condizionato della capacità di spesa delle persone. Tuttavia per rilanciare il SSN il progressivo incremento del finanziamento pubblico è condizione necessaria, ma non sufficiente: sono ormai inderogabili coraggiose riforme di sistema visto che, a fronte di varie transizioni (epidemiologica, demografica, digitale), le modalità di finanziamento, programmazione, erogazione e valutazione dei servizi sanitari “obbediscono” a leggi che risalgono a 25-30 anni fa. Ma ancor prima, serve una visione chiara su quale modello di SSN la politica vuole lasciare in eredità alle future generazioni, attraverso un patto sociale e politico che, prescindendo da ideologie partitiche e avvicendamenti di Governi, riconosca nel modello del SSN un pilastro della nostra democrazia, una conquista irrinunciabile e una grande leva per lo sviluppo economico del Paese».


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Pagina aggiornata il 22/06/2022