Home Press room Comunicati stampa
stampa

Comunicati stampa

11 giugno 2025
Decreto Legge liste d’attesa nel pantano: dopo un anno mancano metà dei 6 decreti attuativi. Intanto nel 2024 quasi 6 milioni di persone hanno rinunciato a prestazioni sanitarie. 4 milioni di rinunce solo per i lunghi tempi di attesa: +51% rispetto al 2023

Nonostante annunci e dichiarazioni ufficiali, il Decreto Legge sulle liste d’attesa (DL 73/2024) non ha ancora prodotto benefici concreti per i cittadini. A un anno esatto dalla sua pubblicazione, l’attuazione delle misure è stata prima bloccata dalla lunga gestazione del decreto attuativo sulla piattaforma nazionale, poi tenuta in ostaggio dal conflitto istituzionale tra Governo e Regioni sul decreto relativo ai poteri sostitutivi. Nel frattempo la realtà restituisce numeri allarmanti: secondo l’ISTAT, nel 2024 una persona su dieci ha rinunciato ad almeno una prestazione sanitaria, il 6,8% a causa delle lunghe liste di attesa e il 5,3% per ragioni economiche. E la motivazione relativa alle liste di attesa è cresciuta del 51% rispetto al 2023.

«A un anno dalla pubblicazione del DL Liste di attesa – dichiara Nino Cartabellotta Presidente della Fondazione GIMBE – abbiamo condotto un’analisi indipendente sullo status di attuazione della norma, con l’obiettivo di informare in maniera costruttiva il dibattito pubblico e politico e di ridurre le aspettative irrealistiche dei cittadini, sempre più intrappolati nella rete delle liste di attesa. Tracciando un confine netto tra realtà e propaganda».

Secondo quanto riportato dal Dipartimento per il Programma di Governo, al 10 giugno 2025 dei sei decreti attuativi previsti dal DL Liste d’attesa solo tre sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale, lo scorso aprile. Dei rimanenti, uno è scaduto da oltre nove mesi e due non hanno una scadenza definita. «Come già evidenziato in audizione dalla Fondazione GIMBE – spiega il Presidente Nino Cartabellotta – il carattere di urgenza del provvedimento si è rivelato incompatibile con un numero così elevato di decreti attuativi, alcuni tecnicamente complessi, altri politicamente scottanti».

In dettaglio al 10 giugno 2025 (tabella 1):

Decreti attuativi pubblicati

  • Art 1, comma 4. Modalità con cui la Piattaforma nazionale delle liste di attesa opera in coerenza con il «Modello Nazionale di Classificazione e Stratificazione della popolazione». Adottato il 28 ottobre 2024, quasi 4 mesi dopo la scadenza prevista, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 16 aprile 2025.
  • Art 1, comma 3. Adozione dei criteri di realizzazione, di funzionamento e di interoperabilità tra la Piattaforma nazionale e le piattaforme regionali delle liste di attesa. Adottato il 17 febbraio 2025, con un ritardo di oltre 4 mesi dalla scadenza prevista, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale l’11 aprile 2025.
  • Art. 6, comma 1. Adozione di un piano d’azione finalizzato al rafforzamento della capacità di erogazione dei servizi sanitari e all’incremento dell’utilizzo dei servizi sanitari e sociosanitari sul territorio per le Regioni destinatarie del Programma nazionale equità nella salute 2021-2027. Adottato il 20 febbraio 2025, con un ritardo di oltre 4 mesi dalla scadenza prevista, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale l’11 aprile 2025.

 

Decreti attuativi non pubblicati e già scaduti

  • Art 2, comma 6. Modalità e procedure per l’esercizio dei poteri sostitutivi da parte dell’Organismo di verifica e controllo sull’assistenza sanitaria. Scaduto il 31 agosto 2024.

 

Decreti attuativi non pubblicati e con scadenze non definite

  • Art 3, comma 5. Linee di indirizzo, a livello nazionale, contenenti le indicazioni tecniche per gestire, da parte del CUP, un nuovo sistema di disdetta delle prenotazioni e ottimizzazione delle agende di prenotazioni.
  • Art. 5, comma 2 (primo periodo). Adozione di una metodologia per la definizione del fabbisogno di personale degli enti del SSN (uno o più decreti).

 

I RITARDI SULLA PIATTAFORMA. Nel question time del 5 novembre 2024, il Ministro Schillaci aveva annunciato che da febbraio 2025 sarebbe stato disponibile il “cruscotto” nazionale con gli indicatori di monitoraggio delle liste d’attesa, completo dei dati di tutte le Regioni e Province autonome. Nei fatti, però, il decreto sulla piattaforma è approdato in Conferenza Stato-Regioni solo il 18 dicembre 2024, l’intesa è stata siglata solo il 13 febbraio 2025 e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale è slittata inspiegabilmente all’11 aprile. Da quella data le Regioni hanno avuto 60 giorni (raddoppiati rispetto ai 30 inizialmente previsti) per presentare i progetti necessari a garantire la “comunicazione” tra le proprie piattaforme e quella nazionale. «Proprio ieri – chiosa Cartabellotta – sono scaduti i 60 giorni, ma i tempi per rendere pubblicamente accessibili i dati di tutte le Regioni sulla piattaforma nazionale restano del tutto imprevedibili».

Lo scorso 22 maggio, presso il Ministero della Salute, è stata illustrata la piattaforma nazionale con tutte le funzionalità del cruscotto, utilizzando i dati di tre Regioni anonimizzate. «Un segnale – commenta Cartabellotta – che testimonia indubbiamente l’avanzamento dei lavori, ma che al tempo stesso dimostra quanto ancora siamo lontani da una piattaforma operativa con i dati di tutte le Regioni e, soprattutto, pubblicamente accessibile». Una realtà che stride con quanto dichiarato dalla Presidente Meloni nel question time alla Camera del 14 maggio: “La piattaforma nazionale è operativa, e ci dice che nelle Regioni dove ci sono questi strumenti aumentano il numero di visite ed esami per i cittadini e calano i tempi d’attesa”. «Ad oggi – commenta il Presidente – non esiste alcun dataset pubblico che documenti una riduzione dei tempi di attesa. Qualsiasi valutazione sull’efficacia del Decreto potrà essere condotta solo quando i dati saranno resi accessibili in modo trasparente».

IL CONFLITTO TRA GOVERNO E REGIONI. Il decreto attuativo più “spinoso”, quello sull’esercizio dei poteri sostitutivi, ha acceso un duro scontro istituzionale tra Governo e Regioni, che si è consumato in due mesi di missive ufficiali con accuse incrociate e rivendicazioni. Il clima sembra essersi disteso dopo il confronto del 22 maggio tra la Presidente Meloni e il Presidente Fedriga, che il 28 maggio ha incontrato il Ministro Schillaci per finalizzare il testo del decreto. «Al di là delle dichiarazioni pubbliche di ritrovata sintonia istituzionale – commenta Cartabellotta – al 10 giugno non risulta ancora raggiunta l’intesa tra Governo e Regioni sul decreto attuativo». Ma soprattutto, continua il Presidente «amareggia constatare che, su un tema che lede un diritto costituzionale, lo scontro frontale abbia preso il sopravvento sulla “leale collaborazione” tra Stato e Regioni, rendendo evanescente il supremo principio di “Repubblica che tutela la salute”. Nel frattempo, milioni di persone continuano ad attendere. O peggio, rinunciano alle prestazioni sanitarie».

LA RINUNCIA ALLE PRESTAZIONI SANITARIE. «L’espressione “rinuncia alle cure” – spiega Cartabellotta – è ormai entrata nel linguaggio comune di politici e media, ma dovrebbe essere abbandonata perché fuorviante: la rinuncia infatti, riguarda test diagnostici e visite specialistiche, non le terapie». Secondo la definizione ISTAT, si tratta infatti di persone che dichiarano di aver rinunciato nell’ultimo anno a visite specialistiche (escluse quelle odontoiatriche) o esami diagnostici pur avendone bisogno, a causa di almeno uno dei seguenti motivi: tempi di attesa troppo lunghi, problemi economici (impossibilità di pagare, costi eccessivi), difficoltà di accesso (struttura lontana, mancanza di trasporti, orari scomodi).

Nel 2024 il fenomeno ha registrato un’allarmante impennata (figura 1): secondo le elaborazioni GIMBE su dati ISTAT, il 9,9% della popolazione – circa 5,8 milioni di persone – ha rinunciato ad almeno una prestazione sanitaria, rispetto al 7,6% del 2023 (4,5 milioni di persone) e al 7% del 2022 (4,1 milioni di persone). Il dato è sostanzialmente omogeneo in tutto il Paese, senza differenze significative: 9,2% al Nord, 10,7% al Centro e 10,3% al Sud. «Negli ultimi due anni – commenta Cartabellotta – il fenomeno della rinuncia alle prestazioni non solo è cresciuto, ma coinvolge l’intero Paese, incluse le fasce di popolazione che prima della pandemia si trovavano in una posizione di “vantaggio relativo”, come i residenti al Nord e le persone con un livello di istruzione più elevato».

Il netto aumento delle rinunce a visite ed esami rilevato nel 2024 è dovuto soprattutto ai lunghi tempi d’attesa: la quota di popolazione che dichiara di aver rinunciato per questo motivo è passata infatti dal 4,2% del 2022 (2,5 milioni di persone) al 4,5% del 2023 (2,7 milioni di persone), fino a schizzare al 6,8 % nel 2024 (4 milioni di persone). Anche le difficoltà economiche continuano a pesare: la percentuale di chi rinuncia per motivi economici è aumentata dal 3,2% del 2022 (1,9 milioni di persone) al 4,2% del 2023 (2,5 milioni di persone), fino al 5,3% del 2024 (3,1 milioni di persone) (Figura 2).

«Se tra il 2022 e il 2023 l’aumento della rinuncia alle prestazioni era dovuto soprattutto a motivazioni economiche – spiega il Presidente – tra il 2023 e il 2024 l’impennata è stata trainata in larga misura dalle lunghe liste di attesa». E i dati lo confermano: le rinunce legate ai tempi d’attesa sono cresciute del 7,1% tra il 2022 e il 2023, e del 51% tra il 2023 e il 2024; quelle per ragioni economiche, invece, sono aumentate del 31,2% tra 2022 e 2023 e del 26,1% tra 2023 e 2024 (figura 3).

«Il vero problema – osserva Cartabellotta – non è più, o almeno non è soltanto, il portafoglio dei cittadini, ma la capacità del SSN di garantire le prestazioni in tempi compatibili con i bisogni di salute». Va inoltre ricordato che il questionario ISTAT consente risposte multiple: il cittadino può indicare contemporaneamente sia i motivi economici sia i lunghi tempi d’attesa tra le cause della rinuncia. «È proprio l’intreccio di questi due fattori — commenta Cartabellotta — a rendere il fenomeno ancora più allarmante: quando i tempi del pubblico diventano inaccettabili, molte persone sono costrette a rivolgersi al privato; ma se i costi superano la capacità di spesa, la prestazione diventa un lusso. E alla fine, per una persona su 10, la scelta obbligata è rinunciare».

L’indicatore “rinuncia a prestazioni sanitarie” rientra anche nel Nuovo Sistema di Garanzia, la “pagella” con cui il Ministero della Salute monitora i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) erogati dalle Regioni. «Certo monitorare è indispensabile – avverte Cartabellotta – ma se alle rilevazioni non seguono interventi concreti di miglioramento, ogni anno continueremo ad archiviare record sempre più negativi. Ridurre le liste d’attesa non è solo una sfida organizzativa o politica: è l’unico modo per impedire che l’universalismo del SSN ceda il passo a una sanità per soli abbienti».

I DECRETI ATTUATIVI SENZA SCADENZA. Degli altri due decreti attuativi che mancano all’appello, per i quali non è prevista alcuna scadenza, non vi è al momento alcuna traccia pubblicamente disponibile, dopo le rassicurazioni del Ministro Ciriani question time del 5 febbraio 2025. «Il primo decreto – spiega Cartabellotta – riguarda il superamento del tetto di spesa per il personale sanitario ed è verosimilmente in stand-by per la mancata approvazione della “nuova metodologia” Agenas per stimare il fabbisogno di personale, dopo la sperimentazione condotta nel triennio 2022-2024». Il secondo, che prevede linee di indirizzo nazionali per un nuovo sistema di disdetta delle prenotazioni e per l’ottimizzazione delle agende CUP, continua il Presidente «al 10 giugno 2025 non risulta ancora calendarizzato per l’esame in Conferenza delle Regioni».

«A un anno dalla pubblicazione – conclude Cartabellotta – il DL Liste di attesa si è impantanato tra le complessità tecnologiche che frenano il decollo della piattaforma nazionale e la prolungata tensione istituzionale tra Governo e Regioni sui poteri sostitutivi. Rispetto a quanto rilevato nel monitoraggio GIMBE di fine gennaio – che allora scatenò accese polemiche e attacchi strumentali – siamo arrivati a tre decreti attuativi pubblicati in Gazzetta Ufficiale, ma ne mancano ancora altrettanti all’appello: la prova definitiva che il carattere di urgenza del provvedimento era del tutto incompatibile con la complessità del fenomeno. Le liste d’attesa non sono infatti una criticità da risolvere a colpi di decreti: sono il sintomo del grave indebolimento del SSN, che richiede investimenti consistenti sul personale sanitario, coraggiose riforme organizzative, una completa trasformazione digitale e misure concrete per arginare la domanda inappropriata di prestazioni sanitarie. Dedicarsi ad alleviare il “sintomo” (tempi di attesa), piuttosto che risolvere “la grave malattia” che distrugge il SSN equivale a somministrare ad un paziente oncologico cure sintomatiche, anziché una terapia radicale. Così il DL Liste di attesa rischia di restare solo una promessa mancata. E milioni di cittadini e pazienti continuano a rinunciare alle prestazioni, sperimentando una silenziosa ma concreta esclusione dai diritti. Un’esclusione che ha gravi conseguenze sulla salute individuale e collettiva e che tradisce l’articolo 32 della Costituzione e i princìpi fondanti del nostro SSN».


Download comunicato

 

28 maggio 2025
Giovani e sanità pubblica: un ragazzo su 5 non conosce il proprio medico di famiglia. Poca consapevolezza su ticket, fascicolo sanitario elettronico e screening oncologici. L’intelligenza artificiale irrompe nella quotidianità, ma manca ancora la formazione

Un’indagine condotta tra studenti degli ultimi anni delle scuole superiori rivela un preoccupante scollamento tra le nuove generazioni e il Servizio Sanitario Nazionale (SSN): oltre la metà non sa cos’è il ticket, 1 ragazzo su 5 non conosce il proprio medico di famiglia e oltre l’80% non ha mai usato il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE). In controtendenza, quasi il 40% utilizza tutti i giorni strumenti di intelligenza artificiale (IA) come ChatGPT, un dato che apre uno scenario ambivalente: se utilizzati per cercare informazioni su temi sanitari, l’assenza di adeguate competenze scientifiche e digitali può esporre i giovani a contenuti fuorvianti, con possibili ripercussioni sulla loro salute e sul corretto utilizzo dei servizi sanitari.  

«La difesa del diritto costituzionale alla tutela della salute – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – deve coinvolgere anche le nuove generazioni, già a partire dall’età scolastica. Con il progetto La Salute tiene banco, offriamo agli studenti strumenti concreti per diventare cittadini consapevoli, in grado di tutelare la propria salute e riconoscere il valore del SSN».

«Avviato nel gennaio 2023 – spiega Elena Cottafava, Segretaria Generale della Fondazione GIMBE e responsabile del progetto – La Salute tiene banco punta a diffondere tra i ragazzi una visione globale della salute, promuovere l’alfabetizzazione sanitaria, contrastare la disinformazione e favorire un utilizzo consapevole e responsabile del SSN».

Ad oggi, il progetto ha coinvolto oltre 5.500 studentesse e studenti degli istituti superiori di tutta Italia. Durante gli incontri, i partecipanti hanno risposto a quiz interattivi su temi cruciali come il funzionamento del SSN, la prevenzione e l’uso degli strumenti digitali. «L’obiettivo – spiega il Presidente – è raccogliere dati oggettivi sul livello di conoscenza dei giovani in merito alla sanità pubblica, così da orientare in modo mirato ed efficace le strategie di informazione e formazione».

Metodi. Nel periodo ottobre 2024-marzo 2025 la Fondazione GIMBE ha realizzato 33 incontri in 30 istituti scolastici di varie città italiane: Alanno (PE), Bari, Bologna e provincia, Cesena, Chiavari (GE), Cuneo, Ferrara, Foggia, Modena, Parma e provincia, Piacenza, Ravenna e Roma. Durante gli incontri, che hanno coinvolto 4.200 studenti degli ultimi anni delle scuole superiori, tramite la piattaforma Mentimeter è stata condotta una survey di 7 domande.

Risultati. Si riportano di seguito i risultati principali, rimandando all’appendice per i dettagli sulla survey.

  • Conoscete il vostro Medico di Medicina Generale (MMG)? L’83,3 % degli studenti dichiara di averlo già incontrato, mentre il 16,7 % non sa ancora chi sia il proprio medico di famiglia. «Il passaggio dal pediatra al MMG – sottolinea Nino Cartabellotta – avviene al compimento del 14° anno come un semplice atto amministrativo, senza alcun accompagnamento clinico o relazionale. E così, una quota non trascurabile di adolescenti resta priva di un riferimento sanitario proprio nel momento in cui iniziano a cambiare bisogni e ad emergere fragilità. Per garantire una vera continuità assistenziale, questo “passaggio di consegne” deve trasformarsi  da procedura burocratica in un percorso guidato».
  • Sai a cosa serve il ticket? Il 53,6% degli studenti dichiara di non sapere a cosa serva il ticket sanitario, ovvero la quota che i cittadini versano per contribuire alle spese del SSN. Una lacuna significativa, sulla quota a carico dei cittadini per visite, esami e farmaci di fascia A, indispensabile a co-finanziare il SSN. «Che oltre la metà degli studenti non conosca la funzione del ticket – commenta Cartabellotta – è un segnale da non sottovalutare. Denota non solo un deficit informativo, ma anche un distacco culturale dai meccanismi che regolano il funzionamento del SSN. La consapevolezza dei costi condivisi della sanità pubblica è essenziale per formare cittadini responsabili e coinvolti nelle scelte di salute».
  • Hai mai usato il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE)? L’82,3% degli studenti dichiara di non aver mai utilizzato il FSE né per sé né per un familiare. Un dato in parte spiegabile con l’età – molti sono minorenni o appena maggiorenni – ma che rivela comunque una più ampia carenza di informazione, anche tra chi ha pieno accesso allo strumento. «Che oltre 8 studenti su 10 non abbiano mai utilizzato il FSE – commenta Nino Cartabellotta – fa suonare un doppio allarme: da un lato, la scarsa conoscenza di uno strumento digitale strategico; dall’altro, l’assenza di percorsi educativi sulla gestione consapevole della salute. Senza alfabetizzazione sanitaria e digitale già a scuola, i giovani non riusciranno ad essere protagonisti attivi nel rapporto con il Servizio Sanitario Nazionale e la digitalizzazione della sanità rischia di restare una riforma incompiuta e distante dalla quotidianità delle persone».
  • Quali sono i 3 programmi di screening oncologici offerti gratuitamente dal SSN? Solo poco più della metà degli studenti ha risposto correttamente, identificando i tre screening oncologici inclusi nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA): mammella, cervice uterina e colon-retto. Il resto del campione ha fornito risposte errate o ha ammesso di non conoscere la risposta. «Anche se il campione è composto da ragazzi ancora lontani dall’età per accedere agli screening – commenta Cartabellotta – queste lacune confermano l’urgenza di rafforzare l’alfabetizzazione sanitaria già a scuola. Conoscere l’esistenza e il funzionamento degli screening oncologici significa promuovere la cultura della prevenzione e, in prospettiva, migliorare l’adesione futura ai tre programmi efficaci e gratuiti che il SSN offre per ridurre la mortalità specifica per tumore».
  • È sempre vantaggioso fare controlli periodici per tutti i tumori? Il 71,9% degli studenti risponde erroneamente che è sempre utile sottoporsi a esami di laboratorio o strumentali per diagnosticare precocemente qualsiasi tipo di tumore.  «Purtroppo – commenta Cartabellotta – questa convinzione nasce da messaggi che confondono la prevenzione con il ricorso indiscriminato ai test diagnostici: una forma di consumismo sanitario che alimenta esami inutili, determina spreco di risorse ed espone ai rischi della sovra-diagnosi e di trattamenti non necessari».
  • Hai ricevuto antibiotici per un'infezione delle alte vie respiratorie (es. raffreddore)? Uno studente su 5 “spesso”, uno su 2 “qualche volta” e il 18,9% “mai”; il 12,3% dichiara di non aver mai avuto una infezione delle alte vie respiratorie. «Seppur con i limiti insiti nella domanda che non definisce un arco temporale – commenta Cartabellotta – nel campione esaminato emerge un potenziale utilizzo inappropriato degli antibiotici nelle infezioni delle alte vie respiratorie, visto che oltre due terzi dichiarano di avere ricevuto una prescrizione almeno una volta».
  • L'equità di accesso ai LEA è garantita allo stesso modo in tutte le Regioni? Due studenti su tre (66,2 %) ritengono di no, dichiarandosi in totale o parziale disaccordo; il 21,1 % resta neutrale e il 12,7 % ritiene che il SSN sia uniforme su tutto il territorio nazionale. «La parte “mezza vuota del bicchiere” – osserva Cartabellotta – è rappresentata da quel terzo di ragazzi che non percepisce (o non prende posizione) su divari regionali così marcati: segno che c’è ancora molta strada da fare per rendere tutti pienamente consapevoli dei diritti che dovrebbero essere garantiti ovunque».
  • Usi ChatGPT o applicazioni simili? Il 37,2% degli studenti usa quotidianamente tali strumenti e il 36,5% sporadicamente. Segno che l’intelligenza artificiale sta diventando parte integrante della quotidianità delle nuove generazioni. Tuttavia, questa diffusione non è accompagnata da un’adeguata alfabetizzazione all’uso critico e consapevole, soprattutto in ambito scientifico o sanitario. «Che oltre 8 studenti su 10 utilizzino strumenti di intelligenza artificiale – osserva Nino Cartabellotta – rende prioritario integrare nei percorsi scolastici l’educazione all’uso responsabile di queste tecnologie. In sanità, in particolare, è fondamentale saper distinguere fonti affidabili da contenuti fuorvianti: senza adeguate competenze scientifiche e digitali, l’IA rischia di diventare veicolo di disinformazione, piuttosto che uno strumento per approfondire le conoscenze».

«I risultati della survey – chiosa Cartabellotta – restituiscono un quadro di luci e ombre. I giovani sono in larga parte consapevoli delle diseguaglianze regionali in sanità. Mancano però conoscenze specifiche sugli screening oncologici offerti dal SSN e 7 studenti su 10 sono convinti che eseguire test diagnostici in maniera indiscriminata equivalga sempre a “più salute”. Altri dati evidenziano criticità importanti: la scarsa conoscenza circa il corretto uso degli antibiotici per infezioni respiratorie e le lacune del passaggio di consegne tra pediatra medico di famiglia. In sintesi la survey conferma la necessità di trasferire già in età scolastica una solida cultura della prevenzione, della promozione della salute e dell’uso consapevole del SSN».

«Per colmare questi gap di conoscenze – conclude Cottafava – vogliamo espandere il progetto “La Salute tiene banco” anche alle aree più remote del Paese, per offrire a tutti l’opportunità di conoscere i propri diritti e doveri e come prendersi cura della propria salute. Per questo abbiamo lanciato una campagna di crowdfunding, attiva fino al 13 giugno. Abbiamo bisogno del supporto di tutti: insieme possiamo crescere una nuova generazione di cittadini consapevoli, capaci di proteggere il bene più prezioso che hanno: la salute».

La campagna di crowdfunding a sostegno de “La Salute tiene banco” è attiva fino al 13 giugno sulla piattaforma GINGER: https://www.ideaginger.it/progetti/la-salute-tiene-banco-si-riparte.html Attenzione: la nostra è una campagna “O tutto o niente!”, se non raggiungeremo l’obiettivo tutte le donazioni verranno restituite e il progetto non potrà essere realizzato.

 


Download comunicato

 

20 maggio 2025
Screening oncologici organizzati: nel 2023 non individuati oltre 50 mila tumori e lesioni pre-cancerose per scarsa adesione dei cittadini. 1 persona su 2 non fa gli screening per mammella e cervice, 2 su 3 quello per colon-retto. Disuguaglianze regionali inaccettabili, Mezzogiorno in grave ritardo

Nel 2023, milioni di cittadini non hanno ricevuto o, molto più spesso, hanno ignorato l’invito a sottoporsi a uno screening oncologico gratuito, soprattutto nelle Regioni del Mezzogiorno. «Adesioni ancora troppo basse e profonde diseguaglianze territoriali – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – mettono a rischio lo strumento più efficace per la diagnosi precoce dei tumori. Il risultato? Oltre 50 mila diagnosi mancate, tra tumori e lesioni pre-cancerose».

Gli screening oncologici inclusi nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), che tutte le Regioni sono tenute a offrire gratuitamente, prevedono: la mammografia per le donne tra i 50 ed i 69 anni, lo screening del tumore della cervice uterina per le donne tra i 25 ed i 64 anni e quello colon-rettale per donne e uomini tra i 50 ed i 69 anni. In alcune Regioni non sottoposte a Piano di rientro, grazie a fondi extra-LEA, le fasce di età sono state ampliate: lo screening mammografico viene esteso anche alle donne tra i 45 e i 49 anni e tra i 70 e i 74 anni e quello colon-rettale alla fascia di età 70-74. «Complessivamente – afferma Cartabellotta – nel 2023 quasi 16 milioni di persone (15.946.091) sono state invitate ad eseguire un test di screening, ma solo 6,9 milioni (6.915.968) hanno aderito, con marcate differenze di adesione sia fra i tre programmi sia, soprattutto, tra Regioni e macro-aree del Paese».

Grazie ai dati del Report 2023 dell’Osservatorio Nazionale Screening (ONS) – network che monitora gli screening oncologici offerti dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN) – la Fondazione GIMBE ha analizzato punti di forza e criticità dei tre programmi di screening «con il duplice obiettivo – spiega il Presidente – di sensibilizzare i cittadini sull’importanza di aderire agli screening organizzati e sollecitare Regioni e Aziende Sanitarie Locali a concentrare sforzi organizzativi e comunicazione pubblica su questo pilastro fondamentale della prevenzione oncologica».

Il report dell’ONS riporta numerosi indicatori utili a valutare la qualità del processo di erogazione degli screening, che presenta un’elevata variabilità tra Regioni in termini di modalità di invito, strategie di recupero e, soprattutto, coperture della popolazione target. Per comprendere le dinamiche dei programmi di screening organizzato, tre sono gli indicatori fondamentali da tenere in considerazione:

  • Popolazione target da invitare. Per ciascuno dei tre screening la popolazione residente ISTAT al 1° gennaio 2023 delle fasce di età di riferimento viene divisa per la periodicità del test: 2 anni per lo screening mammografico e colon-rettale e 3 anni per quello cervicale.
  • Estensione dello screening. Misura il numero di inviti effettivamente spediti, al netto di quelli non recapitati, rapportati alla popolazione target. Non vengono conteggiati gli esclusi prima dell’invio per ragioni cliniche: persone che si sono già sottoposte al test di screening o a quello di secondo livello, pazienti con diagnosi oncologica. L’estensione può superare il 100% quando le Regioni effettuano inviti aggiuntivi per recuperare screening non effettuati in passato a causa dalla pandemia, del mancato recapito dell’invito o della mancata adesione.
  • Adesione allo screening. È la percentuale di persone che si sottopongono al test di screening in rapporto alla popolazione target, al netto degli esclusi prima dell’invio per ragioni cliniche. Questo indicatore è incluso tra quelli del Nuovo Sistema di Garanzia, strumento con cui il Ministero della Salute monitora l’erogazione dei LEA erogati dalle Regioni.

«In altri termini – spiega il Presidente – tra esclusioni cliniche, inviti non recapitati e recuperi di screening non effettuati negli anni precedenti, il numero effettivo di persone invitate può variare sensibilmente rispetto alla popolazione target teorica».

SCREENING MAMMOGRAFICO. Viene offerto a tutte le donne di età compresa tra i 50 ed i 69 anni. In caso di esito positivo, viene avviato un percorso di approfondimento diagnostico con altri test di imaging (ecografia, TAC, risonanza magnetica), esame citologico o biopsia.

Estensione dello screening. Nel 2023 in Italia è stato invitato il 93,6% (n. 4.017.757) della popolazione target, con marcate differenze regionali: si va dal 119,5% del Molise al 49,4% della Calabria (Figura 1). «Tutte le Regioni del Mezzogiorno ad eccezione del Molise – commenta Cartabellotta – si collocano sotto la soglia del 100%, a dimostrazione che in queste Regioni la bassa adesione agli screening è spesso legata a carenze organizzative nella gestione degli inviti».

Adesione allo screening. La media nazionale di adesione allo screening mammografico è del 49,3%, ma anche in questo caso le differenze tra Regioni sono marcate: si passa dall’82,5% della Provincia autonoma di Trento all’8,1% della Calabria (Figura 2). Tutte le Regioni del Sud hanno livelli di adesione inferiori alla media nazionale.

SCREENING CERVICALE. Lo screening per il tumore del collo dell’utero è offerto a tutte le donne di età compresa tra i 25 ed i 64 anni: in particolare, tra i 25-30/35 anni viene offerto il Pap-test ogni 3 anni, mentre per le età successive il test per il virus del papilloma umano (HPV test) ogni 5 anni. Alcune Regioni hanno adottato protocolli personalizzati sulla base dello status vaccinale per l’HPV. In caso di esito positivo, viene proposta come test di secondo livello la colposcopia, eseguita nel 2023 dal 90% delle donne risultate positive allo screening.

Estensione dello screening. Nel 2023 sono state invitate 3.982.378 donne, di cui il 71,3% (n. 2.838.955) con test HPV e il 28,7% (n. 1.143.423) con Pap-test. Complessivamente, è stato invitato il 111% della popolazione target, con forti differenze tra Regioni: dal 162,9% della Puglia al 61,5% della Calabria (Figura 3). «Le percentuali superiori al 100% – spiega Cartabellotta – registrate in ben 12 Regioni, lasciano presumere un numero molto elevato di recuperi degli inviti non effettuati negli anni segnati dalla pandemia».

Adesione allo screening. La media nazionale di adesione allo screening cervicale è del 46,9%, con forti disparità tra le Regioni: dal 78% della Provincia autonoma di Trento al 17% della Calabria (Figura 4).

SCREENING COLON-RETTALE. Lo screening per il tumore del colon-retto viene offerto a tutte le persone di età compresa tra i 50 ed i 69 anni e consiste nella ricerca del sangue occulto nelle feci. In caso di esito positivo, come test di secondo livello viene proposta la colonscopia, eseguita nel 2023 da quasi l’83% delle persone positive allo screening.

Estensione dello screening. Nel 2023 è stato invitato il 94,3% (n. 7.945.956) della popolazione target, con marcate differenze regionali: dal 118,6% dell’Emilia-Romagna al 55,9% della Sardegna (Figura 5).

Adesione allo screening. La media nazionale è del 32,5%, con un’adesione che varia sensibilmente tra le Regioni: dal 62% del Veneto al 4,4% della Calabria (Figura 6). Tutte le Regioni del Mezzogiorno, ad eccezione della Basilicata, si collocano al di sotto della media nazionale.

«Il tasso di adesione agli screening – spiega Cartabellotta – è un indicatore che sintetizza le performance complessive dei servizi sanitari regionali sugli screening organizzati. Riflette la capacità di mantenere aggiornati i dati anagrafici della popolazione target, programmare e spedire gli inviti, promuovere campagne di sensibilizzazione pubblica e garantire l’erogazione dei test di screening». In generale, il posizionamento di ciascuna Regione rispetto all’adesione risulta abbastanza omogenea o coerente fra i tre screening, riflettendo la maggiore o minore capacità organizzativa dei sistemi sanitari regionali, pur con alcune eccezioni (Tabella 1).

«Se da un lato i dati ONS 2023 – aggiunge il Presidente – mostrano il trend in crescita sia degli inviti che della copertura della popolazione, siamo ancora molto lontani dall’obiettivo fissato nel 2022 dal Consiglio Europeo: garantire entro il 2025 una copertura degli screening oncologici ad almeno il 90% della popolazione target».

 

L’IMPATTO DELLA MANCATA ADESIONE AGLI SCREENING

Tenendo conto della popolazione target non invitata o che non aderisce agli screening e del tasso di identificazione dei tumori (detection rate), è possibile stimare il numero di tumori e lesioni pre-cancerose potenzialmente identificabili dagli screening oncologici organizzati, fissando il target di copertura al 90%.

«Nel 2023 – spiega il Presidente – la mancata adesione ai programmi di screening organizzati non avrebbe consentito di identificare circa 10.900 carcinomi della mammella, di cui quasi 2.400 invasivi di piccole dimensioni; di quasi 10.300 lesioni pre-cancerose del collo dell’utero; e per il colon-retto di oltre 5.200 tumori e quasi 24.700 adenomi avanzati. Complessivamente si tratta di oltre 50 mila lesioni la cui identificazione avrebbe consentito di avviare il percorso per una diagnosi precoce e, ove necessario, per una terapia efficace». In dettaglio:

Tumori della mammella. Tenendo conto di un tasso di identificazione dello 0,5% per tutti i carcinomi e dello 0,14% per quelli invasivi di dimensioni ≤10 mm e di una popolazione stimata di 2.118.870 donne che non si è sottoposta allo screening, si stima che nel 2023 non siano stati identificati 10.884 tumori, di cui 2.381 carcinomi invasivi di dimensioni ≤10 mm.                           

Tumori della cervice uterina. Sulla base di un tasso di identificazione di lesioni pre-cancerose (istologia CIN2+) pari allo 0,76% per l’HPV test e allo 0,64% per il Pap-test, e considerando che potenzialmente 1.156.447 donne non hanno ricevuto o aderito all’invito per l’HPV test e 604.304 a quello per il Pap-test, si stima che nel 2023 complessivamente siano sfuggite alla diagnosi 10.273 lesioni con istologia CIN2+.  

Tumori del colon-retto. Con un tasso di identificazione dello 0,11% per il carcinoma del colon-retto e dello 0,52% per gli adenomi avanzati, e potenzialmente 5.574.231 persone non hanno aderito allo screening, si stima che nel 2023 non siano stati identificati 5.223 carcinomi e 24.692 adenomi avanzati.                        

«È vero – spiega Cartabellotta – che molte persone dichiarano di sottoporsi a controlli periodici per “iniziativa spontanea”, come rileva l’indagine campionaria del sistema di sorveglianza PASSI dell’Istituto Superiore di Sanità. Tuttavia, per questi esami non esistono dati oggettivi (es. tasso di identificazione dei tumori o percentuale di positivi che si sottopongono al test di secondo livello), né controlli standardizzati sulla qualità dei test. E non vi è alcuna certezza che, in caso di esito positivo, venga attivato un adeguato percorso diagnostico e terapeutico. A questo si aggiungono tutti i limiti che presenta un’indagine campionaria che, pur fornendo numerose informazioni rilevanti su fattori di rischio e determinanti socio-economiche, non certifica la copertura degli screening oncologici per “iniziativa spontanea”».

«Prevenzione e promozione della salute – conclude Cartabellotta – rappresentano i pilastri per ridurre l’incidenza delle malattie e contribuire alla sostenibilità del SSN. Ma oggi il paradosso è evidente: da un lato i cittadini sono in lista di attesa per esami diagnostici non sempre appropriati, dall’altro sono in milioni a non aderire ai programmi di screening organizzati. È evidente che sul fronte degli inviti molte Regioni, in particolare del Sud, devono migliorare le proprie capacità organizzative. Ma, la principale criticità rimane la scarsa adesione agli screening: servono maggiori informazioni, strategie di comunicazione efficaci e coinvolgimento attivo dei cittadini. Perché aderire agli screening organizzati significa diagnosi precoce, trattamento tempestivo delle lesioni pre-cancerose, un numero maggiore di guarigioni definitive, meno sofferenze per i pazienti, costi minori per il SSN e, soprattutto, meno decessi per tumore».


Download comunicato

Torna alla prima pagina
1
2
3
Vai all'ultima pagina



Pagina aggiornata il 22/06/2022