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10 ottobre 2023
6° Rapporto GIMBE - Servizio Sanitario Nazionale al capolinea: compromesso il diritto alla tutela della salute. Spesa pubblica pro-capite: il gap con la media dei paesi europei è di € 48,8 miliardi. Le enormi diseguaglianze nord-sud saranno legittimate dall’autonomia differenziata. Dalla Fondazione GIMBE l’appello per un patto politico e sociale per rilanciare la sanità pubblica

La Fondazione GIMBE ha presentato oggi presso la Sala Capitolare del Senato della Repubblica il 6° Rapporto sul Servizio Sanitario Nazionale (SSN): «I princìpi fondanti del SSN, universalità, uguaglianza, equità – ha esordito il Presidente Nino Cartabellotta – sono stati traditi. Oggi sono ben altre le parole chiave che definiscono un SSN ormai al capolinea e condizionano la vita quotidiana delle persone, in particolare delle fasce socio-economiche meno abbienti: interminabili tempi di attesa, affollamento dei pronto soccorso, impossibilità di trovare un medico o un pediatra di famiglia vicino casa, inaccettabili diseguaglianze regionali e locali sino alla migrazione sanitaria, aumento della spesa privata sino all’impoverimento delle famiglie e alla rinuncia alle cure».

«Considerato che il progressivo indebolimento del SSN dura da oltre 15 anni, perpetrato da parte di tutti i Governi – ha affondato Cartabellotta – non è più tempo di utilizzare il fragile terreno della sanità e i disagi della popolazione per sterili rivendicazioni politiche su chi ha sottratto più risorse al SSN. Perché stiamo inesorabilmente scivolando da un Servizio Sanitario Nazionale fondato sulla tutela di un diritto costituzionale a 21 sistemi sanitari regionali regolati dalle leggi del libero mercato. Con una frattura strutturale Nord-Sud che sta per essere normativamente legittimata dall’autonomia differenziata».

Richiamando il recente intervento del Presidente Meloni, secondo cui “sarebbe miope concentrare tutta la discussione sull’aumento o meno delle risorse perché bisogna confrontarsi anche su come quelle risorse vengono spese”, Cartabellotta ha condiviso che «potenzialmente ci sono ampi margini di recupero su vari ambiti: eccesso di prestazioni da medicina difensiva e domanda inappropriata, conseguenze del sotto-utilizzo di prestazioni efficaci, frodi, acquisti a costi eccessivi, complessità amministrative, inadeguato coordinamento dell’assistenza, in particolare tra ospedale e territorio. Ma il recupero di queste risorse richiede una profonda riorganizzazione del SSN, riforme di rottura, formazione dei professionisti e informazione alla popolazione sull’appropriatezza di esami diagnostici e terapie: non si tratta di risorse monetizzabili a breve termine, analogamente a quelle sottratte all’erario dall’evasione fiscale».

«Ecco perchè a quasi 45 anni dalla legge istitutiva del SSN – ha continuato Cartabellotta – la Fondazione GIMBE invoca un patto sociale e politico che, prescindendo da ideologie partitiche e avvicendamenti di Governi, rilanci quel modello di sanità pubblica, equa e universalistica, pilastro della nostra democrazia, conquista sociale irrinunciabile e grande leva per lo sviluppo economico del Paese».

«Il preoccupante “stato di salute” del SSN – ha concluso Cartabellotta – impone una profonda riflessione politica: il tempo della manutenzione ordinaria per il SSN è ormai scaduto, visto che ne ha sgretolato i princìpi fondanti e mina il diritto costituzionale alla tutela della Salute. È giunto ora il tempo delle scelte: o si avvia una stagione di coraggiose riforme e investimenti in grado di restituire al SSN la sua missione originale, oppure si ammetta apertamente che il nostro Paese non può più permettersi quel modello di SSN. In questo (non auspicabile) caso la politica non può sottrarsi dal gravoso compito di governare un rigoroso processo di privatizzazione, che ormai da anni si sta insinuando in maniera strisciante approfittando dell’indebolimento della sanità pubblica. La Fondazione GIMBE, con il Piano di Rilancio del SSN, conferma che la bussola deve rimanere sempre e comunque l’articolo 32 della Costituzione: perché se la Costituzione tutela il diritto alla salute di tutti, la sanità deve essere per tutti».

Il Presidente ha riportato una sintesi di dati, analisi, criticità e proposte contenute nel Rapporto: dal finanziamento pubblico alla spesa sanitaria, dai Livelli Essenziali di Assistenza alle diseguaglianze regionali e alla mobilità sanitaria, dal personale alla Missione Salute del PNRR, sino al Piano di Rilancio del SSN.

FINANZIAMENTO PUBBLICO. Il fabbisogno sanitario nazionale (FSN) dal 2010 al 2023 è aumentato complessivamente di € 23,3 miliardi, in media € 1,94 miliardi per anno, ma con trend molti diversi tra il periodo pre-pandemico (2010-2019), pandemico (2020-2022) e post-pandemico (2023), su cui «è opportuno rifare chiarezza – ha chiosato Cartabellotta – per documentare che tutti i Governi che si sono succeduti negli ultimi 15 anni hanno tagliato e/o non investito adeguatamente in sanità» (Figura 1).

  • 2010-2019: la stagione dei tagli. Alla sanità pubblica sono stati sottratti oltre € 37 miliardi di cui: circa € 25 miliardi nel 2010-2015, in conseguenza di “tagli” previsti da varie manovre finalizzate al risanamento della finanza pubblica; oltre € 12 miliardi nel periodo 2015-2019, in conseguenza del “definanziamento” che ha assegnato meno risorse al SSN rispetto ai livelli programmati. In 10 anni il FSN è aumentato complessivamente di € 8,2 miliardi, crescendo in media dello 0,9% annuo, tasso inferiore a quello dell’inflazione media annua (1,15%).
  • 2020-2022: la stagione della pandemia. Il FSN è aumentato complessivamente di € 11,2 miliardi, crescendo in media del 3,4% annuo. Tuttavia, questo netto rilancio del finanziamento pubblico è stato di fatto assorbito dai costi della pandemia COVID-19, non ha consentito rafforzamenti strutturali del SSN ed è stato insufficiente a tenere in ordine i bilanci delle Regioni.
  • 2023-2026: il presente e il futuro prossimo. La Legge di Bilancio 2023 ha incrementato il FSN per gli anni 2023, 2024 e 2025, rispettivamente di € 2.150 milioni, € 2.300 milioni e € 2.600 milioni. Nel 2023 € 1.400 milioni sono stati destinati alla copertura dei maggiori costi energetici. Dal punto di vista previsionale, nella Nota di Aggiornamento del DEF 2023, approvata lo scorso 27 settembre, il rapporto spesa sanitaria/PIL precipita dal 6,6% del 2023 al 6,2% nel 2024 e nel 2025, e poi ancora al 6,1% nel 2026. In termini assoluti, nel triennio 2024-2026 si stima un incremento della spesa sanitaria di soli € 4.238 milioni (+1,1%).
    Da rilevare che nel 2022 e nel 2023 l’aumento percentuale del FSN è stato inferiore a quello dell’inflazione: nel 2022 l’incremento del FSN è stato del 2,9% a fronte di una inflazione dell’8,1%, mentre nel 2023 l’inflazione al 30 settembre acquisita dall’ISTAT è del 5,7% a fronte di un aumento del FSN del 2,8% (Figura 2).

 

SPESA SANITARIA. La spesa sanitaria totale (sistema ISTAT-SHA) per il 2022 è pari a € 171.867 milioni di cui € 130.364 milioni di spesa pubblica (75,9%), € 36.835 milioni di spesa out-of-pocket (21,4%), ovvero a carico delle famiglie e € 4.668 milioni di spesa intermediata da fondi sanitari e assicurazioni (2,7%) (Figura 3). La spesa sanitaria pubblica del nostro Paese nel 2022 si attesta al 6,8% del PIL, sotto di 0,3 punti percentuali sia rispetto alla media OCSE (7,1%) che alla media europea (7,1%). Il gap con la media dei paesi europei dell’area OCSE è di $ 873 pro-capite ($ 873, pari a € 829) (Figura 4) che, tenendo conto di una popolazione residente ISTAT al 1° gennaio 2023 di oltre 58,8 milioni di abitanti, per l’anno 2022 corrisponde ad un gap di quasi $ 51,4 miliardi, pari a € 48,8 miliardi. Il progressivo aumento del gap della spesa sanitaria con la media dei paesi europei è perfettamente in linea con l’entità del definanziamento pubblico relativo al decennio 2010-2019, ma poi si è sorprendentemente ampliato nel triennio 2020-2022 durante l’emergenza pandemica. Complessivamente, rispetto alla media dei paesi europei, nel periodo 2010-2022 la spesa sanitaria pubblica italiana è stata inferiore di $ 363 miliardi (pari a € 345 miliardi) (Figura 5). E, per colmare il divario pro-capite con la media dei paesi europei attestato nel 2022 ($ 873, pari a € 829), al 2030 si stima un incremento totale di $ 122 miliardi (pari a € 115,9 miliardi), ovvero a partire dal 2023 un finanziamento costante di $ 15,25 miliardi, pari a € 14,49 miliardi per anno (Figura 6). «Se queste cifre da un lato sono palesemente irraggiungibili per la nostra finanza pubblica – ha commentato Cartabellotta – dall’altro forniscono la dimensione di quanto tutti i Governi abbiano utilizzato la spesa sanitaria come un bancomat, dirottando le risorse su altre priorità mirate a soddisfare il proprio elettorato. Considerando sempre la spesa sanitaria come un costo e mai come un investimento e ignorando che la salute e il benessere della popolazione condizionano la crescita del PIL».

LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA. L’obiettivo dichiarato di “continuo aggiornamento dei LEA, con proposta di esclusione di prestazioni, servizi o attività divenuti obsoleti e di inclusione di prestazioni innovative ed efficaci, al fine di mantenere allineati i LEA all’evoluzione delle conoscenze scientifiche” non è mai stato raggiunto. Il ritardo di oltre 6 anni e mezzo nell’approvazione del Decreto Tariffe ha reso impossibile sia ratificare i 29 aggiornamenti proposti dalla Commissione LEA, sia l’esigibilità delle prestazioni di specialistica ambulatoriale e di protesica inserite nei “nuovi LEA”. Queste ultime, ha spiegato il Presidente «nonostante la pubblicazione del DM Tariffe il 4 agosto 2023, rimarranno ancora in stand-by sino al 1° gennaio 2024 per la specialistica ambulatoriale e al 1° aprile 2024 per l’assistenza protesica». La sezione sul monitoraggio dei LEA analizza in dettaglio l’adempimento al mantenimento dei LEA, effettuata con la “griglia LEA” per il periodo 2010-2019 e tramite il Nuovo Sistema di Garanzia per gli anni 2020-2021. Tutte le analisi confermano una vera e propria “frattura strutturale” tra Nord e Sud: negli adempimenti cumulativi 2010-2019 nessuna Regione meridionale si posiziona tra le prime 10. Nel 2020 l’unica Regione del sud tra le 11 adempienti è la Puglia; nel 2021 delle 14 adempienti solo 3 sono del Sud: Abruzzo, Puglia e Basilicata (Figura 7). Sia nel 2020 che nel 2021 le Regioni meridionali sono ultime tra quelle adempienti. Il focus sulla mobilità sanitaria documenta che i flussi economici scorrono prevalentemente da Sud a Nord: in particolare nel 2020, Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto “cubano” complessivamente il 94,1% del saldo di mobilità attiva.

REGIONALISMO DIFFERENZIATO. La “frattura strutturale” tra Nord e Sud compromette l’equità di accesso ai servizi sanitari e gli esiti di salute e alimenta un imponente flusso di mobilità sanitaria dalle Regioni meridionali a quelle settentrionali. Di conseguenza, l’attuazione di maggiori autonomie in sanità, richieste proprio dalle Regioni con le migliori performance sanitarie e maggior capacità di attrazione, non potrà che amplificare le diseguaglianze registrate già con la semplice competenza concorrente in tema di tutela della salute. «Ecco perché – ha ribadito Cartabellotta – in audizione presso la 1a Commissione Affari Costituzionali del Senato della Repubblica abbiamo proposto di espungere la tutela della salute dalle materie su cui le Regioni possono richiedere maggiori autonomie, perché l’autonomia differenziata in sanità legittimerebbe normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute».

PERSONALE DIPENDENTE. «Le fonti disponibili – spiega Cartabellotta – non permettono di analizzare in maniera univoca, sistematica e aggiornata la reale “forza lavoro” del SSN impegnata nell’erogazione dei LEA. Inoltre, i dati relativi al 2021 verosimilmente sottostimano la carenza di personale, in conseguenza di licenziamenti volontari e pensionamenti anticipati negli anni 2022-2023. Ancora, le differenze regionali sono molto rilevanti, in particolare per il personale infermieristico, maggiormente sacrificato nelle Regioni in Piano di rientro. Infine, i benchmark internazionali relativi a medici e infermieri collocano il nostro Paese poco sopra la media OCSE per i medici e molto al di sotto per il personale infermieristico, restituendo di conseguenza un rapporto infermieri/medici tra i più bassi d’Europa».

  • Medici. Nel 2021 sono 124.506 i medici che lavorano nelle strutture sanitarie: 102.491 dipendenti del SSN e 22.015 dipendenti delle strutture equiparate al SSN. La media nazionale è di 2,11 medici per 1.000 abitanti, con un range che varia dagli 1,84 di Campania e Veneto a 2,56 della Toscana con un gap del 39,1% (Figura 8). L’Italia si colloca sopra la media OCSE (4,1 vs 3,7 medici per 1.000 abitanti), ma con un gap un rilevante tra i medici attivi e quelli in quota al SSN.
  • Infermieri. Nel 2021 sono 298.597 gli infermieri che lavorano nelle strutture sanitarie: 264.768 dipendenti del SSN e 33.829 dipendenti delle strutture equiparate al SSN. La media nazionale è di 5,06 per 1.000 abitanti, con un range che varia dai 3,59 della Campania ai 6,72 del Friuli Venezia Giulia con un gap dell’87,2% (Figura 9). L’Italia si colloca ben al di sotto della media OCSE (6,2 vs 9,9 per 1.000 abitanti).
  • Rapporto infermieri/medici. Nel 2021 il rapporto nazionale infermieri/medici tra il personale dipendente è di 2,4, con un range che varia dagli 1,83 della Sicilia ai 3,3 della Provincia autonoma di Bolzano, con un gap dell’80,3%. (Figura 10). Fatta eccezione per il Molise, le Regioni in Piano di rientro si trovano tutte sotto la media nazionale, dimostrando che le restrizioni di personale hanno colpito più il personale infermieristico che quello medico. L’Italia si colloca molto al di sotto della media OCSE (1,5 vs 2,7) per rapporto infermieri/medici, in Europa davanti solo a Spagna (1,4) e Lettonia (1,2).

 

PNRR MISSIONE SALUTE

  • Criticità di implementazione. Sono in larga parte relative alla riorganizzazione prevista dal DM 77/2022: dalle differenze regionali (modelli organizzativi dell’assistenza territoriale, dotazione iniziale di case di comunità e ospedali di comunità, percentuale di over 65 in assistenza domiciliare nel 2019, attuazione del fascicolo sanitario elettronico) al fabbisogno di personale per il potenziamento dell’assistenza territoriale; dalle modalità di coinvolgimento di medici e pediatri di famiglia alla carenza di personale infermieristico; dagli ostacoli all’attuazione della telemedicina al carico amministrativo di Regioni e Aziende sanitarie.
  • Stato di attuazione. I target europei sono stati tutti raggiunti entro le scadenze fissate. Dei target italiani, che rappresentano scadenze intermedie, relativi al 2023 sono state differite le scadenze per 1 milestone e 7 target. Rispetto allo stato di avanzamento sulle strutture da realizzare, secondo il monitoraggio Agenas al 30 giugno 2023 sono funzionalmente attive 187/1.430 Case di Comunità, 77/611 Centrali Operative Territoriali e 76/434 Ospedali di Comunità. «Complessivamente – ha commentato il Presidente – il monitoraggio conferma il netto ritardo delle Regioni del Sud».
  • Proposte di rimodulazione. Vengono sintetizzate e valutate le proposte di rimodulazione del PNRR presentate il 27 luglio 2023 alla Commissione Europea (attualmente non ancora ratificate) in ragione dell’aumento dei costi dell’investimento e/o dei tempi di attuazione oltre che dei ritardi nelle forniture e delle difficoltà legate all’approvvigionamento di materie prime. Complessivamente si propone di espungere 414 Case di Comunità, 76 Centrali Operative Territoriali, 96 ospedali di Comunità e 22 interventi di anti-sismica. Vengono anche richiesti tre differimenti temporali delle scadenze: 6 mesi per le Centrali Operative Territoriali, 12 mesi per il target delle persone assistite in ADI con strumenti di telemedicina e per l’ammodernamento parco tecnologico e digitale ospedaliero. «Le analisi effettuate sulle proposte di rimodulazione – ha commentato Cartabellotta – rilevano alcune criticità: in particolare sembra poco realistica la possibilità di finanziare le strutture espunte con i fondi per la ristrutturazione edilizia e ammodernamento tecnologico (ex. art. 20) non spesi dalle Regioni».

 

«Se è certo che la Missione Salute del PNRR rappresenta una grande opportunità per potenziare il SSN – ha sottolineato Cartabellotta – la sua attuazione deve essere sostenuta da azioni politiche. Innanzitutto, per attuare il DM 77 bisogna mettere in campo coraggiose riforme di sistema, finalizzate in particolare a ridisegnare ruolo e responsabilità dei medici di famiglia e facilitare l’integrazione con l’infermiere di famiglia; in secondo luogo, servono investimenti certi e vincolati per il personale sanitario dal 2027, oltre che un’adeguata rivalutazione del fabbisogno di personale infermieristico; infine, occorre una rigorosa governance delle Regioni per colmare i gap esistenti. Ma soprattutto la politica, oltre a credere nell’impianto della Missione Salute, deve inserirlo in un quadro di rafforzamento complessivo del SSN: altrimenti indebiteremo le generazioni future per finanziare solo un costoso “lifting” del SSN».

La Fondazione GIMBE ha da sempre ribadito che, se da un lato non esiste un piano occulto di smantellamento e privatizzazione del SSN, dall’altro manca un esplicito programma politico per il suo potenziamento. Al fine di orientare le decisioni politiche, il Rapporto contiene il Piano di rilancio del Servizio Sanitario Nazionale, «finalizzato – spiega Cartabellotta – all’attuazione di riforme e innovazioni di rottura per il rilancio definitivo di un pilastro fondante della nostra democrazia».

  • LA SALUTE IN TUTTE LE POLITICHE. Mettere la salute al centro di tutte le decisioni politiche non solo sanitarie, ma anche ambientali, industriali, sociali, economiche e fiscali (health in all).
  • APPROCCIO ONE HEALTH. Attuare un approccio integrato alla gestione della salute, perché la salute dell’uomo, degli animali, delle piante e dell’ambiente, ecosistemi inclusi, sono strettamente interdipendenti.
  • GOVERNANCE STATO-REGIONI. Rafforzare le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni, nel rispetto delle loro autonomie, per ridurre diseguaglianze, iniquità e sprechi.
  • FINANZIAMENTO PUBBLICO. Rilanciare il finanziamento pubblico per la sanità in maniera consistente e stabile, al fine di allinearlo alla media dei paesi europei.
  • LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA. Garantire l’uniforme esigibilità dei LEA in tutto il territorio nazionale, il loro aggiornamento continuo e rigoroso monitoraggio, al fine di ridurre le diseguaglianze e rendere rapidamente accessibili le innovazioni.
  • PROGRAMMAZIONE, ORGANIZZAZIONE E INTEGRAZIONE DEI SERVIZI SANITARI E SOCIO-SANITARI. Programmare l’offerta di servizi sanitari in relazione ai bisogni di salute della popolazione e renderla disponibile tramite reti integrate che condividono percorsi assistenziali, tecnologie e risorse umane, al fine di superare la dicotomia ospedale-territorio e quella tra assistenza sanitaria e sociale.
  • PERSONALE SANITARIO. Rilanciare le politiche sul capitale umano in sanità: investire sul personale sanitario, programmare adeguatamente il fabbisogno di medici, specialisti e altri professionisti sanitari, riformare i processi di formazione e valutazione delle competenze, al fine di valorizzare e motivare la colonna portante del SSN.
  • SPRECHI E INEFFICIENZE. Ridurre gli sprechi e le inefficienze che si annidano a livello politico, organizzativo e professionale, al fine di reinvestire le risorse recuperate in servizi essenziali e vere innovazioni, aumentando il value della spesa sanitaria.
  • RAPPORTO PUBBLICO-PRIVATO. Disciplinare l’integrazione pubblico-privato secondo i reali bisogni di salute della popolazione e regolamentare la libera professione per evitare diseguaglianze e iniquità di accesso. 
  • SANITÀ INTEGRATIVA. Avviare un riordino legislativo della sanità integrativa al fine di arginare fenomeni di privatizzazione, aumento delle diseguaglianze, derive consumistiche ed erosione di risorse pubbliche.
  • TICKET E DETRAZIONI FISCALI. Rimodulare ticket e detrazioni fiscali per le spese sanitarie, secondo princìpi di equità sociale e prove di efficacia di farmaci e prestazioni, al fine di evitare sprechi di denaro pubblico e ridurre il consumismo sanitario.
  • TRANSIZIONE DIGITALE. Diffondere la cultura digitale e promuovere le competenze tecniche tra professionisti sanitari e cittadini, al fine di massimizzare le potenzialità delle tecnologie digitali e di migliorare accessibilità ed efficienza in sanità e minimizzare le diseguaglianze.
  • INFORMAZIONE AI CITTADINI. Potenziare l’informazione istituzionale basata sulle migliori evidenze scientifiche, al fine di promuovere sani stili di vita, ridurre il consumismo sanitario, aumentare l’alfabetizzazione sanitaria della popolazione, contrastare le fake news e favorire decisioni informate sulla salute.
  • RICERCA SANITARIA. Destinare alla ricerca clinica indipendente e alla ricerca sui servizi sanitari un importo pari ad almeno il 2% del fabbisogno sanitario nazionale standard, al fine di produrre evidenze scientifiche per informare scelte e investimenti del SSN.

 

La versione integrale del 6° Rapporto GIMBE è disponibile a: www.salviamo-ssn.it/6-rapporto


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3 ottobre 2023
NaDEF 2023: sanità pubblica verso il baratro. Crolla il rapporto spesa sanitaria/PIL: dal 6,6% nel 2023, al 6,2% nel 2024, al 6,1% nel 2026. Nel triennio 2024-2026 la spesa sanitaria aumenta solo dell’1,1%

Nella Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (NaDEF) 2023, deliberata il 27 settembre 2023 e resa pubblica il 30 settembre, relativamente alla sanità, si legge che “La Legge di Bilancio 2024 prevederà, per il triennio 2024-2026, stanziamenti da destinare al personale del sistema sanitario”. Inoltre, il Governo dichiara collegati alla decisione di bilancio due disegni di legge: il primo in materia di riorganizzazione e potenziamento dell’assistenza territoriale nel SSN e dell’assistenza ospedaliera; il secondo in materia di riordino delle professioni sanitarie e degli enti vigilati dal Ministero della Salute.

«Alla vigilia della discussione della Legge di Bilancio 2024 – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – la Fondazione GIMBE ha effettuato un’analisi indipendente della NaDEF 2023 relativamente alla spesa sanitaria, sia per verificare la coerenza tra dichiarazioni programmatiche e stime tendenziali, sia per informare confronto politico e dibattito pubblico in vista della discussione sulla Manovra».

Analisi NaDEF 2023. In dettaglio, analizzando i vari periodi (tabella 1):

  • Previsionale 2023. Rispetto al 2022, la spesa sanitaria aumenta del 2,8%, in termini assoluti di € 3.631 milioni, ma si riduce dal 6,7% al 6,6% in termini di percentuale di PIL.
  • Previsionale 2024-2026. A fronte di una crescita media annua del PIL nominale del 3,5%, la NaDEF 2023 stima la crescita media della spesa sanitaria all’1,1%. Il rapporto spesa sanitaria/PIL precipita dal 6,6% del 2023 al 6,2% nel 2024 e nel 2025, e poi ancora al 6,1% nel 2026. Rispetto al 2023, in termini assoluti la spesa sanitaria nel 2024 scende a € 132.946 milioni (-1,3%), per poi risalire nel 2025 a € 136.701 milioni (+2,8%) e a € 138.972 milioni (+1,7%) nel 2026. «È del tutto evidente – commenta Cartabellotta – che l’irrisorio aumento della spesa sanitaria di € 4.238 milioni (+1,1%) nel triennio 2024-2026 non basterà a coprire nemmeno l’aumento dei prezzi, sia per l’erosione dovuta all’inflazione, sia perché l’indice dei prezzi del settore sanitario è superiore all’indice generale di quelli al consumo». In altri termini, le stime previsionali della NaDEF 2023 sulla spesa sanitaria 2024-2026 non lasciano affatto intravedere investimenti da destinare al personale sanitario, ma certificano piuttosto evidenti segnali di definanziamento. In particolare il 2024, lungi dall’essere l’anno del rilancio, segna un preoccupante -1,3%.

Confronto NaDEF 2023 vs DEF 2023. Relativamente al periodo 2023-2026, rispetto alle stime del DEF 2023, in quelle della NaDEF 2023, la spesa sanitaria in termini assoluti aumenta di soli € 1.140 milioni (+0,4%) e in termini di percentuale del PIL si riduce dello 0,3% (tabella 2). In dettaglio:

  • Nel 2023 la spesa sanitaria si riduce di:
    • 0,1% in termini di percentuale del PIL
    • € 1.309 milioni (€ 134.734 milioni vs € 136.043) in termini assoluti
    • 1% in termini di variazione percentuale
  • Nel triennio 2024-2026 la spesa sanitaria:
    • si riduce complessivamente dello 0,2% in termini di percentuale di PIL
    • aumenta di € 2.449 milioni (in media € 816 milioni/anno) in termini assoluti
    • aumenta di 1,4 punti percentuali (in media di 0,47 per anno) in termini di variazione percentuale

Complessivamente le stime della NaDEF 2023 confermano che la sanità rimane la “cenerentola” dell’agenda politica per varie ragioni. Innanzitutto, il rapporto spesa sanitaria/PIL del 6,7% del 2022 scende al 6,6% nel 2023 e continuerà a calare negli anni successivi, sino a raggiungere il 6,1% nel 2026, un valore inferiore a quello pre-pandemico del 2019 (6,4%); in secondo luogo, nel triennio 2024-2026 la NaDEF stima una crescita media annua del PIL nominale del 3,5%, a fronte dell’1,1% di quella della spesa sanitaria, ovvero un investimento che impegna meno di 1/3 della crescita attesa del PIL; infine, nonostante le dichiarazioni programmatiche sugli stanziamenti 2024-2026 da destinare al personale del SSN, la NaDEF 2023 non fa alcun cenno alla graduale abolizione del tetto di spesa per il personale sanitario, priorità assoluta per rilanciare le politiche del capitale umano. «I numeri della NaDEF 2023 – chiosa Cartabellotta – certificano che, in linea con i Governi degli ultimi 15 anni, la sanità pubblica non rappresenta affatto una priorità politica neppure per l’attuale Esecutivo».

«Se a parole la NaDEF 2023 afferma l’intenzione di stanziare risorse per il rilancio del personale sanitario nel prossimo triennio – conclude Cartabellotta – i numeri non lasciano intravedere affatto i fondi necessari, ma viceversa documentano segnali di definanziamento della sanità pubblica ancor più evidenti di quelli del DEF 2023, le cui stime previsionali sulla spesa sanitaria sono state riviste al ribasso. Oggi la grave crisi di sostenibilità del SSN non garantisce più alla popolazione equità di accesso alle prestazioni sanitarie con pesanti conseguenze sulla salute delle persone e sull’aumento della spesa privata. A fronte di questo scenario, le stime NaDEF 2023 spingono la sanità pubblica sull’orlo del baratro, confermando che il rilancio del SSN non rappresenta una priorità politica nell’allocazione delle, pur limitate, risorse. Scivolando, lentamente ma inesorabilmente, da un Servizio Sanitario Nazionale basato sulla tutela di un diritto costituzionale, a 21 sistemi sanitari regionali basati sulle regole del libero mercato. E, ignorando, rispetto ad altri paesi, che lo stato di salute e benessere della popolazione condiziona la crescita del PIL: perché chi è malato non produce, non consuma e, spesso, limita anche l’attività lavorativa dei propri familiari».


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19 settembre 2023
Coronavirus: l’infezione corre di nuovo e colpisce fragili e over 80. In 4 settimane salgono i contagi (da 5.889 a 30.777) e i ricoveri in area medica sono più che triplicati (da 697 a 2.378). Necessario avviare subito la campagna vaccinale per prevenire il sovraccarico delle strutture sanitarie. Il vero rischio è la tenuta della sanità pubblica, oggi profondamente indebolita

Dopo circa due mesi di sostanziale stabilità del numero dei nuovi casi settimanali – che tra metà giugno e metà agosto hanno oscillato tra 3.446 (6-12 luglio) e 6.188 (3-9 agosto) – da 4 settimane consecutive si rileva una progressiva ripresa della circolazione virale. Infatti, dalla settimana 10-16 agosto a quella 7-13 settembre il numero dei nuovi casi settimanali è aumentato da 5.889 a 30.777, il tasso di positività dei tamponi dal 6,4% al 14,9% (figura 1), la media mobile a 7 giorni da 841 casi/die è salita a 4.397 casi/die (figura 2), l’incidenza da 6 casi per 100 mila abitanti (settimana 6-12 luglio) ha raggiunto 52 casi per 100 mila abitanti. «Numeri sì bassi – commenta Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – ma anche ampiamente sottostimati rispetto al reale impatto della circolazione virale perché il sistema di monitoraggio, in particolare dopo l’abrogazione dell’obbligo di isolamento per i soggetti positivi con il DL 105/2023, di fatto poggia in larga misura su base volontaria. Infatti, da un lato la prescrizione di tamponi nelle persone con sintomi respiratori è ormai residuale (undertesting), dall’altro con l’ampio uso dei test antigenici fai-da-te la positività viene comunicata solo occasionalmente ai servizi epidemiologici (underreporting)».

Analizzando più in dettaglio, nelle ultime 4 settimane la circolazione virale risulta aumentata in tutte le Regioni e Province autonome: nella settimana 7-13 settembre l’incidenza dei nuovi casi per 100 mila abitanti oscilla dai 14 Basilicata agli 83 del Veneto (tabella 1) (non considerando il dato anomalo della Sicilia, dove nelle ultime 3 settimane viene riportata una incidenza di 3-4 casi per 100 mila abitanti). Secondo l’ultimo Aggiornamento nazionale dei dati della Sorveglianza Integrata COVID-19 dell’Istituto Superiore di Sanità, rispetto alla distribuzione per fasce di età, fatta eccezione per la fascia 0-9 anni in cui si registrano 22 casi per 100 mila abitanti, l’incidenza aumenta progressivamente con le decadi: da 10 casi per 100 mila abitanti nella fascia 10-19 anni a 78 per 100 mila abitanti nella fascia 70-89 anni, fino a 83 per 100 mila abitanti negli over 90. «Una distribuzione – spiega il Presidente – che riflette la maggiore attitudine al testing con l’aumentare dell’età, confermando i fattori di sottostima della circolazione virale».

Varianti. Le varianti circolanti appartengono tutte alla “famiglia” Omicron. Nell’ultimo report dell’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) del 7 settembre 2023 non vengono segnalate “varianti di preoccupazione”, ma solo “varianti di interesse”.  In Italia, l’ultima indagine rapida dell’ISS, effettuata su campioni notificati dal 21 al 27 agosto 2023, riporta come prevalente (41,9%) la variante EG.5 (cd. Eris), in rapido aumento in Europa, Stati Uniti e Asia. «Le evidenze disponibili – spiega il Presidente – dimostrano che Eris ha una maggior capacità evasiva alla risposta immunitaria, da vaccinazione o infezione naturale, che ne favorisce la rapida diffusione. Sul maggior rischio di malattia grave di Eris ad oggi non ci sono studi». La prossima indagine rapida dell’ISS, secondo quanto indicato dalla circolare del 15 settembre 2023, sarà effettuata su campioni raccolti nella settimana 18-24 settembre.

Reinfezioni. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, la percentuale di infezioni riportate in soggetti con almeno un’infezione pregressa (reinfezioni) è lievemente aumentata nelle ultime settimane, per poi stabilizzarsi intorno al 39%.

Ospedalizzazioni. In area medica, dopo aver raggiunto il minimo (697) il 16 luglio, i posti letto occupati in area medica sono più che triplicati (2.378), mentre in terapia intensiva dal minimo (18) del 21 luglio sono saliti a quota 76 (figura 3). Rispettivamente i tassi nazionali di occupazione sono del 3,8% e dello 0,9% (tabella 1). «Se in terapia intensiva – spiega il Presidente – i numeri sono veramente esigui dimostrando che oggi l’infezione da Sars-CoV-2 solo raramente determina quadri severi, l’incremento dei posti letto occupati in area medica conferma che nelle persone anziane, fragili e con patologie multiple può aggravare lo stato di salute richiedendo ospedalizzazione e/o peggiorando la prognosi delle malattie concomitanti». Infatti, il tasso di ospedalizzazione in area medica cresce con l’aumentare dell’età: in particolare, passa da 17 per milione di abitanti nella fascia 60-69 anni a 37 per milione di abitanti nella fascia 70-79 anni, a 97 per milione di abitanti nella fascia 80-89 anni e a 145 per milione di abitanti negli over 90.

Decessi. Sono più che raddoppiati nelle ultime 4 settimane: da 44 nella settimana 17-23 agosto a 99 nella settimana 7-13 settembre (figura 4). Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, i decessi risultano quasi esclusivamente a carico degli over 80, con 28 decessi per milione di abitanti su 31 decessi per milione di abitanti in tutte le fasce di età.

Campagna vaccinale. Il 1° settembre 2023 è stato interrotto l’aggiornamento della dashboard sulla campagna vaccinale. Di conseguenza, non è possibile riportare aggiornamenti periodici, ma solo rilevare che di fatto la somministrazione dei vaccini è sostanzialmente residuale, sia come ciclo primario sia come richiami (figura 5).

Le indicazioni preliminari per la campagna di vaccinazione anti-COVID-19 2023-2024 sono contenute nella Circolare del Ministero della Salute del 14 agosto. «In dettaglio – spiega Cartabellotta – viene raccomandato un richiamo annuale con la formulazione aggiornata monovalente XBB 1.5, già approvata da EMA. La somministrazione dovrà essere effettuata a distanza di almeno 3 mesi dall'ultimo richiamo (indipendentemente dal numero di richiami effettuati) o dall’ultima infezione diagnosticata». L’obiettivo è quello di prevenire la mortalità, le ospedalizzazioni e le forme gravi di COVID-19 nelle persone anziane e con elevata fragilità, oltre a proteggere le donne in gravidanza e gli operatori sanitari. In dettaglio, le categorie a cui è raccomandato il richiamo sono:

  • Persone di età pari o superiore a 60 anni
  • Ospiti delle strutture per lungodegenti
  • Donne gravide e nel periodo post-partum, incluse le donne che allattano
  • Operatori sanitari e sociosanitari addetti all’assistenza negli ospedali, nel territorio e nelle strutture di lungodegenza; studenti di medicina, delle professioni sanitarie che effettuano tirocini in strutture assistenziali e tutto il personale sanitario e sociosanitario in formazione
  • Persone dai 6 mesi ai 59 anni di età, con elevata fragilità, in quanto affette da patologie o con condizioni che aumentano il rischio di COVID-19 grave identificate dalla circolare

La vaccinazione viene inoltre consigliata a familiari e conviventi di persone con gravi fragilità.

Se la Circolare del 14 agosto prevedeva di iniziare la campagna vaccinale anti-COVID-19 in concomitanza con quella antinfluenzale, ieri il Ministro Schillaci ha invitato le Regioni a iniziare per le categorie più a rischio la campagna vaccinale a fine settembre.

«Pur condividendo la linea di raccomandare il richiamo alle persone a rischio, alle donne in gravidanza e agli operatori sanitari – commenta il Presidente – vanno rilevate tre criticità da tenere in considerazione per l’eventuale aggiornamento delle raccomandazioni. Innanzitutto, la circolare non menziona la possibilità di effettuare il richiamo su base volontaria per le categorie non a rischio; in secondo luogo le raccomandazioni non hanno tra gli obiettivi la prevenzione del long-COVID, il cui impatto sanitario e sociale inizia ad essere ben evidente nei paesi che, a differenza del nostro, lo stanno valutando in maniera sistematica; infine, le tempistiche programmate dalla circolare – per l’attesa del vaccino aggiornato e l’allineamento con la campagna anti-influenzale – sono troppo lunghe. Infatti, la progressiva ripresa della circolazione virale a partire da fine agosto e la certezza che quasi tutti gli over 80 e i fragili non hanno effettuato alcun richiamo negli ultimi tre mesi, stanno già avendo un impatto sulla loro salute». Infatti, dal 2 giugno al 31 agosto (ultimo dato disponibile) agli over 80 sono state somministrate 827 quarte dosi e 2.156 quinte dosi: è evidente l’urgenza di avviare quanto prima la campagna vaccinale per questa fascia di età e più in generale per i fragili.

«I dati – conclude Cartabellotta – confermano nel nostro Paese una progressiva ripresa della circolazione virale, peraltro largamente sottostimata, dovuta a fattori concomitanti: emergenza di una variante immunoevasiva, progressiva riduzione dell’immunità da vaccino o da infezione naturale e sostanziale assenza di misure di protezione individuale. D’altra parte i dati su ospedalizzazioni in area medica e i decessi confermano che la malattia grave colpisce prevalentemente fasce di età avanzate della popolazione, oltre che soggetti fragili, ai quali è già indirizzata prioritariamente la campagna vaccinale 2023-2024. Alla luce del quadro epidemiologico, della percentuale di reinfezioni, dell’efficacia dei vaccini sulla malattia grave e delle rilevanti criticità che condizionano l’erogazione dei servizi sanitari, in particolare per la grave carenza di personale, la Fondazione GIMBE ritiene fondamentale prevenire ogni forma di sovraccarico da COVID nelle strutture sanitarie territoriali e ospedaliere. In tal senso, invita le Istituzioni a mettere in atto tutte le azioni necessarie per proteggere anziani e fragili, incluso fornire raccomandazioni per gli operatori sanitari positivi asintomatici, oltre a rimettere in campo - se necessario - le misure di contrasto alla diffusione del virus. Alla popolazione rivolge l’invito a mantenere comportamenti responsabili: perché nel prossimo autunno-inverno il vero rischio reale del COVID-19 è quello di compromettere la tenuta del Servizio Sanitario Nazionale, oggi profondamente indebolito e molto meno resiliente, in particolare per la grave carenza di personale sanitario».

Il monitoraggio GIMBE della pandemia COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org


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15 settembre 2023
Fondazione GIMBE. Fondi sanitari e welfare aziendale: deregulation e scarsa trasparenza li hanno resi strumenti di privatizzazione e sostitutivi della sanità pubblica. Per GIMBE inderogabile un riordino normativo

Si è tenuta ieri, presso la 10a Commissione Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale del Senato della Repubblica l’audizione della Fondazione GIMBE nell’ambito dell’“Indagine conoscitiva su forme integrative di previdenza e assistenza sanitaria”.

«A fronte di un netto aumento degli iscritti ai fondi sanitari e dell’espansione del cosiddetto “secondo pilastro” – ha esordito Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – il settore della sanità integrativa, che include le forme di welfare aziendale, è tra i meno trasparenti della sanità».  Infatti, da un lato l’Anagrafe dei Fondi Sanitari Integrativi (FSI) istituita presso il Ministero della Salute non è pubblicamente accessibile, dall’altro solo dal 2018 il Dicastero pubblica un report, peraltro basato su un dataset molto limitato. E se il recente avvio dell’Osservatorio nazionale permanente dei fondi sanitari integrativi (DM 15 settembre 2022) è un primo passo verso una maggiore trasparenza, ha ricordato il Presidente, «l’implementazione del nuovo cruscotto di dati sarà sperimentale fino al 2024, e solo dal 2025 sarà obbligatorio per i fondi sanitari fornire i dati richiesti, pena l’impossibilità d’iscriversi all’Anagrafe dei FSI per fruire dei benefici fiscali».

«Le potenzialità dei fondi sanitari nel fornire prestazioni integrative e ridurre la spesa a carico dei cittadini – ha spiegato Cartabellotta – oggi sono poi sempre più compromesse da una normativa frammentata e incompleta, una deregulation che ha permesso da un lato ai FSI di diventare prevalentemente sostitutivi di prestazioni già incluse nei livelli essenziali di assistenza (LEA) mantenendo le agevolazioni fiscali, dall’altro alle compagnie assicurative di assumere il ruolo di gestori dei fondi in un ecosistema creato per enti non-profit, dirottando gli iscritti ai fondi verso erogatori privati». Infatti, se da un lato i FSI convenzionati con una compagnia assicurativa sono aumentati dal 55% nel 2013 all’85% nel 2017, dall’altro l’erogazione delle prestazioni rimborsate dai fondi avviene quasi esclusivamente in strutture private accreditate, grazie agli accordi messi in campo dalle assicurazioni che gestiscono i FSI. «A normativa vigente – ha precisato Cartabellotta – di fatto il sistema dei FSI, grazie alla defiscalizzazione di cui beneficiano, sposta denaro pubblico verso l’intermediazione assicurativo-finanziaria e la sanità privata, trasformandosi progressivamente in uno strumento di strisciante privatizzazione. Un sistema su cui poggiano anche le prestazioni sanitarie erogate nell’ambito del cosiddetto welfare aziendale, che usufruisce di ulteriori benefici fiscali».

Nel corso dell’audizione il Presidente ha esposto i dati provenienti da varie fonti: 2° Reporting System del Ministero della Salute, Decimo Report di Itinerari Previdenziali, ANIA, ISTAT, OCSE:

  • Nel 2022 la spesa sanitaria intermediata da fondi e assicurazioni secondo i dati ISTAT-SHA ammonta a quasi € 4,7 miliardi; tuttavia il dataset, se da un lato esclude esplicitamente i FSI, dall’altro in parte finisce per ricomprenderli visto che include le polizze collettive attraverso le quali i fondi sono ri-assicurati. «Ovvero la spesa intermediata da fondi e assicurazioni sanitarie appare sottostimata – ha commentato il Presidente – in quanto la sua entità e composizione non sono quantificabili con precisione perché i dati, frammentati e incompleti, provengono da fonti multiple, in parte sovrapponibili».
  • Le stime di Itinerari Previdenziali riportano per il 2021 l’esistenza di 321 fondi sanitari e casse con oltre 15,6 milioni di iscritti (Figura 1).
  • Le stime del Decimo Report di Itinerari Previdenziali riportano, complessivamente, una “marginalità” di quasi € 500 milioni: infatti, nel 2022 a fronte di € 2.862 milioni di quote versate dagli iscritti, i fondi hanno erogato prestazioni per € 2.370 milioni (Figura 2).
  • A normativa vigente, i FSI aumentano la spesa privata totale, senza ridurre quella a carico dei cittadini per tre ragioni. Innanzitutto, almeno il 30% dei premi versati non genera servizi per gli iscritti perché viene eroso da costi amministrativi, fondo di garanzia (o oneri di ri-assicurazione) e utili delle compagnie assicurative. In secondo luogo, perché inducono consumi di prestazioni inappropriate, in particolare sotto forma di “pacchetti prevenzione” privi di evidenze scientifiche, senza fornire un contributo sostanziale all’abbattimento delle liste di attesa. Infine, perché le prestazioni extra-LEA (odontoiatria, long term care) che gravano interamente sui cittadini vengono coperte solo parzialmente.
  • A fronte di consistenti benefici fiscali concessi agli iscritti ai FSI (sino a € 3.615,20 di deducibilità per contribuente) «è inaccettabile che non sia nota – ha ribadito il Presidente – l’entità del mancato gettito per l’erario conseguente alle agevolazioni riconosciute a FSI e al welfare aziendale».
  • Secondo i dati del Rapporto 2022 del think tank “Welfare, Italia”, i FSI sono molto più diffusi al Nord, ovvero il 60% del totale «perché legati ai contratti di lavoro – ha spiegato Cartabellotta – e va sfatata pertanto l’idea che nel Mezzogiorno i FSI possano integrare le prestazioni che lo Stato non riesce a offrire. Siamo di fronte a una frattura Nord-Sud che non si riesce a sanare».

«Ecco perché è inderogabile un riordino normativo – ha concluso Cartabellotta esponendo alla Commissione gli spunti di riforma elaborati dalla Fondazione GIMBE – idealmente un Testo unico in grado di restituire alla sanità integrativa il suo ruolo, ovvero rimborsare prevalentemente prestazioni non incluse nei LEA per riappropriarsi della funzione di supporto al Servizio Sanitario Nazionale. Le prestazioni sostitutive erogate dai FSI non dovrebbero più usufruire di detrazioni fiscali, perché alimentano business privati e derive consumistiche, e le risorse recuperate devono essere indirizzate al finanziamento della sanità pubblica. Infine, bisogna assicurare una governance nazionale dei fondi sanitari, oggi minacciata dal regionalismo differenziato, e garantire a tutti gli operatori del settore le condizioni per una sana competizione».

 

Il video integrale dell’audizione è disponibile a: https://youtu.be/kZDdbgkgW4E


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5 settembre 2023
Spesa sanitaria 2022: Italia sotto media OCSE. In Europa 16a per spesa pro-capite: rispetto alla media un baratro di € 47,6 miliardi. Nel G7 fanalino di coda con gap ormai incolmabili. Verso la manovra: senza rilancio del finanziamento pubblico addio al diritto alla tutela della salute

L’imponente sotto-finanziamento, la progressiva carenza di personale sanitario, i modelli organizzativi obsoleti, l’incapacità di ridurre le diseguaglianze e l’inevitabile avanzata del privato hanno determinato la progressiva erosione del diritto costituzionale alla tutela della salute, in particolare nelle Regioni del Sud. «I princìpi fondamentali del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – universalità, uguaglianza, equità, sono stati traditi e oggi sono ben altre le parole chiave del nostro SSN: infinite liste di attesa, affollamento dei pronto soccorsi, aumento della spesa privata, diseguaglianze di accesso alle prestazioni, inaccessibilità alle innovazioni, migrazione sanitaria, rinuncia alle cure».

In questo contesto, il tema del finanziamento pubblico per la sanità infiamma da mesi il dibattito politico, vista l’enorme difficoltà delle Regioni a garantire un’adeguata qualità dei servizi, la mancata erogazione da parte del Governo dei “ristori COVID” e, più in generale l’assenza del tema “sanità” dall’agenda dell’Esecutivo. «Per tale ragione – spiega Cartabellotta – con l’imminente Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (NaDEF) e, soprattutto, in vista della discussione sulla Legge di Bilancio 2024, la Fondazione GIMBE ha analizzato la spesa sanitaria pubblica nei paesi dell’OCSE al fine di fornire dati oggettivi utili al confronto politico e al dibattito pubblico ed evitare ogni forma di strumentalizzazione».

La fonte utilizzata è il database OECD Stat, aggiornato al 3 luglio 2023 con dati 2022 (o anno più recente disponibile) dei paesi dell’area OCSE: spesa sanitaria pubblica, sia in percentuale del PIL, che in $ pro-capite a prezzi correnti e parità di potere d’acquisto. La spesa sanitaria pubblica include per ciascun paese diversi schemi di finanziamento, di cui uno solitamente prevalente: fiscalità generale (es. Italia, Regno Unito), assicurazione sociale obbligatoria (es. Germania, Francia), assicurazione privata obbligatoria (es. USA, Svizzera).

Spesa sanitaria pubblica in percentuale del PIL. La spesa sanitaria pubblica del nostro Paese nel 2022 si attesta al 6,8% del PIL, sotto di 0,3 punti percentuali sia rispetto alla media OCSE del 7,1% che alla media europea del 7,1%. Sono 13 i Paesi dell’Europa che in percentuale del PIL investono più dell’Italia, con un gap che va dai +4,1 punti percentuali della Germania (10,9% del PIL) ai +0,3 dell’Islanda (7,1% del PIL) (figura 1).

Spesa sanitaria pubblica pro-capite. In Italia, anche la spesa sanitaria pubblica pro-capite nel 2022, pari a $ 3.255, rimane al di sotto sia della media OCSE ($ 3.899) con una differenza di $ 644, sia della media dei paesi europei ($ 4.128) con una differenza di $ 873. E in Europa sono ben 15 paesi a investire più di noi in sanità, con un gap che va dai +$ 583 della Repubblica Ceca ($ 3.838) ai +$ 3.675 della Germania ($ 6.930) (figura 2). Il gap con i paesi europei si è ampliato progressivamente dal 2010, a seguito di tagli e definanziamento pubblico, sino a raggiungere $ 590 nel 2019; poi si è ulteriormente esteso negli anni della pandemia quando, a fronte di un netto incremento della spesa sanitaria in Italia, gli altri paesi europei hanno comunque investito più del nostro (figura 3). «Al cambio corrente dollaro/euro – precisa Cartabellotta – il gap con la media dei paesi europei dell’area OCSE oggi ammonta ad oltre € 808 pro-capite che, tenendo conto di una popolazione residente ISTAT al 1° gennaio 2023 di oltre 58,8 milioni di abitanti, si traduce nella cifra monstre di oltre € 47,6 miliardi».

Trend 2008-2022 della spesa sanitaria pro-capite nel G7. Impietoso il confronto con gli altri paesi del G7 sul trend della spesa pubblica 2008-2022 (figura 4), da cui emergono alcuni dati di particolare rilievo. Innanzitutto, negli altri paesi del G7 (eccetto il Regno Unito) la crisi finanziaria del 2008 non ha minimamente scalfito la spesa pubblica pro-capite per la sanità: infatti dopo il 2008 il trend di crescita si è mantenuto o ha addirittura subìto un’impennata. In Italia, invece, il trend si è sostanzialmente appiattito dal 2008, lasciando il nostro Paese sempre in ultima posizione. In secondo luogo, spiega Cartabellotta «l’Italia tra i paesi del G7 è stata sempre ultima per spesa pubblica pro-capite: ma se nel 2008 le differenze con gli altri paesi erano modeste, con il costante e progressivo definanziamento pubblico degli ultimi 15 anni sono ormai divenute incolmabili». Infatti, nel 2008 tutti i Paesi del G7 destinavano alla spesa pubblica pro-capite una cifra compresa tra $ 2.000 e $ 3.500 e il nostro Paese era fanalino di coda insieme al Giappone; nel 2022 mentre l’Italia rimane ultima con una spesa pro-capite di $ 3.255, la Germania l’ha più che raddoppiata sfiorando i $ 7.000. Infine, commenta il Presidente «se per fronteggiare la pandemia tutti i Paesi del G7 hanno aumentato la spesa pubblica pro-capite dal 2019 al 2022, l’Italia è penultima poco sopra il Giappone». Ma soprattutto, dopo l’emergenza COVID-19 il gap con gli altri paesi europei del G7 continua a crescere: infatti, nel nostro Paese la spesa sanitaria pubblica nel 2022, rispetto al 2019, è aumentata di $ 625, quasi la metà di quella francese ($ 1.197) e 2,5 volte in meno di quella tedesca ($ 1.540) (tabella 1).

«I confronti internazionali sulla spesa sanitaria pubblica pro-capite relativi al 2022 – conclude Cartabellotta – confermano che l’Italia in Europa precede solo i paesi dell’Est (Repubblica Ceca esclusa), oltre a Spagna, Portogallo e Grecia. E tra i Paesi del G7, di cui nel 2024 avremo la presidenza, siamo fanalino di coda con gap ormai incolmabili, frutto della miopia della politica degli ultimi 20 anni che ha tagliato e/o non investito in sanità ignorando – a differenza di altri paesi – che il grado di salute e benessere della popolazione condizionano la crescita del PIL. Ovvero che la sanità pubblica è una priorità su cui investire continuamente e non un costo da tagliare ripetutamente. Ecco perché il nostro Paese ha urgente bisogno di invertire la rotta, con segnali già visibili nella NaDEF 2023 e, soprattutto, nella prossima Legge di Bilancio. Altrimenti sarà l’addio al diritto costituzionale alla tutela della salute».


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2 agosto 2023
Vaccinazioni pediatriche: nel 2021 in Italia coperture sotto soglia. Solo il Lazio centra l’obiettivo per tutte le vaccinazioni obbligatorie. Analisi GIMBE: i servizi vaccinali del territorio hanno retto l’impatto della pandemia

La pandemia COVID-19 ha determinato, negli anni 2020 e 2021, un ritardo rilevante nell’erogazione di servizi e prestazioni sanitarie, in particolare su interventi chirurgici programmati, screening oncologici, visite specialistiche ed esami diagnostici. Ritardo che le Regioni, nonostante i finanziamenti dedicati e la definizione dei Piani Operativi di Recupero con il Ministero della Salute, non sono ancora riuscite a colmare, come documentato da una recente analisi della Fondazione GIMBE.

«Considerato che sulle vaccinazioni pediatriche non è mai stata condotta nessuna analisi sistematica – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – abbiamo realizzato uno studio con l’obiettivo primario di valutare l’impatto della pandemia COVID-19 sulle coperture a 24 mesi delle vaccinazioni obbligatorie e raccomandate». Analizzando i dati pubblicati dal Ministero della Salute è stato effettuato un confronto delle coperture vaccinali nel 2020 rispetto al 2019 e nel 2021 rispetto al 2020 al fine di valutare l’impatto della pandemia COVID-19. Le analisi sono state effettuate sui seguenti vaccini:

  • Anti-poliomelite, utilizzato come indicatore rappresentativo per tutti i vaccini contenuti nella formulazione esavalente: anti-poliomielite, anti-difterite, anti-tetano, anti-pertosse, anti-epatite B, anti-haemophilus influenzae B;
  • Anti-morbillo, utilizzato come indicatore rappresentativo per tutti i vaccini contenuti nella formulazione trivalente: anti-morbillo, anti-parotite, anti-rosolia;
  • Anti-varicella;
  • Anti-pneumococco;
  • Anti-rotavirus;
  • Anti-meningococco B.

Non sono state analizzate le coperture relative all’anti-meningococco C e all’anti-meningococco ACWY in quanto la raccolta, trasmissione e reporting dei dati risultano eccessivamente eterogenei tra le Regioni.

Per la fascia d’età considerata (24 mesi) sono stati utilizzati i target raccomandati dal Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale 2017-2019 a partire dal 2019: ≥95% per tutte le vaccinazioni, ad eccezione dell’anti-rotavirus (≥ 75% nel 2019 e ≥ 95% dal 2020).

CONFRONTO DELLE COPERTURE VACCINALI 2020 VS 2019. A livello nazionale nel 2020, rispetto al 2019, si è osservata una riduzione generale delle coperture: anti-meningococco B (-2,68 punti percentuali), anti-morbillo (-1,79 punti percentuali), anti-pneumococco (-1,42 punti percentuali), anti-poliomelite (-0,99 punti percentuali), anti-varicella (-0,22 punti percentuali). In controtendenza, si rileva un netto incremento (+36,65 punti percentuali) per il vaccino anti-rotavirus (Tabella 1).

Vaccinazioni obbligatorie. Il vaccino anti-poliomielite mostra una riduzione della percentuale di vaccinati in 14 Regioni, con un decremento superiore a 2 punti percentuali in Abruzzo, Basilicata, Calabria e Liguria. Tra le Regioni in cui si osserva un incremento, la Valle d’Aosta è l’unica a raggiungere un aumento superiore a 2 punti percentuali. La riduzione delle coperture appare più marcata per la vaccinazione anti-morbillo, dove 18 Regioni mostrano un calo rispetto al 2019, con decrementi superiori a 2 punti percentuali in Abruzzo, Calabria, Liguria, Piemonte e Basilicata; registrano un incremento solo Sardegna (+0,31 punti percentuali), Provincia Autonoma di Bolzano (+1,59 punti percentuali) e Valle d’Aosta (+2,39 punti percentuali). Per la vaccinazione anti-varicella le coperture diminuiscono in 11 Regioni con Abruzzo, Lombardia, Molise e Liguria che registrano una riduzione superiore a 2 punti percentuali, mentre aumentano nelle restanti 10 Regioni, con Umbria, Sardegna, Provincia Autonoma di Bolzano, Lazio, Valle d’Aosta e Calabria che mostrano un aumento superiore a due punti percentuali.

Vaccinazioni raccomandate. Tra le vaccinazioni raccomandate, quella anti-pneumococco registra il decremento maggiore con solo 4 Regioni che segnano un aumento delle coperture nel 2020 rispetto al 2019 (Provincia Autonoma di Trento, Sardegna, Valle d’Aosta e Veneto). L’anti-rotavirus registra un incremento delle coperture in tutte le Regioni. L’anti-meningococco B segna un incremento delle coperture per 14 Regioni e una riduzione per 7: Lombardia, Basilicata, Umbria, Piemonte, Toscana, Abruzzo e Molise.

CONFRONTO DELLE COPERTURE VACCINALI 2021 VS 2020. Contrariamente a quanto osservato tra 2019 e 2020, il confronto tra 2020 e 2021 mostra un generale aumento delle coperture a livello nazionale: anti-pneumococco (+0,67 punti percentuali), anti-morbillo (+1,15 punti percentuali), anti-varicella (+1,8 punti percentuali), anti-rotavirus (+7,6 punti percentuali), anti-meningococco B (+13,38 punti percentuali); le coperture per l’anti-poliomielite (-0,02 punti percentuali) rimangono sostanzialmente stabili (Tabella 2).

Vaccinazioni obbligatorie. Per il vaccino anti-poliomielite il numero di Regioni con una riduzione delle coperture tra il 2020 e il 2021 scende da 14 (2020 vs 2019) a 10, con una riduzione superiore a 2 punti percentuali in Provincia Autonoma di Bolzano, Sardegna, Sicilia e Valle d’Aosta; la Calabria è l’unica Regione a registrare un aumento di oltre 2 punti percentuali delle coperture tra 2020 e 2021. Per il vaccino anti-morbillo il numero di Regioni che mostrano differenze positive passano da 3 del confronto 2019 vs 2020 a 14 con Abruzzo, Basilicata, Lazio, Molise, Veneto che registrano un incremento pari o superiore a 2 punti percentuali, mentre Provincia Autonoma di Bolzano, Sardegna e Valle d’Aosta fanno segnare un decremento di più di due punti percentuali. Per quanto riguarda la vaccinazione anti-varicella, solo 6 Regioni mostrano una diminuzione delle coperture tra 2020 e 2021 e di queste solo Provincia Autonoma di Bolzano e Valle d’Aosta registrano un decremento maggiore di due punti percentuali. Aumenta anche il numero di Regioni con un incremento delle coperture superiore a 2 punti percentuali: Abruzzo, Basilicata, Campania, Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia, Molise, Piemonte e Umbria.

Vaccinazioni raccomandate. Le differenze 2021 vs 2020 delle coperture per le vaccinazioni raccomandate sono molto eterogenee, sia tra vaccini che tra Regioni. La vaccinazione anti-pneumococco, ad esempio, mostra una differenza che va -4,6 punti percentuali della Sardegna a +4,8 punti percentuali del Lazio, con 14 Regioni che registrano un aumento nelle percentuali delle coperture, 3 delle quali superano i 2 punti percentuali (Basilicata, Friuli Venezia Giulia e Lazio). L’eterogeneità appare ancora più marcata per l’anti-rotavirus (le variazioni 2021 vs 2020 passano da -3,99 punti percentuali in Sardegna a +24,26 punti percentuali in Umbria) e l’anti-meningococco B (da -8,41 punti percentuali dell’Umbria a +69,98 punti percentuali della Lombardia).

COPERTURE VACCINALI ANNO 2021. Nell’anno 2021, a livello nazionale, i target non vengono raggiunti per nessuna vaccinazione, anche se si osserva una riduzione della variabilità nelle coperture: dal 70,4% per il vaccino anti-rotavirus al 94% per il vaccino anti-poliomielite (Tabella 3).

Vaccinazioni obbligatorie. Il Lazio raggiunge i target per tutte e tre le vaccinazioni obbligatorie. Toscana, Emilia-Romagna, Lombardia, Umbria e Veneto raggiungono i target previsti per i vaccini anti-poliomielite e anti-morbillo, ma non per il vaccino anti-varicella. Infine, Campania, Friuli Venezia Giulia e Molise raggiungono i target raccomandati solo per il vaccino anti-poliomielite, per il quale la Provincia Autonoma di Bolzano (75,62%) si colloca in ultima posizione.

Vaccinazioni raccomandate. Per l’anti-meningococco B solo la Lombardia supera il target raggiungendo una copertura del 95,61%. Le Regioni che non raggiungono il target mostrano valori che variano dal 49,95% della Provincia Autonoma di Bolzano al 91,84% del Veneto. Per la vaccinazione anti-pneumococcica le coperture variano dal minimo della Provincia Autonoma di Bolzano (71,71%) al massimo di Molise e Umbria (94,51%). Le coperture per l’anti-rotavirus, eccetto che nella Provincia Autonoma di Bolzano (39,68%) e in Valle d’Aosta (40,23%), si collocano sopra il 50% in tutte le Regioni, 11 delle quali superano il 75%: Basilicata, Calabria, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Molise, Piemonte, Provincia Autonoma di Trento, Puglia, Sardegna e Veneto.

Complessivamente dunque le coperture vaccinali risultavano già insufficienti nel 2019, quando solo 14 Regioni raggiungevano il target per il vaccino esavalente, 9 per il trivalente, 3 per l’anti-pneumococco e nessuna per l’anti-varicella e l’anti-meningococco B. I dati del 2020 mostrano che la pandemia ha avuto un impatto rilevante sulla vaccinazione esavalente e trivalente, rispettivamente con una riduzione da 14 a 9 e da 9 a 3 Regioni che hanno raggiunto i target. Nel 2021, invece, si registra un parziale recupero per il vaccino trivalente, con 6 Regioni che raggiungono il target rispetto alle 3 del 2020. Tuttavia nel 2021 il livello delle coperture vaccinali rimane sotto ai target raccomandati, in particolare per i vaccini di introduzione più recente (anti-rotavirus e anti-meningococco B) (Tabella 4).

«Se già nel 2019 – conclude Cartabellotta – i programmi di vaccinazione pubblica mostravano difficoltà a raggiugere i target raccomandati a causa dell’esitazione vaccinale, la pandemia COVID-19, con l’inevitabile riorganizzazione dei servizi, il limitato accesso alle strutture sanitarie e la paura del possibile contagio, ha avuto un impatto rilevante sulle coperture vaccinali pediatriche. Tuttavia, l’entità della loro riduzione nel 2020 e il rapido recupero nel 2021 dimostrano che i servizi vaccinali del territorio hanno retto adeguatamente l’emergenza riuscendo a garantire, nella maggior parte delle Regioni, la continuità del servizio».

 

Il report dell’Osservatorio GIMBE “Impatto della pandemia COVID-19 sulle coperture vaccinali in età pediatrica” è disponibile a www.gimbe.org/impatto-pandemia-vaccinazioni-pediatriche


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25 2023
Cure essenziali, le pagelle del ministero della salute: nel 2021 promosse 14 regioni. Emilia-Romagna in testa, al sud “passano” solo Abruzzo, Basilicata e Puglia. Il gap nord-sud in sanità è ormai strutturale: DdL Calderoli legittimerà normativamente le diseguaglianze

25 luglio 2023 - Fondazione GIMBE, Bologna

Secondo il Ddl Calderoli sull’autonomia differenziata le materie per le quali sono necessari livelli essenziali di prestazioni (LEP) non possono essere trasferite dallo Stato alle Regioni prima della definizione stessa dei LEP, al fine di garantire in tutto il territorio nazionale un livello di prestazioni minime, evitando che il trasferimento di competenze alle più ricche Regioni del Nord determini un peggioramento dei servizi per i cittadini del Sud. Tuttavia, qualche giorno fa il Comitato per l’individuazione dei LEP – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – «ha suggerito una pericolosa scorciatoia per la sanità, per la quale non sarebbe necessario definire i LEP in quanto già esistono i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). LEA che, nonostante la loro definizione nel 2001, il loro monitoraggio annuale e l’applicazione di piani di rientro e commissariamenti, di fatto non sono esigibili in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, con grandi diseguaglianze tra Nord e il Sud». Un gap che sarà inevitabilmente destinato ad aumentare se verranno assegnate maggiori autonomie alle più ricche Regioni del Nord, ragion per cui in Commissione Affari Costituzionali del Senato la Fondazione GIMBE ha richiesto di espungere la sanità dalle materie su cui le Regioni possono richiedere maggiori autonomie.

A seguito della recente pubblicazione del “Monitoraggio dei LEA attraverso il Nuovo Sistema di Garanzia” da parte del Ministero della Salute, la Fondazione GIMBE - spiega il Presidente - «ha effettuato alcune analisi sia per stimare l’entità dell’attuale frattura Nord-Sud nel garantire il diritto costituzionale alla tutela della salute e dei conseguenti rischi di questa “sanatoria” proposta dal Comitato LEP, oltre che per valutare la resilienza e la capacità di ripresa dei servizi sanitari regionali nel secondo anno della pandemia».

Ogni anno il Ministero della Salute valuta l’erogazione dei LEA, ovvero delle prestazioni sanitarie che le Regioni devono garantire gratuitamente o previo il pagamento del ticket. «Si tratta di una vera e propria “pagella” per i servizi sanitari regionali – afferma Cartabellotta – che identifica quali Regioni sono promosse (adempienti), pertanto meritevoli di accedere alla quota di finanziamento premiale, e quali bocciate (inadempienti)». Le Regioni inadempienti vengono sottoposte ai Piani di rientro, che prevedono uno specifico affiancamento da parte del Ministero della Salute, che nelle situazioni più critiche può arrivare sino al commissariamento.

Dal 2020 la “Griglia LEA” è stata sostituita da 22 indicatori CORE del Nuovo Sistema di Garanzia (NSG), suddivisi in tre aree: prevenzione collettiva e sanità pubblica, assistenza distrettuale e assistenza ospedaliera. In ogni area le Regioni possono ottenere un punteggio tra 0 e 100 e vengono considerate adempienti se raggiungono almeno 60 punti in tutte le tre aree; invece, se il punteggio è inferiore a 60 anche in una sola area la Regione risulta inadempiente. «Considerato che il 2021, come il 2020, è stato segnato dall’emergenza pandemica – precisa il Presidente – il monitoraggio dell’erogazione dei LEA è stato effettuato dal Ministero della Salute solo a scopo di valutazione e informazione, senza impatto sulla quota premiale».

Adempimenti LEA 2021. Rispetto al 2020 le Regioni adempienti nel 2021 salgono da 11 a 14: Abruzzo, Basilicata, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Provincia Autonoma di Trento, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria, Veneto. In particolare, dal 2020 al 2021 tre Regioni diventano adempienti: Abruzzo, Basilicata e Liguria. Rimangono inadempienti 7 Regioni: Campania, Molise, Provincia Autonoma di Bolzano e Sicilia con un punteggio insufficiente in una sola area; Sardegna con un punteggio insufficiente in due aree; Calabria e Valle D’Aosta insufficienti in tutte le tre aree (tabella 1). «La nuova “pagella” – commenta il Presidente – conferma anche per il 2021 il gap Nord-Sud, visto che solo Abruzzo, Puglia e Basilicata si trovano tra le 14 Regioni adempienti, peraltro con i punteggi più bassi tra quelle “promosse”».

Considerato che il Ministero della Salute non sintetizza in un punteggio unico la valutazione degli adempimenti LEA, la Fondazione GIMBE ha elaborato una classifica di Regioni e Province autonome sommando i punteggi ottenuti nelle tre aree, riportando i risultati in ordine decrescente suddivisi in quartili (tabella 2 e figura 1). «Rispetto allo status di Regione adempiente o inadempiente – commenta Cartabellotta – il punteggio totale enfatizza ulteriormente il gap Nord-Sud: infatti, nei primi 10 posti si trovano 6 Regioni del Nord, 4 del Centro e nessuna del Sud, mentre in fondo alla classifica si collocano, ad eccezione della Valle D’Aosta, solo Regioni del Sud».

Gap 2020-2021. La Fondazione GIMBE ha analizzato le differenze tra gli adempimenti 2020 e quelli 2021, al fine di valutare la graduale ripresa dell’erogazione dei LEA dopo lo scoppio della pandemia misurando i punteggi totali delle Regioni e le performance nazionali sui tre macro-livelli assistenziali. Fatta eccezione per Sardegna e Valle d’Aosta che nel 2021 hanno peggiorato le proprie performance, in tutte le altre Regioni dopo lo “stress test” del 2020, i punteggi LEA sono aumentati, seppur in maniera differente. In Basilicata, Liguria, Lombardia e Calabria di oltre 30 punti; nella Provincia Autonoma di Bolzano, Molise, Abruzzo, Campania tra 20 e 30 punti; in Umbria, Toscana, Friuli Venezia Giulia e Marche tra 10 e 19 punti; in Piemonte, Lazio, Provincia Autonoma di Trento, Sicilia, Emilia-Romagna, Veneto e Puglia di meno di 10 punti (tabella 3). «Questi dati – commenta il Presidente – documentano da un lato, la netta ripresa di alcune Regioni (Lombardia, Liguria) colpite nel 2020 in maniera molto violenta dalla prima ondata; dall’altro, il parziale recupero di numerose Regioni inadempienti nel 2020, quasi tutte al Centro-Sud (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Provincia Autonoma di Bolzano), di cui tuttavia solo l’Abruzzo e la Basilicata diventano adempienti nel 2021».

Relativamente all’impatto della pandemia sui tre macro-livelli assistenziali, considerando tutto il territorio nazionale, nel 2021 si registra un netto miglioramento nell’area della prevenzione (+159 punti) e nell’area ospedaliera (+135 punti); al contrario l’area distrettuale nel 2021 fa rilevare un lieve peggioramento (-16 punti) (tabella 4). «Il netto miglioramento nell’area della prevenzione – spiega il Presidente – non è sufficiente a colmare il crollo (-263 punti) registrato tra il 2019 e il 2020 sia per gli esigui investimenti in quest’area, sia perché il già scarso personale in forza ai dipartimenti di prevenzione è stato impiegato in prima linea nella campagna vaccinale»

«Il monitoraggio del Ministero della Salute 2021 – conclude Cartabellotta – conferma il gap strutturale tra Nord e Sud proprio nel momento in cui il Comitato LEP ritiene che in materia di salute non sia necessario definire i LEP, vista la presenza dei LEA. Questa proposta suggerisce per le maggiori autonomie in sanità una scorciatoia pericolosa, visto che il Ddl Calderoli rimane molto vago sul finanziamento oltreché sulla garanzia dei LEP secondo quanto previsto dalla Carta Costituzionale. Considerato che le nostre analisi sull’esigibilità dei LEA confermano anche per l’anno 2021 un enorme gap Nord-Sud, è evidente che senza definire, finanziare e garantire i LEP, le maggiori autonomie in sanità legittimeranno normativamente questa frattura, compromettendo l’uguaglianza dei cittadini di fronte al diritto costituzionale alla tutela della salute e assestando il colpo di grazia al Servizio Sanitario Nazionale».


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13 2023
Attuazione PNRR Missione Salute. Non rispettata scadenza europea assegnazione 1.800 borse di studio per medici di famiglia. Numerosi obiettivi nazionali non raggiunti. Speso solo lo 0,5% dei fondi già assegnati

Nel corso delle ultime settimane il dibattito politico si è progressivamente infuocato sul tema dei ritardi dell’Italia nell’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), in particolare sull’erogazione ancora in stallo della terza rata da 19 miliardi di euro e sulla richiesta della quarta rata alla Commissione Europea, che l’11 luglio ha portato ad una revisione degli obiettivi intermedi da parte della Cabina di regia sul PNRR coordinata dal Ministro Fitto.

«Al fine di fornire un quadro oggettivo della situazione, di informare i cittadini ed evitare strumentalizzazioni politiche – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – nell’ambito delle attività del proprio nostro Osservatorio sul Servizio Sanitario Nazionale abbiamo effettuato un monitoraggio indipendente dello status di avanzamento della Missione Salute del PNRR».

Le analisi sono state condotte utilizzando le seguenti fonti istituzionali:

Il monitoraggio è stato effettuato sia sulle scadenze di traguardi e obiettivi europei che nazionali. È bene precisare che questi ultimi costituiscono step intermedi che non condizionano l’erogazione dei fondi da parte dell’Europa. Tuttavia, «se il mancato rispetto delle scadenze nazionali non influenza direttamente l’erogazione delle rate – commenta il Presidente – rappresenta comunque una “spia rossa” di rallentamenti nell’attuazione dei vari progetti, aumentando il rischio di non raggiungere le correlate scadenze europee».

Aggiornamento delle fonti. I dati relativi all’andamento sull’attuazione del Piano disponibili sul sito web Italia Domani sono aggiornati al 4° trimestre 2022 per tutte le Missioni. «È inaccettabile – commenta Cartabellotta – che la piattaforma di riferimento pubblica per monitorare lo stato di attuazione del PNRR non venga aggiornata da oltre 6 mesi». Viceversa, il sito PNRR del Ministero della Salute risulta sostanzialmente aggiornato in tempo (al 15 giugno 2023).

Scadenze europee (EU). Al 30 giugno 2023 tutte le scadenze europee risultano rispettate ad eccezione dell’obiettivo “Assegnazione di 1.800 borse di studio per la formazione specifica in Medicina generale”, destinate alla formazione dei nuovi medici di famiglia. «A fronte di risorse ripartite alle Regioni nell’ottobre 2022 – spiega Cartabellotta – ad oggi non risulta alcuna assegnazione delle borse di studio. Senza entrare nel merito delle sinergie e delle relative responsabilità di Governo e Regioni, di fatto l’obiettivo non risulta raggiunto come riportato sul sito del Ministero della Salute».

Scadenze nazionali. Al 30 giugno 2023 non risultano rispettate le seguenti scadenze:

  • Scadenze 31 dicembre 2022
    • Approvazione dei progetti idonei per indizione della gara per l'interconnessione aziendale: inizialmente 105, poi ridotti a 70 nel Piano Integrato di Attività e Organizzazione (PIAO) 2023-2025 del Ministero della Salute
    • Approvazione di almeno 600 progetti idonei per indizione della gara per la realizzazione delle Centrali Operative Territoriali
  • Scadenze 31 marzo 2023
    • Incremento di 292.000 persone over 65 da trattare in assistenza domiciliare
    • Assegnazione di almeno 600 Codici Unici di Gara (CIG)/provvedimento di convenzione per la realizzazione delle Centrali Operative Territoriali
    • Assegnazione di CIG/provvedimento di convenzione per l'interconnessione aziendale: inizialmente 105, poi ridotti a 70 nel Piano Integrato di Attività e Organizzazione (PIAO) 2023-2025 del Ministero della Salute
  • Scadenze 30 giugno 2023
    • Assegnazione di almeno 1.350 codici CIG/provvedimento di convenzione per la realizzazione delle Case della Comunità. Da rilevare che la “Terza Relazione sullo stato di attuazione del PNRR” del Governo riporta che ad aprile i CIG attribuiti erano 1.327
    • Stipula di un contratto per il progetto pilota che fornisca strumenti di intelligenza artificiale a supporto dell'assistenza primaria
    • Stipula di almeno 70 contratti per l'interconnessione aziendale: inizialmente 105, poi ridotti a 70 nel Piano Integrato di Attività e Organizzazione (PIAO) 2023-2025 del Ministero della Salute
    • Stipula di almeno 600 contratti per la realizzazione delle Centrali Operative Territoriali
    • Reingegnerizzazione del Nuovo Sistema Informativo Sanitario (NSIS) a livello locale - Completamento del patrimonio informativo (servizi applicativi) - Numero di nuovi flussi informativi nazionali adottati da tutte le 21 Regioni: riabilitazione territoriale, consultori familiari
    • Completamento della procedura di iscrizione ai corsi di formazione manageriale

«Rilevante segnalare – precisa Cartabellotta – che la “Terza Relazione sullo stato di attuazione del PNRR” del Governo non fa alcuna menzione delle scadenze nazionali non rispettate, nonostante siano regolarmente monitorate e rendicontate dal sito PNRR Salute del Ministero della Salute e rappresentino cruciali indicatori di monitoraggio intermedio per le Regioni e, a cascata, per le Aziende sanitarie».

Livello di spesa. La “Terza Relazione sullo stato di attuazione del PNRR” del Governo riporta che la maggior parte delle Amministrazioni titolari ha raggiunto un livello di spesa inferiore alle previsioni: in particolare per la Missione Salute a fronte di uno stanziamento di € 15.625,5 milioni, sono stati spesi meno di € 79 milioni, ovvero lo 0,5% dei fondi. «Un dato – commenta Cartabellotta – che conferma i ritardi accumulati sulle scadenze nazionali e che potrebbe incidere sul raggiungimento degli obiettivi finali».

Elementi di debolezza e criticità. Per la Missione Salute la “Terza Relazione sullo stato di attuazione del PNRR” del Governo ha identificato criticità per eventi e circostanze oggettive su tre obiettivi: “Casa della Comunità e presa in carico della persona”, “Ospedali di Comunità” e “Verso un ospedale sicuro e sostenibile”. Le criticità segnalate riguardano l’aumento dei costi, anche per scarsità di materiali, lo squilibrio tra offerta e domanda, gli investimenti non attrattivi e l’impreparazione del tessuto produttivo. «Dalla classificazione delle criticità – commenta Cartabellotta – e dagli esempi riportati non è affatto chiaro se si tratti di situazioni che hanno già condizionato lo status di avanzamento dei progetti, oppure se costituiscano ostacoli dal potenziale impatto sulle scadenze future».

«Al 30 giugno 2023 – conclude Cartabellotta – l’attuazione della Missione Salute fa registrare una sola scadenza europea non rispettata, ovvero l’assegnazione di 1.800 borse di studio per la formazione specifica in Medicina generale. Un ritardo che potrebbe essere anche conseguente a co-responsabilità delle Regioni per mancata pubblicazione dei bandi. Dalla nostra analisi emergono però altri elementi degni di nota. Innanzitutto, il mancato rispetto di numerose scadenze nazionali relative non solo a giugno 2023, ma anche a marzo 2023 e a dicembre 2022; ritardi peraltro non segnalati né dal sito Italia Domani, né dalla “Terza Relazione sullo stato di attuazione del PNRR” del Governo, le cui modalità di rendicontazione pubblica non seguono le scadenze nazionali. In secondo luogo, la quantità irrisoria di fondi effettivamente già spesi (0,5%), che in larga misura dipende dai ritardi accumulati sulle scadenze nazionali. Infine, la revisione degli obiettivi intermedi della quarta rata non riguarda gli interventi della Missione 6 di cui è titolare il Ministero della Salute».


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22 giugno 2023
Liste di attesa. Analisi GIMBE: nel 2022 recuperato solo il 65% delle prestazioni saltate per la pandemia. Troppe le differenze tra regioni e oltre 7 milioni di prestazioni da erogare

I tempi di attesa per le prestazioni sanitarie costituiscono una delle principali criticità del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) con cui cittadini e pazienti si scontrano quotidianamente subendo gravi disagi (necessità di ricorrere alle strutture private, migrazione sanitaria, aumento della spesa out-of-pocket, impoverimento), sino alla rinuncia alle cure con pesanti conseguenze sulla salute. «Il problema delle liste di attesa – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – affligge da sempre il nostro SSN, ma negli ultimi anni si è aggravato per l’enorme quantità di prestazioni non erogate durante la pandemia COVID-19». In particolare, secondo i dati del Ministero della Salute, nel 2020 - rispetto al 2019 - in Italia sono stati oltre 1,57 milioni i ricoveri programmati in meno; per gli screening oncologici oltre 4,1 milioni di inviti e oltre 2,53 milioni di prestazioni in meno; infine, oltre 112 milioni le prestazioni ambulatoriali “saltate”, tra visite specialistiche, esami di laboratorio e strumentali.

Per fronteggiare il problema sono state stanziate risorse ad hoc per il recupero delle prestazioni: € 500 milioni come da Legge di Bilancio 2022 che ha ulteriormente prorogato quanto previsto dal DL 104/2020, le cui risorse non erano state completamente utilizzate dalle Regioni.

Nel gennaio 2022 il Ministero della Salute, con le “Linee di indirizzo per il recupero delle prestazioni sanitarie non erogate in ragione dell’epidemia da SARS-CoV-2” ha individuato tre categorie di prestazioni prioritarie: ricoveri per interventi chirurgici programmati, inviti e prestazioni per le campagne di screening oncologici e prestazioni ambulatoriali. «Seguendo le indicazioni ministeriali – spiega Cartabellotta – ciascuna Regione ha elaborato un Piano Operativo Regionale (POR) dove ha delineato strategie e modalità organizzative per recuperare le prestazioni non erogate durante il periodo pandemico». Il recente Rapporto sul coordinamento della Finanza Pubblica della Corte dei Conti ha reso noti i dati del Ministero della Salute sia sul recupero delle prestazioni nel 2022 da parte delle Regioni, sia sul finanziamento utilizzato: dati su cui la Fondazione GIMBE ha effettuato le analisi di seguito riportate.

Ricoveri per interventi chirurgici programmati. Complessivamente le Regioni hanno inserito nei POR oltre 512 mila ricoveri programmati da recuperare, per le quali il Ministero della Salute riporta un recupero stimato di poco più di 338 mila (66%). Notevoli le variabilità regionali: dal 92% del Piemonte al 14% della Liguria (figura 1).

Screening oncologici: inviti e prestazioni. Le Regioni hanno previsto nei POR di recuperare oltre 5 milioni di inviti e quasi 2,84 milioni di prestazioni. La rendicontazione ministeriale riporta un recupero stimato di quasi 4,2 milioni di inviti (82%) e poco più di 1,9 milioni di prestazioni (67%). Notevoli le differenze regionali: per gli inviti si va dal 100% di Piemonte, Valle d’Aosta, Provincia Autonoma di Trento, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Molise e Basilicata al 14% del Friuli Venezia Giulia (figura 2). Relativamente alle prestazioni, il recupero oscilla dal 100% di Toscana, Provincia Autonoma di Trento, Piemonte e Basilicata al 9% di Calabria e Lazio (figura 3). Da segnalare che la Regione Umbria aveva già recuperato tutte le prestazioni di screening nell’anno 2021.

Prestazioni ambulatoriali. In totale le Regioni hanno programmato di recuperare quasi 11,9 milioni di prestazioni, di cui Ministero della Salute riporta un recupero stimato di quasi 6,8 milioni (57%). «Un dato –spiega Cartabellotta – che ha avuto conseguenze rilevanti sui tempi di attesa delle nuove prestazioni ambulatoriali, e verosimilmente ne continua ad avere, visto che ne rimangono da recuperare oltre 5 milioni». Anche per queste prestazioni nette le differenze regionali in termini di recupero: dal 100% di Valle D’Aosta, Provincia Autonoma di Trento e Toscana al 7% della Campania (figura 4).

Recupero complessivo delle prestazioni. «Delle 20,3 milioni di prestazioni arretrate, nel 2022 complessivamente ne sono state recuperate poco meno di due su tre, ovvero il 65% – precisa Cartabellotta – e nessuna Regione ha raggiunto per tutte le prestazioni le quote di recupero previste dai POR». Inoltre, i risultati evidenziano un’ampia variabilità nei livelli di performance sia tra le varie Regioni, sia all’interno della stessa Regione tra differenti tipologie di prestazioni. Al fine di fornire un quadro complessivo sulla capacità di recupero delle singole Regioni è stata calcolata la percentuale totale di prestazioni recuperate sul totale di quelle inserite nei relativi POR (figura 5). «Pur trattandosi di tipologie differenti di prestazioni – spiega Cartabellotta – che richiedono un diverso impegno organizzativo ed economico, questa “classifica” vede sul podio Toscana (99%), Provincia autonoma di Trento (95%) ed Emilia-Romagna (91%) e sul fondo Calabria (18%) e Campania (10%)».

Finanziamento utilizzato. L’attività di audit conclusa nell’aprile 2023 dal Ministero della Salute sull’attuazione dei POR fornisce anche il quadro sull’utilizzo delle risorse. La spesa rendicontata al 31 dicembre 2022 sfiora i € 348 milioni, ovvero quasi il 70% di quella stanziata, con notevoli differenze regionali: dal 2% del Molise al 100% della Liguria, con alcune Regioni (Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia e Piemonte) che superano il 100%, verosimilmente in ragione dello stanziamento di risorse proprie (figura 6). «Il dato più rilevante – commenta Cartabellotta – è che non risulta una correlazione diretta tra risorse utilizzate e prestazioni recuperate: in altre parole, dalla rendicontazione del Ministero della Salute emergono inspiegabili variabilità regionali tra risorse investite e prestazioni recuperate» (figura 7).

Coinvolgimento delle strutture private accreditate. Al fine di agevolare il recupero delle prestazioni, la normativa ha previsto che Regioni e Province Autonome potessero coinvolgere gli erogatori privati accreditati, integrando accordi e contratti esistenti, con la possibilità di destinare ai privati sino a un massimo di € 150 milioni sui complessivi € 500 milioni di finanziamento. Il Ministero della Salute riporta una stima complessiva a livello nazionale di committenza alle strutture private del 29%: in dettaglio, il 30% del finanziamento destinato ai ricoveri, il 13% di quello per gli screening e il 32% delle risorse allocate per le prestazioni ambulatoriali. «Tuttavia esiste una enorme variabilità regionale – spiega il Presidente – sia in termini di quota di committenza totale, sia rispetto alla distribuzione delle tre tipologie di prestazioni erogate dal privato». La percentuale stimata di committenza al privato è pari o superiore alla media nazionale in Puglia (93%), Lombardia (46%), Campania (37%), Sicilia (35%), Liguria (32%) e Calabria (30%); le altre Regioni si collocano al di sotto del valore nazionale, con Marche e Molise che non hanno fatto ricorso al privato (figura 8).

«Il monitoraggio del Ministero della Salute – conclude Cartabellotta – dimostra che complessivamente che le Regioni non hanno recuperato il 35% delle prestazioni “saltate” durante la pandemia per complessive 7,13 milioni di prestazioni. In dettaglio, 174mila ricoveri programmati, 914mila inviti e 936mila di prestazioni per gli screening oncologici e 5,1 milioni di prestazioni ambulatoriali. Inoltre, i dati restituiscono un quadro molto eterogeneo tra le varie Regioni sia sulle percentuali di prestazioni recuperate, sia sul finanziamento utilizzato che non sempre è correlato con le prestazioni recuperate».


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24 maggio 2023
Allarme medici di famiglia: ne mancano quasi 2.900 ed entro il 2025 ne perderemo oltre 3.400. Il 42,1% dei medici supera il tetto massimo di 1.500 pazienti, riducendo la qualità dell’assistenza. L’aumento dell’età pensionabile e del numero di assistiti nascondono la polvere sotto il tappeto

Secondo quanto riportato sul sito del Ministero della Salute ogni cittadino iscritto al Servizio Sanitario Nazionale (SSN) ha diritto a un medico di medicina generale (MMG) – cd. medico di famiglia – attraverso il quale può accedere a tutti i servizi e prestazioni inclusi nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Il MMG non è un medico dipendente del SSN, ma lavora in convenzione con l’Azienda Sanitaria Locale (ASL): il suo rapporto di lavoro è regolamentato dall’Accordo Collettivo Nazionale (ACN), dagli Accordi Integrativi Regionali e dagli Accordi Attuativi Aziendali a livello delle singole ASL.

«L’allarme sulla carenza dei MMG – afferma Nino Cartabellotta Presidente della Fondazione GIMBE – oggi riguarda tutte le Regioni per ragioni diverse: mancata programmazione, pensionamenti anticipati, medici con numeri esorbitanti di assistiti e desertificazione nelle aree disagiate che finiscono per comportare l’impossibilità di trovare un MMG nelle vicinanze del domicilio, con conseguenti disagi e rischi per la salute».

Al fine di comprendere meglio le cause e le dimensioni del fenomeno, la Fondazione GIMBE ha analizzato le criticità insite nelle norme che regolano l’inserimento dei MMG nel SSN e stimato l’entità della carenza attuale e futura di MMG nelle Regioni italiane. «È bene precisare – spiega Cartabellotta – che le nostre analisi incontrano tre ostacoli principali. Innanzitutto, i 21 differenti Accordi Integrativi Regionali introducono una grande variabilità del massimale di assistiti per MMG; in secondo luogo, su carenze e fabbisogni è possibile effettuare solo una stima media regionale, perché la reale necessità di MMG viene determinata da ciascuna ASL sugli ambiti territoriali di competenza; infine, la distribuzione non uniforme degli assistiti in carico ai MMG può sovra- o sotto-stimare il loro reale fabbisogno in relazione alla situazione locale».

 

CRITICITÀ

Massimale di assisiti. Secondo quanto previsto dall’ACN, il numero massimo di assistiti di un MMG è fissato a 1.500: in particolari casi può essere incrementato fino a 1.800 assistiti, ma molto spesso questo numero viene superato attraverso deroghe disposte dagli Accordi Integrativi Regionali (es. fino a 2.000 nella Provincia Autonoma di Bolzano), deroghe locali per indisponibilità di MMG e scelte temporanee del medico (es. extracomunitari senza permesso di soggiorno, non residenti). Parallelamente, altre motivazioni possono determinare un numero inferiore di assistiti: autolimitazione delle scelte, MMG con doppio incarico che ne limita le scelte, MMG nel periodo iniziale di attività, esercizio della professione in zone disagiate. «Per ciascun MMG – commenta il Presidente – il carico potenziale di assistiti rispetto a quello reale restituisce un quadro molto eterogeneo, dove accanto a troppi MMG “ultra-massimalisti” ci sono colleghi con un numero molto basso di assistiti». I dati Agenas per l’anno 2021 documentano infatti che su 40.250 MMG il 42,1% ha più di 1.500 assistiti; il 36,7% tra 1.001 e 1.500 assistiti; il 13,6% da 501 a 1.000; il 6,2% tra 51 e 500 e l’1,4% meno di 51 (figura 1). In particolare, il massimale di 1.500 assistiti viene superato da più di un MMG su due in Campania (52,7%), Valle d’Aosta (58,2%), Veneto (59,8%) e da quasi due su tre nella Provincia Autonoma di Bolzano (63,7%), in Lombardia (65,4%) e nella Provincia Autonoma di Trento (65,5%) (figura 2), «con ovvia riduzione della qualità dell’assistenza – commenta Cartabellotta – accendendo “spie rosse” su varie Regioni in relazione a tre criticità: la reale disponibilità di MMG in relazione alla densità abitativa, la capillare distribuzione territoriale e la possibilità per i cittadini di esercitare il diritto della libera scelta».

Ambiti territoriali carenti. I nuovi MMG vengono inseriti nel SSN previa identificazione da parte della Regione (o soggetto da questa individuato) delle cosiddette “zone carenti”, ovvero gli ambiti territoriali dove è necessario colmare il fabbisogno e garantire una diffusione capillare dei MMG. Secondo l’ACN per ciascun ambito territoriale può essere iscritto un medico ogni 1.000 residenti o frazione di 1.000 superiore a 500 di età ≥14 anni (cd. rapporto ottimale); è inoltre consentita, tramite gli Accordi Integrativi Regionali, una variazione di tale rapporto fino a 1.300 residenti per medico (+30%).

Pensionamenti. Secondo le stime dell’ENPAM al 31 dicembre 2021 più del 50% dei MMG aveva oltre 60 anni di età ed è, quindi, atteso un pensionamento massivo nei prossimi anni: considerando una età di pensionamento di 70 anni, entro il 2031 dovrebbero andare in pensione circa 20 mila MMG.

Nuovi MMG. Il numero di borse di studio ministeriali destinate al Corso di Formazione Specifica in Medicina Generale, dopo un periodo di sostanziale stabilità intorno a 1.000 borse annue (2014-2017), è successivamente aumentato, in particolare nel 2021 (n. 3.406) e nel 2022 (n. 3.675) grazie alle risorse dedicate del PNRR (figura 3). «Tuttavia i nuovi MMG – spiega Cartabellotta – non saranno sufficienti per colmare il ricambio generazionale. In particolare, l’ENPAM stima che il numero dei giovani formati o avviati alla formazione in medicina generale occuperebbe solo il 50% dei posti di MMG lasciati scoperti dai pensionamenti».

STIMA DELLE CARENZE ATTUALI E FUTURE

Trend 2019-2021 e anzianità di laurea. Dal recente Rapporto Agenas sui MMG emerge innanzitutto una progressiva diminuzione di quelli in attività: nel 2021 erano 40.250, ovvero 2.178 in meno rispetto al 2019 (-5,4%) con notevoli variabilità regionali (figura 4). «Ma è soprattutto il quadro anagrafico a preoccupare – commenta Cartabellotta –  visto che nel 2021 il 75,3% dei MMG in attività aveva oltre 27 anni di anzianità di laurea, con quasi tutte le Regioni del Centro-Sud sopra la media nazionale, anche in conseguenza di politiche sindacali locali che non sempre hanno favorito il ricambio generazionale». In alcune Regioni meridionali la fascia dei MMG più anziani arriva a superare l’80%: Calabria (88,3%), Molise (83,2%), Campania (82,7%), Sicilia (82,6%), Basilicata (82,1%) (figura 5).

Numero di assistiti per MMG. Secondo le rilevazioni della Struttura Interregionale Sanitari Convenzionati (SISAC), al 1° gennaio 2022 39.270 MMG avevano in carico oltre 51,3 milioni di assistiti. In termini assoluti, la media nazionale è di 1.307 assistiti per MMG: dai 1.073 della Sicilia ai 1.461 del Veneto, ai 1.466 della Lombardia, fino ai 1.545 della Provincia Autonoma di Bolzano (figura 6). «Tuttavia lo scenario – precisa Cartabellotta – è molto più critico di quanto lascino trasparire i numeri: infatti, con questo livello di saturazione vengono meno il principio della libera scelta e la distribuzione capillare dei MMG in relazione alla densità abitativa. Di conseguenza, è spesso impossibile trovare disponibilità di un MMG vicino casa, non solo nelle cosiddette aree desertificate (zone a bassa densità abitativa, con condizioni geografiche disagiate, rurali e periferiche) dove i bandi per gli ambiti territoriali carenti vanno spesso deserti, ma anche nelle grandi città».

Fabbisogno di MMG al 1° gennaio 2022. «Le criticità sopra rilevate – spiega Cartabellotta – permettono solo di stimare il fabbisogno medio regionale di MMG in relazione al numero di assistiti, in quanto la necessità di ciascun ambito territoriale carente viene identificato dalle ASL secondo variabili locali». Se l’obiettivo è garantire la qualità dell’assistenza, la distribuzione capillare in relazione alla densità abitativa, la prossimità degli ambulatori e l’esercizio della libera scelta, non si può far riferimento al massimale delle scelte per stimare il fabbisogno di MMG. Di conseguenza la Fondazione GIMBE, ritenendo accettabile un rapporto di 1 MMG ogni 1.250 assistiti (valore medio tra il massimale di 1.500 e l’attuale rapporto ottimale di 1.000) e utilizzando le rilevazioni SISAC al 1° gennaio 2022, stima una carenza di 2.876 MMG, con situazioni più critiche nelle grandi Regioni del Nord: Lombardia (-1.003), Veneto (-482), Emilia Romagna (-320), Piemonte (-229), oltre che in Campania (-349) (figura 7).

Proiezione MMG al 2025. Tenendo conto dei pensionamenti attesi e delle borse di studio per il Corso di Formazione in Medicina Generale, i dati Agenas (dove mancano le stime per la Provincia Autonoma di Bolzano) dimostrano che nel 2025 il numero dei MMG diminuirà di 3.452 unità rispetto al 2021, con nette differenze regionali (figura 8). In particolare saranno alcune Regioni del Centro-Sud nel 2025 a scontare la maggior riduzione di MMG: Lazio (-584), Sicilia (-542), Campania (-398), Puglia (-383). «L’entità della riduzione stimata da Agenas – chiosa Cartabellotta – è peraltro sottostimata per almeno due ragioni: innanzitutto, non tiene conto che i medici attualmente iscritti al Corso di Formazione in Medicina Generale possono acquisire già durante la frequenza del corso sino a 1.000 scelte; in secondo luogo perché molti MMG vanno in pensione prima dei 70 anni».

«La progressiva carenza di MMG – conclude Cartabellotta – consegue sia ad errori di programmazione per garantire il ricambio generazionale, in particolare la mancata sincronia per bilanciare pensionamenti attesi e finanziamento delle borse di studio, sia a politiche sindacali non sempre lineari. Ed è evidente che le soluzioni “tampone” attuate dal Governo con il Decreto Milleproroghe (innalzamento dell’età pensionabile a 72 anni) e dalle Regioni (aumento del massimale) servono solo a nascondere la polvere sotto il tappeto, senza risolvere la progressiva carenza dei MMG. In tal senso è necessario mettere in atto una strategia multifattoriale: adeguata programmazione del fabbisogno, tempestiva pubblicazione da parte delle Regioni dei bandi per le borse di studio, attuazione di modelli organizzativi che valorizzino il lavoro in team, piena implementazione della riforma dell’assistenza territoriale prevista dal PNRR (Case di comunità, Ospedali di Comunità, assistenza domiciliare, telemedicina), allineamento degli accordi sindacali ai reali bisogni della popolazione. Perché guardando ai numeri, accanto alla carenza già esistente, le previsioni dimostrano che i medici di famiglia saranno sempre meno nei prossimi anni. Una “desertificazione” che lascerà scoperte milioni di persone con conseguenze sempre più rilevanti per l’organizzazione dell’assistenza sanitaria territoriale e soprattutto per la salute della popolazione, in particolare gli anziani e i fragili».


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10 maggio 2023
Coronavirus, richiami per anziani e fragili in stallo: in sette settimane +0,1% copertura con quarta dose e +0,7% con quinta dose. E i tassi rimangono bassi, soprattutto al sud

Lo scorso 5 maggio, il Comitato tecnico dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS) ha raccomandato la fine dello stato di emergenza internazionale recepita dal Direttore Generale Tedros Adhanom Ghebreyesus, che comunque ha ribadito che “Resta il rischio di nuove varianti emergenti che possono causare nuove ondate di casi e morti. La cosa peggiore che i paesi possano fare ora è usare questa notizia per abbassare la guardia, per smantellare il sistema che hanno costruito e per lanciare alla gente il messaggio che il COVID non è più qualcosa di cui preoccuparsi”.

«Al tempo stesso l’OMS – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – ha pubblicato infatti il quarto aggiornamento del piano strategico 2023-2025 di preparazione e risposta al COVID-19 che definisce le azioni per minimizzare l’impatto della pandemia sullo stato di salute delle popolazioni, oltre che sui sistemi sanitari». In particolare, tra gli approcci per raggiungere questi obiettivi l’OMS raccomanda di vaccinare le popolazioni a rischio al fine di ridurre l’incidenza di malattia grave e mortalità.

«A un mese e mezzo dalla sospensione della pubblicazione del monitoraggio GIMBE sul COVID-19 – continua Cartabellotta – abbiamo ritenuto opportuno valutare l’avanzamento delle coperture vaccinali relative ai richiami con quarta e quinta dose, pur con la difficoltà di fornire dati precisi visto che entrambe le platee non vengono aggiornate ormai da molto tempo».

Vaccini: quarta dose.  La platea per il secondo richiamo (quarta dose), aggiornata al 17 settembre 2022, è di 19,1 milioni di persone: di queste, 12,5 milioni possono riceverlo subito, 0,6 non sono eleggibili nell’immediato in quanto guarite da meno di 120 giorni e 6 milioni l’hanno già ricevuto. Al 5 maggio sono state somministrate 6.003.913 quarte dosi, con una media mobile nell’ultima settimana di 164 somministrazioni al giorno (Figura 1).

In base alla platea ufficiale (n. 19.119.772 di cui 13.060.462 over 60, 3.990.080 fragili e immunocompromessi, 1.748.256 di personale sanitario e 320.974 ospiti delle RSA che non ricadono nelle categorie precedenti), il tasso di copertura nazionale per le quarte dosi è del 31,4%, ovvero solo +0,1% nelle ultime 7 settimane (31,3% lo scorso 17 marzo). Si confermano nette differenze regionali in termini di coperture: dal 14,1% della Calabria al 45,8% del Piemonte (Figura 2).

Vaccini: quinta dose.  La platea per il terzo richiamo (quinta dose), aggiornata al 20 gennaio 2023, è di 3,1 milioni di persone: di queste, 2,5 milioni possono riceverlo subito, 0,1 milioni non sono eleggibili nell’immediato in quanto guarite da meno di 120 giorni e 0,5 milioni l’hanno già ricevuto.  Al 5 maggio 2023, dopo oltre sei mesi dall’avvio della campagna, sono state somministrate 515.209 quinte dosi, con una media mobile nell’ultima settimana di 207 somministrazioni al giorno (Figura 3).

In base alla platea ufficiale (n. 3.146.516 di cui 2.298.047 over 60, 731.224 fragili e immunocompromessi, 117.245 ospiti delle RSA che non ricadono nelle categorie precedenti), il tasso di copertura nazionale per le quinte dosi è del 16,4%, ovvero solo +0,7% nelle ultime 7 settimane (15,7% lo scorso 17 marzo).  Nette le differenze regionali: dal 6,2% della Calabria al 31,3% del Piemonte (Figura 4).

 

«I dati – conclude Cartabellotta – documentano che nelle ultime 7 settimane, contrariamente a quanto raccomandato dall’OMS oltre che dalle Circolari del Ministero della Salute, la somministrazione dei richiami per anziani e fragili è stata davvero esigua, con coperture che rimangono molto basse, in particolare nelle Regioni meridionali».


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4 maggio 2023
Allarme pediatri: ne mancano almeno 840 e tra il 2019 e il 2021 sono diminuiti del 5,5%. Famiglie in difficoltà: per ogni pediatra in media quasi 100 bambini in più rispetto al tetto massimo di 800, con notevoli differenze regionali. Un’emergenza annunciata tra mancata programmazione e miopi politiche sindacali

Secondo quanto riportato sul sito del Ministero della Salute, il pediatra di libera scelta (PLS) – cd. pediatra di famiglia – è il medico preposto alla tutela della salute di bambini e ragazzi tra 0 e 14 anni. Ad ogni bambino, sin dalla nascita, deve essere assegnato un PLS per accedere a servizi e prestazioni inclusi nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e garantiti dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN). «L’allarme sulla carenza dei PLS – afferma Nino Cartabellotta Presidente della Fondazione GIMBE – oggi è lanciato da genitori di tutte le Regioni, da Nord a Sud con narrative dove s’intrecciano questioni burocratiche, mancanza di risposte da parte delle ASL, pediatri con numeri esorbitanti di assistiti, sino all’impossibilità di esercitare il diritto d’iscrivere i propri figli al pediatra di famiglia con potenziali rischi per la salute, in particolare dei più piccoli e dei più fragili».

Al fine di comprendere meglio le cause e le dimensioni del fenomeno, la Fondazione GIMBE ha analizzato le criticità insite nelle norme che regolano l’inserimento dei PLS nel SSN e stimato l’entità della carenza di PLS nelle diverse Regioni italiane. «È bene precisare – spiega Cartabellotta – tre aspetti fondamentali. Innanzitutto le regole sulle fasce di età di assistenza esclusiva dei minori, quelle per definire il “massimale” degli assistiti e quelle per identificare le aree carenti di pediatri sono frutto di compromessi con i medici di medicina generale (MMG), oltre che delle politiche sindacali degli stessi PLS. In secondo luogo, su carenze e fabbisogno è possibile solo fare stime a livello regionale, perché la reale necessità di PLS viene stimata dalle singole Aziende Sanitarie Locali (ASL). Infine, sui numeri relativi ai nuovi specialisti in pediatria che intraprendono la carriera di PLS e su quelli che vanno in pensione possono solo essere fatte delle stime».

CRITICITÀ ATTUALI

Fasce di età. Sino al compimento del 6° anno di età i bambini devono essere assistiti per legge da un PLS, mentre tra i 6 e 14 anni i genitori possono scegliere tra PLS e MMG. Al compimento dei 14 anni la revoca del PLS è automatica, tranne per pazienti con documentate patologie croniche o disabilità per i quali può essere richiesta una proroga fino al compimento del 16° anno. «Queste regole – spiega Cartabellotta – se da un lato contrastano con la definizione di PLS come medico preposto alla tutela della salute di bambini e ragazzi tra 0 e 14 anni, dall’altro rappresentano un enorme ostacolo per un’accurata programmazione del fabbisogno di PLS». Infatti, secondo i dati ISTAT al 1° gennaio 2022 la fascia 0-5 anni (iscrizione obbligatoria al PLS) include più di 2,6 milioni di bambini e quella 6-13 (iscrizione facoltativa al PLS) quasi 4,3 milioni: ovvero oltre il 62% della fascia 0-13 anni potrebbe iscriversi ad un MMG in base alle preferenze dei genitori.

Massimale di assisiti. Secondo quanto previsto dal Ministero della Salute, il numero massimo di assistiti di un PLS è fissato a 800, ma esistono varie deroghe nazionali, regionali e locali che portano spesso a superare i 1.000 iscritti: indisponibilità di altri pediatri del territorio, fratelli di bambini già in carico ad un PLS, scelte temporanee (es. extracomunitari senza permesso di soggiorno, non residenti). «In tal senso – commenta il Presidente – le politiche sindacali locali hanno sempre mirato ad innalzare il massimale (e i compensi) dei PLS già in attività, piuttosto che favorire l’inserimento di nuovi colleghi».

Zone carenti. I nuovi PLS vengono inseriti nel SSN previa identificazione da parte della Regione - o soggetto da questa individuato - delle cosiddette “zone carenti”, ovvero gli ambiti territoriali in cui occorre colmare un fabbisogno assistenziale e garantire una diffusione capillare degli studi dei PLS. Attualmente, tuttavia, la necessità della zona carente viene calcolata solo sulla fascia di età 0-6 anni tenendo conto di un rapporto ottimale di 1 PLS ogni 600 bambini. «È del tutto evidente – chiosa il Presidente – che questo metodo di calcolo sottostima il fabbisogno di PLS: paradossalmente, facendo riferimento alle regole vigenti, i PLS sarebbero addirittura in esubero perché il loro fabbisogno viene stimato solo per i piccoli sino al compimento dei 6 anni. Mentre di fatto assistono oltre l’80% di quelli della fascia 6-13 anni». Va segnalato che la bozza del nuovo Accordo Collettivo Nazionale propone di rivedere il calcolo del rapporto ottimale tenendo conto degli assistibili di età 0-14 anni, decurtati dagli assistiti di età >6 anni in carico ai MMG e di innalzare il massimale da 800 a 1.000 assistiti.

Pensionamenti. Secondo le stime dell’ENPAM al 31 dicembre 2021 più del 50% dei PLS aveva oltre 60 anni di età ed è, quindi, atteso un pensionamento massivo nei prossimi anni: ovvero, considerando una età di pensionamento di 70 anni, entro il 2031 dovrebbero andare in pensione circa 3.500 PLS.

Nuovi pediatri. Il numero di borse di studio ministeriali per la scuola di specializzazione in pediatria, dopo un decennio di sostanziale stabilità, è nettamente aumentato negli ultimi 5 anni: dai 440 nell’anno accademico 2016-2017 a 841 nel 2021-2022, con un picco di 973 nell’anno accademico 2020-2021 (figura 1). «Tuttavia – spiega Cartabellotta – se da un lato è impossibile sapere quanti specializzandi in pediatria sceglieranno la carriera di PLS e quanti quella ospedaliera, dall’altro è certo che i nuovi pediatri non saranno comunque sufficienti per colmare il ricambio generazionale». In particolare, l’ENPAM stima che il numero dei giovani formati o avviati alla formazione specialistica coprirebbe solo il 50% dei posti di PLS necessari.

CARENZE E FABBISOGNO DI PEDIATRI

Trend 2019-2021. Secondo l’ultimo aggiornamento del report Agenas Il Personale del Servizio Sanitario Nazionale nel 2021 in Italia i PLS in attività erano 7.022, ovvero 386 in meno rispetto al 2019 (-5,5%). Inoltre, secondo quanto riportato dall’Annuario Statistico del SSN 2021, i PLS con oltre 23 anni di specializzazione sono passati dal 39% nel 2009 all’80% nel 2021 (figura 2). «Un dato – commenta Cartabellotta – che aggiunge alla carenza di PLS il mancato ricambio generazionale che con i pensionamenti dei prossimi anni rischia di creare un vero e proprio “baratro” dell’assistenza pediatrica».

Numero di assistiti per PLS. Secondo le rilevazioni della Struttura Interregionale Sanitari Convenzionati (SISAC), al 1° gennaio 2022, 6.921 PLS avevano in carico quasi 6,2 milioni di iscritti, di cui il 42,3% (2,62 milioni) della fascia 0-5 anni e il 57,7% (3,58 milioni) della fascia 6-13 anni, pari all’83,3% della popolazione ISTAT al 1° gennaio 2022 di età 6-13 anni. In termini assoluti, la media nazionale è di 896 assistiti per PLS e a livello regionale solo Umbria (784), Sardegna (788), Sicilia (792) e Molise (798) rimangono al di sotto del massimale senza deroghe; 17 Regioni superano invece la media di 800 assistiti per PLS di cui Piemonte (1.092), Provincia Autonoma di Bolzano (1.060) e Toscana (1.057) vanno oltre la media di 1.000 assistiti per PLS (figura 3). «Lo scenario – spiega Cartabellotta – è molto più critico di quanto lasciano trasparire i numeri: infatti, con un tale livello di saturazione non solo viene meno il principio della libera scelta, ma in alcune Regioni diventa impossibile trovare disponibilità di PLS, in particolare nelle aree interne o disagiate dove i bandi per le zone carenti vanno spesso deserti».

Fabbisogno di PLS. «Tutte le criticità sopra rilevate – spiega Cartabellotta – permettono solo di stimare il fabbisogno di PLS in base al numero di assistiti attuali a livello regionale, in quanto la necessità di ciascuna zona carente viene identificata dalle ASL in relazione a numerose variabili locali, previa consultazione con i sindacati». Utilizzando i dati della SISAC al 1° gennaio 2022 e ipotizzando una media di 800 assistiti a PLS (pari all’attuale tetto massimo) si stima a livello nazionale una carenza di 840 PLS, con notevoli differenze regionali (figura 4). Ma con una media di 700 assistiti per PLS, che garantirebbe l’esercizio della libera scelta, ne mancherebbero addirittura 1.935.

«La carenza di PLS – conclude Cartabellotta – deriva da errori di programmazione del fabbisogno, in particolare la mancata sincronia per bilanciare pensionamenti attesi e borse di studio per la scuola di specializzazione. Ma rimane fortemente condizionata sia da miopi politiche sindacali, sia da variabili locali non sempre prevedibili che rendono difficile calcolarne il fabbisogno. Innalzare l’età pensionabile a 72 anni e aumentare il massimale a 1.000 servono solo a mettere “la polvere sotto il tappeto” e non a risolvere il grave problema della carenza dei PLS. In tal senso servono un’adeguata programmazione, modelli organizzativi che puntino sul lavoro di team, grazie anche alle Case di comunità e alla telemedicina, oltre che accordi sindacali in linea con i reali bisogni della popolazione. Perchè guardando ai numeri di pensionamenti attesi e dei nuovi pediatri è ragionevolmente certo che nei prossimi anni la carenza non potrà che acuirsi ulteriormente».


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28 aprile 2023
Obbligo mascherine in ospedale: nell’ordinanza del ministro Schillaci prevalgono le evidenze scientifiche e il buon senso

«Sull’obbligo di mascherine in ospedale – afferma Nino Cartabellotta Presidente della Fondazione GIMBE –alla fine prevalgono le evidenze scientifiche e il buon senso. Infatti, rispetto alle anticipazioni di stampa di ieri, l’ordinanza del Ministro Schillaci conferma l’obbligo per lavoratori, utenti e visitatori in tutti i reparti ospedalieri con pazienti fragili, anziani o immunodepressi, specialmente se ad elevata intensità di cura. L’ordinanza lascia alle Direzioni Sanitarie degli ospedali la responsabilità di identificare i reparti a rischio, oltre che la decisione di estendere l’obbligo ad altri reparti e alle sale di attesa. In altre parole, le uniche aree ospedaliere dove non potrà essere previsto alcun obbligo sono i connettivi e le aree al di fuori dei reparti di degenza».

«Ovviamente – continua il Presidente – viene confermato l’obbligo di mascherina per lavoratori, utenti e visitatori di tutte le strutture socio-sanitarie e socio-assistenziali, visto il maggior rischio del contagio per età e fragilità dei pazienti assistiti nelle strutture di lungodegenza, RSA, hospice, strutture riabilitative e residenziali per anziani».

Per quanto riguarda gli ambulatori, la decisione viene lasciata alla discrezione di medici di medicina generale e pediatri di libera scelta. «Una decisione discutibile – commenta il Presidente – perché la variabilità degli approcci rischia di disorientare gli assistiti sino a condizionarne scelte pratiche: ad esempio mantenere o ricusare il proprio medico di famiglia a seconda che disponga, o meno, l’obbligo della mascherina nel proprio ambulatorio».

«Infine – conclude Cartabellotta – la decisione sull’esecuzione di tampone diagnostico per infezione da SARS-CoV-2 per l’accesso ai Pronto soccorso viene lasciata alla discrezione di Regioni e Aziende sanitarie: una decisione “pilatesca” che sarà inevitabilmente condizionata dalle responsabilità sanitarie e dal principio di precauzione».


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18 aprile 2023
DEF 2023: nessun rilancio della sanità pubblica. Preoccupanti segnali di definanziamento: dal 2025 rapporto spesa sanitaria/Pil al 6,2%, inferiore ai livelli pre-pandemia. Serve urgente cambio di rotta per evitare il collasso del SSN

Lo scorso 11 aprile il Consiglio dei Ministri ha approvato il Documento di Economia e Finanza (DEF) 2023 che certifica per l’anno 2022 una spesa sanitaria di € 131.103 milioni, inferiore di quasi € 3 milioni rispetto ai € 133.998 milioni previsti dall’ultima Nota di Aggiornamento DEF 2022.

«Rispetto alle previsioni di spesa sanitaria sino al 2026 – afferma Nino Cartabellotta Presidente della Fondazione GIMBE – il DEF 2023 certifica l’assenza di un cambio di rotta post-pandemia ignorando il pessimo “stato di salute” del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), i cui princìpi fondamentali di universalità, uguaglianza ed equità sono minati da criticità che compromettono il diritto costituzionale alla tutela della salute. Interminabili liste di attesa costringono a ricorrere al privato, aumentano la spesa out-of-pocket e impoveriscono le famiglie, sino alla rinuncia alle cure; diseguaglianze regionali e locali nell’offerta di servizi e prestazioni determinano migrazione sanitaria, inaccessibilità alle innovazioni, sino alla riduzione dell’aspettativa di vita».

Vengono di seguito riportate le analisi indipendenti della Fondazione GIMBE sulle previsioni di spesa sanitaria per l’anno 2023 e per il triennio 2024-2026.

2023. Il rapporto spesa sanitaria/PIL nel 2023 scende a 6,7% rispetto al 6,9% del 2022, anche se in termini assoluti la previsione di spesa sanitaria è di € 136.043 milioni, ovvero € 4.319 milioni in più rispetto al 2022 (+3,8%). «Tuttavia il roboante incremento di oltre quattro miliardi di euro nel 2023 – precisa Cartabellotta – è solo apparente: sia perché oltre due terzi (67%) costituiscono un mero spostamento al 2023 della spesa sanitaria prevista nel 2022 per il rinnovo contrattuale del personale dirigente, sia per l’erosione del potere di acquisto visto che secondo l’ISTAT ad oggi l’inflazione acquisita per il 2023 si attesta a +5%, un valore superiore all’aumento della spesa sanitaria che, invece, si ferma a +3,8%».

2024-2026. Nel triennio 2024-2026, a fronte di una crescita media annua del PIL nominale del 3,6%, il DEF 2023 stima quella della spesa sanitaria allo 0,6%. Il rapporto spesa sanitaria/PIL si riduce dal 6,7% del 2023 al 6,3% nel 2024 al 6,2% nel 2025-2026. Rispetto al 2023, in termini assoluti la spesa sanitaria nel 2024 scende a € 132.737 milioni (-2,4%), per poi risalire nel 2025 a € 135.034 milioni (+1,7%) e a € 138.399 (+2,5%) nel 2026. «È del tutto evidente – spiega Cartabellotta – che il risibile aumento medio della spesa sanitaria dello 0,6% nel triennio 2024-2026 non coprirà nemmeno l’aumento dei prezzi, sia per l’erosione dovuta all’inflazione, sia perché l’indice dei prezzi del settore sanitario è superiore all’indice generale di quelli al consumo. In altri termini, le previsioni del DEF 2023 sulla spesa sanitaria 2024-2026 certificano evidenti segnali di definanziamento: in particolare il 2024, ben lungi dall’essere l’anno del rilancio, fa segnare un -2,4% che dissolve ogni speranza di nuove risorse per la sanità nella prossima Legge di Bilancio».

Complessivamente le stime del DEF 2023 confermano che la sanità rimane la cenerentola dell’agenda politica per almeno tre ragioni. Innanzitutto, il rapporto spesa sanitaria/PIL scende dal 6,9% del 2022 al 6,2% nel 2026, un valore inferiore a quello del 2019 (6,4%), confermando che dalla pandemia non è stato tratto alcun insegnamento; in secondo luogo, nel triennio 2024-2026 il DEF stima una crescita media annua del PIL nominale del 3,6%, a fronte dello 0,6% di quella della spesa sanitaria; infine, il DEF 2023 non fa alcun cenno alle risorse necessarie per abolire gradualmente il tetto di spesa per il personale sanitario e per approvare il cd. “decreto tariffe” sulle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale e di protesica: due priorità assolute per rilanciare le politiche del capitale umano e garantire a tutti i “nuovi” Livelli Essenziali di Assistenza e l’accesso alle innovazioni. «Programmi e numeri del DEF 2023 – continua il Presidente – confermano che, in linea con quanto accaduto negli ultimi 15 anni, la sanità pubblica non rappresenta una priorità politica neppure per l’attuale Esecutivo. La sanità rimane un bancomat per la facile aggredibilità della spesa pubblica e nei rari casi di crescita economica i benefici per il SSN non sono mai proporzionali, rendendo impossibile rilanciare il finanziamento pubblico».

«Il Piano di Rilancio del SSN recentemente elaborato dalla Fondazione GIMBE – conclude Cartabellotta –rileva l’inderogabile necessità di aumentare il finanziamento pubblico per la sanità in maniera consistente e stabile, allineandolo entro il 2030 alla media dei paesi europei, al fine di garantire l’erogazione uniforme dei LEA, l’accesso equo alle innovazioni e il rilancio delle politiche del personale sanitario. Considerato che nel 2021 il gap con la media dei paesi europei era di quasi € 12 miliardi, il DEF 2023 non ha affatto posto le basi per colmarlo. Al contrario prosegue con la strategia di definanziamento pubblico della sanità che aumenterà la distanza dalla media dei paesi europei e porterà al collasso del SSN, compromettendo definitivamente il diritto costituzionale alla tutela della salute delle persone».

 


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3 aprile 2023
La sanità pubblica si sgretola, il privato avanza e il diritto alla tutela della salute vacilla. Da GIMBE il Piano di Rilancio del Servizio Sanitario Nazionale e l’aut aut alla politica: "visione chiara e coraggio su investimenti e riforme, oppure ammettere di volere un altro modello di sanità"

Quattordici punti per rilanciare il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) ormai in “codice rosso” per la coesistenza di varie “patologie”: imponente sotto-finanziamento, drammatica carenza di personale sanitario, crescenti diseguaglianze, modelli organizzativi obsoleti e inesorabile avanzata del privato. Una crisi di sostenibilità senza precedenti di un SSN vicino al punto di non ritorno: tanto che il diritto costituzionale alla tutela della salute nell’indifferenza di tutti i Governi che si sono succeduti negli ultimi 15 anni si sta trasformando in un privilegio per pochi, lasciando indietro le persone più fragili e svantaggiate, in particolare nel Sud del Paese. È questo lo sconfortante resoconto della Fondazione GIMBE sulla sanità pubblica che emerge nel corso della 15a Conferenza Nazionale in corso oggi a Bologna.

«Per la nostra democrazia – ha esordito Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – non è più tollerabile che universalità, uguaglianza ed equità, i princìpi fondamentali del SSN, siano stati traditi e ora troneggino parole chiave come: infinite liste di attesa, aumento della spesa privata, diseguaglianze di accesso alle prestazioni sanitarie, inaccessibilità alle innovazioni, migrazione sanitaria, aumento della spesa privata, rinuncia alle cure, riduzione dell’aspettativa di vita».

«Da oltre dieci anni – ha continuato Cartabellotta – assistiamo all’assenza di visione e strategia politica a supporto della sanità pubblica, in un immobilismo che si limita ad affrontare solo problemi contingenti: per questo abbiamo elaborato il “Piano di rilancio del Servizio Sanitario Nazionale”, a seguito di una consultazione pubblica che ha coinvolto oltre 1.500 persone, che sarà utilizzato dalla Fondazione GIMBE come standard di riferimento per monitorare scelte e azioni di chi decide sul diritto alla tutela della salute».

FINANZIAMENTO PUBBLICO. È cruciale e inderogabile un rilancio progressivo e consistente del finanziamento pubblico per la sanità. Al momento, la Nota di Aggiornamento del DEF nel triennio 2023-2025 prevede una riduzione della spesa sanitaria media dell’1,13% per anno e un rapporto spesa sanitaria/PIL che nel 2025 precipita al 6%, ben al di sotto dei livelli pre-pandemia. Nel 2021 la spesa pubblica pro-capite nel nostro Paese è inferiore alla media OCSE ($ 3.052 vs $ 3.488) e in Europa ci collochiamo al 16° posto: ben 15 Paesi investono di più in sanità, con un gap che va dai $ 285 della Repubblica Ceca ai $ 3.299 della Germania. Impietoso il confronto con i paesi del G7 sulla spesa pubblica: dal 2008 siamo fanalino di coda con distanze sempre più ampie e oggi ormai incolmabili. «Senza più pretendere di guardare a paesi come Germania e Francia ponendosi obiettivi irrealistici – commenta il Presidente – entro il 2030 occorre allineare il finanziamento pubblico almeno alla media dei paesi europei rispetto ai quali nel 2020 il gap era già di quasi € 12 miliardi nel 2021. E vincolando la destinazione d’uso delle risorse: rilanciare le politiche del personale sanitario, garantire l’erogazione uniforme dei LEA e consentire un equo accesso alle innovazioni».

GOVERNANCE STATO-REGIONI. L’entità delle diseguaglianze regionali, e in particolare la “frattura” Nord-Sud, è ormai di tale entità che è indispensabile potenziare le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni, nel rispetto dei loro poteri, per ridurre diseguaglianze, iniquità e sprechi e garantire il diritto costituzionale alla tutela della salute su tutto il territorio nazionale. «Al netto di riforme costituzionali – spiega Cartabellotta – è fondamentale che il monitoraggio dei LEA venga integrato nei meccanismi di programmazione e riparto delle risorse alle Regioni, rivedendo interamente il sistema dei Piani di rientro che, puntando esclusivamente al riequilibrio finanziario, hanno impedito alle Regioni del Centro-Sud di recuperare il gap. E attenzione alle autonomie differenziate che rischiano di dare il colpo di grazia al SSN».

LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA. Al fine di ridurre le diseguaglianze e garantire l’uniforme esigibilità dei LEA in tutto il territorio nazionale è necessario garantirne l’aggiornamento continuo per rendere rapidamente accessibili le innovazioni e potenziare gli strumenti per monitorare le Regioni. «Le intenzioni politiche – chiosa Cartabellotta – devono essere riallineate con l’esigibilità dei diritti delle persone. Oggi da un lato la mancata approvazione del cd. “Decreto Tariffe” impedisce ai pazienti di accedere a prestazioni innovative di specialistica ambulatoriale e protesica, dall’altro i LEA non vengono aggiornati da oltre 6 anni, rendendo inaccessibili ai pazienti numerose innovazioni diagnostico-terapeutiche che nel frattempo la ricerca ha reso disponibili».

PERSONALE SANITARIO. «Il tetto di spesa sul personale imposto dal progressivo definanziamento – spiega Cartabellotta – i blocchi contrattuali, la mancata programmazione dei nuovi specialisti hanno determinato prima una carenza quantitativa e adesso, soprattutto dopo la pandemia, una crisi motivazionale che porta sia a disertare alcune professioni (es. scienze infermieristiche) e specialità mediche (es. emergenza-urgenza), sia a lasciare le strutture pubbliche per quelle private, o addirittura per l’estero». Ecco perché è inderogabile rilanciare le politiche sul capitale umano in sanità al fine di valorizzare e (ri)motivare la colonna portante del SSN: investire sul personale sanitario con risorse vincolate, programmare adeguatamente il fabbisogno di tutti i professionisti sanitari, riformare i processi di formazione, valutazione e valorizzazione delle competenze secondo un approccio multi-professionale.

PROGRAMMAZIONE, ORGANIZZAZIONE E INTEGRAZIONE DEI SERVIZI SANITARI E SOCIO-SANITARI. «L’erogazione dell’assistenza sanitaria – ha spiegato il Presidente – oggi risulta molto frammentata, dicotomizzata tra ospedale e territorio e scarsamente integrata con quella socio-sanitaria, generando sprechi e inefficienze, ridotta qualità dei servizi e disagi per i pazienti». Ecco perché bisogna programmare l’offerta di servizi sanitari in relazione ai bisogni di salute e renderla disponibile tramite reti integrate, che condividono percorsi assistenziali, tecnologie e risorse umane. «Le opportunità offerte dal PNRR, in particolare la riorganizzazione dell’assistenza territoriale – ha precisato Cartabellotta – sono necessarie ma non sufficienti perché richiedono coraggiose riforme per essere utilizzate al meglio». In tal senso le risorse disponibili per la telemedicina, ha continuato il Presidente «devono far parte di una trasformazione digitale mirata a promuovere cultura e competenze digitali nella popolazione e tra professionisti della sanità e a rimuovere ostacoli infrastrutturali, tecnologici e organizzativi».

RAPPORTO PUBBLICO-PRIVATO E SANITÀ INTEGRATIVA. L’annuario statistico del SSN pubblicato il 23 marzo documenta l’espansione delle strutture sanitarie private accreditate, ovvero rimborsate con il denaro pubblico. Nel 2021 le strutture private accreditate ospedaliere sono passate dal 46,9% del totale al 48,6%. Tra il 2011 e il 2021 aumentano anche le percentuali di specialistica ambulatoriale (da 58,9% a 60,4% del totale), quelle deputate all’assistenza residenziale (da 76,5% all’84% del totale) e semiresidenziale (da 63,5% a 71,3% del totale) e la percentuale delle strutture riabilitative (da 75,1% al 78,2% del totale). «Il nostro Piano di Rilancio – ha precisato il Presidente – mira ad arginare l’espansione incontrollata del privato accreditato, sia normando l’integrazione pubblico-privato, sia riordinando la normativa sui fondi sanitari oggi un vero e proprio “cavallo di troia” che dirotta su assicurazioni e sanità privata accreditata risorse pubbliche provenienti dalla defiscalizzazione dei fondi sanitari».

Il Piano di Rilancio del SSN include altri punti: dall’attuazione del principio health in all alla prevenzione e promozione della salute; dalla necessità di potenziare l’informazione istituzionale basata sulle evidenze scientifiche e migliorare l’alfabetizzazione sanitaria delle persone all’aumento delle risorse da destinare alla ricerca clinica indipendente e alla ricerca sui servizi sanitari che devono arrivare almeno al 2% del finanziamento pubblico per la sanità; sino alla rimodulazione di ticket e detrazioni fiscali per le spese sanitarie, secondo princìpi di equità sociale ed evidenze scientifiche.

Nel corso della Conferenza la Fondazione GIMBE ha assegnato il premio “Evidence 2023” al Prof. Alberto Mantovani per il suo straordinario contributo ai progressi della scienza nel campo dell’immunologia e il suo stile nella comunicazione pubblica della scienza. Il premio “Salviamo il Nostro SSN 2023” è stato conferito al giornalista e conduttore televisivo Riccardo Iacona per aver promosso le evidenze scientifiche, combattuto l’antiscienza, contrastato il consumismo sanitario e, soprattutto, messo al centro delle sue inchieste il valore della sanità pubblica.

«Per la sanità pubblica – conclude Cartabellotta – è ormai scaduto il tempo della “manutenzione ordinaria” che ha portato allo sgretolamento dei princìpi di equità e universalismo. Ecco perché serve innanzitutto la visione sul modello di sanità che vogliamo lasciare in eredità alle future generazioni; quindi, occorre definire quante risorse pubbliche investire per la salute e il benessere delle persone; infine, bisogna attuare coraggiose riforme per condurre il SSN nella direzione voluta. Naturalmente tutto questo richiede ancor prima un patto politico che, prescindendo da ideologie partitiche e avvicendamenti di Governi, riconosca nel SSN un pilastro della nostra democrazia e una conquista sociale irrinunciabile. In alternativa, se mantenere un SSN pubblico, equo e universalistico non è più una priorità del nostro Paese, la politica dovrebbe avere l’onestà di scegliere apertamente un altro modello di sanità, governando in maniera rigorosa i processi di privatizzazione che si stanno già concretizzando in maniera subdola, creando di fatto una sanità a doppio binario».

 

Il Piano di rilancio del Servizio Sanitario Nazionale

  • LA SALUTE IN TUTTE LE POLITICHE. Mettere la salute e il benessere delle persone al centro di tutte le decisioni politiche: non solo sanitarie, ma anche ambientali, industriali, sociali, economiche e fiscali, oltre che di istruzione, formazione e ricerca (Health in All Policies).
  • PREVENZIONE E PROMOZIONE DELLA SALUTE. Diffondere la cultura e potenziare gli investimenti per la prevenzione e la promozione della salute e attuare l’approccio integrato One Health, perché la salute delle persone, degli animali, delle piante e dell’ambiente sono strettamente interdipendenti.
  • GOVERNANCE STATO-REGIONI. Potenziare le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni, nel rispetto dei loro poteri, per ridurre diseguaglianze, iniquità e sprechi e garantire il diritto costituzionale alla tutela della salute su tutto il territorio nazionale.
  • FINANZIAMENTO PUBBLICO. Aumentare il finanziamento pubblico per la sanità in maniera consistente e stabile, allineandolo entro il 2030 alla media dei paesi europei, al fine di garantire l’erogazione uniforme dei LEA, l’accesso equo alle innovazioni e il rilancio delle politiche del personale sanitario.
  • LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA. Garantire l’aggiornamento continuo dei LEA per rendere rapidamente accessibili le innovazioni e potenziare gli strumenti per monitorare le Regioni, al fine di ridurre le diseguaglianze e garantire l’uniforme esigibilità dei LEA in tutto il territorio nazionale.
  • PROGRAMMAZIONE, ORGANIZZAZIONE E INTEGRAZIONE DEI SERVIZI SANITARI E SOCIO-SANITARI. Programmare l’offerta di servizi sanitari in relazione ai bisogni di salute e renderla disponibile tramite reti integrate, che condividono percorsi assistenziali, tecnologie e risorse umane, al fine di ridurre la frammentazione dell’assistenza, superare la dicotomia ospedale-territorio e integrare assistenza sanitaria e sociale.
  • PERSONALE SANITARIO. Rilanciare le politiche sul capitale umano in sanità al fine di valorizzare e (ri)motivare la colonna portante del SSN: investire sul personale sanitario, programmare adeguatamente il fabbisogno di tutti i professionisti sanitari, riformare i processi di formazione, valutazione e valorizzazione delle competenze secondo un approccio multi-professionale.
  • SPRECHI E INEFFICIENZE. Ridurre sprechi e inefficienze che si annidano a livello politico, organizzativo e professionale e riallocare le risorse in servizi essenziali e innovazioni, aumentando il valore della spesa sanitaria.
  • RAPPORTO PUBBLICO-PRIVATO. Normare l’integrazione pubblico-privato secondo i reali bisogni di salute della popolazione e disciplinare la libera professione, al fine di ridurre le diseguaglianze d’accesso ai servizi sanitari e arginare l’espansione della sanità privata accreditata.
  • SANITÀ INTEGRATIVA. Riordinare la normativa sui fondi sanitari al fine di renderli esclusivamente integrativi rispetto a quanto già incluso nei LEA, arginando diseguaglianze, fenomeni di privatizzazione, erosione di risorse pubbliche e derive consumistiche.
  • TICKET E DETRAZIONI FISCALI. Rimodulare ticket e detrazioni fiscali per le spese sanitarie, secondo princìpi di equità sociale ed evidenze scientifiche, al fine di ridurre lo spreco di denaro pubblico e il consumismo sanitario.
  • TRASFORMAZIONE DIGITALE. Promuovere cultura e competenze digitali nella popolazione e tra professionisti della sanità e caregiver e rimuovere gli ostacoli infrastrutturali, tecnologici e organizzativi, al fine di minimizzare le diseguaglianze e migliorare l’accessibilità ai servizi e l’efficienza in sanità.
  • INFORMAZIONE ALLA POPOLAZIONE. Potenziare l’informazione istituzionale basata sulle evidenze scientifiche e migliorare l’alfabetizzazione sanitaria delle persone, al fine di favorire decisioni informate sulla salute, ridurre il consumismo sanitario e contrastare le fake news, oltre che aumentare la consapevolezza del valore del SSN.
  • RICERCA. Destinare alla ricerca clinica indipendente e alla ricerca sui servizi sanitari almeno il 2% del finanziamento pubblico per la sanità, al fine di produrre evidenze scientifiche per informare scelte e investimenti del SSN.

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28 marzo 2023
Servizio Sanitario Nazionale in codice rosso. Liste di attesa infinite, rinunce alle cure, innovazioni inaccessibili, diseguaglianze senza precedenti. E mentre la sanità pubblica arretra, il privato avanza. Serve un radicale cambio di rotta: il 31 marzo a Bologna GIMBE presenterà il Piano di Rilancio del SSN

«La crisi di sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – sta raggiungendo il punto di non ritorno tra l’indifferenza di tutti i Governi che negli ultimi 15 anni, oltre a tagliare o non investire in sanità, sono stati incapaci di attuare riforme coraggiose per garantire il diritto alla tutela della salute. Con l’aggravante di ignorare tre incontrovertibili certezze: che la sanità pubblica è una conquista sociale irrinunciabile e un pilastro della nostra democrazia; che il livello di salute e benessere della popolazione condiziona la crescita economica del Paese; infine, che la perdita di un SSN universalistico porterà ad un disastro sanitario, sociale ed economico senza precedenti».

L'emergenza COVID-19 ha ulteriormente indebolito il SSN, specialmente sul fronte del personale e il netto aumento del finanziamento pubblico negli ultimi anni è stato interamente assorbito dall'emergenza, tanto che ora le Regioni rischiano di tagliare i servizi. Senza contare che il DdL sull'autonomia differenziata potrebbe dare il colpo di grazia al SSN. «E se durante la fase più drammatica dell’emergenza – sottolinea il Presidente – tutte le forze politiche convergevano sulla necessità di potenziare la sanità pubblica, ben presto è ritornata nell’oblio. E i professionisti sanitari continuano ad essere ringraziati solo con la “retorica degli eroi”».

«Oggi i pazienti – chiosa il Presidente – vivono ogni giorno le conseguenze di un SSN ormai in codice rosso per la coesistenza di varie malattie: imponente sotto-finanziamento, carenza di personale per assenza di investimenti, mancata programmazione e crescente demotivazione, incapacità di ridurre le diseguaglianze, modelli organizzativi obsoleti e inesorabile avanzata del privato. Un SSN gravemente malato che costringe i pazienti ad attese infinite, migrazione sanitaria, spese ingenti, sino alla rinuncia alle cure».

Liste di attesa. Il ritardo delle prestazioni sanitarie accumulato durante la pandemia ha determinato un ulteriore allungamento delle liste di attesa che le Regioni non riescono a smaltire nonostante le risorse stanziate dal Governo. «Così le persone sono costrette a rivolgersi al privato se ne hanno le possibilità economiche – spiega Cartabellotta – oppure attendere gli inaccettabili tempi di attesa delle strutture pubbliche sino a rinunciare alle prestazioni, con conseguenze imprevedibili sulla loro salute». Secondo una recente audizione dell’ISTAT la quota di persone che hanno dovuto rinunciare a prestazioni sanitarie è passata dal 6,3% nel 2019 al 9,6% nel 2020, sino all’l’11,1% nel 2021. E se nel 2022 le stime attesterebbero un recupero con una riduzione al 7%, l’ostacolo principale rimangono le lunghe liste di attesa (4,2%) rispetto alle rinunce per motivi economici (3,2%).

La spesa privata. Nel 2021 la spesa sanitaria in Italia ha raggiunto i € 168 miliardi, di cui € 127 miliardi di spesa pubblica (75,6%), € 36,5 miliardi (21,8%) a carico delle famiglie e € 4,5 miliardi (2,7%) sostenuti da fondi sanitari e assicurazioni (dati ISTAT). Secondo il recente Rapporto CREA Sanità nel 2021 la spesa privata è in media € 1.734 per nucleo familiare, ovvero il 5,7% dei consumi totali. E nel 2020 oltre 600 mila famiglie hanno dovuto sostenere spese “catastrofiche”, ovvero insostenibili rispetto ai budget, e quasi 380 mila famiglie si sono impoverite per spese sanitarie, in particolare nelle Regioni meridionali. «La chiave di lettura – chiosa Cartabellotta – è chiarissima: la politica si è sbarazzata di una consistente quota di spesa pubblica per la sanità, scaricando oneri iniqui sui bilanci delle famiglie».

Diseguaglianze. Il monitoraggio del Ministero della Salute sugli adempimenti ai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) spiega il Presidente «documenta enormi diseguaglianze regionali con un gap Nord-Sud ormai incolmabile, che rende la “questione meridionale” in sanità una priorità sociale ed economica». Infatti, guardando ai punteggi LEA nel decennio 2010-2019, tra le prime 10 Regioni solo due sono del centro (Umbria e Marche) e nessuna del sud; nel 2020 solo 11 Regioni risultano adempienti ai LEA, di cui solo la Puglia al Sud; eccetto Basilicata e Sardegna sono in Piano di rientro tutte le Regioni del centro-sud, con Calabria e Molise commissariate; e nel 2020 Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto attraggono il 94,1% della mobilità sanitaria.

«Esistono poi – spiega Cartabellotta – altre diseguaglianze meno note: tra aree urbane e rurali, tra uomini e donne, oltre che correlate al grado di istruzione e di reddito. Ovvero, il SSN garantisce una “salute diseguale” che si riflette anche sugli anni di vita perduti». Infatti, il recente report dell’Eurostat documenta che in Italia si vive più a lungo nelle Regioni del Centro-Nord, con la Provincia autonoma di Trento in testa (84,2 anni), rispetto a quelle del Sud, con la Campania fanalino di coda (80,9 anni). «Un inaccettabile gap di oltre 3,3 anni – commenta Cartabellotta – che dimostra come la qualità dei servizi sanitari regionali produca effetti evidenti sull’aspettativa di vita, vanificando quel vantaggio che le Regioni meridionali avevano conquistato nei decenni scorsi grazie a favorevoli condizioni ambientali e climatiche e alla dieta mediterranea».

Mancato accesso alle innovazioni. L’ultimo aggiornamento dei LEA risale al gennaio 2017, ma per mancanza di risorse non è mai stato approvato il cd “Decreto Tariffe” relativo a specialistica ambulatoriale e protesica. «Di conseguenza – puntualizza il Presidente – innovazioni quali la procreazione medicalmente assistita, lo screening neonatale esteso, ausili e dispositivi all’avanguardia (es. apparecchi acustici digitali, protesi di ultima generazione, carrozzine basculanti) oggi possono essere erogate solo dalle Regioni non in Piano di rientro con risorse proprie, generando ulteriori diseguaglianze e tenendo in ostaggio i diritti dei pazienti. Intanto, il “continuo aggiornamento dei LEA al fine di mantenerli allineati all’evoluzione delle conoscenze scientifiche” rimane solo un vuoto slogan, visto che i LEA non vengono aggiornati da oltre 6 anni rendendo numerose innovazioni diagnostico-terapeutiche inaccessibili a tutti i pazienti che ne avrebbero diritto».

Privatizzazione. L’annuario statistico del SSN pubblicato il 23 marzo restituisce l’entità dell’offerta delle strutture sanitarie private accreditate, ovvero rimborsate con il denaro pubblico. Nel 2021 risultano private accreditate: il 48,6% delle strutture ospedaliere (n. 995); il 60,4% di quelle di specialistica ambulatoriale (n. 8.778); l’84% di quelle deputate all’assistenza residenziale (n.7.984) e il 71,3% di quelle semiresidenziali (n. 3.005), ovvero le due tipologie di RSA; il 78,2% di quelle riabilitative (n. 1.154).  «Inoltre esiste un vero e proprio “cavallo di Troia” – aggiunge il Presidente – che erode risorse pubbliche dirottandole ai privati: il connubio tra fondi sanitari e assicurazioni, sostenuto dalle politiche del welfare aziendale». I fondi sanitari, che godono di consistenti agevolazioni fiscali, erano nati per integrare le prestazioni non offerte dal SSN (odontoiatria, long term care), ma di fatto per circa il 70% erogano prestazioni già incluse nei LEA tramite la sanità privata accreditata. E siccome le assicurazioni sono divenute veri e propri gestori dei fondi sanitari, puntualizza Cartabellotta «i presunti vantaggi del welfare aziendale per i lavoratori iscritti ai fondi sono una mera illusione, perché il 40-50% dei premi versati non si traducono in servizi in quanto erosi da costi amministrativi e utili delle compagnie assicurative. Ovvero, i beneficiari delle risorse pubbliche provenienti dalla defiscalizzazione dei fondi sanitari sono le assicurazioni che generano profitti, la sanità privata che aumenta le prestazioni erogate e le imprese che risparmiano sul costo del lavoro».

«Nel marzo 2013 – conclude Cartabellotta – la Fondazione GIMBE ha lanciato la campagna “Salviamo il Nostro Servizio Sanitario Nazionale”, con il monito che la perdita del SSN non sarebbe stata annunciata dal fragore di una valanga, ma dal silenzioso scivolamento di un ghiacciaio, attraverso anni, lustri, decenni. Che lentamente, ma inesorabilmente, avrebbe eroso il diritto costituzionale alla tutela della salute. E dopo 10 anni di battaglie GIMBE per la sanità pubblica, nell’indifferenza di tutti i Governi, le evidenze dimostrano che siamo vicini al punto di non ritorno. Se un SSN pubblico, equo e universalistico rappresenta ancora una priorità del Paese Italia e un pilastro della nostra democrazia è necessario un repentino cambio di rotta, indicato dalla Fondazione GIMBE con il “Piano di Rilancio del Servizio Sanitario Nazionale” che sarà presentato a Bologna il 31 marzo, in occasione della 15a Conferenza Nazionale».

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15a Conferenza Nazionale GIMBE
Il coraggio delle scelte per il futuro della Sanità Pubblica: visione, risorse, riforme

Bologna, Royal Hotel Carlton, 31 marzo 2023 ore 10.00

Nella lettura del Presidente Nino Cartabellotta sarà presentato il Piano di rilancio del Servizio Sanitario Nazionale, elaborato dalla Fondazione GIMBE e arricchito grazie ad un’ampia consultazione pubblica, che sarà utilizzato come standard di riferimento per monitorare scelte e azioni di chi decide sul diritto alla tutela della salute.

Seguiranno due forum. Al primo, destinato al rilancio delle politiche per il personale sanitario, parteciperanno i presidenti, o loro delegati, di tutte le Federazioni degli Ordini professionali: Filippo Anelli (Medici Chirurghi e Odontoiatri), Teresa Calandra (Tecnici Sanitari Radiologia Medica, Professioni Sanitarie Tecniche della Riabilitazione e della Prevenzione), Piero Ferrante (Fisioterapisti), Mara Fiaschi (Psicologi), Andrea Mandelli (Farmacisti), Pierpaolo Pateri (Professioni Infermieristiche), Nausicaa Orlandi (Chimici e Fisici), Gaetano Penocchio (Veterinari), Silvia Vaccari (Ostetrici), delegato da confermare (Biologi).

Al secondo Forum, destinato alla riorganizzazione dell'assistenza territoriale prevista dal PNRR, parteciperanno di autorevoli esponenti di Istituzioni, management, professionisti sanitari e cittadini: Michelangelo Bartolo (Telemedicina territoriale e Ospedaliera, Regione Lazio), Raffaele Donini (Assessore alle Politiche per la Salute Regione Emilia-Romagna), Tiziana Frittelli (Presidente Federsanità ANCI), Loreto Gesualdo (Presidente Federazione delle Società Medico-Scientifiche Italiane), Stefano Lorusso (Direttore Generale Programmazione Sanitaria, Ministero della Salute), Anna Lisa Mandorino (Segretaria Generale Cittadinanzattiva), Domenico Mantoan (Direttore Generale Agenas), Giovanni Migliore (Presidente Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere).

Nel pomeriggio la sessione “Focus on” su due tematiche di grande attualità: il monitoraggio del Ministero della Salute dei Piani regionali di recupero delle liste d'attesa (Maria Grazia Laganà, Ministero della Salute) e un’analisi su certezze, problemi irrisolti e prospettive future della Legge Gelli-Bianco per la sicurezza delle cure (Maurizio Hazan, Fondazione Italia in Salute).

Immancabili gli appuntamenti con il Laboratorio Italia, vetrina dei progetti selezionati da Regioni e Aziende Sanitarie, la sessione GIMBE4young dove verranno presentate le opportunità offerte da GIMBE ai giovani professionisti della sanità e la consegna del “Premio Evidence” e del “Premio Salviamo il Nostro Servizio Sanitario Nazionale”.

L’iscrizione alla Conferenza è gratuita e può essere effettuata esclusivamente tramite il modulo online disponibile a: www.conferenzagimbe.it/iscrizione.

Il modulo per la richiesta di accredito stampa all’evento è disponibile a: https://survey.alchemer.eu/s3/90542972/15a-Conferenza-Nazionale-GIMBE-Bologna-31-marzo-2023-Royal-Carlton-Hotel-via-Montebello-8  


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20 marzo 2023
Coronavirus: nell’ultima settimana stabili i contagi (-1%), decessi (-1,9%) e terapie intensive (0%). Scendono i ricoveri (-7,9%). Quarta dose: scoperte 2 persone su 3. Quinta dose: meno di 500 mila somministrazioni in 5 mesi. Copertura ferma al 15,7%

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE rileva nella settimana 10-16 marzo 2023, rispetto alla precedente, una sostanziale stabilità dei nuovi casi (23.732 vs 23.963) (figura 1), dei decessi (212 vs 216) (figura 2), delle terapie intensive (104 vs 104) e delle persone in isolamento domiciliare (139.157 vs 141.005). In calo i ricoveri con sintomi (2.727 vs 2.962). In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: 212 (-1,9%)
  • Terapia intensiva: 0 (0%)
  • Ricoverati con sintomi: -235 (-7,9%)
  • Isolamento domiciliare: -1.848 (-1,3%)
  • Nuovi casi: 23.732 (-1%)

Nuovi casi. «Dopo la discesa delle ultime due settimane – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – sono sostanzialmente stabili (-1%) i nuovi casi settimanali, che rimangono comunque ampiamente sottostimati. Dai 23,9 mila nella settimana precedente si attestano a quota 23,7 mila, con una media mobile a 7 giorni di 3.387 casi al giorno» (figura 3). I nuovi casi aumentano in 10 Regioni: dal +1,2% della Toscana al +33,8% della Basilicata. In calo le restanti 10 Regioni: dal -4% del Piemonte al -25,8% della Valle d’Aosta; mentre è stabile la Puglia con una variazione dello 0% (tabella 1). In 61 Province si registra un aumento dei nuovi casi: dal +0,1% di Treviso al +76,9% di Lodi. Nelle restanti 44 Province si rileva una diminuzione dei nuovi casi (dal -0,6% di Brescia al -43,2% di Reggio Calabria); stabili le province di Fermo e Verona con una variazione dello 0% (tabella 2).

Testing. Si registra un calo del numero dei tamponi totali (-5,3%): da 477.908 della settimana 3-9 marzo a 452.747 della settimana 10-16 marzo. In particolare i tamponi rapidi sono diminuiti del 3,9% (-14.310), mentre quelli molecolari del 10,2% (-10.851) (figura 4). La media mobile a 7 giorni del tasso di positività aumenta dal 4,3% al 4,6% per i tamponi molecolari e dal 5,1% al 5,4% per gli antigenici rapidi (figura 5).

Ospedalizzazioni. «Sul fronte degli ospedali – afferma Marco Mosti, Direttore Operativo della Fondazione GIMBE – prosegue il calo dei ricoveri in area medica (-7,9%) mentre sono stabili quelli in terapia intensiva (0%)». In termini assoluti, i posti letto COVID occupati in area critica, raggiunto il massimo di 148 il 28 febbraio, restano fermi a quota 104 il 16 marzo; in area medica, raggiunto il massimo di 3.331 il 23 febbraio, sono scesi a 2.727 il 16 marzo (figura 6). Al 16 marzo il tasso nazionale di occupazione da parte di pazienti COVID è del 4,3% in area medica (dall’1,8% della Basilicata al 10,1% dell'Umbria) e dell’1% in area critica (dallo 0% di Basilicata, Marche, Provincia Autonoma di Bolzano e Valle d’Aosta al 2,8% dell'Emilia Romagna) (figura 7). «Stabili gli ingressi giornalieri in terapia intensiva – puntualizza Mosti – con una media mobile a 7 giorni di 11 ingressi/die rispetto ai 12 della settimana precedente» (figura 8).

Decessi. Sostanzialmente stabili i decessi (-1,9%): 212 negli ultimi 7 giorni, con una media di 30 al giorno rispetto ai 31 della settimana precedente.

MONITORAGGIO CAMPAGNA VACCINALE

Vaccini: persone non vaccinate. Al 17 marzo (aggiornamento ore 06.18) sono 8,61 milioni le persone che non hanno ricevuto nemmeno una dose di vaccino (figura 9), di cui:

  • 8,31 milioni attualmente vaccinabili, pari al 14% della platea (dall’11,2% della Toscana al 26,4% della Provincia Autonoma di Trento);
  • 0,30 milioni temporaneamente protette in quanto guarite da COVID-19 da meno di 180 giorni, pari allo 0,5% della platea (dallo 0,2% della Sicilia all’1% del Friuli Venezia Giulia).

Vaccini: terza dose. Al 17 marzo (aggiornamento ore 06.18) sono 8,51 milioni le persone che non hanno ancora ricevuto la dose booster (figura 10), di cui:

  • 7,73 milioni possono riceverla subito, pari al 15,8% della platea (dall’11,8% del Piemonte al 22,5% della Sicilia);
  • 0,78 milioni non possono riceverla nell’immediato in quanto guarite da meno di 120 giorni, pari all’1,6% della platea (dallo 0,4% della Valle D'Aosta al 3,1% del Veneto).

Vaccini: quarta dose.  La platea per il secondo richiamo (quarta dose), aggiornata al 17 settembre 2022, è di 19,1 milioni di persone: di queste, 12,2 milioni possono riceverlo subito, un milione non sono eleggibili nell’immediato in quanto guarite da meno di 120 giorni e 6 milioni l’hanno già ricevuto. Al 17 marzo (aggiornamento ore 06.18) sono state somministrate 5.984.294 quarte dosi, con una media mobile di 876 somministrazioni al giorno, in calo rispetto alle 961 della scorsa settimana (-8,8%) (figura 11). In base alla platea ufficiale (n. 19.119.772 di cui 13.060.462 over 60, 3.990.080 fragili e immunocompromessi, 1.748.256 di personale sanitario e 320.974 ospiti delle RSA che non ricadono nelle categorie precedenti), il tasso di copertura nazionale per le quarte dosi è del 31,3%, ovvero sono scoperte più di due persone su tre, con nette differenze regionali: dal 14% della Calabria al 45,3% del Piemonte (figura 12).

Vaccini: quinta dose.  La platea per il terzo richiamo (quinta dose), aggiornata al 20 gennaio 2023, è di 3,1 milioni di persone: di queste, 2,4 milioni possono riceverlo subito, 0,2 milioni non sono eleggibili nell’immediato in quanto guarite da meno di 120 giorni e 0,5 milioni l’hanno già ricevuto. Dopo cinque mesi dall’avvio della campagna, al 17 marzo (aggiornamento ore 06.18) sono state somministrate 495.567 quinte dosi, con una media mobile di 746 somministrazioni al giorno, in aumento rispetto alle 735 della scorsa settimana (+1,5%) (figura 13). In base alla platea ufficiale (n. 3.146.516 di cui 2.298.047 over 60, 731.224 fragili e immunocompromessi, 117.245 ospiti delle RSA che non ricadono nelle categorie precedenti), il tasso di copertura nazionale per le quinte dosi è del 15,7% con nette differenze regionali: dal 6% della Campania al 29,9% del Piemonte (figura 14).

«In considerazione della progressiva riduzione della circolazione virale da dicembre 2022, dell’impatto sempre minore su ospedalizzazioni e decessi, del sostanziale immobilismo della campagna vaccinale sui richiami e dell’assenza di nuove varianti di preoccupazione – conclude Cartabellotta - la Fondazione GIMBE dopo 3 anni sospende il report settimanale relativo al monitoraggio indipendente della pandemia COVID-19 e della campagna vaccinale. Confidando di avere reso un servizio utile al Paese, continueremo ad aggiornare i dati della pandemia e della campagna vaccinale sul nostro sito web».

Il monitoraggio GIMBE della pandemia COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org.
La Fondazione GIMBE rimane disponibile a fornire approfondimenti puntali su richiesta dei giornalisti
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16 marzo 2023
Nel 2020 la pandemia frena la migrazione sanitaria: € 3,33 miliardi si spostano dal sud al nord. Alle “autonomiste” Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto il 94,1% del saldo della mobilità attiva. L’83,4% del saldo passivo grava su Campania, Lazio, Sicilia, Puglia, Abruzzo e Basilicata. Mobilità attiva: le strutture private incassano oltre la metà di ricoveri e prestazioni di specialistica ambulatoriale

Nel 2020, la mobilità sanitaria interregionale in Italia ha raggiunto un valore di € 3,33 miliardi, con saldi estremamente variabili tra le Regioni del Nord e quelle del Sud. Il saldo è un dato che risulta dalla differenza tra mobilità attiva, ovvero l’attrazione di pazienti da altre Regioni, e quella passiva, cioè la “migrazione sanitaria” dalla Regione di residenza. Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto – le Regioni capofila dell’autonomia differenziata – raccolgono il 94,1% del saldo attivo, mentre l’83,4% del saldo passivo si concentra in Campania, Lazio, Sicilia, Puglia, Abruzzo e Basilicata. «La mobilità sanitaria – spiega Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – è un fenomeno dalle enormi implicazioni sanitarie, sociali etiche ed economiche, che riflette le grandi diseguaglianze nell’offerta di servizi sanitari tra le varie Regioni e, soprattutto, tra il Nord e il Sud del Paese. Infatti, le Regioni con maggiore capacità attrattiva si trovano ai primi posti nei punteggi LEA, mentre gli ultimi posti sono occupati da quelle con mobilità passiva più elevata».

I dati sulla mobilità sanitaria riguardano 7 tipologie di prestazioni: ricoveri ordinari e day hospital (differenziati per pubblico e privato), medicina generale, specialistica ambulatoriale (differenziata per pubblico e privato), farmaceutica, cure termali, somministrazione diretta di farmaci, trasporti con ambulanza ed elisoccorso. «La Fondazione GIMBE ha elaborato un report sulla mobilità sanitaria – precisa Cartabellotta – utilizzando sia i dati economici aggregati per analizzare mobilità attiva, passiva e saldi, sia i flussi trasmessi dalle Regioni al Ministero della Salute con il cosiddetto Modello M, che permettono di analizzare la differente capacità di attrazione del pubblico e del privato di ogni Regione, oltre alla tipologia di prestazioni erogate in mobilità».

Nel 2020 il valore della mobilità sanitaria ammonta a € 3.330,47 milioni: si tratta di una cifra inferiore a quella degli anni precedenti (figura 1), spiega il Presidente, «in parte in ragione dell’emergenza pandemica COVID-19 che ha ridotto gli spostamenti delle persone e l’offerta di prestazioni ospedaliere e ambulatoriali, in parte per l’esclusione nel 2020 del valore della mobilità della Regione Calabria, che ammonta a circa € 250 milioni». Infatti, in base ai dati del Modello M, la Calabria ha € 224,4 milioni di debiti e € 27,2 milioni di crediti, somme che saranno compensate a partire dal 2026: di conseguenza, la Regione è stata esclusa dalle analisi su mobilità attiva, mobilità passiva, saldi e saldi pro-capite.

Mobilità attiva. 6 Regioni con maggiori capacità di attrazione vantano crediti superiori a € 150 milioni: Lombardia (20,2%), Emilia-Romagna (16,5%) e Veneto (12,7%) raccolgono complessivamente quasi la metà della mobilità attiva. Un ulteriore 20,7% viene attratto da Lazio (8,4%), Piemonte (6,9%) e Toscana (5,4%). Il rimanente 29,9% della mobilità attiva si distribuisce nelle altre Regioni e Province autonome. I dati documentano la forte capacità attrattiva delle grandi Regioni del Nord a cui corrisponde quella estremamente limitata delle Regioni del Centro-Sud, con la sola eccezione del Lazio (figura 2).

Mobilità passiva. 3 Regioni con maggiore indice di fuga generano debiti per oltre € 300 milioni: in testa Lazio (13,8%), Lombardia (10,9%) e Campania (10,2%), che insieme compongono oltre un terzo della mobilità passiva. Il restante 65,1% si distribuisce nelle rimanenti 17 Regioni e Province autonome. «I dati della mobilità passiva – commenta Cartabellotta – documentano differenze più sfumate tra Nord e Sud. In particolare, se quasi tutte le Regioni del Sud hanno elevati indici di fuga, questi sono rilevanti anche in tutte le grandi Regioni del Nord con elevata mobilità attiva, per la cosiddetta mobilità di prossimità, ovvero lo spostamento tra Regioni vicine con elevata qualità dei servizi sanitari, secondo specifiche preferenze dei cittadini». In dettaglio: Lombardia (-€ 362,9 milioni), Veneto (-€ 220,1 milioni), Piemonte (-€ 210,8 milioni) ed Emilia-Romagna (-€ 201,7 milioni) (figura 3).

Saldi. Le Regioni con saldo positivo superiore a € 100 milioni sono tutte del Nord, mentre quelle con saldo negativo maggiore di € 100 milioni tutte del Centro-Sud (figura 4). In particolare:

 

  • Saldo positivo rilevante: Emilia-Romagna (€ 300,1 milioni), Lombardia (€ 250,9 milioni) e Veneto (€ 165,9 milioni)
  • Saldo positivo moderato: Molise (€ 34,3 milioni)
  • Saldo positivo minimo: Toscana (€ 8,8 milioni), Friuli-Venezia Giulia (€ 1,6 milioni)
  • Saldo negativo minimo: Prov. Aut. di Bolzano (-€ 2 milioni), Piemonte (-€ 2,3 milioni), Provincia autonoma di Trento (-€ 3,8 milioni), Valle d’Aosta (-€ 10,7 milioni), Umbria (-€ 20,1 milioni)
  • Saldo negativo moderato: Marche (-€ 25,4 milioni), Liguria (-€ 51,5 milioni), Sardegna (-€ 57,6 milioni), Basilicata (-€ 62,5 milioni), Abruzzo (-€ 84,7 milioni)
  • Saldo negativo rilevante: Puglia (-€ 124,9 milioni), Sicilia (-€ 173,3 milioni), Lazio (-€ 202,2 milioni), Campania (-€ 222,9 milioni)


Saldo pro-capite di mobilità sanitaria. «Con questo indicatore elaborato dalla Fondazione GIMBE – puntualizza Cartabellotta – la classifica dei saldi si ricompone dimostrando che, al di là del valore economico, gli importi relativi alla mobilità sanitaria devono sempre essere interpretati in relazione alla popolazione residente». In particolare il Molise è in prima posizione per saldo pro-capite attivo con € 116 mentre la Basilicata, fanalino di coda, ha un saldo pro-capite negativo di € 115 (figura 5).

Valore delle tipologie di prestazioni erogate in mobilità. Complessivamente, l’85,8% del valore della mobilità sanitaria riguarda i ricoveri ordinari e in day hospital (69,6%) e le prestazioni di specialistica ambulatoriale (16,2%). Il 9,3% è relativo alla somministrazione diretta di farmaci e il rimanente 4,9% alle altre prestazioni (figura 6).

Mobilità verso le strutture private. «Grazie alla Commissione Salute della Conferenza delle Regioni e Province autonome – spiega il Presidente – che, in risposta a una richiesta di accesso civico, ha fornito alla Fondazione GIMBE i dati completi relativi alla mobilità sanitaria inviati dalle Regioni al Ministero della Salute, il report si è arricchito di ulteriori analisi rispetto ai precedenti». In particolare, emerge che più della metà del valore della mobilità sanitaria per ricoveri e prestazioni specialistiche è erogata da strutture private, per un valore di € 1.422,2 milioni (52,6%), rispetto ai € 1.278,9 milioni (47,4%) delle strutture pubbliche. In particolare, per i ricoveri ordinari e in day hospital le strutture private hanno incassato € 1.173,1 milioni, mentre quelle pubbliche € 1.019,8 milioni. Per quanto riguarda le prestazioni di specialistica ambulatoriale in mobilità, il valore erogato dal privato è di € 249,1 milioni, mentre quello pubblico è di € 259,1 milioni (figura 7).

«Il volume dell’erogazione di ricoveri e prestazioni specialistiche da parte di strutture private – spiega Cartabellotta – varia notevolmente tra le Regioni ed è un indicatore della presenza e della capacità attrattiva delle strutture private accreditate». Infatti, accanto a Regioni dove la sanità privata eroga oltre il 60% del valore totale della mobilità attiva – Molise (87,2%), Puglia (71,5%), Lombardia (69,2%) e Lazio (62,6%) – ci sono Regioni dove le strutture private erogano meno del 20% del valore totale della mobilità: Umbria (15,2%), Sardegna (14,5%), Valle d'Aosta (11,5%), Liguria (9,9%), Basilicata (8,1%) e nella Provincia autonoma di Bolzano (3,4%) (figura 8).

«Le nostre analisi – conclude Cartabellotta – dimostrano che i flussi economici della mobilità sanitaria scorrono prevalentemente da Sud a Nord, in particolare verso le Regioni che hanno già sottoscritto i pre-accordi con il Governo per la richiesta di maggiori autonomie. E che oltre la metà delle prestazioni di ricovero e specialistica ambulatoriale finisce nelle casse delle strutture private, ulteriore segnale d’indebolimento della sanità pubblica. In ogni caso, è impossibile stimare l’impatto economico complessivo della mobilità sanitaria che include sia i costi sostenuti da pazienti e familiari per gli spostamenti, sia i costi indiretti (assenze dal lavoro di familiari, permessi retribuiti), sia quelli intangibili che conseguono alla non esigibilità di un diritto fondamentale sancito dalla Costituzione».


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13 marzo 2023
Coronavirus: tutti i numeri in calo negli ultimi sette giorni. Contagi (-10,1%), ricoveri ordinari (-10,2%), terapie intensive (-24,1%) e decessi (-5,3%). Con meno di mille richiami giornalieri nell’ultima settimana precipitano quarta (-32,4%) e quinta dose (-36,6%)

MONITORAGGIO PANDEMIA COVID-19

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE rileva nella settimana 3-9 marzo 2023, rispetto alla precedente, una diminuzione di nuovi casi (23.963 vs 26.658) (figura 1) e una diminuzione dei decessi (216 vs 228) (figura 2). In calo anche le persone in isolamento domiciliare (141.005 vs 144.636), i ricoveri con sintomi (2.962 vs 3.297) e le terapie intensive (104 vs 137). In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: 216 (-5,3%)
  • Terapia intensiva: -33 (-24,1%)
  • Ricoverati con sintomi: -335 (-10,2%)
  • Isolamento domiciliare: -3.631 (-2,5%)
  • Nuovi casi: 23.963 (-10,1%)

Nuovi casi. «Dopo l’aumento di due settimane fa – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – prosegue il calo (-10,1%) dei nuovi casi settimanali, che rimangono comunque ampiamente sottostimati. Da oltre 26 mila nella settimana precedente sfiorano quota 24 mila, con una media mobile a 7 giorni di 3.423 casi al giorno» (figura 3). I nuovi casi aumentano in 4 Regioni: dal +3,8% della Lombardia al +23,7% della Provincia Autonoma di Trento. In calo le restanti 17 Regioni: dal -2,1% del Friuli Venezia Giulia al -51,6% della Valle d’Aosta (tabella 1). In 37 Province si registra un aumento dei nuovi casi: dal +0,7% di Verona al +217,1% di Rimini. Nelle restanti 70 Province si rileva una diminuzione dei nuovi casi (dal -1,2% di Salerno al -48,2% di Aosta) (tabella 2).

Testing. Si registra un calo del numero dei tamponi totali (-10,4%): da 533.212 della settimana 24 febbraio-2 marzo a 477.908 della settimana 3-9 marzo. In particolare i tamponi rapidi sono diminuiti dell’11% (-45.888), e quelli molecolari dell’8,1% (-9.416) (figura 4). La media mobile a 7 giorni del tasso di positività si riduce dal 4,4% al 4,3% per i tamponi molecolari e dal 5,2% al 5,1% per gli antigenici rapidi (figura 5).

Ospedalizzazioni. «Sul fronte degli ospedali – afferma Marco Mosti, Direttore Operativo della Fondazione GIMBE – cala il numero dei ricoveri sia in area medica (-10,2%) che in terapia intensiva (-24,1%)». In termini assoluti, i posti letto COVID occupati in area critica, raggiunto il massimo di 148 il 28 febbraio, sono scesi a 104 il 9 marzo; in area medica, raggiunto il massimo di 3.331 il 23 febbraio, sono scesi a 2.962 il 9 marzo (figura 6). Al 9 marzo il tasso nazionale di occupazione da parte di pazienti COVID è del 4,7% in area medica (dall’1,1% del Molise al 14,2% dell'Umbria) e dell’1% in area critica (dallo 0% di Basilicata, Marche, Provincia Autonoma di Trento e Valle d’Aosta al 2,6% di Emilia Romagna e Molise) (figura 7). «In diminuzione gli ingressi giornalieri in terapia intensiva – puntualizza Mosti – con una media mobile a 7 giorni di 12 ingressi/die rispetto ai 17 della settimana precedente» (figura 8).

Decessi. Diminuiscono i decessi (-5,3%): 216 negli ultimi 7 giorni, con una media di 31 al giorno rispetto ai 33 della settimana precedente.

MONITORAGGIO CAMPAGNA VACCINALE

Vaccini: persone non vaccinate. Al 10 marzo (aggiornamento ore 06.20) sono 8,61 milioni le persone che non hanno ricevuto nemmeno una dose di vaccino (figura 9), di cui:

  • 8,29 milioni attualmente vaccinabili, pari al 13,9% della platea (dall’11,2% della Toscana al 26,3% della Provincia Autonoma di Trento);
  • 0,32 milioni temporaneamente protette in quanto guarite da COVID-19 da meno di 180 giorni, pari allo 0,5% della platea (dallo 0,2% della Sicilia all’1,1% del Friuli Venezia Giulia).

Vaccini: terza dose. Al 10 marzo (aggiornamento ore 06.20) sono 8,51 milioni le persone che non hanno ancora ricevuto la dose booster (figura 10), di cui:

  • 7,66 milioni possono riceverla subito, pari al 15,6% della platea (dall’11,6% del Piemonte al 22,5% della Sicilia);
  • 0,85 milioni non possono riceverla nell’immediato in quanto guarite da meno di 120 giorni, pari all’1,7% della platea (dallo 0,5% della Valle D'Aosta al 3,4% del Veneto).                                               

Vaccini: quarta dose.  La platea per il secondo richiamo (quarta dose), aggiornata al 17 settembre 2022, è di 19,1 milioni di persone: di queste, 12,2 milioni possono riceverlo subito, un milione di persone non sono eleggibili nell’immediato in quanto guarite da meno di 120 giorni e 6 milioni l’hanno già ricevuto. Al 10 marzo (aggiornamento ore 06.20) sono state somministrate 5.977.406 quarte dosi, con una media mobile di 926 somministrazioni al giorno, in calo rispetto alle 1.370 della scorsa settimana (-32,4%) (figura 11). In base alla platea ufficiale (n. 19.119.772 di cui 13.060.462 over 60, 3.990.080 fragili e immunocompromessi, 1.748.256 di personale sanitario e 320.974 ospiti delle RSA che non ricadono nelle categorie precedenti), il tasso di copertura nazionale per le quarte dosi è del 31,3% con nette differenze regionali: dal 14% della Calabria al 45,2% del Piemonte (figura 12).

Vaccini: quinta dose.  La platea per il terzo richiamo (quinta dose), aggiornata al 20 gennaio 2023, è di 3,1 milioni di persone: di queste, 2,5 milioni possono riceverlo subito, 0,2 milioni non sono eleggibili nell’immediato in quanto guarite da meno di 120 giorni e 0,5 milioni l’hanno già ricevuto. Al 10 marzo (aggiornamento ore 06.20) sono state somministrate 489.861 quinte dosi, con una media mobile di 693 somministrazioni al giorno, in calo rispetto alle 1.094 della scorsa settimana (-36,6%) (figura 13). In base alla platea ufficiale (n. 3.146.516 di cui 2.298.047 over 60, 731.224 fragili e immunocompromessi, 117.245 ospiti delle RSA che non ricadono nelle categorie precedenti), il tasso di copertura nazionale per le quinte dosi è del 15,6% con nette differenze regionali: dal 5,6% della Campania al 29,6% del Piemonte (figura 14).

Il monitoraggio GIMBE della pandemia COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org


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6 marzo 2023
Coronavirus: negli ultimi sette giorni in calo contagi (-9,4%) e decessi (-6,6%). Stabili i ricoveri (-1%) e lieve risalita delle terapie intensive (+3%). Coperture richiami in stallo: 31,2% per la quarta dose, 15,3% per la quinta dose

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE rileva nella settimana 24 febbraio-2 marzo 2023, rispetto alla precedente, una diminuzione di nuovi casi (26.658 vs 29.438) (figura 1), dei decessi (228 vs 244) (figura 2) e delle persone in isolamento domiciliare (144.636 vs 165.641). Stabili i ricoveri con sintomi (3.297 vs 3.331), mentre aumentano le terapie intensive (137 vs 133). In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: 228 (-6,6%)
  • Terapia intensiva: +4 (+3%)
  • Ricoverati con sintomi: -34 (-1%)
  • Isolamento domiciliare: -21.005 (-12,7%)
  • Nuovi casi: 26.658 (-9,4%)

Nuovi casi. «Dopo l’aumento della settimana scorsa – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – si registra un nuovo calo (-9,4%) dei nuovi casi settimanali, che rimangono comunque ampiamente sottostimati. Da oltre 29 mila nella settimana precedente scendono a oltre 26 mila, con una media mobile a 7 giorni di oltre 3.800 casi al giorno» (figura 3). I nuovi casi aumentano in 4 Regioni: dal +5% del Molise al +63,2% della Valle d’Aosta. In calo le restanti 17 Regioni: dal -0,6% della Sicilia al -22,4% della Provincia Autonoma di Trento (tabella 1). In 31 Province si registra un aumento dei nuovi casi: dal +0,7% di Teramo al +84,8% di Gorizia. Nelle restanti 75 Province si rileva una diminuzione dei nuovi casi (dal -0,7% di Brindisi al -76,7% di Rimini); stabile la Provincia Sud Sardegna con una variazione dello 0%. In nessuna Provincia l’incidenza supera i 500 casi per 100.000 abitanti (tabella 2).

Testing. Si registra un aumento del numero dei tamponi totali (+5,3%): da 506.295 della settimana 17-23 febbraio a 533.212 della settimana 24 febbraio-2 marzo. In particolare i tamponi rapidi sono aumentati del 5,9% (+23.114), mentre quelli molecolari del 3,4% (+3.803) (figura 4). La media mobile a 7 giorni del tasso di positività si riduce dal 4,9% al 4,4% per i tamponi molecolari e dal 6 % al 5,2% per gli antigenici rapidi (figura 5).

Ospedalizzazioni. «Sul fronte degli ospedali – afferma Marco Mosti, Direttore Operativo della Fondazione GIMBE – si segnala una sostanziale stabilità dei ricoveri in area medica (-1%), mentre sono in lieve risalita quelli in terapia intensiva (+3%)». In termini assoluti, i posti letto COVID occupati in area critica, raggiunto il minimo di 126 il 24 febbraio, sono saliti a 137 il 2 marzo; in area medica, raggiunto il minimo di 3.177 il 17 febbraio, sono saliti a 3.297 il 2 marzo (figura 6). Al 2 marzo il tasso nazionale di occupazione da parte di pazienti COVID è del 5,2% in area medica (dall’1,7% della Lombardia al 13,4% dell'Umbria) e dell’1,4% in area critica (dallo 0% di Basilicata, Marche, Molise, Provincia Autonoma di Trento e Valle d’Aosta al 4,4% della Sardegna) (figura 7). «In lieve aumento gli ingressi giornalieri in terapia intensiva – puntualizza Mosti – con una media mobile a 7 giorni di 17 ingressi/die rispetto ai 13 della settimana precedente» (figura 8).

Decessi. Diminuiscono i decessi (-6,6%): 228 negli ultimi 7 giorni, con una media di 33 al giorno rispetto ai 35 della settimana precedente.

MONITORAGGIO CAMPAGNA VACCINALE

Vaccini: persone non vaccinate. Al 2 marzo (aggiornamento ore 07.20) sono 8,63 milioni le persone che non hanno ricevuto nemmeno una dose di vaccino (figura 9), di cui:

  • 8,28 milioni attualmente vaccinabili, pari al 13,9% della platea (dall’11,2% della Toscana al 26,3% della Provincia Autonoma di Trento);
  • 0,35 milioni temporaneamente protette in quanto guarite da COVID-19 da meno di 180 giorni, pari allo 0,6% della platea (dallo 0,3% della Sicilia al 1,2% del Friuli Venezia Giulia).

Vaccini: terza dose. Al 2 marzo (aggiornamento ore 07.20) sono 8,52 milioni le persone che non hanno ancora ricevuto la dose booster (figura 10), di cui:

  • 7,58 milioni possono riceverla subito, pari al 15,5% della platea (dall’11,3% del Piemonte al 22,4% della Sicilia);
  • 0,94 milioni non possono riceverla nell’immediato in quanto guarite da meno di 120 giorni, pari all’1,9% della platea (dallo 0,6% della Valle D'Aosta al 3,7% del Veneto).                                                               

Vaccini: quarta dose.  La platea per il secondo richiamo (quarta dose), aggiornata al 17 settembre 2022, è di 19,1 milioni di persone: di queste, 12,1 milioni possono riceverlo subito, un milione di persone non sono eleggibili nell’immediato in quanto guarite da meno di 120 giorni e 6 milioni l’hanno già ricevuto. Al 2 marzo (aggiornamento ore 07.20) sono state somministrate 5.967.572 quarte dosi (figura 11). In base alla platea ufficiale (n. 19.119.772 di cui 13.060.462 over 60, 3.990.080 fragili e immunocompromessi, 1.748.256 di personale sanitario e 320.974 ospiti delle RSA che non ricadono nelle categorie precedenti), il tasso di copertura nazionale per le quarte dosi è fermo al 31,2% con nette differenze regionali: dal 14% della Calabria al 45% del Piemonte (figura 12).

Vaccini: quinta dose.  La platea per il terzo richiamo (quinta dose), aggiornata al 20 gennaio 2023, è di 3,1 milioni di persone: di queste, 2,4 milioni possono riceverlo subito, 0,2 milioni non sono eleggibili nell’immediato in quanto guarite da meno di 180 giorni e 0,5 milioni l’hanno già ricevuto. Al 2 marzo (aggiornamento ore 07.20) sono state somministrate 482.887 quinte dosi (figura 13). In base alla platea ufficiale (n. 3.146.516 di cui 2.298.047 over 60, 731.224 fragili e immunocompromessi, 117.245 ospiti delle RSA che non ricadono nelle categorie precedenti), il tasso di copertura nazionale per le quinte dosi è del 15,3% con nette differenze regionali: dal 5,4% della Campania al 29,1% del Piemonte (figura 14).

Il monitoraggio GIMBE della pandemia COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org


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27 febbraio 2023
Coronavirus: nell’ultima settimana lieve risalita di contagi (+3,8%) e ricoveri ordinari (+4,1%). In calo terapie intensive (-13,6%) e decessi (-18,4%). Quarta dose: scendono ancora le somministrazioni giornaliere (-25,8%), scoperte 12,1 milioni di persone. Copertura quinta dose al palo (15,1%)

MONITORAGGIO PANDEMIA COVID-19

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE rileva nella settimana 17-23 febbraio 2023, rispetto alla precedente, un lieve aumento di nuovi casi (29.438 vs 28.347) (figura 1) e una diminuzione dei decessi (244 vs 299) (figura 2). In calo anche le persone in isolamento domiciliare (165.641 vs 182.174), aumentano i ricoveri con sintomi (3.331 vs 3.200) e mentre continua la discesa nelle terapie intensive (133 vs 154). In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: 244 (-18,4%)
  • Terapia intensiva: -21 (-13,6%)
  • Ricoverati con sintomi: +131 (+4,1%)
  • Isolamento domiciliare: -16.533 (-9,1%)
  • Nuovi casi: 29.438 (+3,8%)

Nuovi casi. «Dopo 6 settimane consecutive di calo – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – si registra un lieve aumento (+3,8%) dei nuovi casi settimanali, che rimangono comunque ampiamente sottostimati. Da oltre 28 mila nella settimana precedente salgono a oltre 29 mila, con una media mobile a 7 giorni di oltre 4 mila casi al giorno» (figura 3). I nuovi casi aumentano in 14 Regioni: dallo 0,4% della Liguria al 15% del Lazio; mentre calano nelle restanti 7 Regioni: dal -1,9% del Piemonte al -25,3% della Sardegna (tabella 1). In 55 Province si registra un aumento dei nuovi casi: dal +0,5% di Brescia al +74,5% di Vercelli, mentre nelle restanti 51 Province si rileva una diminuzione dei nuovi casi (dal -1,2% di Bari al -51,8% di Sassari); stabile la Provincia di Barletta-Andria-Trani con una variazione dello 0%. In nessuna Provincia l’incidenza supera i 500 casi per 100.000 abitanti (tabella 2).

Testing. Si registra un calo del numero dei tamponi totali (-5,6%): da 536.080 della settimana 10-16 febbraio a 506.295 della settimana 17-23 febbraio. In particolare i tamponi rapidi sono diminuiti dell’1% (-4.076), mentre quelli molecolari sono diminuiti del 18,7% (-25.709) (figura 4). La media mobile a 7 giorni del tasso di positività aumenta dal 4,2% al 4,9% per i tamponi molecolari e dal 5,7% al 6% per gli antigenici rapidi (figura 5).

Ospedalizzazioni. «Sul fronte degli ospedali – afferma Marco Mosti, Direttore Operativo della Fondazione GIMBE torna a salire il numero dei ricoveri sia in area medica (+4,1%) mentre prosegue il calo in terapia intensiva (-13,6%)». In termini assoluti, i posti letto COVID occupati in area critica, raggiunto il massimo di 347 il 12 dicembre, sono scesi a 133 il 23 febbraio; in area medica, raggiunto il minimo di 3.177 il 17 febbraio, sono saliti a 3.331 il 23 febbraio (figura 6). Al 23 febbraio il tasso nazionale di occupazione da parte di pazienti COVID è del 5,2% in area medica (dall’1,7% del Molise al 13,3% dell'Umbria) e dell’1,3% in area critica (dallo 0% di Abruzzo, Basilicata, Molise, Prov. Aut. di Bolzano, Prov. Aut. di Trento e Valle d’Aosta al 3,7% della Calabria) (figura 7). «In lieve diminuzione gli ingressi giornalieri in terapia intensiva – puntualizza Mosti – con una media mobile a 7 giorni di 13 ingressi/die rispetto ai 14 della settimana precedente» (figura 8).

Decessi. Diminuiscono i decessi (-18,4%): 244 negli ultimi 7 giorni, con una media di 35 al giorno rispetto ai 43 della settimana precedente.

MONITORAGGIO CAMPAGNA VACCINALE

Vaccini: persone non vaccinate. Al 24 febbraio (aggiornamento ore 08.22) sono 6,78 milioni le persone che non hanno ricevuto nemmeno una dose di vaccino (figura 9), di cui:

  • 6,46 milioni attualmente vaccinabili, pari al 13,9% della platea (dall’11,1% della Toscana al 26,2% della Provincia Autonoma di Trento);
  • 0,32 milioni temporaneamente protette in quanto guarite da COVID-19 da meno di 180 giorni, pari al 0,6% della platea (dallo 0,3% della Sicilia all’1,2% del Friuli Venezia Giulia).

Vaccini: terza dose. Al 24 febbraio (aggiornamento ore 08.22) sono 8,53 milioni le persone che non hanno ancora ricevuto la dose booster (figura 10), di cui:

  • 7,44 milioni possono riceverla subito, pari al 15,2% della platea (dal 10,8% del Piemonte al 22,3% della Sicilia);
  • 1,08 milioni non possono riceverla nell’immediato in quanto guarite da meno di 120 giorni, pari al 2,2% della platea (dallo 0,8% della Sicilia al 4,2% del Veneto).                                                              

Vaccini: quarta dose.  La platea per il secondo richiamo (quarta dose), aggiornata al 17 settembre 2022, è di 19,1 milioni di persone: di queste, 12,1 milioni possono riceverlo subito, 1,1 non sono eleggibili nell’immediato in quanto guarite da meno di 120 giorni e 6 milioni l’hanno già ricevuto. Al 24 febbraio (aggiornamento ore 08.22) sono state somministrate 5.958.606 quarte dosi, con una media mobile di 1.735 somministrazioni al giorno, in calo rispetto alle 2.339 della scorsa settimana (-25,8%) (figura 11). In base alla platea ufficiale (n. 19.119.772 di cui 13.060.462 over 60, 3.990.080 fragili e immunocompromessi, 1.748.256 di personale sanitario e 320.974 ospiti delle RSA che non ricadono nelle categorie precedenti), il tasso di copertura nazionale per le quarte dosi è del 31,2% con nette differenze regionali: dal 14% della Calabria al 44,8% del Piemonte (figura 12).         

Vaccini: quinta dose.  La platea per il terzo richiamo (quinta dose), aggiornata al 20 gennaio 2023, è di 3,1 milioni di persone: di queste, 2,5 milioni possono riceverlo subito, 0,2 milioni non sono eleggibili nell’immediato in quanto guarite da meno di 180 giorni e 0,5 milioni l’hanno già ricevuto. Al 24 febbraio (aggiornamento ore 08.22) sono state somministrate 476.013 quinte dosi, con una media mobile di 1.230 somministrazioni al giorno, in calo rispetto alle 1.624 della scorsa settimana (-24,3%) (figura 13). In base alla platea ufficiale (n. 3.146.516 di cui 2.298.047 over 60, 731.224 fragili e immunocompromessi, 117.245 ospiti delle RSA che non ricadono nelle categorie precedenti), il tasso di copertura nazionale per le quinte dosi rimane al palo e si attesta al 15,1% con nette differenze regionali: dal 5,2% della Campania al 28,7% del Piemonte (figura 14).

Il monitoraggio GIMBE della pandemia COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org


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