Comunicati stampa
3 settembre 2025
Cure essenziali 2023, le pagelle del Ministero della Salute: solo 13 Regioni raggiungono gli standard, Veneto in testa. Al Sud promosse solo Puglia, Campania e Sardegna. 8 Regioni peggiorano rispetto al 2022
Nel 2023 solo 13 Regioni rispettano gli standard essenziali di cura. Puglia, Campania e Sardegna le uniche promosse al Sud. Peggiorano le performance in 8 Regioni rispetto al 2022.
Sono i dati del Ministero della Salute che valuta annualmente l’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), ovvero le prestazioni sanitarie che tutte le Regioni e Province Autonome devono garantire gratuitamente o previo il pagamento del ticket. «Si tratta a tutti gli effetti della “pagella” ufficiale per valutare i servizi sanitari regionali – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – che “promuove” le Regioni adempienti e identifica le criticità in quelle inadempienti».
Dal 2020 lo strumento utilizzato è il sottoinsieme di indicatori CORE del Nuovo Sistema di Garanzia (NSG), che include 88 indicatori suddivisi in tre macro aree: prevenzione collettiva e sanità pubblica, assistenza distrettuale e assistenza ospedaliera. Tuttavia, la “pagella” ufficiale ne utilizza solo 26, numero aumentato nel 2023 con il primo aggiornamento del sistema. Ogni Regione, per ciascuna delle tre aree, può ottenere da 0 a 100 punti e per essere considerata adempiente deve raggiungere la “sufficienza” di almeno 60 punti in tutte le aree.
Dopo la pubblicazione, il 6 agosto, della Relazione 2023 del “Monitoraggio dei LEA attraverso il Nuovo Sistema di Garanzia” da parte del Ministero della Salute, la Fondazione GIMBE spiega il Presidente, «ha condotto un’analisi indipendente per misurare le differenze regionali nel garantire i diritti fondamentali di salute, con particolare attenzione all’entità della frattura Nord-Sud. Per ciascuna Regione sono state inoltre valutate le variazioni tra il 2022 e il 2023 e il posizionamento nelle tre aree della prevenzione, distrettuale e ospedaliera».
Adempimenti LEA 2023. Nel 2023 solo 13 Regioni risultano adempienti ai LEA, un numero identico a quello del 2022: Campania, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Marche, Provincia Autonoma di Trento, Piemonte, Puglia, Sardegna, Toscana, Umbria e Veneto. In particolare, dal 2022 al 2023 Campania e Sardegna salgono tra le Regioni adempienti, mentre Basilicata e Liguria retrocedono a inadempienti per il mancato raggiungimento della soglia minima in un’area. Rimangono inadempienti per insufficienza in una sola area Calabria, Molise e Provincia Autonoma di Bolzano, mentre Abruzzo, Sicilia e Valle d’Aosta non raggiungono la soglia in due aree (tabella 1). «Nel 2023 – commenta il Presidente – il divario Nord-Sud rimane molto netto: su 13 Regioni “promosse”, solo tre appartengono al Mezzogiorno. La Puglia ha registrato punteggi simili a quelli di alcune Regioni del Nord, mentre Campania e Sardegna si collocano poco al di sopra della sufficienza».
Classifica GIMBE. Considerato che il Ministero della Salute non restituisce un punteggio unico per la valutazione complessiva degli adempimenti LEA, la Fondazione GIMBE ha elaborato una classifica di Regioni e Province Autonome sommando i punteggi ottenuti nelle tre aree. I risultati sono riportati in ordine decrescente di punteggio totale e suddivisi in quartili (tabella 2 e figura 1). «Rispetto alla semplice distinzione tra Regioni adempienti e inadempienti – commenta Cartabellotta – il punteggio totale evidenzia in maniera più netta il divario Nord-Sud: infatti, tra le prime 10 Regioni 6 sono del Nord, 3 del Centro e solo 1 del Sud. Nelle ultime 7 posizioni, fatta eccezione per la Valle d’Aosta, si trovano esclusivamente Regioni del Mezzogiorno».
Classifica per macro-area. Al di là dei criteri che stabiliscono se una Regione sia adempiente o meno, i punteggi ottenuti nelle singole aree restituiscono classifiche differenti, utili a individuare punti di forza e criticità nell’erogazione dei LEA (tabella 3). Alcune Regioni (Campania, Emilia-Romagna, Toscana, Piemonte, Veneto, Umbria), indipendentemente dal livello delle loro performance, si collocano in posizioni simili nelle tre aree, documentando uniformità nell’erogazione dell’assistenza. Altre Regioni, invece, mostrano forti squilibri nel posizionamento tra le tre aree: in particolare Calabria, Valle D’Aosta, Liguria, Provincia Autonoma di Bolzano. «Queste differenze – spiega il Presidente – indicano che, anche dove si raggiunge la soglia di sufficienza, persistono marcati squilibri nella qualità dell’assistenza. Ma una sanità che funziona bene solo in ospedale o solo sul territorio non può considerarsi realmente efficace, né tantomeno in grado di rispondere ai bisogni delle persone».
Variazioni 2022-2023. Le differenze tra gli adempimenti LEA 2022 e 2023 sono state analizzate valutando i punteggi totali delle Regioni e le performance nazionali nei tre macro-livelli assistenziali. Nel 2023, 8 Regioni hanno registrato un peggioramento rispetto all’anno precedente, seppure con gap di entità molto variabile: a perdere almeno 10 punti sono Lazio (-10), Sicilia (-11), Lombardia (-14) e Basilicata (-19). «La riduzione delle performance anche in Regioni storicamente solide – commenta Cartabellotta – dimostra che la tenuta del SSN non è più garantita nemmeno nei territori con maggiore disponibilità di risorse o reputazione sanitaria. È un campanello d’allarme che non può essere ignorato». Sul fronte opposto, due Regioni del Mezzogiorno mostrano un netto miglioramento: Calabria (+41) e Sardegna (+26) (tabella 4).
«Il monitoraggio LEA 2023 – conclude Cartabellotta – certifica ancora una volta che la tutela della salute dipende in larga misura dalla Regione di residenza e che la frattura tra il Nord e il Sud del Paese non accenna a ridursi. Anzi, è più ampia di quanto i numeri lascino intendere: infatti, il set di indicatori NSG CORE, pur rappresentando la “pagella” ufficiale con cui lo Stato misura l’erogazione dei LEA, non riflette in maniera accurata la qualità dell’assistenza. Si tratta più di uno strumento di political agreement tra Governo e Regioni, basato su pochi indicatori e soglie di “promozione” troppo basse, che tendono ad appiattire le differenze tra Regioni. Per questo la Fondazione GIMBE chiede un ampliamento del numero di indicatori e una rotazione periodica di quelli utilizzati nella “pagella” ministeriale. E invoca una radicale revisione di Piani di rientro e commissariamenti: strumenti che hanno indubbiamente contribuito a riequilibrare i bilanci regionali, ma che hanno inciso poco sulla qualità dell’assistenza e sulla riduzione dei divari tra Nord e Sud del Paese».
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29 2025
PNRR Missione Salute: al 2° trimestre 2025 rispettate tutte le scadenze formali. Ma a un anno dal traguardo finale, almeno 5 target su 14 sono in ritardo e l’82% delle risorse non risulta ancora speso. Il Paese incassa le rate, ma per garantire benefici ai cittadini serve una corsa contro il tempo
«Al 30 giugno 2025 – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – per la Missione Salute del PNRR sono state raggiunte le quattro scadenze previste entro la fine del 2° trimestre di cui due europee. Tuttavia, a un anno dalla rendicontazione finale, al di là del rispetto formale delle scadenze e dell’incasso delle rate, la spesa effettiva delle risorse e l’avanzamento reale degli obiettivi procedono con estrema lentezza e con inaccettabili diseguaglianze tra le Regioni. In particolare, delle 14 misure da completare entro giugno 2026, almeno 5 presentano criticità di attuazione, mentre per 5 le informazioni pubblicamente disponibili non sono sufficienti per valutarne lo stato di avanzamento. 4 misure risultano quasi completate o già raggiunte».
Secondo i dati pubblicati sul portale del Ministero della Salute, che monitora l’attuazione della Missione Salute del PNRR, al 30 giugno 2025 sono state raggiunte le due scadenze europee sul finanziamento di progetti di ricerca e tutte le precedenti. «Tuttavia – spiega il Presidente – il rispetto delle scadenze formali, necessario per il via libera all’erogazione delle rate, non rappresenta in questa fase finale un indicatore affidabile sul reale stato di avanzamento dei progetti».
Per tale ragione, a un anno dalla scadenza, il monitoraggio indipendente dell’Osservatorio GIMBE sull’attuazione della Missione Salute del PNRR si è focalizzato sul reale status di avanzamento dei 14 obiettivi europei ancora da raggiungere: 3 entro dicembre 2025 e 11 entro giugno 2026. «Riteniamo fondamentale – commenta Cartabellotta – offrire ai cittadini un quadro chiaro basato su dati oggettivi, al riparo strumentalizzazioni politiche. Al tempo stesso, esortiamo Governo, Regioni e ASL a condividere le responsabilità, facendo convergere gli sforzi su una volata finale che sarà una corsa contro il tempo».
ROADMAP AL 30 GIUGNO 2026
Risorse da spendere. Secondo la Relazione sullo Stato di Attuazione del PNRR della Corte dei Conti, pubblicata lo scorso 15 maggio, al 31 dicembre 2024 risultavano ancora da spendere € 12,81 miliardi, pari all’82% delle risorse assegnate. Una percentuale che colloca la Missione Salute al penultimo posto per spesa sostenuta (18%), davanti solo alla Missione 5 (Inclusione e Coesione) ferma al 15,9%. «Questi numeri – commenta Cartabellotta – documentano che serve un impulso decisivo per completare i progetti e trasformare in servizi le risorse da spendere, senza alcun margine per ritardi o inerzie». Infatti, secondo la Corte dei Conti, per completare l’attuazione finanziaria delle Missioni 5 e 6, in assenza di slittamenti, sarà necessario tra gennaio 2025 e giugno 2026 un ritmo di spesa oltre sette volte superiore rispetto a quello dell’intero triennio 2022-2024.
Target da raggiungere entro il 30 giugno 2026. Il sito del Ministero della Salute, in occasione del pagamento della VII e VIII rata, riporta che per completare la Missione Salute devono essere raggiunti 13 target e 1 milestone: 3 target entro il 31 dicembre 2025 ai fini dell’erogazione della IX rata; 10 target e 1 milestone entro il 30 giugno 2026 per incassare la X rata. «Il vero nodo – spiega Cartabellotta – è che il 30 giugno 2026 non segna solo il completamento formale dei target, ma coincide con la consegna reale di tutte le strutture e i servizi finanziati dal PNRR, che dovrebbero tradursi in un concreto miglioramento dell’assistenza sanitaria».
La Fondazione GIMBE, nell’impossibilità di un pubblico accesso al sistema ReGis, ha analizzato lo status di avanzamento degli obiettivi da raggiungere entro giugno 2026 utilizzando tutte le fonti istituzionali disponibili al 28 luglio 2025: Corte dei Conti, Ufficio Parlamentare di Bilancio, Ministero della Salute, Dipartimento per la Trasformazione Digitale, Agenas (Tabella 1). «È verosimile – commenta Cartabellotta – che alcuni progetti siano più avanti di quanto riportato. Ma allo stesso tempo è poco realistico immaginare che, anche per i dati aggiornati a dicembre 2024, in soli sei mesi siano stati compiuti exploit tali da recuperare i ritardi accumulati, soprattutto nelle Regioni più indietro».
TARGET IN NETTO RITARDO (N. 3). Oltre al potenziamento dei posti letto in terapia intensiva e semi-intensiva, è la riorganizzazione dell’assistenza territoriale l’obiettivo più critico. Infatti, i dati del Monitoraggio Agenas, aggiornati al 20 dicembre 2024, documentano ritardi sostanziali nella piena attivazione di Case e Ospedali di Comunità.
Case della Comunità. Il target prevede che entro il 30 giugno 2026 siano pienamente operative almeno 1.038 Case della Comunità, dotate di servizi e personale sanitario. Tuttavia, a dicembre 2024, solo 164 strutture (15,8%) avevano attivato tutti i servizi previsti e, tra queste, appena 46 (4,4%) disponevano di personale medico e infermieristico. In 485 strutture (46,7%) risultava attivo un solo servizio, mentre le rimanenti 389 Case di Comunità (37,5%) non risultavano aver attivato alcun servizio. «Al di là dei ritardi nel completamento strutturale e tecnologico – avverte Cartabellotta – preoccupano la grave carenza di infermieri e il mancato accordo con i medici di famiglia per lavorare nelle Case di Comunità. Così la grande sfida della riforma territoriale rischia di essere rimanere una colossale opera di edilizia sanitaria o di essere affidata ai privati».
Ospedali di Comunità. Entro giugno 2026 dovrebbero essere pienamente funzionanti almeno 307 Ospedali di Comunità, le strutture intermedie per accogliere i pazienti dimessi dagli ospedali per acuti. Ma al 20 dicembre 2024, solo 124 strutture (40,4%) dichiaravano almeno un servizio attivo e non è riportata alcuna informazione sul personale sanitario. «È evidente – commenta il Presidente – che l’attivazione degli Ospedali di Comunità è ancora più in ritardo e l’obiettivo di rafforzare le cure intermedie rischia di naufragare».
Posti letto in terapia intensiva e semi-intensiva. Il PNRR prevede l’attivazione, entro giugno 2026, di 2.692 posti letto di terapia intensiva e 3.230 di semi-intensiva. Tuttavia, al 21 marzo 2025, risultano attivati solo 890 letti di terapia intensiva (33,1%) e 1.199 di semi-intensiva (37,1%). «È surreale – chiosa il Presidente – che, nonostante la drastica revisione al ribasso degli obiettivi iniziali, a cinque anni dalla pandemia l’Italia non sia ancora riuscita a completare un’infrastruttura essenziale per fronteggiare future emergenze sanitarie».
TARGET CON RITARDI SIGNIFICATIVI (N. 2). Nonostante gli avanzamenti, altri 2 target mostrano ritardi sulla tabella di marcia.
Interventi di antisismica. Per mettere in sicurezza almeno 84 ospedali, il PNRR ha finanziato interventi antisismici in tutto il Paese. A febbraio 2025 risultavano attivi o conclusi 86 cantieri, ma la spesa effettivamente sostenuta era ferma all’11% del totale, con una media ancora più bassa nel Mezzogiorno (6%).
Adozione del FSE in tutte le Regioni. Entro giugno 2026, tutte le Regioni dovrebbero adottare e utilizzare il FSE. Tuttavia, a marzo 2025 solo 6 documenti su 16 risultano disponibili in tutte le Regioni (lettera di dimissione ospedaliera, referti di laboratorio e di radiologia, prescrizione farmaceutica e specialistica e verbale di pronto soccorso). Inoltre, solo il 42% dei cittadini ha fornito il consenso alla consultazione dei propri dati. «Senza informare i cittadini sull’utilità del FSE – avverte Cartabellotta – e rassicurarli sulla sicurezza dei dati, nonostante il raggiungimento del target PNRR le potenzialità di questo strumento rischiano di essere vanificate dal mancato consenso dei cittadini».
TARGET IN VIA DI COMPLETAMENTO O GIÀ COMPLETATI (N. 4). Risultano in fase avanzata di attuazione o completati in anticipo quattro target.
Progetti di ristrutturazione e ammodernamento degli ospedali (ex art. 20): erogazione di almeno il 90% di € 250 milioni. Al 21 marzo 2025, risultano finanziati 127 progetti per un totale di € 458,1 milioni. «Il superamento della soglia teorica di finanziamento certificherebbe il raggiungimento del target – sottolinea Cartabellotta – ma è in corso una ricognizione perché non è chiaro quanti progetti rientrino nel perimetro del PNRR».
Assistenza domiciliare integrata (ADI) negli over 65. L’obiettivo prevede di aumentare i pazienti in ADI di almeno 842.000 unità rispetto al 2019. Il dato di fine 2024 certifica il superamento del target ben 18 mesi prima della scadenza, con 900.853 pazienti in più presi in carico.
Grandi apparecchiature sanitarie. Dei 3.223 macchinari previsti, al 31 gennaio 2025 ne risultavano ordinati 3.126 (97%), consegnati 2.578 (80%) e collaudati 2.482 (77%). Il target, riferito al collaudo delle apparecchiature, è quindi prossimo al completamento.
Contratti di formazione specialistica. A partire dall’anno accademico 2020-21 sono stati stanziati € 538 milioni per i 4.200 contratti di formazione medico-specialistica previsti dall’obiettivo. Il target risulta formalmente completato.
TARGET NON VALUTABILI PER DATI NON DISPONIBILI (N. 5). Per alcuni target non sono state identificate fonti pubblicamente disponibili aggiornate, rendendo impossibile valutarne lo stato di attuazione. «Riteniamo indispensabile – commenta Cartabellotta – che tutti i dati relativi all’avanzamento dei progetti del PNRR debbano essere resi pubblicamente disponibili. In un Paese democratico, la trasparenza non è un dettaglio tecnico, ma il primo strumento di rendicontazione pubblica e di fiducia tra istituzioni e cittadini».
Almeno 300.000 persone assistite con strumenti di telemedicina. La scadenza è fissata al 31 dicembre 2025, ma ad oggi non sono disponibili dati ufficiali sul numero di pazienti presi in carico con strumenti di telemedicina. Nel primo trimestre del 2025 è stata avviata la raccolta dei dati tramite la Piattaforma Nazionale di Telemedicina e sono state completate le gare per infrastrutture e postazioni.
Digitalizzazione di 280 strutture ospedaliere sede di DEA. Anche questo target ha come scadenza il 31 dicembre 2025. Non esistono dati pubblici sugli ospedali già digitalizzati, mentre al 25 febbraio 2025 risultano aggiudicati tutti gli appalti. Tuttavia, l’importo fatturato a livello nazionale si attesta appena al 21% del totale.
Alimentazione del Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) da parte dei Medici di Medicina Generale (MMG). Entro il 31 dicembre 2025, l’85% dei MMG dovrebbe alimentare regolarmente il FSE. Tuttavia, non esistono dati pubblici per valutare il rispetto di questo obiettivo. L’unica informazione disponibile è che il 95% di MMG e Pediatri di Libera Scelta (PLS) ha effettuato almeno un accesso al FSE nell’ultimo trimestre monitorato. «Senza dati puntuali sull’alimentazione del FSE – osserva Cartabellotta – è impossibile valutare il ruolo attivo dei medici di famiglia. In particolare, rispetto al Profilo Sanitario Sintetico (cd. Patient Summary), il documento dove il MMG riassume e mantiene aggiornata la storia clinica del paziente per favorire la continuità di cura».
Tessera sanitaria elettronica e interoperabilità del FSE. Entro giugno 2026 il sistema dovrà essere pienamente operativo. A inizio 2025 sono state attivate le infrastrutture tecniche per l’interoperabilità dei dati sanitari tra le Regioni e, a marzo, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto che istituisce il nuovo Ecosistema dei dati sanitari.
Formazione su competenze e abilità di management e digitali per 4.500 professionisti sanitari. Anche per questo obiettivo, da raggiungere entro giugno 2026, non sono disponibili dati pubblici sul numero di professionisti che hanno già completato la formazione.
«La volata finale della Missione Salute – commenta Cartabellotta – non può trasformarsi in un terreno di scontro politico perché le responsabilità ricadono su tutti: sul Governo Conte che, complice la ristrettezza dei tempi e la pandemia in corso, non ha previsto un monitoraggio più rigoroso e ravvicinato di vari target; sul Governo Meloni, che ha prima tentennato sull’utilità reale di alcune misure (es. Case di Comunità) e poi si è limitato a celebrare l’incasso delle rate, senza esercitare una pressione costante su Regioni e ASL, i “soggetti attuatori” chiamati a portare a termine i progetti. La responsabilità della volata finale è collettiva e impone una convergenza di sforzi, senza spazio per giocare a scaricabarile».
«A 11 mesi dalla rendicontazione finale della Missione Salute del PNRR – conclude Cartabellotta – 5 dei 14 target presentano ritardi di attuazione, di cui 2 particolarmente critici (Case e Ospedali di Comunità), mentre per 5 target è impossibile effettuare una valutazione indipendente per mancanza di dati pubblici. La Fondazione GIMBE invoca una stretta collaborazione tra Governo, Regioni e ASL al fine di completare con successo il percorso ed evitare tre rischi che il Paese non può permettersi. Il primo, assolutamente da scongiurare, è di non raggiungere i target europei e dover restituire il contributo a fondo perduto. Il secondo, difficile da neutralizzare, è di raggiungere il target nazionale senza ridurre le diseguaglianze regionali e territoriali, aumentando ulteriormente il divario Nord-Sud. Il terzo, il più paradossale, è di incassare le rate senza generare alcun beneficio per cittadini e pazienti, lasciando in eredità alle future generazioni strutture vuote, tecnologie digitali non integrate nel SSN e, last but not least, un pesante indebitamento. Sprecando un’occasione irripetibile per rafforzare la sanità pubblica».
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16 2025
Fascicolo Sanitario Elettronico: frattura digitale tra le Regioni. Solo 4 documenti su 16 resi disponibili ovunque. Solo il 42% dei cittadini ha fornito il consenso: dal 92% dell’Emilia-Romagna all’1% di Abruzzo, Calabria e Campania. Senza fiducia dei cittadini la trasformazione digitale della sanità non decolla
In occasione del 9° Forum Mediterraneo in Sanità, la Fondazione GIMBE ha presentato i dati aggiornati sulla diffusione e l’utilizzo del Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) nelle Regioni italiane. L’analisi indipendente restituisce un quadro chiaro: lo strumento chiave della trasformazione digitale procede a velocità diverse, generando nuove forme di disuguaglianza. Ad oggi, solo quattro tipologie di documenti sanitari risultano disponibili in tutte le Regioni e appena il 42% dei cittadini ha espresso il consenso alla consultazione dei propri dati, con divari abissali e percentuali irrisorie nel Mezzogiorno. Una frattura che, come ha sottolineato anche il Ministro Schillaci lo scorso 25 giugno alla Camera, “non è solo un problema tecnico, ma è una questione di equità nell'accesso alle cure”.
«Il Fascicolo Sanitario Elettronico – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – dovrebbe essere la chiave per migliorare accessibilità, continuità delle cure e integrazione dei servizi sanitari e socio-sanitari. Ma oggi, per milioni di cittadini, resta uno strumento ben lontano dalla piena operatività. Il divario digitale tra le Regioni, se non colmato rapidamente, rischia di trasformarsi in una nuova forma di esclusione sanitaria». Infatti, i dati resi pubblici sul portale Fascicolo Sanitario Elettronico 2.0 del Ministero della Salute e del Dipartimento per la Trasformazione Digitale - aggiornati al 31 marzo 2025 - confermano che la disponibilità e l’utilizzo di documenti e servizi nel FSE variano in maniera molto rilevante tra le Regioni.
COMPLETEZZA DEL FASCICOLO SANITARIO ELETTRONICO
Documenti. Il Decreto del Ministero della Salute del 7 settembre 2023 ha definito i contenuti del FSE 2.0, ma ad oggi soltanto 4 documenti su 16 monitorati sul portale pubblico – lettera di dimissione ospedaliera, referti di laboratorio e di radiologia e verbale di pronto soccorso – risultano effettivamente disponibili in tutte le Regioni (figura 1). «Un cittadino siciliano e uno veneto – commenta Cartabellotta – non hanno le stesse possibilità di accesso alla propria documentazione clinica. E questo non è accettabile in un Servizio Sanitario Nazionale che si definisce universale». La disomogeneità regionale è marcata. Alcuni documenti fondamentali – come il profilo sanitario sintetico, le prescrizioni specialistiche e farmaceutiche, il referto specialistico ambulatoriale – sono disponibili in oltre l’80% delle Regioni. Il certificato vaccinale e il documento di erogazione delle prestazioni specialistiche sono presenti in 15 Regioni e Province Autonome (71%), mentre il documento di erogazione dei farmaci e la scheda della singola vaccinazione compaiono nei FSE di 14 Regioni (67%). Il referto di anatomia patologica e il taccuino personale dell’assistito sono accessibili in 13 Regioni (62%). Soltanto 6 Regioni rendono disponibile la lettera di invito per screening, vaccinazioni e altri percorsi di prevenzione, mentre la cartella clinica è resa disponibile nel FSE solo dal Veneto (tabella 1). Complessivamente, a livello nazionale il FSE mette a disposizione degli utenti il 68% dei documenti monitorati sul portale del FSE 2.0 e previsti dal decreto. Nessuna Regione alimenta il FSE con tutte le tipologie documentali previste dal DM: si va dal 93% del Piemonte e del Veneto al 40% di Abruzzo e Calabria (figura 2).
Servizi. Attualmente, i FSE regionali offrono fino a 45 servizi digitali (tabella 2), che permettono ai cittadini di svolgere varie attività fondamentali: dal pagamento di ticket e prestazioni alla prenotazione di visite ed esami, dalla scelta del medico di medicina generale alla consultazione delle liste d’attesa. Anche su questo fronte, però, il divario tra Regioni è profondo. Solo la Toscana (56%) e il Lazio (51%) superano la soglia del 50% dei servizi attivati. All’estremo opposto, in Calabria la disponibilità si ferma al 7% (figura 3). «È utile precisare – spiega Cartabellotta – che molti dei servizi digitali sono accessibili tramite altri canali, come portali web o app offerti dalle Regioni. Tuttavia, se questi non vengono integrati anche nel FSE, da un lato si perde l’obiettivo di creare un’unica piattaforma digitale per il cittadino, dall’altro il monitoraggio nazionale restituisce una fotografia parziale e sottostimata dell’effettiva disponibilità dei servizi offerti»
UTILIZZO DEL FASCICOLO SANITARIO ELETTRONICO
Consenso alla consultazione. Al 31 marzo 2025 (per il Friuli Venezia Giulia i dati sono aggiornati al 31 dicembre 2024), a livello nazionale solo il 42% dei cittadini ha espresso il consenso alla consultazione dei propri dati sanitari da parte dei medici. Ma il divario tra le Regioni è enorme: si passa dall’1% in Abruzzo, Calabria e Campania al 92% in Emilia-Romagna. Tra le Regioni del Sud, solo la Puglia (73%) supera la media nazionale (figura 4). «Fornire il consenso è il primo passo per accedere ai benefici del FSE – sottolinea Cartabellotta – ma serve un grande sforzo informativo e culturale per rafforzare la fiducia dei cittadini, superando i timori legati alla protezione dei dati personali».
Utilizzo del FSE. Tra gennaio e marzo 2025, appena il 21% dei cittadini ha consultato almeno una volta il proprio FSE, considerando esclusivamente chi ha avuto almeno un documento caricato. Anche in questo caso le disparità regionali sono marcate: si va dall’1% delle Marche al 65% dell’Emilia-Romagna (figura 5). Nel Mezzogiorno, l’utilizzo resta sotto l’11%. «Non basta caricare i dati nel fascicolo – spiega Cartabellotta – bisogna anche mettere le persone nella condizione di usarli. E questo significa investire seriamente in alfabetizzazione digitale».
Utilizzo da parte di Medici di Medicina Generale e Pediatri di Libera Scelta. Tra gennaio e marzo 2025 (ottobre-dicembre 2024 per il Friuli Venezia Giulia), il 95% dei Medici di Medicina Generale e Pediatri di Libera Scelta ha effettuato almeno un accesso al FSE. Nove Regioni raggiungono il 100% di utilizzo: Basilicata, Emilia-Romagna, Marche, Molise, Provincia Autonoma di Trento, Piemonte, Puglia, Sardegna e Umbria. Anche nelle restanti Regioni il tasso di utilizzo si mantiene elevato: Liguria (99%), Lazio e Veneto (98%), Lombardia (96%). Si collocano leggermente sotto la media nazionale Abruzzo e Friuli Venezia Giulia (94%), Calabria (93%), Sicilia (91%), Campania e Provincia Autonoma di Bolzano (88%), Toscana (80%) e Valle d’Aosta (47%) (figura 6).
Utilizzo da parte di medici specialisti. Al 31 marzo 2025 (31 dicembre 2024 per il Friuli Venezia Giulia), il 72% dei medici specialisti delle Aziende sanitarie risulta abilitato alla consultazione del FSE. Anche in questo caso, le differenze tra Regioni restano marcate. Dodici Regioni e Province Autonome hanno raggiunto il 100% di abilitazioni: Lombardia, Marche, Molise, Province Autonome di Bolzano e Trento, Piemonte, Puglia, Sardegna, Toscana, Umbria, Valle d’Aosta e Veneto. Sotto la media nazionale si collocano Campania (61%), Lazio (60%), Abruzzo (37%), Sicilia (36%) e Calabria (26%). Fanalino di coda la Liguria, con appena il 16% di medici specialisti abilitati alla consultazione del FSE (figura 7).
«In alcune Regioni – conclude Cartabellotta – il FSE è uno strumento pienamente operativo, grazie alla quantità di documenti presenti, al consenso dei cittadini ed al loro effettivo utilizzo. In altre, soprattutto nel Mezzogiorno, il FSE è spesso un contenitore semivuoto e scarsamente utilizzato anche per l’elevata diffidenza sulla sicurezza dei dati da parte della popolazione. Ma la sanità digitale non può essere un’innovazione per pochi: servono investimenti e una governance centralizzata per garantire diritti a tutte le persone indipendentemente dal luogo in cui vivono. Se vogliamo davvero attuare una sanità digitale, i dati devono essere accessibili non solo ai cittadini, ma a tutti i professionisti coinvolti nei percorsi clinico-assistenziali, perché la tecnologia è necessaria, ma non sufficiente. Ecco perché serve un patto nazionale per la sanità digitale tra Governo, Regioni e cittadini, che assicuri completezza nei contenuti del FSE e uniformità di accesso in tutte le Regioni. Altrimenti, rischiamo che la straordinaria opportunità offerta dalla trasformazione digitale, di cui il FSE costituisce la “combinazione” di accesso, finisca per generare nuove diseguaglianze».
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Pagina aggiornata il 22/06/2022