Comunicati stampa
7 marzo 2024
Allarme medici di famiglia: ne mancano oltre 3.100. Entro il 2026 oltre 11.400 pensionamenti: nelle regioni del Sud le nuove leve non basteranno a rimpiazzarli. Il 47,7% dei medici supera il limite di 1.500 assistiti: in forte crisi accessibilità e qualità dell’assistenza
Secondo quanto riportato sul sito del Ministero della Salute ogni cittadino iscritto al Servizio Sanitario Nazionale (SSN) ha diritto a un medico di medicina generale (MMG) – cd. medico di famiglia – attraverso il quale può accedere a tutti i servizi e prestazioni inclusi nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Il MMG non è un medico dipendente del SSN, ma lavora in convenzione con l’Azienda Sanitaria Locale (ASL): il suo rapporto di lavoro è regolamentato dall’Accordo Collettivo Nazionale (ACN), dagli Accordi Integrativi Regionali e dagli Accordi Attuativi Aziendali a livello delle singole ASL.
«L’allarme sulla carenza dei MMG – afferma Nino Cartabellotta Presidente della Fondazione GIMBE – oggi riguarda tutte le Regioni ed è frutto di un’inadeguata programmazione che non ha garantito il ricambio generazionale in relazione ai pensionamenti attesi. Così oggi spesso diventa un’impresa poter scegliere un MMG vicino a casa, con conseguenti disagi e rischi per la salute, in particolare di anziani e fragili».
Al fine di comprendere meglio il fenomeno, la Fondazione GIMBE ha analizzato le dinamiche e le criticità insite nelle norme che regolano l’inserimento dei MMG nel SSN e stimato l’entità della carenza attuale e futura di MMG nelle Regioni italiane. «Le nostre analisi – spiega Cartabellotta – sono tuttavia condizionate da alcuni rilevanti ostacoli. Innanzitutto, i 21 differenti Accordi Integrativi Regionali introducono una grande variabilità nella distribuzione degli assistiti in carico ai MMG e ciò può sovra- o sotto-stimare il reale fabbisogno in relazione alla situazione locale; in secondo luogo, su carenze e fabbisogni è possibile effettuare solo una stima media regionale, perché la reale necessità di MMG viene determinata da ciascuna ASL sugli ambiti territoriali di competenza. Infine, i dati ufficiali sugli assistiti in carico ai medici che stanno frequentando il Corso di Formazione Specifica in Medicina Generale non sono pubblicamente disponibili».
DINAMICHE E CRITICITÀ
Massimale di assisiti. Secondo quanto previsto dall’ACN, il numero massimo di assistiti di un MMG è fissato a 1.500: in casi particolari può essere incrementato fino a 1.800, numero che talora viene ulteriormente superato attraverso deroghe locali (es. fino a 2.000 nella Provincia Autonoma di Bolzano), o per casi di indisponibilità di MMG oltre che per le scelte temporanee affidate al medico (es. extracomunitari senza permesso di soggiorno, non residenti). Parallelamente, esistono motivazioni che determinano un numero inferiore di assistiti: autolimitazione delle scelte, MMG con ulteriori incarichi (es. la continuità assistenziale) che ne limitano le scelte, MMG che si trovano nel periodo iniziale di attività e/o che esercitano la professione in zone disagiate. «Per ciascun MMG – commenta il Presidente – il carico potenziale di assistiti rispetto a quello reale restituisce un quadro molto eterogeneo: accanto a una quota di MMG “ultra-massimalisti” che sfiora il 50% ci sono colleghi con un numero molto basso di assistiti». I dati forniti dal Ministero della Salute, riferiti all’anno 2022, documentano infatti che su 39.366 MMG il 47,7% ha più di 1.500 assistiti; il 33% tra 1.001 e 1.500 assistiti; il 12,1% da 501 a 1.000; il 5,7% tra 51 e 500 e l’1,5% meno di 51 (figura 1). In particolare, il massimale di 1.500 assistiti viene superato da più di un MMG su due in Emilia-Romagna (51,5%), Campania (58,4%), Provincia Autonoma di Trento (59,1%), Valle D’Aosta (59,2%), Veneto (64,7%). E addirittura da due MMG su tre nella Provincia Autonoma di Bolzano (66,3%) e in Lombardia (71%) (figura 2). «Questo sovraccarico di assistiti – commenta Cartabellotta – determina inevitabilmente una riduzione della disponibilità oraria e, soprattutto, della qualità dell’assistenza accendendo “spie rosse” su tre elementi fondamentali: la reale disponibilità di MMG in relazione alla densità abitativa, la distribuzione omogenea e capillare sul territorio e la possibilità per i cittadini di esercitare il diritto della libera scelta».
Ambiti territoriali carenti. I nuovi MMG vengono inseriti nel SSN previa identificazione da parte della Regione (o soggetto da questa individuato) delle cosiddette “zone carenti”, ovvero gli ambiti territoriali dove è necessario colmare il fabbisogno e garantire una diffusione capillare dei MMG. Secondo l’ACN per ciascun ambito territoriale può essere iscritto un medico ogni 1.000 residenti o frazione di 1.000 superiore a 500 di età ≥14 anni (cd. rapporto ottimale); è inoltre consentita, tramite gli Accordi Integrativi Regionali, una variazione di tale rapporto fino a 1.300 residenti per medico (+30%).
Anzianità di laurea. «Desta non poche preoccupazioni – commenta Cartabellotta – la distribuzione anagrafica dei MMG: infatti nel 2022 il 72,5% dei MMG in attività aveva oltre 27 anni di anzianità di laurea, con quasi tutte le Regioni del Centro-Sud sopra la media nazionale, anche in conseguenza di politiche sindacali che spesso non hanno favorito il ricambio generazionale». In particolare nella maggior parte delle Regioni meridionali gli MMG con oltre 27 anni di laurea sono più di 3 su 4: Calabria (89,4%), Sicilia (81,7%), Campania (80,7%), Sardegna (79,7%), Molise (78,4%), Basilicata (78,3%), Puglia (78%) (figura 3).
Pensionamenti. Secondo i dati forniti dalla Federazione Italiana dei Medici di Medicina Generale (FIMMG), tra il 2023 e il 2026 sono 11.439 gli MMG che hanno compiuto/compiranno 70 anni, raggiungendo così l’età massima per la pensione, deroghe a parte: dai 21 della Valle D’Aosta ai 1.539 della Lombardia (figura 4).
Nuovi MMG. Il numero di borse di studio ministeriali destinate al Corso di Formazione Specifica in Medicina Generale, dopo un periodo di sostanziale stabilità (2014-2017) intorno a 1.000 borse annue (figura 5), è aumentato raggiungendo un picco nel 2021 (n. 4.332). Tali incrementi sono dovuti sia alle risorse del DL Calabria che negli anni 2019-2022 hanno finanziato ulteriori 3.277 borse, sia a quelle del PNRR che negli anni 2021-2023 hanno finanziato complessivamente 2.700 borse aggiuntive. «Solo attraverso finanziamenti straordinari dunque – chiosa Cartabellotta – è stato possibile coprire il costo delle borse di studio, peraltro non sufficienti a colmare il ricambio generazionale entro il 2026».
STIMA DELLE CARENZE ATTUALI E FUTURE
Per effettuare tali stime sono state utilizzate le rilevazioni della Struttura Interregionale Sanitari Convenzionati (SISAC) al 1 gennaio 2023, più recenti di quelle del Ministero della Salute.
Trend 2019-2022. I dati SISAC documentano una progressiva diminuzione dei MMG in attività: nel 2022 erano 37.860, ovvero 4.149 in meno rispetto al 2019 (-11%) con notevoli variabilità regionali: dal -34,2% della Sardegna al -4,7% del Molise (figura 6).
Numero di assistiti per MMG. Secondo i dati SISAC al 1° gennaio 2023 37.860 MMG avevano in carico oltre 51,2 milioni di assistiti. In termini assoluti, la media nazionale è di 1.353 assistiti per MMG rispetto ai 1.307 del 2022: dai 1.090 della Basilicata ai 1.646 della Provincia Autonoma di Bolzano (figura 7). «Lo scenario reale – precisa Cartabellotta – è molto più critico di quanto lascino trasparire i numeri: infatti, con questo livello di saturazione dei MMG si compromette il principio della libera scelta. Di conseguenza, è spesso impossibile trovare la disponibilità di un MMG vicino a casa, non solo nelle cosiddette aree desertificate (zone a bassa densità abitativa, condizioni geografiche disagiate, rurali e periferiche) dove i bandi per gli ambiti territoriali carenti vanno spesso deserti, ma anche nelle grandi città metropolitane».
Stima della carenza di MMG al 1° gennaio 2023. «In conseguenza delle criticità sopra rilevate – spiega Cartabellotta – è possibile stimare solo il fabbisogno medio regionale di MMG in relazione al numero di assistiti, in quanto la necessità di ciascun ambito territoriale carente viene identificato dalle ASL secondo variabili locali». Se l’obiettivo è garantire la qualità dell’assistenza, la distribuzione capillare in relazione alla densità abitativa, la prossimità degli ambulatori e l’esercizio della libera scelta, non si può far riferimento al massimale delle scelte per stimare il fabbisogno di MMG. Di conseguenza la Fondazione GIMBE, ritenendo accettabile un rapporto di 1 MMG ogni 1.250 assistiti (valore medio tra il massimale di 1.500 e l’attuale rapporto ottimale di 1.000) e utilizzando le rilevazioni SISAC, stima al 1° gennaio 2023 una carenza di 3.114 MMG, con situazioni più critiche nelle grandi Regioni del Nord: Lombardia (-1.237), Veneto (-609), Emilia Romagna (-418), Piemonte (-296), oltre che in Campania (-381) (figura 8).
Stima della carenza di MMG al 2026. Tenendo conto dei pensionamenti attesi e del numero di borse di studio finanziate per il Corso di Formazione in Medicina Generale, è stata stimata la carenza di MMG al 2026, anno in cui dovrebbe “decollare” la riforma dell’assistenza territoriale prevista dal PNRR. Considerando l’età di pensionamento ordinaria di 70 anni e il numero borse di studio messe a bando per gli anni 2020-2023 comprensive di quelle del DL Calabria per cui si sono presentati candidati, nel 2026 il numero dei MMG diminuirà di 135 unità rispetto al 2022, ma con nette differenze regionali (figura 9). In particolare saranno tutte le Regioni del Sud (tranne il Molise) nel 2026 a scontare la maggior riduzione di MMG: Campania (-384), Puglia (-175), Sicilia (-155), Calabria (-135), Abruzzo (-47), Basilicata (-35), Sardegna (-9,) oltre a Lazio (-231), Liguria (-36) e Friuli Venezia Giulia (-22). La stima dell’entità della carenza è condizionata da differenti fattori. In particolare, è sottostimata dall’eventuale scelta dei MMG di andare in pensione prima dei 70 anni, dal numero di borse non assegnate e dall’abbandono del Corso di Formazione in Medicina Generale (almeno 20%). Viene al contrario sovrastimata dall’eventuale decisione dei MMG di prolungare l’attività sino ai 72 anni e dalla possibilità dei medici iscritti al Corso di Formazione in Medicina Generale di acquisire già dal primo anno sino a 1.000 assistiti. Infine – commenta Cartabellotta – tali stime risentiranno del nuovo ACN recentemente sottoscritto, nel quale sono previste varie novità».
«La progressiva carenza di MMG – conclude Cartabellotta – consegue sia ad errori nella pianificazione del ricambio generazionale, in particolare la mancata sincronia per bilanciare pensionamenti attesi e finanziamento delle borse di studio, sia a politiche sindacali non sempre lineari. E le soluzioni attuate, quali l’innalzamento dell’età pensionabile a 72 anni, la possibilità per gli iscritti al Corso di Formazione in Medicina Generale di acquisire sino a 1.000 assistiti e le deroghe regionali all’aumento del massimale, servono solo a “tamponare” le criticità, senza risolvere il problema alla radice. Occorre dunque mettere in campo al più presto una strategia multifattoriale: adeguata programmazione del fabbisogno, tempestiva pubblicazione da parte delle Regioni dei bandi per le borse di studio, adozione di modelli organizzativi che promuovano il lavoro in team, effettiva realizzazione della riforma dell’assistenza territoriale prevista dal PNRR (Case di comunità, Ospedali di Comunità, assistenza domiciliare, telemedicina), accordi sindacali in linea con il ricambio generazionale e la distribuzione capillare dei MMG. Guardando ai numeri, infatti, oltre alle carenze già esistenti, le proiezioni indicano – in particolare per le Regioni del Sud – un ulteriore calo dei MMG nei prossimi anni. Una “desertificazione” che lascerà scoperte milioni di persone, aggravando i problemi per l’organizzazione dell’assistenza sanitaria territoriale e soprattutto per la salute delle persone, in particolare anziani e fragili».
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14 febbraio 2024
Decreto anziani: 14 milioni di persone in attesa del provvedimento, ma non ci sono risorse aggiuntive. Accesso ai servizi socio-sanitari: inaccettabili diseguaglianze tra Nord e Sud.
Si è svolta questa mattina, presso la 10a Commissione Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale del Senato della Repubblica l’audizione della Fondazione GIMBE nell’ambito dell’esame dell’atto del Governo n. 121, “Schema di decreto legislativo recante politiche in favore delle persone anziane”, cd. “Decreto anziani”.
«Lo schema del Decreto anziani predisposto dal Governo – ha esordito Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – rappresenta indubbiamente un grande passo per rispondere ai bisogni di oltre 14 milioni di persone anziane che, insieme a familiari e caregiver, ogni giorno affrontano difficoltà, disagi e fenomeni di impoverimento economico. Situazioni aggravate dalle enormi diseguaglianze nell’erogazione dei servizi socio-sanitari, sia tra le Regioni, in particolare tra Nord e Sud, sia tra aree urbane e rurali».
«L’analisi ha riguardato anzitutto il testo dei 42 articoli del Decreto anziani, la relazione illustrativa e la relazione tecnica – ha spiegato Cartabellotta – al fine di identificare la copertura finanziaria delle misure». In sintesi:
- Per 13 misure si fa riferimento a risorse già stanziate: PNRR Missione 5 e Missione 6, Fabbisogno Sanitario Nazionale, Fondo Nazionale per le Politiche Sociali, Fondo per la non autosufficienza, Fondo per la promozione dell’attività sportiva, Fondo per le politiche della famiglia, Ministero della Salute.
- Un finanziamento apparentemente aggiuntivo di € 250 milioni per il 2025 e € 250 milioni per il 2026 è previsto solo per la misura “assegno di assistenza”, che sarà destinato all’acquisto di servizi o contratti: badanti, caregiver, strutture per la presa in cura dell’anziano. «Tuttavia dei complessivi € 500 milioni stanziati – ha tenuto a puntualizzare il Presidente – € 150 milioni provengono dalla riduzione del Fondo per le non autosufficienze, € 250 milioni sono a valere sul Programma nazionale “Inclusione e lotta alla povertà 2021-2027” e € 100 milioni a valere sulle disponibilità della Missione 5 del PNRR. In altri termini anche l’assegno di assistenza di fatto viene finanziato con risorse già stanziate su altri capitoli di spesa pubblica».
- Per tutte le altre misure non sono previsti maggiori oneri per la finanza pubblica.
«Al fine di contestualizzare le misure previste nell’attuale contesto socio-sanitario – ha continuato il Presidente – abbiamo quindi condotto alcune analisi su aspetti epidemiologici, spesa socio-sanitaria e diseguaglianze regionali sui servizi socio-sanitari previsti dal Decreto anziani».
La platea dei destinatari. A beneficiare delle misure previste dal provvedimento sarà il 24% della popolazione residente al 1° gennaio 2023 (dati ISTAT), ovvero 14.181.297, di cui 9.674.627 nella fascia 65-69 anni (cd. anziani) e 4.506.670 di over 80 (cd. grandi anziani).
«Un numero – ha commentato Cartabellotta – che secondo le proiezioni demografiche aumenterà nei prossimi anni, generando un progressivo incremento dei costi socio-sanitari». Infatti, secondo le proiezioni ISTAT al 2050 gli over 65 sfioreranno quota 18,8 milioni (pari al 34,5% della popolazione residente), circa 4,6 milioni in più rispetto al 2022.
I servizi socio-sanitari e la spesa socio sanitaria «Sebbene formalmente inseriti nei Livelli Essenziali di Assistenza – ha spiegato Cartabellotta – le prestazioni di assistenza socio-sanitaria, residenziale, semi-residenziale, domiciliare e territoriale sono finanziate solo in parte dalla spesa sanitaria pubblica. Un’esigua parte viene erogata dai Comuni (in denaro o in natura), mentre la maggior parte è sostenuta tramite provvidenze in denaro erogate dall’INPS». In dettaglio nel 2022, anno più recente per il quale sono disponibili tutti i dati, alla spesa socio-sanitaria è stato destinato un totale di € 44.873,6 milioni, «una cifra totale – ha precisato il Presidente – sulla cui precisione pesano vari fattori: differenti fonti informative con variabile livello di precisione e accuratezza, possibile sovrapposizione degli importi provenienti da fonti differenti». In dettaglio:
- Le prestazioni di assistenza sanitaria a lungo termine – Long Term Care (LTC) – hanno assorbito una spesa sanitaria di € 16.897 milioni, di cui € 12.834 milioni (76%) finanziati con la spesa pubblica, € 3.953 milioni (23,4%) a carico delle famiglie e € 110 milioni (0,7%) di spesa intermediata. Fonte ISTAT
- L’INPS ha erogato complessivamente € 25.332,4 milioni, di cui € 14.500 milioni di indennità di accompagnamento, € 3.900 milioni di pensioni di invalidità civile, € 3.300 milioni di pensioni di invalidità e € 2.432,4 milioni per permessi retribuiti secondo L. 104/92. Fonte 19° Rapporto CREA Sanità
- I Comuni hanno erogato € 1.822,2 milioni, di cui € 1.200 milioni in denaro e € 622,2 milioni in natura. Fonte 19° Rapporto CREA Sanità
- Il Fondo nazionale per le non-autosufficienze nel 2022 era pari a € 822 milioni. Fonte Servizio Studi – Camera dei Deputati
«Ai quasi € 45 miliardi di spesa socio-sanitaria – ha precisato Cartabellotta – si aggiungono i fondi per la non autosufficienza erogati dalle singole Regioni. Tuttavia su queste risorse non esiste alcuna ricognizione effettuata da enti pubblici o privati e le risorse non sono stanziate in maniera continuativa in quanto i fondi regionali non sono strutturali, fatta eccezione per quello della Regione Emilia-Romagna, che per il 2022 ammonta a € 457 milioni».
Le diseguaglianze regionali nell’accesso ai servizi socio-sanitari. «Il Nuovo Sistema di Garanzia – ha spiegato Cartabellotta – che il Ministero della Salute usa per monitorare gli adempimenti delle Regioni ai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) dispone tre indicatori CORE sulle misure contenute nel D.lgs». Indicatori su cui le performance regionali documentano enormi diseguaglianze:
- Persone non autosufficienti di età ≥75 anni in trattamento socio-sanitario residenziale. A fronte di una media nazionale di 40,2 persone per 1.000 abitanti esistono notevoli differenze tra Regioni: da 144,6 persone per 1.000 abitanti nella Provincia autonoma di Trento ai 4,1 nella Campania. In generale, tutte le Regioni del Sud si trovano fondo classifica e nessuna Regione supera i 20 assistiti per 1.000 abitanti. «Ovviamente – commenta Cartabellotta – questo dato è condizionato al ribasso dalla disponibilità di altre forme di assistenza per le persone non autosufficienti, in particolare l’assistenza domiciliare integrata».
- Cure palliative. L’indicatore definisce il rapporto tra il numero deceduti per tumore assistiti dalla rete di cure palliative sul totale dei deceduti per tumore. A fronte di una media nazionale del 28,4% la variabilità regionale oscilla dai 56,2% del Veneto ai 4,5% della Calabria.
«Su questo indicatore – commenta Cartabellotta – va segnalato che, secondo i parametri definiti dal Ministero, solo 5 Regioni risultano adempienti: Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia, Toscana e Veneto». - Assistenza domiciliare integrata (ADI). L’indicatore si concentra sui tutti i pazienti assistiti in ADI e non sugli over 65. Per tale ragione è stato escluso dalla valutazione.
«Considerato che il Decreto anziani fa riferimento ai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e ai Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali (LEPS) – ha chiosato il Presidente – diventa inderogabile la necessità di colmare inaccettabili divari tra Regioni, in particolare tra il Nord e il Sud del Paese, che saranno inevitabilmente acuiti dall’autonomia differenziata. Diseguaglianze che oggi ledono i diritti civili e la dignità delle persone più deboli e più fragili del Paese. L’assenza di finanziamenti dedicati ai vari interventi fanno, al momento, del Decreto anziani un’eccellente ricognizione di tutte le misure di cui possono beneficiare le persone anziane, ma la cui attuazione è fortemente condizionata, oltre che dall’emanazione di numerosi decreti attuativi, dalle risorse e dalle rilevanti diseguaglianze Regionali».
«La vera sfida che questo provvedimento lancia – ha concluso Cartabellotta – è se il Paese è pronto per istituire un Servizio Socio-Sanitario Nazionale, con relativo fabbisogno finanziario. Sia perché ormai non è più possibile per i pazienti cronici e gli anziani differenziare i bisogni sanitari da quelli sociali, sia perché tutte le erogazioni in denaro disposte dall’INPS non hanno vincolo di destinazione e non vengono sottoposte ad alcuna verifica oggettiva. È cioè impossibile stimare il reale ritorno di salute e di qualità di vita per le persone anziane».
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1 febbraio 2024
COVID, in Italia flop della campagna vaccinale per gli over 60. In Europa peggio di noi solo Grecia e paesi dell’est. Impietoso il confronto tra regioni: al sud coperture irrisorie. Le ragioni del fallimento: sfiducia nei vaccini, criticità organizzative, limitata promozione istituzionale
Il 26 gennaio 2024 l’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) ha pubblicato un report per valutare la copertura vaccinale anti-COVID degli over 60 nei paesi europei. Il periodo considerato è compreso tra il 1° settembre 2023 e il 15 gennaio 2024. 6 Paesi su 30 non hanno fornito i dati all’ECDC: Austria, Croazia, Germania, Italia, Lettonia e Svezia.
«Considerato che, inspiegabilmente, il nostro Paese non ha trasmesso i dati richiesti – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – abbiamo realizzato un’analisi indipendente utilizzando i dati nazionali ufficiali sulle coperture per valutare il posizionamento dell’Italia rispetto ai paesi europei inclusi nel report dell’ECDC, oltre che per effettuare un confronto tra le Regioni italiane».
I dati relativi all’Italia sono stati estratti dalla dashboard del Ministero della Salute che riporta le somministrazioni relative alla campagna vaccinale 2023-2024 effettuate a partire dal 26 settembre 2023, dopo l’introduzione dei nuovi vaccini adattati a Omicron XBB.1.5. L’ultimo aggiornamento della platea di riferimento è del 17 febbraio 2023.
COPERTURE VACCINALI: CONFRONTO TRA ITALIA E PAESI EUROPEI
60-69 anni. Nella fascia 60-69 anni, con una copertura nazionale del 5,7%, l’Italia si colloca al 14° posto. 13 paesi hanno raggiunto coperture superiori a quelle dell’Italia: dal 6,6% della Repubblica Ceca al 43,5% della Danimarca. 11 paesi hanno raggiunto invece coperture inferiori alle nostre: dal 5,4% di Cipro allo 0% della Romania (figura 1).
70-79 anni. Nella fascia 70-79 anni, con una copertura nazionale dell’11%, l’Italia è 15a. 14 paesi hanno raggiunto coperture superiori a quelle dell’Italia: dal 13% del Lussemburgo all’80,4% della Danimarca. 10 paesi hanno raggiunto invece coperture inferiori alle nostre: dal 6,9% del Liechtenstein allo 0% della Romania (figura 2).
Over-80. Negli over 80, con una copertura nazionale del 14,4%, l’Italia si posiziona 14a. 13 paesi hanno raggiunto coperture superiori a quelle dell’Italia: dal 15,8% della Repubblica Ceca all’88,2% della Danimarca. 11 paesi hanno raggiunto invece coperture inferiori alle nostre: dal 13,5% dell’Estonia allo 0,01% della Romania (figura 3).
«Le coperture raggiunte in Italia per tutte le fasce di età over 60 anni – commenta Cartabellotta – documentano un sostanziale fallimento della campagna nazionale di vaccinazione anti-COVID-19. I tassi di copertura del 5,7% per la fascia 60-69 anni, dell’11% per la fascia 70-79 anni e del 14,4% per gli over 80 ci collocano solo davanti ai paesi dell’Europa dell’Est (eccetto la Repubblica Ceca che ci precede in tutte le fasce d’età e l’Estonia per i 60-69 e i 70-79 anni), a Grecia, Malta, Liechtenstein e, solo per gli over 80, Cipro. Siamo molto lontani dai risultati raggiunti nei paesi dell’Europa settentrionale, ma anche da Spagna, Portogallo e Francia: paesi dove le coperture per le tre fasce di età documentano campagne vaccinali efficaci per tutti gli over 60, con percentuali di copertura crescenti con la fascia di età».
COPERTURE VACCINALI: CONFRONTO TRA LE REGIONI ITALIANE
60-69 anni. A fronte di una copertura nazionale del 5,7%, 10 Regioni si collocano sopra la media nazionale: dal 5,9% del Piemonte all’11% della Toscana. 11 Regioni si trovano sotto la media: dal 5,6% dell’Umbria allo 0,9% della Sicilia (figura 4).
70-79 anni. A fronte di una copertura nazionale dell’11%, 9 Regioni si collocano sopra la media nazionale: dall’11,5 dell’Umbria al 21,4% della Toscana. 12 Regioni si trovano sotto la media: dal 10,6% del Veneto all’1,8% della Sicilia (figura 5).
Over 80. A fronte di una copertura nazionale del 14,4%, 9 Regioni si collocano sopra la media nazionale: dal 14,6% dell’Umbria al 26,3% della Toscana. 12 Regioni si trovano sotto la media: dal 14% di Veneto e Lazio, all’1,9% della Sicilia (figura 6).
«Le coperture vaccinali per le tre fasce di età nelle Regioni italiane – commenta Cartabellotta – ripropongono la “frattura strutturale” Nord-Sud che caratterizza il nostro Servizio Sanitario Nazionale: le Regioni meridionali non solo si trovano al di sotto della media nazionale, ma sono tutte a fondo classifica con coperture vaccinali simili a quelle dei paesi dell’Europa orientale. Anche i risultati della Toscana, che raggiunge le percentuali più elevate di copertura vaccinale nelle tre fasce di età (rispettivamente 11%, 21,4% e 26,3%), rimangono molto lontani da quelli dei paesi del Nord Europa. Considerata l’efficacia dei vaccini nel prevenire la malattia grave e la mortalità negli anziani e nei fragili, è legittimo ipotizzare che una parte degli oltre 4.000 decessi riportati nel periodo considerato poteva essere evitato, in particolare tra gli over 80».
«L’analisi dei dati relativi alle coperture vaccinali in Italia per gli over 60 e i confronti con il resto dell’Europa – conclude Cartabellotta – documentano un clamoroso flop della campagna vaccinale anti-COVID nella stagione autunno-inverno 2023-2024, nonostante le raccomandazioni della Circolare del Ministero della Salute del 27 settembre 2023 che ha fatto seguito a quella preliminare del 14 agosto 2023. Purtroppo, al fenomeno della “stanchezza vaccinale” e alla continua disinformazione sull’efficacia e sicurezza dei vaccini, si sono aggiunti vari problemi logistico-organizzativi: ritardo nella consegna e distribuzione capillare dei vaccini, insufficiente e tardivo coinvolgimento di farmacie e medici di famiglia, mancata chiamata attiva dei pazienti a rischio, criticità tecniche nei portali web di prenotazione. E se da un lato è evidente che molti di questi problemi dipendono dalle Regioni, come documentato dal gap Nord-Sud, il confronto con i paesi europei inclusi nel report dell’ECDC dimostra che anche le Regioni italiane con i tassi di copertura più elevati sono molto indietro rispetto ai paesi europei dove la campagna vaccinale ha funzionato. Segnale evidente che della campagna vaccinale anti-COVID le Istituzioni centrali hanno parlato poco e “a bassa voce”, peraltro disturbata dal rumore di fondo di quei politici che hanno alimentato la sfiducia nei vaccini per non perdere il consenso della frangia no-vax».
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Pagina aggiornata il 22/06/2022