Home Press room Comunicati stampa
stampa

Comunicati stampa

23 ottobre 2025
Manovra 2026: aggiunti alla sanità € 2,4 miliardi nel 2026 e € 2,65 miliardi nel 2027 e nel 2028. Nel 2028 il Fondo Sanitario arriva a € 145 miliardi, ma scende al 5,9% del Pil. Ai professionisti sanitari solo briciole, assunzioni infermieri possibili solo dall’estero. Nel 2026 gap di € 6,8 miliardi rispetto alle stime di spesa sanitaria: la coperta delle Regioni è sempre più corta. Dal Governo solo misure frammentate, e nessun rilancio del SSN

Secondo il disegno di Legge di Bilancio 2026, il Fondo Sanitario Nazionale (FSN) raggiungerà € 143,1 miliardi nel 2026, € 144,1 miliardi nel 2027 e € 145 miliardi nel 2028. «Va riconosciuto al Governo – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – il merito di aver ottenuto un rilevante incremento del FSN dal 2025 al 2026: ben € 6,6 miliardi, di cui € 4,2 miliardi già stanziati nelle precedenti manovre. Complessivamente, la Manovra 2026 assegna alla sanità € 7,7 miliardi per il triennio 2026-2028: tuttavia, in rapporto al PIL, la quota di ricchezza del Paese destinata alla sanità, dopo un lieve aumento nel 2026, scenderà sotto la soglia “psicologica” del 6% nel 2028. Inoltre, la frammentazione di misure e investimenti sembra più orientata a soddisfare i diversi attori che a delineare una strategia di rilancio di un Servizio Sanitario Nazionale (SSN) in grave affanno. Un sistema in cui regnano inaccettabili diseguaglianze e dove, nel 2024, i cittadini hanno speso di tasca propria oltre € 41 miliardi per curarsi e 5,8 milioni di persone hanno rinunciato a prestazioni sanitarie».

Per offrire un quadro basato su dati oggettivi e contribuire al dibattito pubblico in vista della discussione parlamentare sul DdL Bilancio 2026, la Fondazione GIMBE ha condotto sul testo bollinato dalla Ragioneria Generale dello Stato un’analisi indipendente sulle risorse assegnate alla sanità. «L’obiettivo – precisa il Presidente – è verificare se, al di là delle cifre assolute, la Manovra 2026 rappresenti davvero un’inversione di tendenza, con un rilancio progressivo e strutturale del FSN, oppure se si tratti dell’ennesima illusione contabile, che abbaglia con numeri altisonanti abilmente combinati».

FONDO SANITARIO NAZIONALE. La Manovra 2026 stanzia complessivamente € 7,7 miliardi: € 2,4 miliardi nel 2026, € 2,65 miliardi nel 2027 e € 2,65 miliardi nel 2028. Considerando anche gli stanziamenti già previsti dalle precedenti manovre, il FSN raggiungerà € 143,1 miliardi nel 2026, € 144,1 miliardi nel 2027 e € 145 miliardi nel 2028. In particolare, nel 2026 il FSN crescerà di ben € 6,6 miliardi (+4,8%) rispetto al 2025: infatti, ai € 4,2 miliardi già previsti (da € 136,5 miliardi nel 2025 a € 140,7 miliardi nel 2026), la Manovra 2026 aggiunge ulteriori € 2,4 miliardi, portando il FSN totale a € 143,1 miliardi (tabella 1, figura 1). «In termini assoluti – commenta il Presidente – l’aumento di risorse per il triennio 2026-2028 risulta sostanzialmente uniforme, senza alcun segnale di rilancio progressivo del FSN. L’auspicata inversione di rotta, ancora una volta, è rimandata alla prossima Legge di Bilancio». Dopo l’incremento del 2026, infatti, il FSN in termini assoluti si stabilizza: cresce di soli € 995 milioni (+0,7%) nel 2027 e di € 867 milioni (+0,6%) nel 2028. In rapporto al PIL, il FSN la quota destinata alla sanità passa dal 6,04% del 2025 al 6,16% del 2026, per poi ridursi al 6,05% nel 2027 e al 5,93% nel 2028 (figura 2). «In sintesi – spiega Cartabellotta – le cifre assolute per il 2026 appaiono consistenti perché includono risorse già stanziate dalle precedenti manovre, ma la quota di ricchezza del Paese investita in sanità, dopo il lieve rialzo del 2026, torna a diminuire».

FINANZIAMENTO ASSEGNATO VS PREVISIONI DI SPESA. Rimane un netto divario tra l’entità del FSN e le previsioni di spesa sanitaria fissate dal Documento Programmatico di Finanza Pubblica: in rapporto al PIL, le proiezioni di spesa si attestano al 6,4% per gli anni 2025, 2027 e 2028 e al 6,5% per il 2026. In valori assoluti, il gap tra spesa prevista e risorse assegnate ammonta a € 6,8 miliardi nel 2026, € 7,6 miliardi nel 2027 e € 10,7 miliardi nel 2028 (figura 3). «Questo gap – avverte Cartabellotta – finirà inevitabilmente per pesare sui bilanci delle Regioni che, come recentemente documentato dalla Corte dei Conti, presentano conti sempre più in rosso. Per evitare il Piano di Rientro, le Regioni saranno costrette a scelte dolorose che ricadranno sui cittadini: ridurre i servizi o aumentare le tasse». Peraltro, le risorse assegnate dalla Legge di Bilancio 2025 risultano già interamente impegnate per il rinnovo dei contratti 2025-2027 del personale sanitario. «In altre parole – chiosa Cartabellotta – considerato che i fondi della Manovra 2026 sono destinati a finanziare nuove misure, le Regioni, già in affanno, dovranno gestire con risorse proprie il divario tra fabbisogni sanitari e risorse disponibili, con una coperta che ogni anno si accorcia sempre di più».

MISURE PREVISTE. L’art. 63 della Manovra, dedicato al “Rifinanziamento del Servizio Sanitario Nazionale”, individua le misure da finanziare (tabella 2). «Rispetto ai reali bisogni del SSN – commenta Cartabellotta – appare evidente che i fondi vengono distribuiti tra una molteplicità di destinatari, ma con importi così limitati da rischiare di non produrre effetti concreti, né benefici tangibili per cittadini e pazienti».

PERSONALE SANITARIO. La Manovra prevede un piano straordinario di assunzioni a partire dal 2026, autorizzando – in deroga al tetto di spesa – € 450 milioni per assumere circa 1.000 medici dirigenti e oltre 6.000 professionisti sanitari, in particolare infermieri. Nel triennio 2026-2028 l’investimento complessivo ammonta a € 1.350 milioni, di cui € 875 milioni previsti dalla Manovra 2026 e € 475 milioni già stanziati dalla precedente. «Pur riconoscendo la volontà di rafforzare gli organici – commenta Cartabellotta – il concetto di “piano assunzioni” appare contraddittorio finché resta in vigore il tetto di spesa per il personale sanitario. A ciò si aggiunge la scarsa attrattività di alcune specialità mediche e, soprattutto, della professione infermieristica. Nel breve periodo, l’unica ipotesi realistica per colmare la carenza di infermieri è un piano straordinario di reclutamento dall’estero: in Italia, infatti, la riduzione del numero di laureati e le numerose cancellazioni dagli albi testimoniano la perdita di attrattività di una professione essenziale ma oggi poco valorizzata e determinano scarsa disponibilità di figure professionali fondamentali».

Sul fronte delle retribuzioni, la Manovra introduce un incremento dell’indennità di specificità – un riconoscimento economico aggiuntivo rispetto allo stipendio base – pari a € 280 milioni annui a partire dal 2026: € 85 milioni per i medici, € 195 milioni per gli infermieri,  € 8 milioni per i dirigenti sanitari non medici e € 58 milioni per altre professioni sanitarie (riabilitazione, prevenzione, tecnico-sanitarie, ostetrica, assistente sociale) e gli operatori socio-sanitari nelle attività finalizzate alla tutela del malato e alla promozione della salute. L’aumento stimato della retribuzione lorda annua è di € 3.000 per i medici, € 1.630 per gli infermieri e € 490 per i dirigenti sanitari non medici. «Se l’obiettivo è restituire attrattività alla carriera nel SSN per arginare le fughe e attirare i giovani verso la professione infermieristica – osserva Cartabellotta – si tratta solo di briciole. Importi di tale entità non saranno sufficienti ad arrestare l’emorragia di medici dal pubblico né a rendere più appetibile la professione infermieristica per le nuove generazioni».

Nel 2026 le Regioni potranno inoltre aumentare di € 143,5 milioni la spesa per le prestazioni aggiuntive: € 101,9 milioni destinati ai medici e € 41,6 al personale sanitario del comparto. Si tratta però di fondi già assegnati dalla precedente Legge di Bilancio. «Pur comprendendo la necessità di garantire un maggiore impegno orario – aggiunge Cartabellotta – la logica del “più lavori, più ti pago”, nonostante l’imposta agevolata del 15%, appare difficilmente sostenibile per un personale già stremato da turni massacranti e da livelli di burnout sempre più elevati».

POTENZIAMENTO OFFERTA DI SERVIZI. A partire dal 2026, la Manovra destina € 238 milioni a interventi di prevenzione articolati in quattro macro-obiettivi: estendere lo screening per il tumore della mammella alle fasce di età 45-49 anni e 70-74 anni; ampliare lo screening del tumore del colon-retto alla fascia 70-74 anni; proseguire il programma di prevenzione del tumore polmonare nell’ambito della rete italiana screening polmonare; concorrere al rimborso alle Regioni per l'acquisto dei vaccini previsti nel calendario vaccinale. Per il solo 2026, vengono inoltre stanziati ulteriori € 120 milioni, che si aggiungono ai € 127 milioni della precedente Manovra, per potenziare le misure di prevenzione. «Investire in prevenzione – commenta Cartabellotta – è fondamentale per ridurre l’impatto delle malattie e i costi per il SSN. Tuttavia, l’ampliamento delle fasce di età negli screening oncologici rischia di restare solo sulla carta, soprattutto nelle Regioni del Mezzogiorno, dove le coperture standard degli screening organizzati restano ancora molto lontane dai target raccomandati, in particolare per il tumore del colon-retto». Particolare attenzione viene riservata al Piano Nazionale di Azioni per la Salute Mentale, finanziato con € 80 milioni nel 2026, € 85 milioni nel 2027 e € 90 milioni a decorrere dal 2028. Il 30% delle risorse sarà destinato ad attività di prevenzione, mentre fino a € 30 milioni potranno essere utilizzati dalla Regioni per l’assunzione di personale sanitario e socio-sanitario nei servizi di salute mentale. Aumentano infine di € 20 milioni l’anno le risorse per le cure palliative.

TARIFFE DI RIMBORSO DELLE PRESTAZIONI. Vengono stanziate nuove risorse per le tariffe dei ricoveri per acuti (€ 350 milioni a decorrere dal 2026) e per l’adeguamento delle tariffe di specialistica ambulatoriale e protesica (€ 100 milioni di risorse vincolate nel 2026 e € 183 milioni a decorrere dal 2027).

RISORSE ASSEGNATE A IMPRESE E SOGGETTI PRIVATI. Oltre € 900 milioni vengono destinati a soggetti privati: € 50 milioni l’anno vincolati per la stabilizzazione della farmacia dei servizi; € 350 milioni per la rideterminazione dei tetti della spesa farmaceutica, sia per gli acquisiti diretti (+0,20%) sia per la spesa convenzionata (+0,05%); € 280 milioni l’anno per l’aumento del tetto di spesa per i dispositivi medici; € 123 milioni a decorrere dal 2026 per l’ampliamento del tetto di spesa relativo all’acquisto di prestazioni sanitarie di specialistica ambulatoriale e di assistenza ospedaliera dagli erogatori privati accreditati.

ALTRE MISURE A VALERE SUL FONDO SANITARIO NAZIONALE. Sono previste risorse destinate agli Istituti Zooprofilattici Sperimentali (€ 10 milioni a decorrere dal 2026) e all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù (€ 50 milioni a decorrere dal 2026).

«Nonostante gli annunci e le cifre altisonanti – conclude Cartabellotta – la Legge di Bilancio delude le legittime aspettative di professionisti sanitari e cittadini, oggi alle prese con un SSN che fatica sempre più a rispondere ai bisogni di salute della popolazione. L’analisi delle risorse destinate alla sanità evidenzia alcune criticità estremamente rilevanti.  Innanzitutto, il boom di risorse riguarda solo il 2026, quando il FSN aumenta di € 6,6 miliardi, di cui quasi due terzi derivano da stanziamenti precedenti e destinati ai rinnovi contrattuali del personale sanitario. Per il biennio 2027-2028, invece, gli importi assegnati sono esigui, senza alcun segnale di rilancio progressivo del finanziamento pubblico, come conferma la riduzione della quota di PIL destinata al FSN. In secondo luogo, le risorse risultano disperse in numerosi rivoli: una scelta che mira a non scontentare nessuno, ma che priva la Manovra di una visione strategica per il rilancio del SSN: le Regioni, già in difficoltà, si trovano così a operare con margini di bilancio sempre più stretti e a dover attingere a risorse proprie per colmare il gap tra le previsioni di spesa sanitaria e i fondi effettivamente assegnati. Infine, la Manovra non prevede interventi strutturali per restituire attrattività alle carriere nel SSN: gli incrementi contrattuali sono limitati, le misure per le assunzioni degli infermieri si scontrano con la grave carenza di professionisti disponibili – se non tramite reclutamenti dall’estero – e la formula “più lavori, più ti pago”, pur defiscalizzata, appare difficilmente sostenibile in un contesto di burnout diffuso. Nonostante la sanità pubblica rappresenti oggi la vera emergenza del Paese, le scelte politiche appaiono in continuità con quelle degli ultimi 15 anni. Anni in cui tutti i Governi hanno definanziato il SSN e nessuno ha avviato un piano strutturale di rilancio del finanziamento pubblico, accompagnato da una coraggiosa stagione di riforme per ammodernare e riorganizzare la più grande opera pubblica mai costruita in Italia: quel Servizio Sanitario Nazionale istituito per tutelare la salute di tutte le persone. Un dato resta difficile da accettare: la capacità del Governo di trovare le risorse per altri settori strategici, come la difesa, non trova un corrispettivo impegno nel rafforzamento del SSN, pilastro della nostra democrazia, strumento di coesione sociale e leva di sviluppo economico del Paese».


Download comunicato

 

8 ottobre 2025
8° Rapporto GIMBE: la lenta agonia del Servizio Sanitario Nazionale spiana la strada al privato. Negli ultimi tre anni alla sanità € 13,1 miliardi in meno. € 41,3 miliardi a carico delle famiglie e un italiano su 10 rinuncia alle cure. Italia al secondo posto in Europa per numero di medici, ma in coda per infermieri. PNRR salute, conto alla rovescia: gravi ritardi, solo il 4,4% delle case della comunità è davvero attivo

«Siamo testimoni di un lento ma inesorabile smantellamento del Servizio Sanitario Nazionale, che spiana inevitabilmente la strada a interessi privati di ogni forma. Continuare a distogliere lo sguardo significa condannare milioni di persone a rinunciare non solo alle cure, ma a un diritto fondamentale: quello alla salute. Da anni i Governi, di ogni colore politico, promettono di difendere il Servizio Sanitario Nazionale, ma nessuno ha mai avuto la visione e la determinazione necessarie per rilanciarlo con adeguate risorse e riforme strutturali. Le drammatiche conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: aumento delle disuguaglianze, famiglie schiacciate da spese insostenibili, cittadini costretti a rinunciare a prestazioni sanitarie, personale sempre più demotivato che abbandona la sanità pubblica. È la lenta agonia di un bene comune che rischia di trasformarsi in un privilegio per pochi».

Così Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE, ha aperto – presso la Sala della Regina della Camera dei Deputati – la presentazione dell’8° Rapporto sul Servizio Sanitario Nazionale (SSN).

Definanziamento perenne. Dopo i tagli del decennio 2010-2019 e le imponenti risorse assegnate nel 2020-2022 assorbite interamente dalla pandemia, il fondo sanitario nazionale (FSN) nel triennio 2023-2025 è cresciuto di ben € 11,1 miliardi: da € 125,4 miliardi del 2022 a € 136,5 miliardi del 2025 (figura 1). Risorse in buona parte erose dall’inflazione – che nel 2023 ha toccato il 5,7% – e dall’aumento dei costi energetici. «Ma dietro l’aumento dei miliardi – afferma Cartabellotta – si cela un imponente e costante definanziamento, perché cambiando unità di misura le rassicuranti cifre assolute diventano solo illusioni contabili». Infatti, la percentuale del FSN sul PIL al 31 dicembre 2024 è scesa dal 6,3% del 2022 al 6% del 2023, per attestarsi al 6,1% nel 2024-2025 (figura 2), pari a una riduzione in termini assoluti di € 4,7 miliardi nel 2023, € 3,4 miliardi nel 2024 e € 5 miliardi nel 2025. «In altre parole – spiega il Presidente – se è certo che nel triennio 2023-2025 il FSN è aumentato di € 11,1 miliardi, è altrettanto vero che con il taglio alla percentuale di PIL la sanità ha lasciato per strada € 13,1 miliardi».

Dal punto di vista previsionale, il Documento Programmatico di Finanza Pubblica (DPFP) 2025 del 2 ottobre 2025 stima un rapporto spesa sanitaria/PIL stabile al 6,4% per gli anni 2025, 2027 e 2028, con un leggero aumento al 6,5% nel 2026, legato alla lieve revisione al ribasso delle stime di crescita economica (tabella 1).  Tuttavia, la Legge di Bilancio 2025 racconta un’altra storia: la quota di PIL destinata al FSN scenderà dal 6,1% del 2025-2026 al 5,9% nel 2027 e al 5,8% nel 2028. Questo divario tra previsione di spesa e finanziamento pubblico rischia di scaricarsi sui bilanci delle Regioni: € 7,5 miliardi per il 2025, € 9,2 miliardi nel 2026, € 10,3 miliardi nel 2027, € 13,4 miliardi nel 2028. «Senza un deciso rifinanziamento a partire dalla Legge di Bilancio 2026 – avverte Cartabellotta – questo divario tra stima di spesa e risorse allocate costringerà le Regioni a scelte dolorose per i propri residenti: ridurre i servizi o aumentare la pressione fiscale». Eppure il finanziamento della sanità pubblica non è una variabile negoziabile, come ribadito dalla Corte Costituzionale con il netto cambio di passo dal “diritto finanziariamente condizionato” alla “spesa costituzionalmente necessaria” per finanziare i LEA: la Consulta ha riaffermato che la tutela della salute è un diritto incomprimibile che lo Stato deve garantire prioritariamente, recuperando le risorse necessarie da altri capitoli di spesa pubblica.

Riparto del fondo sanitario lontano dall’equità. La revisione dei criteri di riparto ha introdotto lievi effetti redistributivi per le Regioni del Mezzogiorno, compensando solo in parte lo svantaggio che assegna più risorse alle Regioni con popolazione più anziana. Infatti, in termini di riparto pro-capite, nel 2024 la Liguria (€ 2.261) guida la classifica, seguita da Molise (€ 2.235), Sardegna (€ 2.235) e Umbria (€ 2.232), tutte Regioni con un indice di vecchiaia elevato. Al contrario, escludendo le Province autonome, le Regioni più giovani ricevono quote pro-capite inferiori alla media nazionale: Campania (€ 2.135), Lombardia (€ 2.154), Lazio (€ 2.164) e Sicilia (€ 2.166) (figura 3). Rispetto alla media nazionale di € 2.181 pro-capite, nel 2024 il gap va dai +€ 79,84 della Liguria ai -€ 80,18 della Provincia autonoma di Bolzano. Differenze che in valori assoluti vanno dai +€ 159,5 milioni del Piemonte ai -€ 256,5 milioni della Campania e ai -€ 268,5 milioni della Lombardia (figura 4). «I meccanismi di riparto – denuncia Cartabellotta – restano profondamente iniqui. La quota non pesata del 60% limita la capacità di rispondere ai nuovi bisogni di salute, soprattutto quelli emergenti tra i giovani e le fasce socialmente svantaggiate. Inoltre, le nuove variabili su mortalità precoce e condizioni socio-economiche pesano troppo poco: solo l’1,5% sul riparto complessivo Infine, in assenza di criteri oggettivi e trasparenti, la quota premiale si è trasformata in un meccanismo di compensazione politica».

Spesa sanitaria: il peso sulle famiglie e le rinunce alle cure. Secondo i dati ISTAT, la spesa sanitaria per il 2024 ammonta a € 185,12 miliardi: € 137,46 miliardi di spesa pubblica (74,3%) e € 47,66 miliardi di spesa privata di cui € 41,3 miliardi (22,3%) pagati direttamente dalle famiglie (out of pocket) e € 6,36 miliardi (3,4%) da fondi sanitari e assicurazioni (figura 5). Complessivamente l’86,7% della spesa privata grava direttamente sui cittadini, mentre solo il 13,3% è intermediata. «La spesa delle famiglie – spiega Cartabellotta – viene inoltre “arginata” da fenomeni che riducono l’equità dell’accesso e peggiorano le condizioni di salute: limitazione delle spese per la salute, indisponibilità economica temporanea e, soprattutto, rinuncia alle prestazioni sanitarie». Un fenomeno esploso nel 2024 quando ha coinvolto 1 italiano su 10 (oltre 5,8 milioni di persone), ossia il 9,9% della popolazione, con marcate differenze regionali: dal 5,3% della Provincia autonoma di Bolzano al 17,7% della Sardegna (figura 6). Il quadro è destinato a peggiorare, complice l’aumento della povertà assoluta che nel 2023 ha colpito 2,2 milioni di famiglie (8,4%). «L’aumento della spesa a carico delle famiglie – osserva Cartabellotta – rompe il patto tra cittadini e Istituzioni con milioni di persone costrette a pagare la sanità di tasca propria o, se indigenti, a rinunciare alle prestazioni. E soprattutto senza più la sicurezza di poter contare su una sanità pubblica che garantisca certezze».

Livelli Essenziali di Assistenza, mobilità sanitaria e divari Nord-Sud. Il 2023 certifica un’Italia spaccata: solo 13 Regioni rispettano i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), prestazioni e servizi da garantire a tutti i cittadini gratuitamente o previo pagamento di un ticket. Al Sud si salvano solo Puglia, Campania e Sardegna (tabella 2). La cartina al tornasole degli adempimenti LEA è la mobilità sanitaria che nel 2022 vale oltre € 5 miliardi: Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto raccolgono il 94,1% del saldo attivo, mentre il 78,8% del saldo passivo si concentra in 5 Regioni del Sud (Abruzzo, Calabria, Campania, Puglia, Sicilia) e nel Lazio, che registrano un saldo negativo oltre € 100 milioni. Le conseguenze di questa permanente “frattura strutturale” tra Nord e Sud si riflettono anche nell’aspettativa di vita che in tutte le Regioni del Mezzogiorno è pari o inferiore alla media nazionale. Le stime ISTAT per il 2024 indicano una media nazionale di 83,4 anni con nette differenze regionali: dagli 84,7 anni della Provincia autonoma di Trento agli 81,7 della Campania, un gap di ben 3 anni. (figura 7). «Un drammatico segnale – commenta Cartabellotta – che testimonia la bassa qualità dei servizi sanitari del Mezzogiorno, oltre al fallimento di Piani di rientro e Commissariamenti nella riqualificazione e riorganizzazione sanitaria delle Regioni del Sud: qui i cittadini vivono una sanità peggiore, devono spendere per curarsi altrove e pagano imposte regionali più alte».

Espansione dei soggetti privati. «Nessun Governo – spiega Cartabellotta – ha mai dichiarato di voler privatizzare il SSN. Ma il continuo indebolimento della sanità pubblica favorisce la continua espansione dei soggetti privati, ben oltre la sanità privata convenzionata». Oggi i soggetti privati in sanità si muovono su quattro fronti: erogatori (convenzionati o “privato puro”), investitori (fondi di investimento, banche, gruppi industriali), terzi paganti (assicurazioni, fondi sanitari), oltre a tutti i contraenti di partenariati pubblico-privato. «Un ecosistema complesso e intricato – aggiunge il Presidente – dove è difficile mantenere l’equilibrio tra l’obiettivo pubblico della tutela della salute e quello imprenditoriale della generazione di profitti». Secondo i dati del Ministero della Salute, nel 2023 su 29.386 strutture sanitarie, 17.042 (58%) sono private accreditate e prevalgono sul pubblico in varie aree: assistenza residenziale (85,1%), riabilitativa (78,4%), semi-residenziale (72,8%) e specialistica ambulatoriale (59,7%). Nel 2024 la spesa pubblica destinata al privato convenzionato ha raggiunto € 28,7 miliardi, ma in termini percentuali è scesa al minimo storico del 20,8% (figura 8). A correre davvero è invece il “privato puro”: tra il 2016 e il 2023 la spesa delle famiglie presso queste strutture è aumentata del 137%, passando da € 3,05 miliardi a € 7,23 miliardi. Nello stesso periodo la spesa out of pocket nel privato accreditato è cresciuta “solo” del 45%, con un divario che si è ridotto da € 2,2 miliardi nel 2016 a € 390 milioni nel 2023 (figura 9). «Questo scenario – avverte Cartabellotta – documenta una profonda evoluzione dell’ecosistema dei privati in sanità, dove il libero mercato si sta espandendo grazie alle sinergie tra finanziatori ed erogatori privati, creando un binario parallelo e indipendente dal pubblico, riservato solo a chi può permetterselo».

Squilibri del personale sanitario: tanti medici, pochissimi infermieri. In Italia nel 2023 i medici dipendenti sono 109.024, pari a 1,85 per 1.000 abitanti, e quelli convenzionati 57.880. Ma secondo i dati OCSE, che includono tutti i medici in attività compresi gli specializzandi, il nostro Paese conta ben 315.720 medici, ovvero 5,4 ogni 1.000 abitanti. Siamo secondi dopo l’Austria, con un valore nettamente superiore alla media OCSE (3,9) e a quella dei paesi europei (4,1) (figura 10). «Questi numeri – osserva Cartabellotta – dimostrano che in Italia non c’è affatto carenza di medici, ma attestano una loro fuga continua dal SSN e carenze selettive in specialità ritenute poco attrattive e nella medicina generale». Al podio per numero di medici fa da contraltare la posizione di coda del nostro Paese per il numero di infermieri: 6,5 ogni 1.000 abitanti rispetto alla media OCSE di 9,5 (figura 11). Secondo i dati nazionali, nel 2023 sono 277.164 gli infermieri dipendenti, pari a 4,7 per 1.000 abitanti, con un range che varia da 3,53 della Sicilia a 6,86 della Liguria (figura 12). A peggiorare lo scenario si aggiunge il crollo dell’attrattività per la professione: per l’anno accademico 2025/2026 il rapporto tra domande presentate e posti disponibili al Corso di Laurea in Infermieristica è crollato a 0,92. Sul fronte della medicina territoriale, al 1° gennaio 2024 si stima una carenza di 5.575 medici di medicina generale e di 502 pediatri di libera scelta, che rende spesso difficile trovare un professionista vicino al proprio domicilio. Infine, le retribuzioni restano ben al di sotto della media OCSE: a parità di potere di acquisto per i consumi privati, per i medici specialisti la retribuzione media in Italia è di $ 117.954 (media OCSE $ 131.455) e per gli infermieri ospedalieri di $ 45.434 (media OCSE $ 60.260). «Rimane incomprensibile – commenta Cartabellotta – la scelta di formare più medici, senza prima attuare misure concrete per arginarne le fuga dalla sanità pubblica e restituire attrattività e prestigio alla carriera nel SSN. Ovvero rischiamo di investire denaro pubblico per regalare professionisti al privato o all’estero».

Riforma dell’assistenza territoriale. Il recente monitoraggio Agenas sull’attuazione del DM 77/2022 rileva ritardi e disomogeneità regionali. Fatta eccezione per le Centrali Operative Territoriali il cui target è stato già raggiunto, al 30 giugno 2025 delle 1.723 Case della Comunità programmate, 218 (12,7%) avevano attivato tutti i servizi previsti e di queste solo 46 (2,7%) disponevano di personale medico e infermieristico (tabella 3). Per gli Ospedali di Comunità, a fronte di 592 strutture programmate, solo 153 (26%) sono state dichiarate attive, per complessivi 2.716 posti letto (tabella 4). Quanto all’Assistenza Domiciliare Integrata, la copertura formale è garantita in tutte le Regioni tranne che in Sicilia (78%). Ma dietro i numeri emergono diseguaglianze nell’erogazione dei singoli servizi, con carenze significative in quelli socio-assistenziali (tabella 5).

Stato di avanzamento del PNRR: luci e ombre. Per portare a termine la Missione Salute mancano 14 obiettivi da raggiungere entro il 30 giugno 2026, una data che segna non solo la scadenza degli adempimenti burocratici, ma la reale consegna di strutture e servizi ai cittadini. Dal monitoraggio indipendente GIMBE emerge che 4 target sono in anticipo o già completati: ristrutturazioni degli ospedali, assistenza domiciliare per gli over 65, grandi apparecchiature, contratti di formazione specialistica; altri 5 non sono valutabili per mancanza di dati pubblici. 2 i target presentano ritardi: riguardo agli interventi di antisismica, al 25 febbraio 2025 risultano attivi o conclusi circa 86 cantieri, ma la spesa totale non raggiunge l’11% del finanziamento e nel Mezzogiorno è del 6% circa. Relativamente all’adozione da parte di tutte le Regioni del Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE), al 31 marzo 2025 solo 6 documenti su 16 – lettera di dimissione ospedaliera, referti di laboratorio e di radiologia, prescrizione farmaceutica e specialistica e verbale di pronto soccorso – sono disponibili in tutte le Regioni. Inoltre, solo il 42% dei cittadini ha espresso il consenso alla consultazione del FSE con un divario enorme tra le Regioni: dall’1% in Abruzzo, Calabria e Campania al 92% in Emilia-Romagna. Infine, 3 target risultano in netto ritardo: potenziamento delle terapie intensive e semi-intensive, attivazione di Case di Comunità e Ospedali di Comunità. «Nonostante la rimodulazione al ribasso concessa dall’Europa – osserva Cartabellotta – i ritardi sono molto preoccupanti, in particolare in alcune Regioni. Anche perché, oltre al completamento delle strutture, rimane il nodo del personale: carenza di infermieri e incertezze sulla reale disponibilità dei medici di famiglia a lavorare in queste strutture». In dettaglio, il target prevede che dovranno essere pienamente funzionanti almeno 1.038 Case della Comunità e almeno 307 Ospedali di Comunità, dotati di servizi e personale sanitari entro il 30 giugno 2026. Al 30 giugno 2025, per 218 Case della Comunità (21%) sono stati dichiarati attivi tutti i servizi, ma di queste solo 46 (4,4%) dispongono di personale medico e infermieristico; gli Ospedali di Comunità dichiarati attivi dalle Regioni erano invece solo 153 (49,8%). «In questo scenario – avverte Cartabellotta – la “volata finale” del PNRR impone una convergenza di sforzi tra Governo, Regioni e ASL per trasformare le risorse in servizi accessibili per i cittadini. Altrimenti rischiamo di lasciare in eredità alle future generazioni strutture vuote, tecnologie digitali non integrate nel SSN insieme ad un pesante indebitamento, sprecando così un’occasione irripetibile per rafforzare la sanità pubblica».

Il Piano di Rilancio del SSN. «Il futuro del SSN – conclude Cartabellotta – si gioca su una scelta politica netta: considerare la salute un investimento strategico del Paese o continuare a trattarla come un costo da comprimere. Il Piano di Rilancio della Fondazione GIMBE punta in una direzione chiara: rafforzare e innovare quel modello di SSN istituito nel 1978, finanziato dalla fiscalità generale e basato su princìpi di universalità, uguaglianza ed equità, al fine di garantire il diritto costituzionale alla tutela della salute a tutte le persone. Ma perché questo Piano sia attuabile, la Fondazione GIMBE invoca un nuovo patto. Un patto politico che superi ideologie partitiche e avvicendamenti di Governo, riconoscendo nel SSN un pilastro della democrazia, uno strumento di coesione sociale e un motore di sviluppo economico; un patto sociale che renda i cittadini consapevoli del valore della sanità pubblica e li educhi a un uso responsabile dei servizi; un patto professionale in cui tutti gli attori della sanità devono rinunciare ai privilegi di categoria per salvaguardare il bene comune».

Versione integrale del 8° Rapporto GIMBE: www.salviamo-ssn.it/8-rapporto

Piano di Rilancio del SSN: www.salviamo-ssn.it/salviamo-ssn/piano-di-rilancio


Download comunicato

 

16 settembre 2025
Spesa sanitaria pubblica 2024: Italia al 6,3% del PIL, ben sotto la media OCSE del 7,1%. Spesa pro-capite: Italia al 14o posto in Europa con un gap di € 43 miliardi e fanalino di coda tra i paesi del G7. Verso la manovra 2026: restituire forza e dignità al SSN

Nel 2024 l’Italia per spesa sanitaria pubblica pro-capite si colloca 14° posto tra i 27 Paesi europei dell’area OCSE e in ultima posizione tra quelli del G7. La spesa sanitaria pubblica si attesta al 6,3% del PIL, percentuale inferiore sia alla media OCSE (7,1%), sia a quella europea (6,9%). E per la spesa pro capite il gap con i Paesi europei è di € 43 miliardi.

«Il sottofinanziamento pubblico della sanità italiana – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – è ormai una questione strutturale che, oltre a generare tensioni crescenti in Parlamento, sta mettendo in grandi difficoltà tutte le Regioni, sempre più in affanno nel garantire i livelli essenziali di assistenza mantenendo in ordine i bilanci. Ma oggi il conto più salato di queste scelte miopi lo pagano anzitutto i cittadini, costretti a confrontarsi ogni giorno con liste d’attesa fuori controllo, pronto soccorso al collasso, carenza di medici di famiglia, disuguaglianze territoriali e sociali sempre più marcate e la necessità sempre più frequente a pagare di tasca propria visite e prestazioni sanitarie fino a rinunciare del tutto. Nel 2024 sono state costrette a farlo ben 5,8 milioni di persone, quasi 1 su 10».

In vista dell’imminente discussione sulla Legge di Bilancio 2026, la Fondazione GIMBE ha analizzato i dati relativi alla spesa sanitaria pubblica 2024 nei paesi OCSE, con l’obiettivo di fornire elementi oggettivi utili al confronto politico e al dibattito pubblico, al fine di prevenire ogni forma di strumentalizzazione.

La fonte utilizzata è il dataset OECD Health Statistics, aggiornato al 30 luglio 2025. I confronti con i paesi OCSE e con quelli europei sono stati effettuati sulla spesa sanitaria pubblica, sia in termini di percentuale del PIL che di spesa pro-capite in dollari a prezzi correnti e a parità di potere d’acquisto. È utile ricordare che la spesa sanitaria pubblica di ciascun paese include diversi schemi di finanziamento, di cui uno generalmente prevalente: fiscalità generale (es. Italia, Regno Unito), assicurazione sociale obbligatoria (es. Germania, Francia), assicurazione privata obbligatoria (es. USA, Svizzera).

Spesa sanitaria pubblica in percentuale del PIL. Nel 2024, la spesa sanitaria pubblica in Italia si attesta al 6,3% del PIL, un valore nettamente inferiore sia alla media OCSE (7,1%) che a quella europea (6,9%). Tra i paesi europei dell’area OCSE sono 13 quelli che destinano alla sanità una quota del PIL superiore a quella italiana, con un divario che va dai +4,3 punti percentuali della Germania (10,6% del PIL) a +0,1 punti percentuali del Portogallo (6,4% del PIL) (figura 1).

Spesa sanitaria pubblica pro-capite. Nel 2024 la spesa sanitaria pubblica pro-capite in Italia si attesta a $ 3.835, un valore nettamente inferiore sia alla media OCSE ($ 4.625) con una differenza di $ 790, sia soprattutto alla media dei paesi europei ($ 4.689) con una differenza di $ 854. Tra gli Stati membri dell’Unione Europea, sono 13 i Paesi che investono più dell’Italia: si va dai +$ 58 della Spagna ($ 3.893) ai +$ 4.245 della Germania ($ 8.080). (figura 2). «Di fatto in Europa – commenta il Presidente – per spesa pubblica pro-capite l’Italia è prima tra i paesi poveri: precede solo alcuni paesi dell’Est e dell’Europa Meridionale, visto che Repubblica Ceca, Slovenia e Spagna investono più di noi». Fino al 2011, la spesa sanitaria pro-capite in Italia era allineata alla media europea; poi, per effetto di tagli e definanziamenti operati da tutti i Governi, il divario si è progressivamente ampliato, raggiungendo i $ 430 nel 2019. Il gap si è ulteriormente allargato durante la pandemia, quando gli altri paesi hanno investito molto più dell’Italia; il trend si è confermato nel 2023, con una spesa stabile in Italia, e nel 2024, quando l’incremento è stato inferiore alla media degli altri Paesi europei (figura 3). «L’entità di questo progressivo definanziamento – commenta Cartabellotta – è imponente: al cambio corrente dollaro/euro il gap pro-capite nel 2024 ha raggiunto € 729. Applicato all’intera popolazione residente, corrisponde un divario complessivo di € 43 miliardi. Una erosione progressiva di risorse pubbliche al Servizio Sanitario Nazionale (SSN) che, soprattutto dopo la pandemia, è sempre più in affanno».

Spesa sanitaria pubblica pro-capite: confronto con i paesi del G7. «Il trend della spesa sanitaria pubblica pro-capite dal 2008 al 2024 – spiega il Presidente – racconta una storia di progressivo arretramento: l’Italia è sempre rimasta all’ultimo posto tra i paesi del G7. Se tuttavia nel 2008 il distacco era contenuto, oggi è diventato abissale» (figura 4). Nel 2024 l’Italia si conferma fanalino di coda con una spesa pro-capite di $ 3.835, mentre la Germania l’ha più che doppiata raggiungendo i $ 8.080. Particolarmente significativo è il caso del Regno Unito, che condivide con l’Italia un modello sanitario universalistico: se fino al 2019 ha registrato una crescita modesta, a partire dalla pandemia ha progressivamente aumentato in modo consistente la spesa pubblica, superando in soli cinque anni Canada e Giappone e posizionandosi poco al di sotto della Francia.

«Questo dimostra – commenta Cartabellotta – che il dibattito sul definanziamento della sanità non può ridursi ogni anno, al solito teatrino prima della Manovra: una partita al ribasso per capire se il Ministro della Salute riuscirà a strappare qualche miliardo in più al MEF. Serve invece un patto tra tutte le forze politiche, che prescinda dagli avvicendamenti di Governo e sancisca un impegno non negoziabile per rifinanziare progressivamente la sanità pubblica. Un impegno strategico da accompagnare a riforme strutturali del SSN da sostenere con continuità e convinzione politica».

«Con l’avvio dei lavori sulla Legge di Bilancio 2026 – conclude Cartabellotta – è proprio dall’impietoso confronto con gli altri Paesi europei e del G7 che bisogna ripartire. Da quel divario imponente frutto di una visione arrendevole che ha dimenticato un principio fondamentale: la salute delle persone non è solo un diritto fondamentale, ma anche una leva di sviluppo economico e della tenuta sociale del Paese. Ecco perché la Fondazione GIMBE si appella al Governo e al Parlamento affinché prendano atto dell’enorme e crescente divario strutturale rispetto agli altri Paesi avanzati, senza trasformare il tema in scontro politico. È urgente pianificare un progressivo rilancio del finanziamento pubblico della sanità: non per risalire le classifiche internazionali, ma per restituire forza e dignità al SSN e garantire a tutte le persone, ovunque vivano e a prescindere dal loro reddito, l’inalienabile diritto alla tutela della salute sancito dalla Costituzione. Perché se non investiamo sulla salute, pagheremo tutto con gli interessi: in disuguaglianze, malattia, impoverimento e perdita di futuro».


Download comunicato

 

3 settembre 2025
Cure essenziali 2023, le pagelle del Ministero della Salute: solo 13 Regioni raggiungono gli standard, Veneto in testa. Al Sud promosse solo Puglia, Campania e Sardegna. 8 Regioni peggiorano rispetto al 2022

Nel 2023 solo 13 Regioni rispettano gli standard essenziali di cura. Puglia, Campania e Sardegna le uniche promosse al Sud. Peggiorano le performance in 8 Regioni rispetto al 2022.

Sono i dati del Ministero della Salute che valuta annualmente l’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), ovvero le prestazioni sanitarie che tutte le Regioni e Province Autonome devono garantire gratuitamente o previo il pagamento del ticket. «Si tratta a tutti gli effetti della “pagella” ufficiale per valutare i servizi sanitari regionali – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – che “promuove” le Regioni adempienti e identifica le criticità in quelle inadempienti».

Dal 2020 lo strumento utilizzato è il sottoinsieme di indicatori CORE del Nuovo Sistema di Garanzia (NSG), che include 88 indicatori suddivisi in tre macro aree: prevenzione collettiva e sanità pubblica, assistenza distrettuale e assistenza ospedaliera. Tuttavia, la “pagella” ufficiale ne utilizza solo 26, numero aumentato nel 2023 con il primo aggiornamento del sistema. Ogni Regione, per ciascuna delle tre aree, può ottenere da 0 a 100 punti e per essere considerata adempiente deve raggiungere la “sufficienza” di almeno 60 punti in tutte le aree.

Dopo la pubblicazione, il 6 agosto, della Relazione 2023 del “Monitoraggio dei LEA attraverso il Nuovo Sistema di Garanzia” da parte del Ministero della Salute, la Fondazione GIMBE  spiega il Presidente, «ha condotto un’analisi indipendente per misurare le differenze regionali nel garantire i diritti fondamentali di salute, con particolare attenzione all’entità della frattura Nord-Sud. Per ciascuna Regione sono state inoltre valutate le variazioni tra il 2022 e il 2023 e il posizionamento nelle tre aree della prevenzione, distrettuale e ospedaliera».

Adempimenti LEA 2023. Nel 2023 solo 13 Regioni risultano adempienti ai LEA, un numero identico a quello del 2022: Campania, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Marche, Provincia Autonoma di Trento, Piemonte, Puglia, Sardegna, Toscana, Umbria e Veneto. In particolare, dal 2022 al 2023 Campania e Sardegna salgono tra le Regioni adempienti, mentre Basilicata e Liguria retrocedono a inadempienti per il mancato raggiungimento della soglia minima in un’area. Rimangono inadempienti per insufficienza in una sola area Calabria, Molise e Provincia Autonoma di Bolzano, mentre Abruzzo, Sicilia e Valle d’Aosta non raggiungono la soglia in due aree (tabella 1). «Nel 2023 – commenta il Presidente – il divario Nord-Sud rimane molto netto: su 13 Regioni “promosse”, solo tre appartengono al Mezzogiorno.  La Puglia ha registrato punteggi simili a quelli di alcune Regioni del Nord, mentre Campania e Sardegna si collocano poco al di sopra della sufficienza».

Classifica GIMBE. Considerato che il Ministero della Salute non restituisce un punteggio unico per la valutazione complessiva degli adempimenti LEA, la Fondazione GIMBE ha elaborato una classifica di Regioni e Province Autonome sommando i punteggi ottenuti nelle tre aree. I risultati sono riportati in ordine decrescente di punteggio totale e suddivisi in quartili (tabella 2 e figura 1). «Rispetto alla semplice distinzione tra Regioni adempienti e inadempienti – commenta Cartabellotta – il punteggio totale evidenzia in maniera più netta il divario Nord-Sud: infatti, tra le prime 10 Regioni 6 sono del Nord, 3 del Centro e solo 1 del Sud. Nelle ultime 7 posizioni, fatta eccezione per la Valle d’Aosta, si trovano esclusivamente Regioni del Mezzogiorno».

Classifica per macro-area. Al di là dei criteri che stabiliscono se una Regione sia adempiente o meno, i punteggi ottenuti nelle singole aree restituiscono classifiche differenti, utili a individuare punti di forza e criticità nell’erogazione dei LEA (tabella 3). Alcune Regioni (Campania, Emilia-Romagna, Toscana, Piemonte, Veneto, Umbria), indipendentemente dal livello delle loro performance, si collocano in posizioni simili nelle tre aree, documentando uniformità nell’erogazione dell’assistenza. Altre Regioni, invece, mostrano forti squilibri nel posizionamento tra le tre aree: in particolare Calabria, Valle D’Aosta, Liguria, Provincia Autonoma di Bolzano. «Queste differenze – spiega il Presidente – indicano che, anche dove si raggiunge la soglia di sufficienza, persistono marcati squilibri nella qualità dell’assistenza. Ma una sanità che funziona bene solo in ospedale o solo sul territorio non può considerarsi realmente efficace, né tantomeno in grado di rispondere ai bisogni delle persone».

Variazioni 2022-2023. Le differenze tra gli adempimenti LEA 2022 e 2023 sono state analizzate valutando i punteggi totali delle Regioni e le performance nazionali nei tre macro-livelli assistenziali. Nel 2023, 8 Regioni hanno registrato un peggioramento rispetto all’anno precedente, seppure con gap di entità molto variabile: a perdere almeno 10 punti sono Lazio (-10), Sicilia (-11), Lombardia (-14) e Basilicata (-19). «La riduzione delle performance anche in Regioni storicamente solide – commenta Cartabellotta – dimostra che la tenuta del SSN non è più garantita nemmeno nei territori con maggiore disponibilità di risorse o reputazione sanitaria. È un campanello d’allarme che non può essere ignorato». Sul fronte opposto, due Regioni del Mezzogiorno mostrano un netto miglioramento: Calabria (+41) e Sardegna (+26) (tabella 4).

«Il monitoraggio LEA 2023 – conclude Cartabellotta – certifica ancora una volta che la tutela della salute dipende in larga misura dalla Regione di residenza e che la frattura tra il Nord e il Sud del Paese non accenna a ridursi. Anzi, è più ampia di quanto i numeri lascino intendere: infatti, il set di indicatori NSG CORE, pur rappresentando la “pagella” ufficiale con cui lo Stato misura l’erogazione dei LEA, non riflette in maniera accurata la qualità dell’assistenza. Si tratta più di uno strumento di political agreement tra Governo e Regioni, basato su pochi indicatori e soglie di “promozione” troppo basse, che tendono ad appiattire le differenze tra Regioni. Per questo la Fondazione GIMBE chiede un ampliamento del numero di indicatori e una rotazione periodica di quelli utilizzati nella “pagella” ministeriale. E invoca una radicale revisione di Piani di rientro e commissariamenti: strumenti che hanno indubbiamente contribuito a riequilibrare i bilanci regionali, ma che hanno inciso poco sulla qualità dell’assistenza e sulla riduzione dei divari tra Nord e Sud del Paese».


Download comunicato

 

29 2025
PNRR Missione Salute: al 2° trimestre 2025 rispettate tutte le scadenze formali. Ma a un anno dal traguardo finale, almeno 5 target su 14 sono in ritardo e l’82% delle risorse non risulta ancora speso. Il Paese incassa le rate, ma per garantire benefici ai cittadini serve una corsa contro il tempo

«Al 30 giugno 2025 – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – per la Missione Salute del PNRR sono state raggiunte le quattro scadenze previste entro la fine del 2° trimestre di cui due europee. Tuttavia, a un anno dalla rendicontazione finale, al di là del rispetto formale delle scadenze e dell’incasso delle rate, la spesa effettiva delle risorse e l’avanzamento reale degli obiettivi procedono con estrema lentezza e con inaccettabili diseguaglianze tra le Regioni. In particolare, delle 14 misure da completare entro giugno 2026, almeno 5 presentano criticità di attuazione, mentre per 5 le informazioni pubblicamente disponibili non sono sufficienti per valutarne lo stato di avanzamento. 4 misure risultano quasi completate o già raggiunte».

Secondo i dati pubblicati sul portale del Ministero della Salute, che monitora l’attuazione della Missione Salute del PNRR, al 30 giugno 2025 sono state raggiunte le due scadenze europee sul finanziamento di progetti di ricerca e tutte le precedenti. «Tuttavia – spiega il Presidente – il rispetto delle scadenze formali, necessario per il via libera all’erogazione delle rate, non rappresenta in questa fase finale un indicatore affidabile sul reale stato di avanzamento dei progetti».

Per tale ragione, a un anno dalla scadenza, il monitoraggio indipendente dell’Osservatorio GIMBE sull’attuazione della Missione Salute del PNRR si è focalizzato sul reale status di avanzamento dei 14 obiettivi europei ancora da raggiungere: 3 entro dicembre 2025 e 11 entro giugno 2026. «Riteniamo fondamentale – commenta Cartabellotta – offrire ai cittadini un quadro chiaro basato su dati oggettivi, al riparo strumentalizzazioni politiche. Al tempo stesso, esortiamo Governo, Regioni e ASL a condividere le responsabilità, facendo convergere gli sforzi su una volata finale che sarà una corsa contro il tempo».

ROADMAP AL 30 GIUGNO 2026

Risorse da spendere. Secondo la Relazione sullo Stato di Attuazione del PNRR della Corte dei Conti, pubblicata lo scorso 15 maggio, al 31 dicembre 2024 risultavano ancora da spendere € 12,81 miliardi, pari all’82% delle risorse assegnate. Una percentuale che colloca la Missione Salute al penultimo posto per spesa sostenuta (18%), davanti solo alla Missione 5 (Inclusione e Coesione) ferma al 15,9%. «Questi numeri – commenta Cartabellotta – documentano che serve un impulso decisivo per completare i progetti e trasformare in servizi le risorse da spendere, senza alcun margine per ritardi o inerzie». Infatti, secondo la Corte dei Conti, per completare l’attuazione finanziaria delle Missioni 5 e 6, in assenza di slittamenti, sarà necessario tra gennaio 2025 e giugno 2026 un ritmo di spesa oltre sette volte superiore rispetto a quello dell’intero triennio 2022-2024.

Target da raggiungere entro il 30 giugno 2026. Il sito del Ministero della Salute, in occasione del pagamento della VII e VIII rata, riporta che per completare la Missione Salute devono essere raggiunti 13 target e 1 milestone: 3 target entro il 31 dicembre 2025 ai fini dell’erogazione della IX rata; 10 target e 1 milestone entro il 30 giugno 2026 per incassare la X rata. «Il vero nodo – spiega Cartabellotta – è che il 30 giugno 2026 non segna solo il completamento formale dei target, ma coincide con la consegna reale di tutte le strutture e i servizi finanziati dal PNRR, che dovrebbero tradursi in un concreto miglioramento dell’assistenza sanitaria».

La Fondazione GIMBE, nell’impossibilità di un pubblico accesso al sistema ReGis, ha analizzato lo status di avanzamento degli obiettivi da raggiungere entro giugno 2026 utilizzando tutte le fonti istituzionali disponibili al 28 luglio 2025: Corte dei Conti, Ufficio Parlamentare di Bilancio, Ministero della Salute, Dipartimento per la Trasformazione Digitale, Agenas (Tabella 1). «È verosimile – commenta Cartabellotta – che alcuni progetti siano più avanti di quanto riportato. Ma allo stesso tempo è poco realistico immaginare che, anche per i dati aggiornati a dicembre 2024, in soli sei mesi siano stati compiuti exploit tali da recuperare i ritardi accumulati, soprattutto nelle Regioni più indietro».

TARGET IN NETTO RITARDO (N. 3).  Oltre al potenziamento dei posti letto in terapia intensiva e semi-intensiva, è la riorganizzazione dell’assistenza territoriale l’obiettivo più critico. Infatti, i dati del Monitoraggio Agenas, aggiornati al 20 dicembre 2024, documentano ritardi sostanziali nella piena attivazione di Case e Ospedali di Comunità.

Case della Comunità. Il target prevede che entro il 30 giugno 2026 siano pienamente operative almeno 1.038 Case della Comunità, dotate di servizi e personale sanitario. Tuttavia, a dicembre 2024, solo 164 strutture (15,8%) avevano attivato tutti i servizi previsti e, tra queste, appena 46 (4,4%) disponevano di personale medico e infermieristico. In 485 strutture (46,7%) risultava attivo un solo servizio, mentre le rimanenti 389 Case di Comunità (37,5%) non risultavano aver attivato alcun servizio. «Al di là dei ritardi nel completamento strutturale e tecnologico – avverte Cartabellotta – preoccupano la grave carenza di infermieri e il mancato accordo con i medici di famiglia per lavorare nelle Case di Comunità. Così la grande sfida della riforma territoriale rischia di essere rimanere una colossale opera di edilizia sanitaria o di essere affidata ai privati».

Ospedali di Comunità. Entro giugno 2026 dovrebbero essere pienamente funzionanti almeno 307 Ospedali di Comunità, le strutture intermedie per accogliere i pazienti dimessi dagli ospedali per acuti. Ma al 20 dicembre 2024, solo 124 strutture (40,4%) dichiaravano almeno un servizio attivo e non è riportata alcuna informazione sul personale sanitario. «È evidente – commenta il Presidente – che l’attivazione degli Ospedali di Comunità è ancora più in ritardo e l’obiettivo di rafforzare le cure intermedie rischia di naufragare».

Posti letto in terapia intensiva e semi-intensiva. Il PNRR prevede l’attivazione, entro giugno 2026, di 2.692 posti letto di terapia intensiva e 3.230 di semi-intensiva. Tuttavia, al 21 marzo 2025, risultano attivati solo 890 letti di terapia intensiva (33,1%) e 1.199 di semi-intensiva (37,1%). «È surreale – chiosa il Presidente – che, nonostante la drastica revisione al ribasso degli obiettivi iniziali, a cinque anni dalla pandemia l’Italia non sia ancora riuscita a completare un’infrastruttura essenziale per fronteggiare future emergenze sanitarie».

TARGET CON RITARDI SIGNIFICATIVI (N. 2). Nonostante gli avanzamenti, altri 2 target mostrano ritardi sulla tabella di marcia.

Interventi di antisismica. Per mettere in sicurezza almeno 84 ospedali, il PNRR ha finanziato interventi antisismici in tutto il Paese. A febbraio 2025 risultavano attivi o conclusi 86 cantieri, ma la spesa effettivamente sostenuta era ferma all’11% del totale, con una media ancora più bassa nel Mezzogiorno (6%).

Adozione del FSE in tutte le Regioni. Entro giugno 2026, tutte le Regioni dovrebbero adottare e utilizzare il FSE. Tuttavia, a marzo 2025 solo 6 documenti su 16 risultano disponibili in tutte le Regioni (lettera di dimissione ospedaliera, referti di laboratorio e di radiologia, prescrizione farmaceutica e specialistica e verbale di pronto soccorso). Inoltre, solo il 42% dei cittadini ha fornito il consenso alla consultazione dei propri dati. «Senza informare i cittadini sull’utilità del FSE – avverte Cartabellotta – e rassicurarli sulla sicurezza dei dati, nonostante il raggiungimento del target PNRR le potenzialità di questo strumento rischiano di essere vanificate dal mancato consenso dei cittadini».

TARGET IN VIA DI COMPLETAMENTO O GIÀ COMPLETATI (N. 4). Risultano in fase avanzata di attuazione o completati in anticipo quattro target.

Progetti di ristrutturazione e ammodernamento degli ospedali (ex art. 20): erogazione di almeno il 90% di € 250 milioni. Al 21 marzo 2025, risultano finanziati 127 progetti per un totale di € 458,1 milioni. «Il superamento della soglia teorica di finanziamento certificherebbe il raggiungimento del target – sottolinea Cartabellotta – ma è in corso una ricognizione perché non è chiaro quanti progetti rientrino nel perimetro del PNRR».

Assistenza domiciliare integrata (ADI) negli over 65. L’obiettivo prevede di aumentare i pazienti in ADI di almeno 842.000 unità rispetto al 2019. Il dato di fine 2024 certifica il superamento del target ben 18 mesi prima della scadenza, con 900.853 pazienti in più presi in carico.

Grandi apparecchiature sanitarie. Dei 3.223 macchinari previsti, al 31 gennaio 2025 ne risultavano ordinati 3.126 (97%), consegnati 2.578 (80%) e collaudati 2.482 (77%). Il target, riferito al collaudo delle apparecchiature, è quindi prossimo al completamento.

Contratti di formazione specialistica. A partire dall’anno accademico 2020-21 sono stati stanziati € 538 milioni per i 4.200 contratti di formazione medico-specialistica previsti dall’obiettivo. Il target risulta formalmente completato.

TARGET NON VALUTABILI PER DATI NON DISPONIBILI (N. 5). Per alcuni target non sono state identificate fonti pubblicamente disponibili aggiornate, rendendo impossibile valutarne lo stato di attuazione. «Riteniamo indispensabile – commenta Cartabellotta – che tutti i dati relativi all’avanzamento dei progetti del PNRR debbano essere resi pubblicamente disponibili. In un Paese democratico, la trasparenza non è un dettaglio tecnico, ma il primo strumento di rendicontazione pubblica e di fiducia tra istituzioni e cittadini».

Almeno 300.000 persone assistite con strumenti di telemedicina. La scadenza è fissata al 31 dicembre 2025, ma ad oggi non sono disponibili dati ufficiali sul numero di pazienti presi in carico con strumenti di telemedicina. Nel primo trimestre del 2025 è stata avviata la raccolta dei dati tramite la Piattaforma Nazionale di Telemedicina e sono state completate le gare per infrastrutture e postazioni.

Digitalizzazione di 280 strutture ospedaliere sede di DEA. Anche questo target ha come scadenza il 31 dicembre 2025. Non esistono dati pubblici sugli ospedali già digitalizzati, mentre al 25 febbraio 2025 risultano aggiudicati tutti gli appalti. Tuttavia, l’importo fatturato a livello nazionale si attesta appena al 21% del totale.

Alimentazione del Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) da parte dei Medici di Medicina Generale (MMG). Entro il 31 dicembre 2025, l’85% dei MMG dovrebbe alimentare regolarmente il FSE. Tuttavia, non esistono dati pubblici per valutare il rispetto di questo obiettivo. L’unica informazione disponibile è che il 95% di MMG e Pediatri di Libera Scelta (PLS) ha effettuato almeno un accesso al FSE nell’ultimo trimestre monitorato. «Senza dati puntuali sull’alimentazione del FSE – osserva Cartabellotta – è impossibile valutare il ruolo attivo dei medici di famiglia. In particolare, rispetto al Profilo Sanitario Sintetico (cd. Patient Summary), il documento dove il MMG riassume e mantiene aggiornata la storia clinica del paziente per favorire la continuità di cura».

Tessera sanitaria elettronica e interoperabilità del FSE. Entro giugno 2026 il sistema dovrà essere pienamente operativo. A inizio 2025 sono state attivate le infrastrutture tecniche per l’interoperabilità dei dati sanitari tra le Regioni e, a marzo, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto che istituisce il nuovo Ecosistema dei dati sanitari.

Formazione su competenze e abilità di management e digitali per 4.500 professionisti sanitari. Anche per questo obiettivo, da raggiungere entro giugno 2026, non sono disponibili dati pubblici sul numero di professionisti che hanno già completato la formazione.

«La volata finale della Missione Salute – commenta Cartabellotta – non può trasformarsi in un terreno di scontro politico perché le responsabilità ricadono su tutti: sul Governo Conte che, complice la ristrettezza dei tempi e la pandemia in corso, non ha previsto un monitoraggio più rigoroso e ravvicinato di vari target; sul Governo Meloni, che ha prima tentennato sull’utilità reale di alcune misure (es. Case di Comunità) e poi si è limitato a celebrare l’incasso delle rate, senza esercitare una pressione costante su Regioni e ASL, i “soggetti attuatori” chiamati a portare a termine i progetti. La responsabilità della volata finale è collettiva e impone una convergenza di sforzi, senza spazio per giocare a scaricabarile».

«A 11 mesi dalla rendicontazione finale della Missione Salute del PNRR – conclude Cartabellotta – 5 dei 14 target presentano ritardi di attuazione, di cui 2 particolarmente critici (Case e Ospedali di Comunità), mentre per 5 target è impossibile effettuare una valutazione indipendente per mancanza di dati pubblici. La Fondazione GIMBE invoca una stretta collaborazione tra Governo, Regioni e ASL al fine di completare con successo il percorso ed evitare tre rischi che il Paese non può permettersi. Il primo, assolutamente da scongiurare, è di non raggiungere i target europei e dover restituire il contributo a fondo perduto. Il secondo, difficile da neutralizzare, è di raggiungere il target nazionale senza ridurre le diseguaglianze regionali e territoriali, aumentando ulteriormente il divario Nord-Sud. Il terzo, il più paradossale, è di incassare le rate senza generare alcun beneficio per cittadini e pazienti, lasciando in eredità alle future generazioni strutture vuote, tecnologie digitali non integrate nel SSN e, last but not least, un pesante indebitamento. Sprecando un’occasione irripetibile per rafforzare la sanità pubblica».


Download comunicato

 

16 2025
Fascicolo Sanitario Elettronico: frattura digitale tra le Regioni. Solo 4 documenti su 16 resi disponibili ovunque. Solo il 42% dei cittadini ha fornito il consenso: dal 92% dell’Emilia-Romagna all’1% di Abruzzo, Calabria e Campania. Senza fiducia dei cittadini la trasformazione digitale della sanità non decolla

In occasione del 9° Forum Mediterraneo in Sanità, la Fondazione GIMBE ha presentato i dati aggiornati sulla diffusione e l’utilizzo del Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) nelle Regioni italiane. L’analisi indipendente restituisce un quadro chiaro: lo strumento chiave della trasformazione digitale procede a velocità diverse, generando nuove forme di disuguaglianza. Ad oggi, solo quattro tipologie di documenti sanitari risultano disponibili in tutte le Regioni e appena il 42% dei cittadini ha espresso il consenso alla consultazione dei propri dati, con divari abissali e percentuali irrisorie nel Mezzogiorno. Una frattura che, come ha sottolineato anche il Ministro Schillaci lo scorso 25 giugno alla Camera, “non è solo un problema tecnico, ma è una questione di equità nell'accesso alle cure”.

«Il Fascicolo Sanitario Elettronico – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – dovrebbe essere la chiave per migliorare accessibilità, continuità delle cure e integrazione dei servizi sanitari e socio-sanitari. Ma oggi, per milioni di cittadini, resta uno strumento ben lontano dalla piena operatività. Il divario digitale tra le Regioni, se non colmato rapidamente, rischia di trasformarsi in una nuova forma di esclusione sanitaria». Infatti, i dati resi pubblici sul portale Fascicolo Sanitario Elettronico 2.0 del Ministero della Salute e del Dipartimento per la Trasformazione Digitale - aggiornati al 31 marzo 2025 - confermano che la disponibilità e l’utilizzo di documenti e servizi nel FSE variano in maniera molto rilevante tra le Regioni.

COMPLETEZZA DEL FASCICOLO SANITARIO ELETTRONICO

Documenti. Il Decreto del Ministero della Salute del 7 settembre 2023 ha definito i contenuti del FSE 2.0, ma ad oggi soltanto 4 documenti su 16 monitorati sul portale pubblico – lettera di dimissione ospedaliera, referti di laboratorio e di radiologia e verbale di pronto soccorso – risultano effettivamente disponibili in tutte le Regioni (figura 1). «Un cittadino siciliano e uno veneto – commenta Cartabellotta – non hanno le stesse possibilità di accesso alla propria documentazione clinica. E questo non è accettabile in un Servizio Sanitario Nazionale che si definisce universale». La disomogeneità regionale è marcata. Alcuni documenti fondamentali – come il profilo sanitario sintetico, le prescrizioni specialistiche e farmaceutiche, il referto specialistico ambulatoriale – sono disponibili in oltre l’80% delle Regioni. Il certificato vaccinale e il documento di erogazione delle prestazioni specialistiche sono presenti in 15 Regioni e Province Autonome (71%), mentre il documento di erogazione dei farmaci e la scheda della singola vaccinazione compaiono nei FSE di 14 Regioni (67%). Il referto di anatomia patologica e il taccuino personale dell’assistito sono accessibili in 13 Regioni (62%). Soltanto 6 Regioni rendono disponibile la lettera di invito per screening, vaccinazioni e altri percorsi di prevenzione, mentre la cartella clinica è resa disponibile nel FSE solo dal Veneto (tabella 1). Complessivamente, a livello nazionale il FSE mette a disposizione degli utenti il 68% dei documenti monitorati sul portale del FSE 2.0 e previsti dal decreto. Nessuna Regione alimenta il FSE con tutte le tipologie documentali previste dal DM: si va dal 93% del Piemonte e del Veneto al 40% di Abruzzo e Calabria (figura 2).

Servizi. Attualmente, i FSE regionali offrono fino a 45 servizi digitali (tabella 2), che permettono ai cittadini di svolgere varie attività fondamentali: dal pagamento di ticket e prestazioni alla prenotazione di visite ed esami, dalla scelta del medico di medicina generale alla consultazione delle liste d’attesa. Anche su questo fronte, però, il divario tra Regioni è profondo. Solo la Toscana (56%) e il Lazio (51%) superano la soglia del 50% dei servizi attivati. All’estremo opposto, in Calabria la disponibilità si ferma al 7% (figura 3). «È utile precisare – spiega Cartabellotta – che molti dei servizi digitali sono accessibili tramite altri canali, come portali web o app offerti dalle Regioni. Tuttavia, se questi non vengono integrati anche nel FSE, da un lato si perde l’obiettivo di creare un’unica piattaforma digitale per il cittadino, dall’altro il monitoraggio nazionale restituisce una fotografia parziale e sottostimata dell’effettiva disponibilità dei servizi offerti»

UTILIZZO DEL FASCICOLO SANITARIO ELETTRONICO

Consenso alla consultazione. Al 31 marzo 2025 (per il Friuli Venezia Giulia i dati sono aggiornati al 31 dicembre 2024), a livello nazionale solo il 42% dei cittadini ha espresso il consenso alla consultazione dei propri dati sanitari da parte dei medici. Ma il divario tra le Regioni è enorme: si passa dall’1% in Abruzzo, Calabria e Campania al 92% in Emilia-Romagna. Tra le Regioni del Sud, solo la Puglia (73%) supera la media nazionale (figura 4). «Fornire il consenso è il primo passo per accedere ai benefici del FSE – sottolinea Cartabellotta – ma serve un grande sforzo informativo e culturale per rafforzare la fiducia dei cittadini, superando i timori legati alla protezione dei dati personali».

Utilizzo del FSE. Tra gennaio e marzo 2025, appena il 21% dei cittadini ha consultato almeno una volta il proprio FSE, considerando esclusivamente chi ha avuto almeno un documento caricato. Anche in questo caso le disparità regionali sono marcate: si va dall’1% delle Marche al 65% dell’Emilia-Romagna (figura 5). Nel Mezzogiorno, l’utilizzo resta sotto l’11%. «Non basta caricare i dati nel fascicolo – spiega Cartabellotta – bisogna anche mettere le persone nella condizione di usarli. E questo significa investire seriamente in alfabetizzazione digitale».

Utilizzo da parte di Medici di Medicina Generale e Pediatri di Libera Scelta. Tra gennaio e marzo 2025 (ottobre-dicembre 2024 per il Friuli Venezia Giulia), il 95% dei Medici di Medicina Generale e Pediatri di Libera Scelta ha effettuato almeno un accesso al FSE. Nove Regioni raggiungono il 100% di utilizzo: Basilicata, Emilia-Romagna, Marche, Molise, Provincia Autonoma di Trento, Piemonte, Puglia, Sardegna e Umbria. Anche nelle restanti Regioni il tasso di utilizzo si mantiene elevato: Liguria (99%), Lazio e Veneto (98%), Lombardia (96%). Si collocano leggermente sotto la media nazionale Abruzzo e Friuli Venezia Giulia (94%), Calabria (93%), Sicilia (91%), Campania e Provincia Autonoma di Bolzano (88%), Toscana (80%) e Valle d’Aosta (47%) (figura 6).

Utilizzo da parte di medici specialisti. Al 31 marzo 2025 (31 dicembre 2024 per il Friuli Venezia Giulia), il 72% dei medici specialisti delle Aziende sanitarie risulta abilitato alla consultazione del FSE. Anche in questo caso, le differenze tra Regioni restano marcate.  Dodici Regioni e Province Autonome hanno raggiunto il 100% di abilitazioni: Lombardia, Marche, Molise, Province Autonome di Bolzano e Trento, Piemonte, Puglia, Sardegna, Toscana, Umbria, Valle d’Aosta e Veneto. Sotto la media nazionale si collocano Campania (61%), Lazio (60%), Abruzzo (37%), Sicilia (36%) e Calabria (26%). Fanalino di coda la Liguria, con appena il 16% di medici specialisti abilitati alla consultazione del FSE (figura 7).

«In alcune Regioni – conclude Cartabellotta – il FSE è uno strumento pienamente operativo, grazie alla quantità di documenti presenti, al consenso dei cittadini ed al loro effettivo utilizzo. In altre, soprattutto nel Mezzogiorno, il FSE è spesso un contenitore semivuoto e scarsamente utilizzato anche per l’elevata diffidenza sulla sicurezza dei dati da parte della popolazione. Ma la sanità digitale non può essere un’innovazione per pochi: servono investimenti e una governance centralizzata per garantire diritti a tutte le persone indipendentemente dal luogo in cui vivono. Se vogliamo davvero attuare una sanità digitale, i dati devono essere accessibili non solo ai cittadini, ma a tutti i professionisti coinvolti nei percorsi clinico-assistenziali, perché la tecnologia è necessaria, ma non sufficiente. Ecco perché serve un patto nazionale per la sanità digitale tra Governo, Regioni e cittadini, che assicuri completezza nei contenuti del FSE e uniformità di accesso in tutte le Regioni. Altrimenti, rischiamo che la straordinaria opportunità offerta dalla trasformazione digitale, di cui il FSE costituisce la “combinazione” di accesso, finisca per generare nuove diseguaglianze».


Download comunicato

Torna alla prima pagina
1
2
3
4
Vai all'ultima pagina



Pagina aggiornata il 22/06/2022