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3 novembre 2025
Manovra 2026, l’apparente crescita nasconde un definanziamento: dal 2023 al 2026 € 17,5 miliardi in meno alla Sanità. Le risorse aumentano solo nel 2026, poi è buio pesto. Oltre € 430 milioni delle misure sono finanziate da fondi della manovra precedente. In audizione presso le Commissioni bilancio riunite le proposte della Fondazione GIMBE sul rifinanziamento

La Fondazione GIMBE, nell’audizione odierna davanti alle Commissioni Bilancio riunite di Senato e Camera, ha documentato come l’apparente aumento delle risorse mascheri in realtà un definanziamento strutturale: tra il FSN effettivo e quello che si sarebbe ottenuto mantenendo il livello di finanziamento stabile al 6,3% del PIL nel 2022, si registra un gap cumulato di € 17,5 miliardi nel periodo 2023–2026. In altre parole, a fronte di miliardi sbandierati in valore assoluto, la sanità pubblica ha perso in quattro anni l’equivalente di una legge di bilancio, mentre per cittadini e Regioni crescono liste di attesa, spesa privata e diseguaglianze di accesso.

«Il Disegno di Legge sulla Manovra 2026 – ha dichiarato Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – è molto lontano dalle necessità della sanità pubblica: le risorse stanziate non bastano a risollevare un Servizio Sanitario Nazionale (SSN) in grave affanno, sono insufficienti per coprire tutte le misure previste e mancano all’appello priorità cruciali per la tenuta della sanità pubblica». Queste le criticità principali emerse ieri dall’audizione della Fondazione GIMBE presso le Commissioni Bilancio riunite di Senato e Camera, nel corso della quale il Presidente ha invitato a non trasformare la sanità in terreno di scontro politico e ha avanzato proposte concrete per il rifinanziamento del Fondo Sanitario Nazionale (FSN).

FONDO SANITARIO NAZIONALE. «Innanzitutto – ha spiegato Cartabellotta – il titolo dell’art. 63 “Rifinanziamento del Fabbisogno Sanitario Nazionale Standard” è fuorviante perché non riporta gli importi del FSN rideterminati a seguito dello stanziamento di nuove risorse». Per questo motivo la Fondazione GIMBE ha proposto di rinominare l’art. 63 in “Fabbisogno Sanitario Nazionale Standard” e di indicare, per ciascun anno, l’importo rideterminato del FSN (tabella 1).

Il boom di risorse riguarda esclusivamente il 2026, quando il FSN crescerà di € 6,6 miliardi (+4,8%) rispetto al 2025, grazie a € 2,4 miliardi previsti dalla Manovra 2026 e, soprattutto, a € 4,2 miliardi già stanziati con le precedenti manovre, in gran parte già allocati per i rinnovi contrattuali del personale sanitario. Nel biennio successivo, invece, la crescita del FSN in termini assoluti è irrisoria: € 995 milioni (+0,7%) nel 2027 e € 867 milioni (+0,6%) nel 2028 (figura 1)

In rapporto al PIL, la quota destinata al FSN passa dal 6,04% del 2025 al 6,16% del 2026, per poi scendere nuovamente al 6,05% nel 2027 e precipitare al 5,93% nel 2028, delineando una tendenza in calo progressivo (figura 2).

«Se le cifre assolute riescono ad abbagliare l’opinione pubblica – ha commentato Cartabellotta – cambiando prospettiva emergono i tagli invisibili nel quadriennio 2023-2026». Infatti, se va riconosciuto al Governo Meloni di aver aumentato il FSN di ben € 19,6 miliardi, cifra mai assegnata da nessun Esecutivo in 4 anni, è altrettanto vero che tagliando la quota di FSN sul PIL dal 6,3% del 2022 a percentuali intorno al 6% negli anni successivi, la sanità ha complessivamente lasciato per strada ben € 17,5 miliardi. «Ovvero – ha chiosato Cartabellotta – nonostante gli aumenti nominali, la sanità ha perso in quattro anni l’equivalente della prossima legge di bilancio» (figura 3).

«Questo trend – ha osservato Cartabellotta – riflette il continuo disinvestimento dalla sanità pubblica, avviato nel 2010 e perpetrato da tutti i Governi. L’aumento del FSN in valore assoluto, spesso sbandierato come un grande traguardo, non è che un’illusione contabile: la quota di PIL destinata alla sanità cala infatti inesorabilmente, fatta eccezione per gli anni della pandemia quando i finanziamenti straordinari per la gestione dell’emergenza e il calo del PIL nel 2020 hanno mascherato il problema. E con la Manovra 2026 si scende addirittura sotto la soglia del 6%, toccando nel 2028 il minimo storico del 5,93%» (figura 4).

FSN VS PREVISIONI DI SPESA. Aumenta il divario tra l’entità del FSN e le previsioni di spesa sanitaria indicate nel Documento Programmatico di Finanza Pubblica: 6,4% del PIL nel 2025, 6,5% nel 2026 e nuovamente 6,4% nel 2027 e nel 2028. In valore assoluto, il gap tra spesa attesa e risorse assegnate è di € 6,8 miliardi nel 2026, € 7,6 miliardi nel 2027 e € 10,7 miliardi nel 2028. «Un differenziale – ha osservato Cartabellotta – che non può essere colmato dalle risorse proprie delle Regioni, che saranno costrette a ridurre i servizi o ad aumentare le imposte locali. In questo modo lo Stato viene meno alla propria competenza esclusiva di garantire i Livelli Essenziali di Assistenza, continuando a ignorare i più recenti orientamenti della Corte Costituzionale sulla tutela della salute: dal principio del “diritto finanziariamente condizionato” alla “spesa costituzionalmente necessaria”».

MISURE PREVISTE. L’analisi delle misure contenute nell’art. 63 evidenzia inoltre un’anomalia: oltre € 430 milioni destinati a finanziare interventi del 2026 attingono a risorse già stanziate con la Legge di Bilancio 2025 per obiettivi di interesse nazionale (tabella 2). «È insolito – commenta Cartabellotta – che una quota così rilevante delle risorse per assunzioni e prestazioni aggiuntive derivi da fondi già impegnati: un segnale che il rilancio delle politiche del personale resta, di fatto, sulla carta. Più in generale, la frammentazione di misure e investimenti sembra pensata per non scontentare nessuno, senza una visione strategica di rilancio del SSN» (tabella 3).

PROPOSTE PER IL RIFINANZIAMENTO DEL SSN. «Se vogliamo davvero rilanciare il SSN – ha continuato il Presidente – è indispensabile avviare un rifinanziamento progressivo accompagnato da coraggiose riforme strutturali di sistema. Perché aggiungere fondi senza riforme riduce il valore della spesa sanitaria, mentre varare riforme senza maggiori oneri per la finanza pubblica crea solo “scatole vuote”, così come è accaduto per il Decreto anziani e soprattutto per il Decreto Liste di attesa. Nonostante la stagnante crescita economica, gli enormi interessi sul debito pubblico e l’entità dell’evasione fiscale, se c’è la volontà politica è possibile pianificare con approccio scientifico un incremento percentuale annuo del FSN, al di sotto del quale non scendere, a prescindere dagli avvicendamenti dei Governi».

In linea con le indicazioni politiche suggerite dal report OCSE sulla sostenibilità fiscale dei servizi sanitari, la Fondazione GIMBE ha presentato in audizione proposte concrete per rifinanziare il SSN.

  • Tassa di scopo su prodotti nocivi alla salute (sin taxes: tabacco, alcol, gioco, bevande zuccherate), oltre a imposte su extraprofitti e redditi molto elevati.
  • Rivalutazione dei confini tra spesa pubblica e privata: revisione del perimetro LEA accompagnata da una “sana” riforma della sanità integrativa per aumentare la spesa intermediata su prestazioni extra-LEA e da una revisione mirata delle compartecipazioni alla spesa sanitaria (ticket).
  • Piano nazionale di disinvestimento da sprechi e inefficienze, con riallocazione di risorse su servizi e prestazioni sotto-utilizzate.

«Il tempo di rimboccarsi le maniche è quasi scaduto – ha concluso Cartabellotta – e bisogna agire abbandonando sia i proclami populisti del Governo sia le proposte irrealistiche di rifinanziamento delle opposizioni. È indispensabile ripensare le politiche allocative del Paese per contrastare la progressiva demotivazione e fuga del personale sanitario dal SSN, le difficoltà di accesso alle innovazioni farmacologiche e tecnologiche, le diseguaglianze nell’accesso a servizi e prestazioni sanitarie, l’aumento della spesa privata e la rinuncia alle cure. La realtà è che oggi alla sanità pubblica non viene destinato quello che serve, ma solo ciò che avanza. Senza un vero potenziamento del SSN sostenuto da adeguate risorse e da coraggiose riforme strutturali, non resterà che assistere impotenti al suo declino: oggi la crisi del SSN non intacca solo l’inalienabile diritto costituzionale alla tutela della salute, ma mina la coesione sociale e la tenuta democratica del Paese. Perché se la sanità pubblica arretra, l’Italia intera rischia di affondare».


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30 ottobre 2025
Dipendenze patologiche, servizi frammentati e sotto organico: un operatore segue in media 24 pazienti, in Umbria 37. Un accesso su 10 al pronto soccorso riguarda minorenni. SerD in affanno: mancano all’appello quasi 1.900 professionisti

Servizi a macchia di leopardo e personale insufficiente; il 10% degli accessi in pronto soccorso riguarda minorenni, mentre il 69% dei ricoveri si concentra al Nord: «Serve una riorganizzazione nazionale – esordisce Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – non più iniziative spot».

È quanto emerso dal XIV Congresso Nazionale Federserd sulla prevenzione e cura delle dipendenze, durante il quale la Fondazione GIMBE ha presentato una dettagliata analisi sull’organizzazione dei Servizi per le Dipendenze (SerD), elaborata a partire dai dati della Relazione annuale della Presidenza del Consiglio al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia (2025) e del Rapporto OISED-CREA (2024).

«Stiamo pagando il prezzo di un immobilismo normativo e organizzativo – dichiara Cartabellotta – e i servizi per le dipendenze rappresentano oggi un’anomalia strutturale del nostro Servizio Sanitario Nazionale (SSN): frammentati, disomogenei e con personale insufficiente. La loro efficacia dipende troppo spesso dalla buona volontà di professionisti e operatori, più che da un’adeguata programmazione dei servizi per prevenire, diagnosticare e trattare un fenomeno il cui impatto sulla salute pubblica è molto rilevante, soprattutto tra i più giovani».

IMPATTO DELLE DIPENDENZE SUL SSN

Accessi in Pronto Soccorso (PS). Nel 2024 sono stati registrati 8.378 accessi in PS per patologie direttamente droga-correlate, con una lieve riduzione rispetto al 2023 (-2,5%): il 43% riguarda soggetti tra i 25 e i 44 anni, ma preoccupa il dato sui minorenni, che rappresentano il 10% degli accessi. Quasi la metà dei pazienti (47%) è arrivata in PS per psicosi indotta da sostanze. In 904 casi (11%) si è reso necessario un ricovero ospedaliero: il 37% dei pazienti è stato trasferito in un reparto di psichiatria, il 17% in terapia intensiva e il 4% in pediatria.

Ricoveri ospedalieri. Nel 2023 (ultimo anno disponibile) i ricoveri ospedalieri con diagnosi principale droga-correlata sono stati 7.382 (+13% rispetto al 2022), pari a 9,3 ricoveri ogni 10.000 abitanti. Il trend è in netta crescita rispetto al 2012, quando il tasso era di 6 per 10.000 abitanti. Nel 2023 il tasso di ospedalizzazione per patologie direttamente correlate al consumo di sostanze stupefacenti ha sfiorato i 14 ricoveri ogni 100.000 abitanti, con marcate differenze territoriali: nelle Regioni settentrionali si concentrano infatti il 69% delle ospedalizzazioni droga-correlate.

OFFERTA DI SERVIZI PER LE DIPENDENZE

In Italia, l’assistenza alle persone con dipendenze patologiche rientra tra i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) ed è garantita da un sistema integrato che coinvolge le Aziende Sanitarie Locali con i servizi territoriali per le dipendenze (SerD), le strutture private, gli Enti Locali, le organizzazioni del privato sociale e del volontariato. I SerD si occupano di prevenzione, terapia e riabilitazione per persone con disturbi legati all’assunzione di sostanze psicoattive (legali e illegali) e per coloro che manifestano comportamenti di dipendenza non da sostanze, come gioco d’azzardo, uso compulsivo di Internet, gaming, shopping patologico, dipendenza sessuale e disturbi del comportamento alimentare. L’offerta assistenziale si articola su quattro livelli: servizi di I livello, servizi ambulatoriali, strutture residenziali e semi-residenziali, che includono i servizi specialistici.

Servizi di I livello. Nel 2024 risultano censiti 198 servizi di I livello, di cui 46 pubblici (22%) e 152 gestiti dal privato sociale (77%). Comprendono unità mobili (n. 123), centri drop-in (n. 49) e centri di prima accoglienza (n. 26). Queste strutture, caratterizzate da un elevato grado di accessibilità, si rivolgono soprattutto alle persone più difficili da raggiungere attraverso i canali tradizionali. Il tasso medio nazionale è di 0,4 servizi di I livello per 100.000 abitanti tra 15 e 74 anni: si va da 1,8 della Provincia autonoma di Bolzano a 0,1 in Calabria, Campania e Puglia. In Basilicata, Molise, Sardegna e Valle d’Aosta non risultano censiti servizi di questo tipo (figura 1).

Servizi ambulatoriali. I servizi ambulatoriali attuano programmi terapeutico-riabilitativi e trattamenti farmacologici per le persone con dipendenze, oltre a offrire percorsi di sostegno dedicati ai familiari, garantendo consulenza e assistenza specialistica sia medico-sanitaria sia psicologica. Sono in larga parte pubblici, afferenti al Servizio Sanitario Regionale, ma comprendono anche strutture private organizzate come Servizi Multidisciplinari Integrati (SMI). Nel 2024 risultano censiti 1.134 servizi ambulatoriali, di cui 96% pubblici e 4% gestiti dal privato sociale: 571 sono Servizi per le Dipendenze (SerD), 279 servizi per il gioco d’azzardo, 207 servizi di alcologia, 41 SMI e 36 SerD operanti negli istituti penitenziari (figura 2). Il tasso medio nazionale è di 2,6 servizi ogni 100.000 abitanti tra 15 e 74 anni, con una distribuzione molto eterogenea: da 5,5 in Molise a 1,3 nel Lazio e nella Provincia autonoma di Bolzano (figura 3). Nel 2023 la dotazione di personale delle strutture ambulatoriali contava complessivamente 6.005 unità: il 54,3% composto da medici e infermieri (n. 3.260), il 15% da psicologi (n. 901), il 13% da assistenti sociali (n. 781), il 12% da educatori professionali (n. 721), il 3,8% da personale amministrativo (n. 228) e l’1,9% da altre figure professionali (n. 114) (figura 4).

Nel 2023, nei servizi ambulatoriali, il numero medio di utenti per unità di personale dipendente è di 24,1, ma con marcate differenze regionali: nelle Marche, in Abruzzo e Lazio si superano i 30 pazienti per operatore, mentre in Umbria la media raggiunge addirittura quota 37. Una pressione che inevitabilmente si riflette sulla qualità della presa in carico e sulla continuità terapeutica (figura 5).

Nel 2024 i SerD hanno assistito complessivamente 134.443 persone per uso di sostanze illegali e/o psicofarmaci non prescritti (+2,7% rispetto al 2023), pari a 228 ogni 100.000 abitanti. «Considerato che il 14% degli utenti ha meno di 30 anni – commenta Cartabellotta – ed esiste un bisogno sommerso ancora difficile da intercettare, è indispensabile investire in nuove modalità di presa in carico, interventi di prossimità e percorsi interdisciplinari integrati con i servizi per l’età evolutiva».

Strutture residenziali e semi-residenziali. Offrono programmi assistenziali diversificati e percorsi assistenziali mirati in base al tipo di utenza, integrandosi con le attività terapeutiche dei servizi ambulatoriali territoriali. Nel 2024 risultano censite 951 strutture, di cui 55 pubbliche (6%) e 896 (94%) gestite dal privato sociale, per un totale di 13.926 posti. L’offerta media nazionale è di 2,1 strutture ogni 100.000 abitanti, con nette differenze territoriali: da 5,4 strutture in Valle d’Aosta a 0,7 in Friuli Venezia Giulia e Sicilia (figura 6).

356 sono strutture specialistiche e si suddividono in quattro tipologie: 13 (4%) dedicate ai minori con problematiche droga-correlate, 31 (9%) rivolte a genitori tossicodipendenti insieme ai figli, 132 (pari al 37%) destinate a pazienti con comorbidità psichiatriche, 180 (50%) orientate ad altre forme di assistenza specialistica (es. supporto abitativo, percorsi riabilitativi di lunga durata). Il 94% delle strutture specialistiche è gestita da organizzazioni del privato sociale e sono prevalentemente a carattere residenziale. Pur essendo concentrate soprattutto nelle Regioni settentrionali (68%) – in particolare nel Nord-Ovest (52%) – sono comunque presenti su tutto il territorio nazionale, ad eccezione della Calabria.

LA RIORGANIZZAZIONE DEI SERVIZI PER LE DIPENDENZE. Secondo quanto previsto dal DM 77, l’assistenza sanitaria e socio-sanitaria alle persone con dipendenze patologiche – sia legate al consumo di sostanze psicotrope (legali o illegali) sia di natura comportamentale – deve essere garantita in ogni Regione e Provincia autonoma dai SerD, in collaborazione con altri servizi sanitari e sociali, con i servizi residenziali e semi-residenziali convenzionati per le dipendenze, il terzo settore ed altre istituzioni e realtà territoriali.

Il DM 77 stabilisce la presenza di un SerD ogni 80.000-100.000 abitanti nella fascia di età 15-64 anni, con apertura almeno 5 giorni a settimana per 12 ore al giorno. Nelle macro-aree regionali è inoltre previsto che almeno un servizio resti attivo 6 o 7 giorni a settimana, per garantire la massima continuità assistenziale. Sulla base della popolazione 15-64 anni residente al 1° gennaio 2025, per rispettare questi standard sono necessari da 373 a 467 SerD. (tabella 1).

«Stando ai numeri – commenta Cartabellotta – i Servizi per le Dipendenze in Italia non mancano, ma senza una loro riorganizzazione e una reale integrazione in rete, la loro efficacia resta limitata. Occorre passare da strutture isolate a un sistema capace di garantire continuità assistenziale, presa in carico multidisciplinare e uniformità di accesso su tutto il territorio nazionale». Per quanto riguarda il personale sanitario, il DM 77 definisce gli standard minimi e quelli a regime per ciascun SerD: da 3 a 4 medici (di cui almeno 1 psichiatra), 3-3,5 psicologi, 4-6 infermieri, 2,5-3,5 educatori professionali e tecnici della riabilitazione psichiatrica, da 2 a 3 assistenti sociali e da 0,5-1 unità di personale amministrativo (tabella 2). Complessivamente, questi parametri corrispondono a 5.614 unità di personale per lo standard minimo e a 7.860 per quello a regime. «In altri termini – spiega il Presidente – se il numero totale di strutture ambulatoriali è superiore a quello previsto dagli standard del DM 77, il personale sanitario censito nel 2023, pari a 6.005 professionisti, risulta fortemente sotto-dimensionato rispetto al fabbisogno: mancano infatti quasi 1.900 operatori per raggiungere lo standard a regime».

Infatti, confrontando gli standard del DM 77 con i dati del 2023, per medici e infermieri lo standard minimo risulta già raggiunto, ma mancano 483 professionisti per raggiungere lo standard a regime. Inoltre, rispetto agli standard a regime, mancano all’appello 409 psicologi, 342 assistenti sociali, 475 educatori professionali e tecnici della riabilitazione e 146 amministrativi (tabella 3).

«Il quadro è molto serio – continua Cartabellotta – perché questi servizi restano spesso fuori dalle agende politiche e assenti nei piani di riforma regionali della sanità territoriale. Eppure, si prendono cura di popolazioni fragili, ad alto rischio di emarginazione e cronicizzazione. E la mancata presa in carico si traduce in accessi al pronto soccorso, ospedalizzazioni, aggravamento e/o cronicizzazione dei disturbi, aumento del disagio sociale e dei costi per il Servizio Sanitario Nazionale».

Senza una chiara assunzione di responsabilità da parte della politica, il sistema dei servizi per le dipendenze rischia di rimanere un diritto a geometria variabile, accessibile solo in alcune aree del Paese. «Affrontare le dipendenze – conclude Cartabellotta – significa tutelare la salute pubblica, ma oggi i servizi per le dipendenze sono il simbolo della disattenzione istituzionale verso un’area ad alta vulnerabilità, troppo spesso lasciata ai margini del SSN. È tempo di riconoscerli come parte integrante dell’assistenza territoriale e di garantirne il potenziamento attraverso investimenti strutturali e vincolanti. Restano infatti un presidio essenziale per la cura e la prevenzione, la presa in carico tempestiva, il reinserimento sociale e la riduzione del danno nei pazienti». In caso contrario, la sanità pubblica arretrerà proprio dove dovrebbe essere più presente.


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23 ottobre 2025
Manovra 2026: aggiunti alla sanità € 2,4 miliardi nel 2026 e € 2,65 miliardi nel 2027 e nel 2028. Nel 2028 il Fondo Sanitario arriva a € 145 miliardi, ma scende al 5,9% del Pil. Ai professionisti sanitari solo briciole, assunzioni infermieri possibili solo dall’estero. Nel 2026 gap di € 6,8 miliardi rispetto alle stime di spesa sanitaria: la coperta delle Regioni è sempre più corta. Dal Governo solo misure frammentate, e nessun rilancio del SSN

Secondo il disegno di Legge di Bilancio 2026, il Fondo Sanitario Nazionale (FSN) raggiungerà € 143,1 miliardi nel 2026, € 144,1 miliardi nel 2027 e € 145 miliardi nel 2028. «Va riconosciuto al Governo – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – il merito di aver ottenuto un rilevante incremento del FSN dal 2025 al 2026: ben € 6,6 miliardi, di cui € 4,2 miliardi già stanziati nelle precedenti manovre. Complessivamente, la Manovra 2026 assegna alla sanità € 7,7 miliardi per il triennio 2026-2028: tuttavia, in rapporto al PIL, la quota di ricchezza del Paese destinata alla sanità, dopo un lieve aumento nel 2026, scenderà sotto la soglia “psicologica” del 6% nel 2028. Inoltre, la frammentazione di misure e investimenti sembra più orientata a soddisfare i diversi attori che a delineare una strategia di rilancio di un Servizio Sanitario Nazionale (SSN) in grave affanno. Un sistema in cui regnano inaccettabili diseguaglianze e dove, nel 2024, i cittadini hanno speso di tasca propria oltre € 41 miliardi per curarsi e 5,8 milioni di persone hanno rinunciato a prestazioni sanitarie».

Per offrire un quadro basato su dati oggettivi e contribuire al dibattito pubblico in vista della discussione parlamentare sul DdL Bilancio 2026, la Fondazione GIMBE ha condotto sul testo bollinato dalla Ragioneria Generale dello Stato un’analisi indipendente sulle risorse assegnate alla sanità. «L’obiettivo – precisa il Presidente – è verificare se, al di là delle cifre assolute, la Manovra 2026 rappresenti davvero un’inversione di tendenza, con un rilancio progressivo e strutturale del FSN, oppure se si tratti dell’ennesima illusione contabile, che abbaglia con numeri altisonanti abilmente combinati».

FONDO SANITARIO NAZIONALE. La Manovra 2026 stanzia complessivamente € 7,7 miliardi: € 2,4 miliardi nel 2026, € 2,65 miliardi nel 2027 e € 2,65 miliardi nel 2028. Considerando anche gli stanziamenti già previsti dalle precedenti manovre, il FSN raggiungerà € 143,1 miliardi nel 2026, € 144,1 miliardi nel 2027 e € 145 miliardi nel 2028. In particolare, nel 2026 il FSN crescerà di ben € 6,6 miliardi (+4,8%) rispetto al 2025: infatti, ai € 4,2 miliardi già previsti (da € 136,5 miliardi nel 2025 a € 140,7 miliardi nel 2026), la Manovra 2026 aggiunge ulteriori € 2,4 miliardi, portando il FSN totale a € 143,1 miliardi (tabella 1, figura 1). «In termini assoluti – commenta il Presidente – l’aumento di risorse per il triennio 2026-2028 risulta sostanzialmente uniforme, senza alcun segnale di rilancio progressivo del FSN. L’auspicata inversione di rotta, ancora una volta, è rimandata alla prossima Legge di Bilancio». Dopo l’incremento del 2026, infatti, il FSN in termini assoluti si stabilizza: cresce di soli € 995 milioni (+0,7%) nel 2027 e di € 867 milioni (+0,6%) nel 2028. In rapporto al PIL, il FSN la quota destinata alla sanità passa dal 6,04% del 2025 al 6,16% del 2026, per poi ridursi al 6,05% nel 2027 e al 5,93% nel 2028 (figura 2). «In sintesi – spiega Cartabellotta – le cifre assolute per il 2026 appaiono consistenti perché includono risorse già stanziate dalle precedenti manovre, ma la quota di ricchezza del Paese investita in sanità, dopo il lieve rialzo del 2026, torna a diminuire».

FINANZIAMENTO ASSEGNATO VS PREVISIONI DI SPESA. Rimane un netto divario tra l’entità del FSN e le previsioni di spesa sanitaria fissate dal Documento Programmatico di Finanza Pubblica: in rapporto al PIL, le proiezioni di spesa si attestano al 6,4% per gli anni 2025, 2027 e 2028 e al 6,5% per il 2026. In valori assoluti, il gap tra spesa prevista e risorse assegnate ammonta a € 6,8 miliardi nel 2026, € 7,6 miliardi nel 2027 e € 10,7 miliardi nel 2028 (figura 3). «Questo gap – avverte Cartabellotta – finirà inevitabilmente per pesare sui bilanci delle Regioni che, come recentemente documentato dalla Corte dei Conti, presentano conti sempre più in rosso. Per evitare il Piano di Rientro, le Regioni saranno costrette a scelte dolorose che ricadranno sui cittadini: ridurre i servizi o aumentare le tasse». Peraltro, le risorse assegnate dalla Legge di Bilancio 2025 risultano già interamente impegnate per il rinnovo dei contratti 2025-2027 del personale sanitario. «In altre parole – chiosa Cartabellotta – considerato che i fondi della Manovra 2026 sono destinati a finanziare nuove misure, le Regioni, già in affanno, dovranno gestire con risorse proprie il divario tra fabbisogni sanitari e risorse disponibili, con una coperta che ogni anno si accorcia sempre di più».

MISURE PREVISTE. L’art. 63 della Manovra, dedicato al “Rifinanziamento del Servizio Sanitario Nazionale”, individua le misure da finanziare (tabella 2). «Rispetto ai reali bisogni del SSN – commenta Cartabellotta – appare evidente che i fondi vengono distribuiti tra una molteplicità di destinatari, ma con importi così limitati da rischiare di non produrre effetti concreti, né benefici tangibili per cittadini e pazienti».

PERSONALE SANITARIO. La Manovra prevede un piano straordinario di assunzioni a partire dal 2026, autorizzando – in deroga al tetto di spesa – € 450 milioni per assumere circa 1.000 medici dirigenti e oltre 6.000 professionisti sanitari, in particolare infermieri. Nel triennio 2026-2028 l’investimento complessivo ammonta a € 1.350 milioni, di cui € 875 milioni previsti dalla Manovra 2026 e € 475 milioni già stanziati dalla precedente. «Pur riconoscendo la volontà di rafforzare gli organici – commenta Cartabellotta – il concetto di “piano assunzioni” appare contraddittorio finché resta in vigore il tetto di spesa per il personale sanitario. A ciò si aggiunge la scarsa attrattività di alcune specialità mediche e, soprattutto, della professione infermieristica. Nel breve periodo, l’unica ipotesi realistica per colmare la carenza di infermieri è un piano straordinario di reclutamento dall’estero: in Italia, infatti, la riduzione del numero di laureati e le numerose cancellazioni dagli albi testimoniano la perdita di attrattività di una professione essenziale ma oggi poco valorizzata e determinano scarsa disponibilità di figure professionali fondamentali».

Sul fronte delle retribuzioni, la Manovra introduce un incremento dell’indennità di specificità – un riconoscimento economico aggiuntivo rispetto allo stipendio base – pari a € 280 milioni annui a partire dal 2026: € 85 milioni per i medici, € 195 milioni per gli infermieri,  € 8 milioni per i dirigenti sanitari non medici e € 58 milioni per altre professioni sanitarie (riabilitazione, prevenzione, tecnico-sanitarie, ostetrica, assistente sociale) e gli operatori socio-sanitari nelle attività finalizzate alla tutela del malato e alla promozione della salute. L’aumento stimato della retribuzione lorda annua è di € 3.000 per i medici, € 1.630 per gli infermieri e € 490 per i dirigenti sanitari non medici. «Se l’obiettivo è restituire attrattività alla carriera nel SSN per arginare le fughe e attirare i giovani verso la professione infermieristica – osserva Cartabellotta – si tratta solo di briciole. Importi di tale entità non saranno sufficienti ad arrestare l’emorragia di medici dal pubblico né a rendere più appetibile la professione infermieristica per le nuove generazioni».

Nel 2026 le Regioni potranno inoltre aumentare di € 143,5 milioni la spesa per le prestazioni aggiuntive: € 101,9 milioni destinati ai medici e € 41,6 al personale sanitario del comparto. Si tratta però di fondi già assegnati dalla precedente Legge di Bilancio. «Pur comprendendo la necessità di garantire un maggiore impegno orario – aggiunge Cartabellotta – la logica del “più lavori, più ti pago”, nonostante l’imposta agevolata del 15%, appare difficilmente sostenibile per un personale già stremato da turni massacranti e da livelli di burnout sempre più elevati».

POTENZIAMENTO OFFERTA DI SERVIZI. A partire dal 2026, la Manovra destina € 238 milioni a interventi di prevenzione articolati in quattro macro-obiettivi: estendere lo screening per il tumore della mammella alle fasce di età 45-49 anni e 70-74 anni; ampliare lo screening del tumore del colon-retto alla fascia 70-74 anni; proseguire il programma di prevenzione del tumore polmonare nell’ambito della rete italiana screening polmonare; concorrere al rimborso alle Regioni per l'acquisto dei vaccini previsti nel calendario vaccinale. Per il solo 2026, vengono inoltre stanziati ulteriori € 120 milioni, che si aggiungono ai € 127 milioni della precedente Manovra, per potenziare le misure di prevenzione. «Investire in prevenzione – commenta Cartabellotta – è fondamentale per ridurre l’impatto delle malattie e i costi per il SSN. Tuttavia, l’ampliamento delle fasce di età negli screening oncologici rischia di restare solo sulla carta, soprattutto nelle Regioni del Mezzogiorno, dove le coperture standard degli screening organizzati restano ancora molto lontane dai target raccomandati, in particolare per il tumore del colon-retto». Particolare attenzione viene riservata al Piano Nazionale di Azioni per la Salute Mentale, finanziato con € 80 milioni nel 2026, € 85 milioni nel 2027 e € 90 milioni a decorrere dal 2028. Il 30% delle risorse sarà destinato ad attività di prevenzione, mentre fino a € 30 milioni potranno essere utilizzati dalla Regioni per l’assunzione di personale sanitario e socio-sanitario nei servizi di salute mentale. Aumentano infine di € 20 milioni l’anno le risorse per le cure palliative.

TARIFFE DI RIMBORSO DELLE PRESTAZIONI. Vengono stanziate nuove risorse per le tariffe dei ricoveri per acuti (€ 350 milioni a decorrere dal 2026) e per l’adeguamento delle tariffe di specialistica ambulatoriale e protesica (€ 100 milioni di risorse vincolate nel 2026 e € 183 milioni a decorrere dal 2027).

RISORSE ASSEGNATE A IMPRESE E SOGGETTI PRIVATI. Oltre € 900 milioni vengono destinati a soggetti privati: € 50 milioni l’anno vincolati per la stabilizzazione della farmacia dei servizi; € 350 milioni per la rideterminazione dei tetti della spesa farmaceutica, sia per gli acquisiti diretti (+0,20%) sia per la spesa convenzionata (+0,05%); € 280 milioni l’anno per l’aumento del tetto di spesa per i dispositivi medici; € 123 milioni a decorrere dal 2026 per l’ampliamento del tetto di spesa relativo all’acquisto di prestazioni sanitarie di specialistica ambulatoriale e di assistenza ospedaliera dagli erogatori privati accreditati.

ALTRE MISURE A VALERE SUL FONDO SANITARIO NAZIONALE. Sono previste risorse destinate agli Istituti Zooprofilattici Sperimentali (€ 10 milioni a decorrere dal 2026) e all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù (€ 50 milioni a decorrere dal 2026).

«Nonostante gli annunci e le cifre altisonanti – conclude Cartabellotta – la Legge di Bilancio delude le legittime aspettative di professionisti sanitari e cittadini, oggi alle prese con un SSN che fatica sempre più a rispondere ai bisogni di salute della popolazione. L’analisi delle risorse destinate alla sanità evidenzia alcune criticità estremamente rilevanti.  Innanzitutto, il boom di risorse riguarda solo il 2026, quando il FSN aumenta di € 6,6 miliardi, di cui quasi due terzi derivano da stanziamenti precedenti e destinati ai rinnovi contrattuali del personale sanitario. Per il biennio 2027-2028, invece, gli importi assegnati sono esigui, senza alcun segnale di rilancio progressivo del finanziamento pubblico, come conferma la riduzione della quota di PIL destinata al FSN. In secondo luogo, le risorse risultano disperse in numerosi rivoli: una scelta che mira a non scontentare nessuno, ma che priva la Manovra di una visione strategica per il rilancio del SSN: le Regioni, già in difficoltà, si trovano così a operare con margini di bilancio sempre più stretti e a dover attingere a risorse proprie per colmare il gap tra le previsioni di spesa sanitaria e i fondi effettivamente assegnati. Infine, la Manovra non prevede interventi strutturali per restituire attrattività alle carriere nel SSN: gli incrementi contrattuali sono limitati, le misure per le assunzioni degli infermieri si scontrano con la grave carenza di professionisti disponibili – se non tramite reclutamenti dall’estero – e la formula “più lavori, più ti pago”, pur defiscalizzata, appare difficilmente sostenibile in un contesto di burnout diffuso. Nonostante la sanità pubblica rappresenti oggi la vera emergenza del Paese, le scelte politiche appaiono in continuità con quelle degli ultimi 15 anni. Anni in cui tutti i Governi hanno definanziato il SSN e nessuno ha avviato un piano strutturale di rilancio del finanziamento pubblico, accompagnato da una coraggiosa stagione di riforme per ammodernare e riorganizzare la più grande opera pubblica mai costruita in Italia: quel Servizio Sanitario Nazionale istituito per tutelare la salute di tutte le persone. Un dato resta difficile da accettare: la capacità del Governo di trovare le risorse per altri settori strategici, come la difesa, non trova un corrispettivo impegno nel rafforzamento del SSN, pilastro della nostra democrazia, strumento di coesione sociale e leva di sviluppo economico del Paese».


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Pagina aggiornata il 22/06/2022