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28 2020
Paradosso ticket: nel 2019 spesi quasi 3 miliardi di euro, ma il 38% finisce in farmaci di marca

SOTTO LA LENTE DELL’OSSERVATORIO GIMBE GLI IMPORTI SBORSATI DAI CITTADINI NEL 2019. QUASI € 50 A TESTA CON RILEVANTI DIFFERENZE REGIONALI: QUOTA PRO-CAPITE TOTALE DA € 33,5 IN SARDEGNA A € 90,8 IN VALLE D’AOSTA, PER I FARMACI DA € 15,3 IN PIEMONTE A € 36,4 IN CAMPANIA, PER LE PRESTAZIONI SPECIALISTICHE DA € 8,5 IN SICILIA A € 65,3 IN VALLE D’AOSTA. ALLA VIGILIA DEL DEFINITIVO SUPERAMENTO DEL SUPERTICKET PER LA SPECIALISTICA, URGENTE INCENTIVARE L’USO DEI FARMACI EQUIVALENTI, IL CUI MANCATO UTILIZZO COSTA AI CITTADINI OLTRE € 1.120 MILIONI.

Tutte le Regioni prevedono sistemi di compartecipazione alla spesa sanitaria, con un livello di autonomia che negli anni ha generato una giungla inestricabile di differenze relative alle prestazioni su cui vengono applicati (farmaci, prestazioni specialistiche, pronto soccorso, etc.), agli importi da corrispondere, alle regole per le esenzioni.  Integrando i dati del Rapporto 2020 sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei Conti con quelli del Monitoraggio AIFA della spesa farmaceutica 2019, l’ultimo report dell’Osservatorio GIMBE analizza in dettaglio composizione e differenze regionali della compartecipazione alla spesa sanitaria che nel 2019 sfiora i 3 miliardi di euro.

«Nata per moderare i consumi – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – la compartecipazione dei cittadini alla spesa sanitaria ha finito per costituire un rilevante capitolo di entrata per le Regioni in un’epoca caratterizzata da un definanziamento della sanità pubblica senza precedenti». Nel 2019 le Regioni hanno incassato per i ticket € 2.935,8 milioni (€ 48,6 pro-capite), di cui € 1.581,8 milioni (€ 26,2 pro-capite) per farmaci e € 1.354 milioni (€ 22,4 pro-capite) per prestazioni specialistiche, incluse quelle di pronto soccorso (figura). 

«Nel periodo 2014-2019 – spiega Cartabellotta – l’entità complessiva della compartecipazione alla spesa sanitaria si è mantenuta relativamente stabile, ma abbiamo assistito ad una sua progressiva ricomposizione. Infatti, rispetto al 2014, quando gli importi dei ticket per farmaci e prestazioni specialistiche erano sovrapponibili, nel 2019 quelli per le prestazioni si sono ridotti del 6,5% mentre sono aumentati quelli per i farmaci (+10,1%)».

Nel 2019, rispetto all’anno precedente, i ticket sono diminuiti di € 32,2 milioni (-1,1%), di cui € 5 milioni (-0,4%) per le prestazioni specialistiche e € 27,2 milioni (-1,7%) per i farmaci. Dall’analisi emergono notevoli differenze regionali relative sia all’importo totale della compartecipazione alla spesa, sia alla ripartizione tra farmaci e prestazioni specialistiche: in particolare, se il range della quota pro-capite totale per i ticket oscilla da € 33,5 in Sardegna a € 90,8 in Valle d’Aosta, per i farmaci l’importo varia da € 15,3 in Piemonte a € 36,4 in Campania, mentre per le prestazioni specialistiche si va da € 8,5 in Sicilia a € 65,3 in Valle d’Aosta.

«Un dato di estremo interesse – precisa Cartabellotta – emerge dallo “spacchettamento” dei ticket sui farmaci, che include la quota fissa per ricetta e la quota differenziale sul prezzo di riferimento pagata dai cittadini che preferiscono il farmaco di marca al medicinale equivalente». Nel 2019 dei € 1.581,8 milioni sborsati per il ticket sui farmaci, solo il 29% è relativo alla quota fissa per ricetta (€ 459,3 milioni pari a € 7,6 pro-capite), mentre la quota differenziale sborsata per i farmaci “griffati” ammonta a € 1.122,5 milioni (€ 18,6 pro-capite). Complessivamente, nel periodo 2013-2019 la quota fissa sulle ricette si è ridotta del 17,7% (-€ 98,7 milioni), mentre è aumentata del 27,8% la quota prezzo di riferimento per la scelta dei farmaci di marca (+€ 244,5 milioni). Un comportamento che penalizza l’Italia nel confronto internazionale: su 26 paesi l’OCSE ci colloca al penultimo posto per valore e al terzultimo per volume di farmaci equivalenti.

«Spicca – rileva il Presidente – l’ostinata e ingiustificata resistenza ai farmaci equivalenti in tutte le Regioni del Centro-Sud che registrano una spesa per i farmaci di marca più elevata della media nazionale». In particolare: Lazio (€ 24,9), Calabria (€ 24,7), Sicilia (€ 23,9), Campania (€ 23,3), Basilicata e Molise (€ 22,5), Puglia (€ 22), Abruzzo (€ 21,5), Umbria (€ 20,8) e Marche (€ 20,3).

«Il nostro report indipendente – commenta il Presidente – conferma notevoli eterogeneità regionali che richiedono azioni differenziate. In particolare, se le risorse allocate per il superamento del superticket determineranno una progressiva riduzione della compartecipazione per le prestazioni specialistiche, mancano azioni concrete per promuovere l’utilizzo dei farmaci equivalenti, in particolare nelle Regioni del Centro-Sud». In altri termini, a fronte di un investimento di € 554 milioni/anno di risorse pubbliche per favorire l’accesso alle prestazioni specialistiche, stride l’esborso per i farmaci brand da parte dei cittadini di oltre € 1.120 milioni, il 38,2% della compartecipazione alla spesa sanitaria e il 71% di quella per i farmaci.

«Rispetto all’equità di accesso alle cure – conclude Cartabellotta – auspichiamo che venga presto attuata una delle più grandi incompiute politiche degli ultimi anni, già prevista dal Patto per la Salute 2019-2021: ovvero uniformare a livello nazionale regole per le esenzioni e criteri per la compartecipazione alla spesa sanitaria».

Il report dell’Osservatorio GIMBE “Ticket 2019” è disponibile a: www.gimbe.org/ticket2019.   


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23 2020
Coronavirus: stabile l’incremento dei nuovi casi. In Lombardia oltre il 57% dei positivi

NEL PERIODO 15-21 LUGLIO CONTINUA A CALARE L’OCCUPAZIONE DEGLI OSPEDALI, MA NON IL NUMERO DEI NUOVI CASI CHE SI MANTIENE COSTANTE. L’ANALISI DEI DATI INDICA UNA CIRCOLAZIONE ENDEMICA DEL VIRUS CON FORTI DIFFERENZE REGIONALI: DEI 12.248 “ATTUALMENTE POSITIVI” IL 57,2% SONO IN LOMBARDIA, IL 29,5% SI DISTRIBUISCE TRA EMILIA ROMAGNA, LAZIO, PIEMONTE, VENETO E IL 13,3% NELLE ALTRE REGIONI. FONDAMENTALE MANTENERE I COMPORTAMENTI INDIVIDUALI RACCOMANDATI, IDENTIFICARE E ISOLARE I FOCOLAI E POTENZIARE L’ATTIVITÀ DI TESTING NEGLI AEROPORTI PER ARGINARE I CONTAGI DI RIENTRO DALL’ESTERO.

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE conferma nella settimana 15-21 luglio, rispetto alla precedente, uno stabile incremento dei nuovi casi (1.408 vs 1.388), a fronte di una lieve flessione del numero di tamponi diagnostici effettuati. Al tempo stesso i dati documentano un ulteriore alleggerimento della pressione sugli ospedali: al 21 luglio i pazienti ricoverati con sintomi (732) e, soprattutto, quelli in terapia intensiva (49) sono ormai un numero esiguo. In sintesi:

  • Decessi: +89 (+0,3%)
  • Terapia intensiva: -11 (-18,3%)
  • Ricoverati con sintomi: -45 (-5,8%)
  • Nuovi casi totali: +1.408 (0,6%)
  • Tamponi diagnostici: -1.247 (-0,7%)
  • Tamponi totali: -137 (-0,05%)

«In questo contesto – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – non bisogna confondere il progressivo decongestionamento degli ospedali con l’azzeramento delle ospedalizzazioni». Infatti, i dati su pazienti ricoverati con sintomi e in terapia intensiva si riferiscono al numero dei posti letto occupati, ma non permettono di conoscere il numero di pazienti ricoverati e dimessi, per guarigione o decesso. Inoltre, alcune Regioni non conteggiano più tra i pazienti ospedalizzati quelli con negativizzazione del tampone, sottostimando complessivamente il carico ospedaliero correlato a COVID-19.

A fronte della stabilità nell’aumento dei nuovi casi diagnosticati nell’ultima settimana rispetto alla precedente (+20) si documentano ampie variazioni regionali: in 8 Regioni i casi sono in riduzione, in 11 in aumento e in 2 sono stabili. Svettano l’incremento dei casi in Veneto (+172) e la riduzione in Lombardia (-184) e si rilevano moderate variazioni in aumento in Liguria (+44), Toscana (+30) e Campania (+28) e in riduzione nel Lazio (-46) e in Piemonte (-35) (tabella).

«In quanto indicatore della diffusione del contagio – spiega Cartabellotta – abbiamo valutato la distribuzione geografica dei 12.248 casi attivi al 21 luglio, ovvero i casi “attualmente positivi” secondo la denominazione della Protezione Civile». Il 57,2% si concentra in Lombardia (7.010); un ulteriore 29,5% si distribuisce tra Emilia Romagna (1.297) Lazio (881), Piemonte (813), Veneto (624); i rimanenti 1.623 casi (13,3%) sono distribuiti in 16 Regioni e Province autonome (figura). Parametrando i nuovi casi alla popolazione residente, le Regioni che nella settimana 15-21 luglio fanno registrare il maggior incremento per 100.000 abitanti sono Emilia Romagna (5,99), Veneto (5,12), Liguria (5,09) e Lombardia (4,07).

Dalla lettura complessiva dei dati emerge un quadro epidemiologico di circolazione endemica del virus con un incremento costante dei nuovi casi nelle ultime settimane, legati prevalentemente a nuovi focolai e a “casi di rientro” dall’estero.

«Per la gestione ottimale di questa fase dell’epidemia – conclude il Presidente – restano indispensabili tre strategie. Innanzitutto, mantenere i comportamenti individuali raccomandati: dalle misure di igiene personale al distanziamento sociale, dall’uso della mascherina nei luoghi pubblici chiusi, o all’aperto quando non è possibile mantenere la distanza minima di un metro, all’evitare gli assembramenti. In secondo luogo continuare con la rigorosa sorveglianza epidemiologica per identificare e isolare i focolai. Infine potenziare l’attività di testing negli aeroporti per arginare i casi di rientro».


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20 2020
Coronavirus: stop stato di emergenza, ma non è tutto finito e ci aspetta la convivenza con l’influenza

LA FONDAZIONE GIMBE, DOPO UN’ANALISI INDIPENDENTE DI ASPETTI GIURIDICI, SANITARI E SOCIALI, CONCLUDE CHE NON È OPPORTUNO PROLUNGARE LO STATO DI EMERGENZA. GLI ASPETTI SANITARI POSSONO ESSERE GESTITI DAL MINISTERO DELLA SALUTE E IL PARLAMENTO DEVE RIAPPROPRIARSI DEL SUO RUOLO LEGISLATIVO. TUTTAVIA, QUESTA DECISIONE DEVE ESSERE ACCOMPAGNATA DA UN POTENZIAMENTO DELLA COMUNICAZIONE PUBBLICA PERCHÉ NON È TUTTO FINITO E DA UN PIANO PER GESTIRE LA CONVIVENZA TRA EPIDEMIA INFLUENZALE E CORONAVIRUS, VERA EMERGENZA AUTUNNALE.

Con la delibera del 31 gennaio 2020 è stato dichiarato in Italia lo stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all'insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili. L’annuncio di una possibile proroga ha acceso una bagarre politica che rischia di far saltare gli equilibri di Governo, vista la perplessità di alcuni esponenti della maggioranza e il secco no dei partiti di opposizione che condiziona inevitabilmente anche i rapporti con le Regioni. Tanto che l’ipotesi iniziale di proroga al 31 dicembre è stata ridimensionata al 31 ottobre e le ultime indiscrezioni la danno come definitivamente tramontata.

«Ancora una volta – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – un dibattito che riguarda la tutela della salute e le libertà individuali delle persone viene ridotto alla contrapposizione tra schieramenti politici e alla necessità di mantenere equilibri di Governo, senza una valutazione sistematica di rischi e benefici del prolungamento dello stato di emergenza, oltre che la ricerca di soluzioni alternative». Per tali ragioni, “sterilizzando” la questione da presupposti ideologici, la Fondazione GIMBE ha analizzato e sintetizzato i principali aspetti giuridici, sanitari e sociali sia per aumentare la consapevolezza pubblica su un tema rilevante per salute e libertà delle persone, sia per informare una scelta del Governo coerente con il livello di rischio sanitario e rispettosa di una Repubblica parlamentare.

Aspetti giuridici. Dopo circa un mese dalla dichiarazione dello stato di emergenza, visto il precipitare della situazione sanitaria, l’Esecutivo ha reputato di esercitare i più ampi poteri decisionali mediante decreti legge, consentendo al Presidente del Consiglio di intervenire direttamente mediante DPCM, strumento legittimato dal DL 6/2020 e dal successivo DL 19/2020, che esclude controlli di Presidenza della Repubblica e Corte Costituzionale. L’opportunità della proroga, tuttavia, deve basarsi su condizioni d’emergenza (oggi inesistenti), oppure su una loro “imminenza” che giustifichino la necessità di essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari.

Se da un lato la proroga lascerebbe alla Protezione Civile la possibilità di azioni rapide e flessibili, dall’altro bisogna tenere conto che: la maggior parte delle misure per gestire la pandemia sono già state attuate; le differenze regionali del quadro epidemiologico non giustificano uno stato di emergenza nazionale; anche nel peggiore degli scenari eventuali criticità future possono essere gestite con strumenti legislativi che coinvolgono il Parlamento. Inoltre, dal punto di vista sanitario, il Ministro della Salute può disporre ordinanze urgenti, in materia di igiene e sanità pubblica e di polizia veterinaria, con efficacia estesa all'intero territorio nazionale o a parte di esso (art. 32, L. 833/78). E lo stesso potere spetta al Presidente della Regione e al sindaco, con efficacia estesa rispettivamente alla Regione (o a parte di essa) e al Comune. Infine, rispetto agli approvvigionamenti, per i quali la Protezione Civile ha avuto particolari poteri di intervento, il codice degli appalti già prevede l'aggiudicazione senza pubblicazione del bando di gara in casi connotati da urgenza (art. 63 D.Lgs 50/2016).

Aspetti sanitari. Guardando esclusivamente oltre confine, i presupposti sanitari per la proroga ci sarebbero tutti: da quelli che hanno motivato lo stato di emergenza nazionale del 31 gennaio, allo stato di pandemia dichiarato dall’OMS l’11 marzo, all’evidenza che a livello mondiale il numero dei casi continua a crescere. Tuttavia, nel nostro Paese la curva epidemica si è ormai stabilizzata e durante i mesi estivi la curva dei contagi sarà verosimilmente influenzata per lo più da focolai e casi di “rientro” da altri Paesi. Ma in questa valutazione ottimistica bisogna tener conto di tre elementi: l’Italia è stato il primo Paese, dopo la Cina, a sperimentare la pandemia; i risultati sono stati ottenuti anche grazie ad un lockdown rigoroso e prolungato; la stagione attuale è lontana dal picco dei virus respiratori (da ottobre ad aprile).

In altre parole, le criticità potrebbero emergere nella seconda parte dell’autunno, sia per la possibile risalita della curva dei contagi, potenzialmente influenzata anche dalla riapertura delle scuole, sia soprattutto per la “convivenza” della prossima stagione influenzale con il coronavirus. Tuttavia, fatta eccezione per la circolare del Ministero della Salute che raccomanda di potenziare la vaccinazione anti-influenzale, attualmente manca un piano per gestire l’enorme numero di pazienti con sintomi influenzali che sovraccaricheranno i servizi sanitari e che, in assenza di una diagnosi tempestiva, finiranno in quarantena con effetti imprevedibili sulle attività produttive.

In ogni caso, in assenza dell’effetto sorpresa, la probabilità di grandi emergenze ospedaliere è limitata e il servizio sanitario nazionale è stato adeguatamente potenziato per gestire una eventuale seconda ondata.

Aspetti sociali. In alcune persone, soprattutto se psicologicamente fragili, la proroga potrebbe alimentare paure e preoccupazioni per la ripresa dell’epidemia e per le possibili nuove restrizioni a libertà e diritti. Tuttavia, in termini di sanità pubblica è più rischioso il progressivo calo di attenzione che sarebbe ulteriormente alimentato dalla mancata proroga dello stato di emergenza. Ecco perché è necessario accompagnare la decisione con una forte comunicazione pubblica per non consolidare ulteriormente il messaggio che “ormai è tutto finito”.

«Le nostre analisi indipendenti – conclude Cartabellotta – suggeriscono che non è opportuno prorogare lo stato di emergenza, perché non esistono più condizioni sanitarie attuali o imminenti che lo giustifichino. Peraltro, l’uscita del Paese dallo stato di emergenza permetterebbe al Parlamento di riappropriarsi del suo ruolo legislativo. Il Governo, in ogni caso, potrebbe rivalutare più avanti la necessità di uno stato di emergenza nazionale, in relazione all’andamento della curva dei contagi, alla capacità di gestione dell’epidemia e alla reale necessità di tutelare salute pubblica e libertà individuali con strumenti “più agili”. Peraltro, presentarsi agli appuntamenti elettorali di settembre sotto uno stato di emergenza nazionale, aumenterebbe le tensioni politiche e potrebbe influenzare i risultati delle consultazioni stesse».


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9 2020
Coronavirus: stabile il trend dei nuovi casi ma nelle ultime 2 settimane nessuna regione a contagio zero

NEL PERIODO 25 GIUGNO – 7 LUGLIO 2.546 NUOVI CASI IN ITALIA, DI CUI OLTRE LA METÀ IN LOMBARDIA CHE HA LA PERCENTUALE PIÙ ELEVATA DI TAMPONI DIAGNOSTICI POSITIVI (2,16%). CONTINUANO A CALARE I RICOVERI, MA NON IL TREND DEI CONTAGI: PURTROPPO LA LIMITATA DISPONIBILITÀ DI DATI NON PERMETTE DI STABILIRE SE SIANO IMPUTABILI ALL’INSORGENZA DI FOCOLAI O ALLA DIFFUSA CIRCOLAZIONE DEL VIRUS. FONDAMENTALE MANTENERE COMPORTAMENTI INDIVIDUALI RESPONSABILI E GARANTIRE UN RIGOROSO MONITORAGGIO EPIDEMIOLOGICO

«Anche nella settimana 1-7 luglio – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – il nostro monitoraggio indipendente conferma rispetto alla settimana precedente la costante riduzione del carico su ospedali e terapie intensive, con una sostanziale stabilità nell’incremento dei casi totali e dei decessi». In sintesi:

  • Casi totali: +1.378 (+0,6%)
  • Decessi: +132 (+0,4%)
  • Ricoverati con sintomi: -150 (-13,8%)
  • Terapia intensiva: -23 (-24,7%)
  • Tamponi totali: -22.720 (-6,8%)
  • Tamponi diagnostici: -12.323 (-6,7%)

Considerato che il numero di casi settimanali totali è relativamente contenuto, la Fondazione GIMBE ha condotto un’analisi su un periodo più esteso (25 giugno – 7 luglio), durante il quale si sono registrati 2.546 nuovi casi: il 51,8% in Lombardia (1.319), seguita da Emilia-Romagna (402), Lazio (171), Piemonte (158) e Campania (102). Tutte le altre Regioni si attestano sotto i 100 nuovi casi con un range che va dagli 88 del Veneto ad un unico nuovo caso in Molise. La percentuale di tamponi diagnostici positivi (figura 1), esclusi dunque quelli eseguiti per confermare la guarigione virologica o per necessità di ripetere il test, è superiore alla media nazionale (0,89%) solo in Lombardia (2,16%) e in Emilia-Romagna (1,25%). Nelle altre Regioni il range varia dallo 0,87% di Liguria e Piemonte allo 0,04% della Puglia.

Per lo stesso periodo (25 giugno – 7 luglio) sono stati messi in relazione due indicatori parametrati alla popolazione residente: l’incidenza di nuovi casi e il numero di tamponi diagnostici che stima la maggiore o minore propensione al testing delle Regioni (figura 2).

  • Incidenza di nuovi casi per 100.000 abitanti. Rispetto alla media nazionale (4,2), l’incidenza è superiore in Lombardia (13,1), Emilia-Romagna (9) e Provincia Autonoma di Trento (4,4). Nelle altre Regioni il l’incidenza varia dai 4,1 nuovi casi per 100.000 abitanti della Liguria allo 0,1 della Puglia.
  • Tamponi diagnostici per 100.000 abitanti. Rispetto alla media nazionale (475), svetta la Provincia Autonoma di Trento (986), seguita da Emilia-Romagna (724), Molise (715), Provincia Autonoma di Bolzano (665) e Lombardia (608), Umbria (586), Veneto (572), Friuli-Venezia Giulia (519) e Sardegna (480). Le restanti 12 Regioni si collocano in un range che varia dai 475 tamponi per 100.000 abitanti della Basilicata ai 246 della Campania. La propensione all’esecuzione di tamponi diagnostici rimane significativamente sopra la media nazionale sia in Emilia-Romagna (724) che in Lombardia (608), le prime due Regioni per incidenza di nuovi casi.

«L’interpretazione di questi dati – commenta Cartabellotta – risulta difficoltosa anche per la mancata disponibilità pubblica di tutti gli indicatori del Decreto del Ministero della Salute 30 aprile 2020 che, tra l’altro, prevedono di riportare separatamente i casi dovuti a focolai da quelli conseguenti alla circolazione diffusa del virus».

«In questa fase di convivenza con il virus – conclude Cartabellotta – è indispensabile da un lato non abbassare la guardia mantenendo comportamenti individuali responsabili, applicando rigorosamente le norme igieniche e le misure di distanziamento sociale, indossando le mascherine in luoghi chiusi o ove non è possibile rispettare le distanze ed evitando rigorosamente ogni forma di assembramento. Dall’altro le Regioni devono continuare a garantire una stretta sorveglianza epidemiologica finalizzata sia ad identificare tempestivamente i focolai, circoscrivendoli, sia ad una continua attività di testing per le categorie a rischio».


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2 2020
Coronavirus: 29.476 operatori sanitari contagiati. Quasi 7.600 negli ultimi due mesi, ma scarseggiano i dati

DAL MONITORAGGIO SETTIMANALE DELLA FONDAZIONE GIMBE NESSUNA VARIAZIONE SIGNIFICATIVA AL QUADRO EPIDEMIOLOGICO NAZIONALE. ATTENZIONE PUNTATA SUI CONTAGI DEGLI OPERATORI SANITARI: 29.476 DA INIZIO EMERGENZA (12,3% DEL TOTALE DEI POSITIVI) E 7.596 DAL 4 MAGGIO AL 30 GIUGNO (26,5% DEL TOTALE). MA I DATI ANALITICI PER REGIONE, CONTESTO ASSISTENZIALE E RUOLO PROFESSIONALE RISALGONO AL MESE DI APRILE: ENNESIMO “BUCO NERO” SU UNA DELLE PRINCIPALI DETERMINANTI DEI CONTAGI NEL NOSTRO PAESE.

Nella settimana 24-30 giugno il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE conferma, rispetto alla settimana precedente, la costante riduzione dei pazienti ricoverati con sintomi e in terapia intensiva e l’ulteriore rallentamento sul fronte dei decessi. Relativamente ai casi totali, si rileva un incremento medio giornaliero dello 0,1%, a fronte di un’ulteriore riduzione dei tamponi diagnostici. In sintesi:

  • Casi totali: +1.745 (+0,7%)
  • Decessi: + 92 (+0,3%)
  • Ricoverati con sintomi: -763 (-41,2%)
  • Terapia intensiva: -22 (-19,1%)
  • Tamponi totali: -21.837 (-6,1%)
  • Tamponi diagnostici: -6.433 (-3,4%)

«In un contesto di generale stabilità del quadro epidemiologico nazionale – afferma il Presidente Nino Cartabellotta – abbiamo approfondito un tema trascurato negli ultimi tempi, ovvero il contagio degli operatori sanitari che durante questi mesi hanno pagato un prezzo molto alto condizionando anche l’evoluzione dell’epidemia. Infatti, oltre alla riduzione della “forza lavoro”, gli operatori sanitari contagiati sono divenuti inconsapevoli veicoli di infezione, in particolare dei pazienti più fragili».

FONTI DEI DATI. I dati sui contagi degli operatori sanitari sono resi disponibili dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) tramite un’infografica, evoluta in una dashboard web dal 25 giugno, e il bollettino epidemiologico. La disponibilità di dati da fonti regionali non consente analisi sistematiche in quanto parziale e/o occasionale.  In ogni caso, se il numero totale di contagi e decessi viene costantemente aggiornato dall’ISS, i dati di dettaglio risalgono tutti al mese di aprile. In dettaglio:

  • Il numero totale degli operatori sanitari contagiati è disponibile dal 9 marzo al 30 giugno, insieme alla distribuzione di contagi e decessi per fascia d’età, oltre che al tasso di letalità.
  • La distribuzione dei contagi per Regione è disponibile nell’appendice del bollettino epidemiologico sino al 2 aprile.
  • Il 9 aprile l’ISS ha condotto un’indagine tra le Regioni per raccogliere informazioni più dettagliate, riportando i dati nel bollettino come “focus sugli operatori sanitari”:
    • 17 aprile: contagiati per “Contesto assistenziale” (dati disponibili per 11.738/16.991 casi);
    • 30 aprile: contagiati per “Ruolo/qualifica professionale” (dati disponibili per 20.593/20.831 casi).

RISULTATI

  • Al 30 giugno risultano contagiati 29.476 operatori sanitari (figura) il 12,3% dei 240.578 contagi totali nazionali.
  • Al 23 giugno risultano 87 operatori sanitari deceduti per COVID-19, per un tasso di letalità dello 0,3%. Stride la discrepanza con il numero dei 171 medici deceduti resi noti dalla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici e Odontoiatri.
  • Al 28 aprile su 20.593 operatori sanitari contagiati il 47,4% sono infermieri e ostetrici, il 22% medici prevalentemente ospedalieri, il 14,6% operatori sociosanitari e il 16% altre professioni sanitarie.
  • Al 16 aprile quasi il 90% degli 11.738 contagiati si concentra tra setting ospedaliero (70,9%) e territoriale (18,5%), mentre il restante 10,6% si divide tra case di riposo, residenze per anziani e altri setting di assistenza residenziale o ambulatoriale.
  • Al 2 aprile quasi l’81% degli operatori sanitari contagiati si concentravano in tre Regioni: Lombardia (61,6%), Emilia-Romagna (10,8%) e Veneto (8,4%).

Rispetto alla continua crescita dei contagi tra operatori sanitari, un dato di particolare rilievo che dal 4 maggio al 30 giugno sono stati identificati 7.596 operatori sanitari positivi, che corrispondono al 26,5% dei 28.640 nuovi positivi in Italia per lo stesso periodo. «Davanti a questi dati – precisa Cartabellotta – il dubbio sorge spontaneo: è possibile che mesi dopo l’inizio dell’epidemia non siamo ancora in grado di garantire agli operatori sanitari il massimo livello di protezione con adeguati dispositivi di protezione individuale e protocolli di sicurezza?  O questi numeri devono essere piuttosto interpretati alla luce della massiccia attività di testing condotta su questa categoria professionale, che ha permesso di identificare un numero molto più elevato di positivi rispetto alla popolazione generale?».

«La Fondazione GIMBE – conclude Cartabellotta – ritiene inaccettabile la mancata disponibilità di dati analitici relativi alla distribuzione regionale, al contesto assistenziale e al ruolo/qualifica professionale degli operatori sanitari contagiati che consentirebbero di comprendere meglio il fenomeno e mettere in atto le opportune strategie preventive a tutela degli operatori e dei cittadini. L’ennesimo “buco nero” su una delle principali determinanti della diffusione dell’epidemia nel nostro Paese».


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25 giugno 2020
Casi in riduzione, ma tamponi in netto calo. Nuovi focolai attestano ampia circolazione coronavirus

CONTINUA IL CALO COSTANTE DEI PAZIENTI RICOVERATI CON SINTOMI E IN TERAPIA INTENSIVA CHE NON DEVE TUTTAVIA ESSERE CONFUSO CON L’ASSENZA DI NUOVI RICOVERI PER COVID-19. RISPETTO ALLA SETTIMANA PRECEDENTE SI RIDUCE L’INCREMENTO DEI NUOVI CASI (+0,6%), INEVITABILMENTE CONDIZIONATO DAL NETTO CALO DEI TAMPONI DIAGNOSTICI (-26.876). UNA DECINA DI FOCOLAI SEGNALATI NELL’ULTIMA SETTIMANA DIMOSTRANO CHE IL VIRUS CONTINUA A CIRCOLARE OVUNQUE E NON BISOGNA ABBASSARE LA GUARDIA: COMPORTAMENTI INDIVIDUALI, SORVEGLIANZA EPIDEMIOLOGICA E POTENZIAMENTO DELL’ATTIVITÀ DI TESTING RIMANGONO ARMI INDISPENSABILI PER UNA “TRANQUILLA” CONVIVENZA COL VIRUS.

Nella settimana 17-23 giugno il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE conferma, rispetto alla settimana precedente, la costante riduzione dei pazienti ricoverati con sintomi e in terapia intensiva e l’ulteriore frenata nell’incremento dei nuovi casi, condizionata tuttavia dal netto calo dei tamponi diagnostici, ovvero quelli finalizzati a identificare nuovi casi e non eseguiti per confermare le guarigioni o per altre necessità di ripetere il test (cd. tamponi di controllo). In sintesi:

  • Decessi: +270 (+0,8%)
  • Terapia intensiva: -62 (-35%)
  • Ricoverati con sintomi: -1.448 (-43,9%)
  • Casi totali: +1.133 (+0,6%)
  • Tamponi diagnostici -26.876 (-12,4%)
  • Tamponi totali: -18.937 (-5%)

«I dati – afferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – confermano che il numero dei pazienti attualmente ospedalizzati è in discesa costante e progressiva dai primi di aprile, quando si contavano oltre 4.000 pazienti in terapia intensiva e più di 29.000 ricoverati con sintomi. Tuttavia, il progressivo decongestionamento degli ospedali non implica, come impropriamente si sente spesso affermare, l’azzeramento dei ricoveri». Infatti, i dati ufficiali relativi alle ospedalizzazioni per COVID-19 si riferiscono all’occupazione dei posti letto, utili per valutare i segnali di sovraccarico ospedaliero, ma che al di là del “saldo” in progressiva riduzione non permettono di conoscere il reale numero di pazienti quotidianamente entrano ed escono dalle statistiche ospedaliere (nuovi ricoveri, dimissioni, decessi).

Sul ridotto incremento dei casi totali (+0,6%) è evidente l’impatto della riduzione dei tamponi diagnostici, oltre 26.000 in meno rispetto alla settimana precedente, comunque superiore a quello dei tamponi di controllo (quasi 19.000 in meno).

«Considerato il numero di casi sempre più esiguo – spiega Cartabellotta – la nostra analisi settimanale si concentra sulle variazioni provinciali, dove gli incrementi sono conseguenti all’identificazione di focolai immediatamente circoscritti». L’analisi esclude le province della Sicilia, oggetto di consistenti ricalcoli. Complessivamente nella settimana 17-23 giugno, rispetto alla precedente, in 36 province si rileva un incremento complessivo di 186 casi, di cui si riportano i dati relativi a 13 province che registrano aumenti di almeno 5 casi, per un totale di 135 casi distribuiti in 9 Regioni (tabella): Calabria, Campania, Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, P.A. Bolzano, P.A. Trento, Piemonte, Toscana. Tali incrementi sono in parte riconducibili a focolai identificati nell’ultima settimana, di seguito riportati con i relativi casi segnalati da fonti locali.

  • Mondragone (Caserta): quarantena per i residenti dei Palazzi ex Cirio (30 positivi)
  • Palmi (Reggio Calabria): “zona rossa” istituita nei quartieri Pietrenere-Tonnara-Scinà (8 positivi)
  • Bologna: in un’azienda (14 positivi) e in un’attività commerciale (12 positivi)
  • Montecchio (Reggio Emilia): focolaio in due famiglie con legami parentali (7 positivi)
  • Bolzano: focolaio familiare (11 positivi)
  • Como: casa di accoglienza per persone bisognose (7 positivi)
  • Province di Prato e Pistoia (19 positivi)
  • Porto Empedocle (Agrigento) focolaio nella nave dei migranti portati dalla Sea Watch (28 positivi)
  • Alessandria: casa di riposo (13 positivi)
  • Roma: istituto religioso (4 positivi), oltre ai ben noti focolai della Garbatella e dell’ospedale San Raffaele Pisana relativi alle settimane precedenti

 

«Tutte queste segnalazioni – precisa il Presidente – confermano, oltre ogni ragionevole dubbio, che il virus è sempre presente e rialza la testa ogni qualvolta le condizioni ambientali favoriscono una ripresa del contagio. In particolare, accanto alle ben note residenze per anziani, sembrano a rischio sia contesti familiari sia aree sociali disagiate, oltre gli inevitabili “casi di rientro” dall’estero. Di conseguenza, è indispensabile mantenere i comportamenti individuali raccomandati e continuare con una stretta sorveglianza epidemiologica, potenziando contestualmente l’attività di testing e tracciamento, di fatto in netta riduzione».

«Evidenze scientifiche e dati dal real world – conclude Cartabellotta – invitano a diffidare dal senso di falsa sicurezza che traspare da improvvide dichiarazioni prive di basi scientifiche e che rischia di alimentare pericolosi comportamenti individuali. Il peggio è indubbiamente passato, ma resta cruciale disinnescare ogni cortocircuito cognitivo-comportamentale che ci porta, complice anche la bella stagione, a mettere da parte ogni preoccupazione (legittimo), ma soprattutto ogni precauzione (inaccettabile)».

Tabella. Province con un incremento di almeno 5 casi nella settimana 17-23 giugno
rispetto a quella precedente

Regione*

Provincia

N° casi totali
10-16 giugno

N° casi totali
17-23 giugno

Incremento
casi

Focolai
segnalati

Calabria

Reggio di Calabria

1

12

+11

Campania

Caserta

2

13

+11

Emilia Romagna

Bologna

55

72

+17

Forlì-Cesena

4

10

+6

-

Reggio nell'Emilia

7

19

+12

Liguria

Genova

33

41

+8

-

Savona

3

9

+6

-

Lombardia

Bergamo

248

268

+20

-

Monza e Brianza

72

77

+5

-

P.A. Bolzano

Bolzano

7

22

+15

P.A. Trento

Trento

9

17

+8

-

Piemonte

Novara

18

29

+11

-

Toscana

Prato

1

6

+5

-

*Le province della Sicilia sono state escluse in quanto oggetto di ricalcoli rilevanti

 

 


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22 giugno 2020
Coronavirus: il disaccordo pubblico tra esperti disorienta la popolazione e genera pericolose fake news

SPOSTARE IL DIBATTITO SUI RISULTATI DELLA RICERCA DI BASE E DI STUDI CLINICI PRELIMINARI SPESSO NEMMENO PUBBLICATI OPPURE GENERALIZZARE LE PROPRIE ESPERIENZE SUL CAMPO DEFORMA IL PUZZLE DELLE EVIDENZE SCIENTIFICHE SULLA PANDEMIA, SOSTITUENDO LA LOGICA DELL’IPSE DIXIT AL RIGORE METODOLOGICO DELLA RICERCA. DALLA FONDAZIONE GIMBE UNA SINTESI PER IL GRANDE PUBBLICO DELLE RAGIONEVOLI (IN)CERTEZZE DELLA SCIENZA.

Nelle ultime settimane l’attenzione dei media sull’epidemia di coronavirus si è spostata dai numeri del contagio, sempre meno “sensazionali”, alle svariate dichiarazioni di esperti che disegnano scenari estremi, generando fazioni opposte. Per alcuni la pandemia è finita ed è tempo di tornare alla vita normale senza troppe preoccupazioni; altri invece, in linea con le raccomandazioni del Ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità, ritengono che non bisogna abbassare la guardia perché il virus continua a circolare, in particolare in alcune Regioni.

«In questa fase dell’epidemia – afferma il Presidente Nino Cartabellotta – ricercatori, medici e scienziati che comunicano al grande pubblico hanno enormi responsabilità: ora che il pericolo non è più tangibile e la grande paura via via svanisce, il rischio di disorientare i cittadini è molto elevato. In particolare, affermazioni sostenute da studi preliminari o esperienze individuali alimentano un senso di falsa sicurezza che facilità comportamenti irresponsabili».

Occorre ricordare che la ricerca su COVID-19 è molto frammentata ed eterogenea: gli studi sono stati condotti in una situazione di emergenza; la disponibilità in poco tempo di moltissimi dati su scala mondiale ha fatto lievitare vertiginosamente il numero di pubblicazioni; la grande attenzione delle riviste scientifiche per il tema ha allentato il rigore dei criteri di valutazione, come dimostrano anche le clamorose ritrattazioni sulle riviste di grande prestigio: The Lancet, New England Journal of Medicine, Annals of Internal Medicine. «Questo scenario – spiega Cartabellotta – ostacola la produzione di revisioni sistematiche, sintesi affidabili per informare pratica clinica e politiche sanitarie: ogni singolo studio, infatti, per quanto ineccepibile, rimane solo una tessera nel puzzle delle conoscenze».

La Fondazione GIMBE, nel ribadire che la scienza convive con l’incertezza e con la continua evoluzione del sapere, riporta una sintesi destinata al grande pubblico sulle attuali ragionevoli (in)certezze della scienza.

  • Virus
    • Mutazioni. Le sequenze genetiche depositate nelle banche dati internazionali non dimostrano mutazioni del SARS-CoV-2 associate a diminuzioni di infettività, virulenza o altre caratteristiche epidemiologiche rilevanti per la sanità pubblica. Ovvero, allo stato attuale delle conoscenze il virus non è “meno aggressivo”.
    • Sensibilità alle elevate temperature. Non esistono robuste evidenze scientifiche sulla sensibilità di SARS-Cov-2 alle elevate temperature ma, come per tutti i virus a trasmissione respiratoria, è realistico presumere una sua ridotta circolazione nella stagione estiva, in ragione del maggior tempo trascorso all’aperto dalle persone oltre che della più rapida evaporazione delle droplets.
    • Ridotta contagiosità, minore carica virale, adattamento all’ospite. Numerosi studi preliminari condotti in laboratorio non permettono di trarre conclusioni definitive su queste avvincenti ipotesi. In generale, si tratta di studi che, prima di essere ampiamente replicati e validati, dovrebbero essere condivisi solo tra ricercatori, evitando di incendiare il dibattito pubblico.
  • Distanziamento: insieme alle misure di igiene personale, rimane l’unica strategia di provata efficacia per ridurre la probabilità di contagio. Peraltro va rilevato che la distanza di sicurezza raccomandata in Italia di 1 metro è quella minima efficace.
  • Mascherine. Le evidenze scientifiche le indicano come efficaci sia nei luoghi pubblici al chiuso, sia all’aperto in tutte le situazioni in cui non è possibile mantenere la distanza di sicurezza.
  • Vaccino. Auspicando il successo della ricerca, ipotizzando procedure di autorizzazione rapide e tenendo conto dei tempi di produzione, il vaccino sarà disponibile su larga scala solo per la stagione influenzale 2021-2022.
  • Terapie. Le prove di efficacia sui trattamenti di COVID-19 sono frammentate, eterogenee e spesso di qualità metodologica inadeguata. Ad oggi non è possibile raccomandare alcuna terapia specifica sulla base di robuste evidenze scientifiche. Tuttavia sembrano promettenti:
    • Dexametazone: lo studio RECOVERY – non ancora pubblicato in esteso – sembra aver dimostrato la sua efficacia nel ridurre la mortalità nei pazienti sottoposti a ventilazione e, in misura minore, in quelli che richiedono solo ossigeno.
    • Remdesevir: nei pazienti con malattia severa riduce i tempi di guarigione; approvato dalla FDA negli USA è ancora in valutazione dell’EMA.

In questo contesto di incertezza scientifica finiscono per prendere il sopravvento dichiarazioni di esperti che, indipendentemente dal loro prestigio professionale, posizione accademica o produzione scientifica, sono potenzialmente esposte al cosiddetto “bias del cappello bianco”. «Ovvero – spiega il Presidente – le opinioni di medici e scienziati possono riflettere inconsapevolmente distorsioni condizionate dai propri ambiti di ricerca o dalla propria esperienza clinica “sul campo”, oppure essere influenzate da interessi in conflitto di varia natura, non necessariamente finanziari».

«In un contesto di limitate evidenze scientifiche – conclude Cartabellotta – le decisioni di sanità pubblica devono essere prese nell’incertezza: durante la fase di convivenza con il virus, questo impone di affidarsi al principio di precauzione. Ecco perché dichiarazioni basate sulla propria esperienza clinica o su risultati di studi preliminari, spesso nemmeno pubblicati, aumentano il disaccordo tra esperti, disorientano la popolazione e rischiano di generare pericolose fake news».


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18 giugno 2020
Coronavirus: aumentano i casi nell’ultima settimana. Rendere pubblici tutti i dati per comprendere il fenomeno

NEGLI ULTIMI 7 GIORNI IL MONITORAGGIO INDIPENDENTE DELLA FONDAZIONE GIMBE RILEVA UN INCREMENTO DI 2.294 NUOVI CASI, RISPETTO AI 1.927 DELLA SETTIMANA PRECEDENTE. I 461 NUOVI CASI SONO RIPORTATI IN 11 REGIONI, DI CUI L’83% IN LOMBARDIA, DOVE SI ATTESTA UN MODESTO POTENZIAMENTO DELL’ATTIVITÀ DI TESTING. LA FONDAZIONE GIMBE RILEVA ALTRESÌ CHE DEI 21 INDICATORI DEFINITI DAL DECRETO DEL MINISTERO DELLA SALUTE DEL 30 APRILE 2020 PER IL MONITORAGGIO DELL’EPIDEMIA SONO NOTI SOLO 3 DEI 9 INDICATORI DI ESITO E NESSUNO DEI 12 INDICATORI DI PROCESSO.

«Nella settimana 11-17 giugno il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE – afferma il Presidente Nino Cartabellotta – conferma rispetto alla settimana precedente la costante riduzione dei pazienti ricoverati con sintomi e in terapia intensiva e l’ulteriore rallentamento sul fronte dei decessi. Relativamente ai casi totali, si rileva un lieve incremento percentuale rispetto alla settimana precedente». In sintesi:

  • Casi totali: +2.065 (+0,9%)
  • Decessi: + 334 (+1,0%)
  • Ricoverati con sintomi: -1.207 (-27,9%)
  • Terapia intensiva -86 (-34,5%)

«Considerato il maggior incremento dei casi totali negli ultimi 7 giorni rispetto alla settimana precedente – spiega Cartabellotta – la nostra analisi si è concentrata su due aspetti: la variazione regionale dei nuovi casi e dei tamponi diagnostici, ovvero i cosiddetti “casi testati” secondo la denominazione utilizzata dalla Protezione Civile».

Variazione dei nuovi casi. Negli ultimi 7 giorni si registra un incremento di 2.294 nuovi casi, rispetto ai 1.927 della settimana precedente. 11 Regioni hanno un incremento complessivo di 461 casi di cui 384 (83%) in Lombardia; a seguire Piemonte (33), Toscana (18), Emilia Romagna (13), Prov. Aut. di Trento (4), Friuli Venezia Giulia (3), Calabria (2), Prov. Aut. di Bolzano (1), Abruzzo (1), Sardegna (1), Veneto (1). Le altre 10 Regioni fanno registrare complessivamente 94 nuovi casi in meno rispetto alla settimana precedente con minime variazioni negative, ad eccezione della Liguria (-61 casi). Le variazioni dei nuovi casi per 100.000 abitanti oscillano da +3,8 della Lombardia a -3,9 della Liguria (figura 1).

Relazione n° tamponi diagnostici e incidenza nuovi casi. Nell’ultima settimana, rispetto alla precedente, i tamponi per diagnosticare nuovi casi (cd. “casi testati”) sono aumentati solo in Emilia Romagna (+7.819), Lombardia (+1.821), Lazio (+1.389), Campania (+1.087), Prov. Aut. di Trento (+834) e Valle D’Aosta (+76). Nelle rimanenti Regioni sono invece diminuiti, auspicabilmente per la situazione epidemiologica e per l’utilizzo sempre più esteso di test sierologici di screening (figura 2).

«Considerato che in questa fase dell’epidemia – continua il Presidente – è indispensabile uno stretto monitoraggio la Fondazione GIMBE ha verificato la disponibilità pubblica dei 21 indicatori che le Regioni dovrebbero trasmettere secondo quanto previsto dal Decreto del Ministero della Salute 30 aprile 2020». Nessuno dei 12 indicatori di processo (6 relativi alla capacità di monitoraggio, 6 a quella di accertamento diagnostico, indagine e di gestione dei contatti) è pubblicamente disponibile per cittadini e ricercatori. Dei 9 indicatori di esito solo 3 vengono pubblicati (tabella).

Indicatore di esito

Disponibilità pubblica

3.1. Numero di casi riportati alla Protezione Civile negli ultimi 14 giorni

Sì: bollettino sorveglianza integrata ISS, dati Protezione Civile

3.2. Rt calcolato sulla base della sorveglianza integrata ISS

Sì: bollettino sorveglianza integrata ISS*

3.3. Numero di casi riportati alla sorveglianza sentinella COVID-net per settimana (opzionale)       

No

3.4. Numero di casi per data diagnosi e per data inizio sintomi riportati alla sorveglianza integrata COVID-19 per giorno

Sì: bollettino sorveglianza integrata ISS* (appendice con dettagli regionali)

3.5. Numero di nuovi focolai di trasmissione (2 o più casi epidemiologicamente collegati tra loro o un aumento inatteso nel numero di casi in un tempo e luogo definito)

No

3.6. Numero di nuovi casi di infezione confermata da SARS-CoV-2 per Regione non associati a catene di trasmissione note

No

3.7. Numero di accessi al PS con classificazione ICD-9 compatibile con quadri sindromici riconducibili a COVID-19 (opzionale)

No

3.8. Tasso di occupazione dei posti letto totali in Terapia Intensiva (codice 49) per pazienti COVID-19

No (riportata nel comunicato stampa  “assenza di segnali di sovraccarico dei servizi assistenziali”)

3.9. Tasso di occupazione dei posti letto totali di Area Medica per pazienti COVID-19

* Nel report del 9 giugno non disponibili per tutte le Regioni

«I dati forniti dalla Protezione Civile – conclude Cartabellotta – documentano un lieve incremento dei casi nell’ultima settimana rispetto alla precedente, ma non permettono alcun monitoraggio accurato in questa fase dell’epidemia. Considerato che le fonti ufficiali riportano solo 3 dei 21 indicatori previsti dal sistema di monitoraggio nazionale, la Fondazione GIMBE invita le Regioni a trasmettere tutti i dati richiesti e chiede al Ministero della Salute di renderli pubblici, sia in formato open per i ricercatori, sia in un formato di facile comprensione per i cittadini».


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11 giugno 2020
Coronavirus: tamponi, indietro tutta

IL MONITORAGGIO INDIPENDENTE DELLA FONDAZIONE GIMBE CONFERMA L’ULTERIORE E COSTANTE ALLEGGERIMENTO DI OSPEDALI E TERAPIE INTENSIVE. TUTTAVIA SUL FRONTE DEI TAMPONI DIAGNOSTICI, CHE CONDIZIONANO IL NUMERO DI NUOVI CASI, DOPO IL VERTIGINOSO CROLLO DELLA SETTIMANA SCORSA, 9 REGIONI ARRETRANO ULTERIORMENTE: LA STRATEGIA DI TESTING PER LA FASE 2 CONTINUA A NON ESSERE ADEGUATA.  

11 giugno 2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

«Nella settimana 4-10 giugno, il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE – afferma il Presidente Nino Cartabellotta – conferma sia la costante riduzione del carico su ospedali e terapie intensive, sia l’ulteriore rallentamento dei contagi e, in misura minore, dei decessi». In sintesi:

  • Casi totali: +1.927 (+0,8%)
  • Decessi: +513 (+1,5%)
  • Ricoverati con sintomi: -1.422 (-24,8%)
  • Terapia intensiva: -104 (-29,5%)

Nel rimarcare l’affidabilità e le tempestività dei dati che provengono dagli ospedali, legati a flussi standard trasmessi dalle Regioni al Ministero della Salute, la Fondazione GIMBE rileva che:

  • il numero dei deceduti rimane ancora elevato per due ragioni: innanzitutto, il decesso può essere relativo a contagi non recenti; in secondo luogo, come dimostrato anche dal recente report ISTAT-ISS, la sottostima dei decessi è un fenomeno che si è progressivamente ridotto sino, verosimilmente, ad azzerarsi;
  • il numero dei nuovi casi rimane un indicatore dipendente dal numero di tamponi diagnostici eseguiti.

 

«Rispetto a quest’ultimo punto – spiega Cartabellotta – abbiamo valutato il trend dei tamponi totali e di quelli diagnostici effettuati a partire dal 23 aprile, ed esaminato l’attitudine delle Regioni all’esecuzione dei tamponi diagnostici nelle ultime due settimane».

Trend tamponi (figura 1). Esaminando il periodo 23 aprile-10 giugno, il trend dei tamponi totali risulta in picchiata libera nelle ultime 2 settimane (complessivamente -12,6%). Il trend dei tamponi diagnostici è crollato del 20,7% in prossimità delle riaperture del 4 maggio, per poi risalire e precipitare nuovamente del 18,1% in vista delle riaperture del 3 giugno. Nell’ultima settimana si assiste a un lieve rialzo (+4,6%).

Trend regionali tamponi diagnostici. L’incremento complessivo del 4,6% (+9.431) nella settimana 4-10 giugno, rispetto a quella precedente, non è il risultato di comportamenti omogenei su tutto il territorio nazionale: infatti, mentre 12 Regioni e Province Autonome fanno registrare un incremento assoluto dei tamponi diagnostici, nelle rimanenti 9 si attesta una ulteriore riduzione (figura 2).

Da queste analisi emergono tre ragionevoli certezze: innanzitutto il numero dei tamponi diagnostici, finalizzati all’identificazione di nuovi casi, è calato drasticamente alla vigilia delle due riaperture del Paese del 4 maggio e del 3 giugno; in secondo luogo, dopo il crollo nella settimana 28 maggio-3 giugno, complice la doppia festività, nell’ultima settimana poco più della metà delle Regioni hanno aumentato il numero dei tamponi diagnostici rispetto alla precedente; infine, proprio le Regioni con una circolazione del virus ancora sostenuta nell’ultima settimana hanno ulteriormente ridotto i tamponi diagnostici invece di potenziarli.

«L’attività di testing – conclude Cartabellotta – finalizzata all’identificazione dei nuovi casi, alla tracciatura dei contatti e a loro isolamento continua a non essere una priorità per molte Regioni: purtroppo, nella gestione di questa fase dell’epidemia, in particolare dove la diffusione del virus non sembra dare tregua, la strategia delle 3T non è adeguata».


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10 giugno 2020
Coronavirus: gli asintomatici trasmettono il virus. E sono almeno il 40-45% delle persone infette

LE SPIAZZANTI DICHIARAZIONI DELL’OMS, IN PARTE RETTIFICATE, SUL RISCHIO DI CONTAGIO DA PERSONE ASINTOMATICHE SI SCONTRANO CON I RISULTATI DELLA SCIENZA. LE EVIDENZE PARLANO CHIARO: GLI ASINTOMATICI POSSONO TRASMETTERE IL VIRUS ANCHE PER UN PERIODO MAGGIORE DI 14 GIORNI E HANNO UNA CARICA VIRALE SIMILE A QUELLA DEI SINTOMATICI.

10 giugno 2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

La dottoressa Maria Van Kerkhove, capo del team tecnico anti-Covid-19 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), lo scorso 8 giugno ha rilasciato una dichiarazione decisamente forte: “È molto raro che una persona asintomatica possa trasmettere il coronavirus”, per poi rettificarla ieri sostenendo di essersi riferita “a un set di dati limitato”.

«Ancora una volta – afferma il Presidente Nino Cartabellotta – è l’ipse dixit a condizionare l’informazione pubblica sul coronavirus. Questa volta non da parte di opinion leader nazionali, ma di una rappresentante della massima autorità sanitaria internazionale. E in questa fase molto delicata della pandemia, sarebbe opportuno conoscere i risultati della ricerca già disponibili, prima di lanciarsi in dichiarazioni tanto ardite quanto pericolose, rischiando di condizionare le politiche sanitarie dell’intero pianeta».

Ma cosa dicono oggi le evidenze scientifiche raccolte in maniera sistematica su questo tema di grande rilevanza per la sanità pubblica? Lo scorso 3 giugno Daniele Horan ed Eric Topol hanno pubblicato sugli Annals of Internal Medicine una revisione che sintetizza le migliori evidenze disponibili sull'infezione asintomatica da SARS-CoV-2. Dall’analisi dei dati di 16 coorti, tra cui quella italiana di Vo’, emergono le seguenti conclusioni:

  • Circa il 40-45% delle persone infette da SARS-CoV-2 risultano senza sintomi, suggerendo un elevato potenziale del virus di diffondersi nella popolazione in maniera silenziosa ed estesa. Considerato che nelle varie coorti non è sempre possibile distinguere gli asintomatici dai pre-sintomatici, i ricercatori riportano in maniera conservativa che gli infetti che non sviluppano alcun sintomo sono almeno il 30%.
  • I soggetti asintomatici possono trasmettere il virus per un periodo prolungato, verosimilmente anche maggiore di 14 giorni.
  • Diversi studi, tra cui uno condotto in Lombardia, dimostrano che soggetti asintomatici e sintomatici hanno una carica virale simile che non coincide con la trasmissibilità del virus, ancora non adeguatamente studiata.
  • L'assenza di sintomi non equivale ad assenza di lesioni: infatti, nelle 2 coorti  che hanno sottoposto alla TAC i soggetti inclusi (Diamond Princess, Corea del Sud), sono state rilevate negli asintomatici anomalie polmonari subcliniche di incerto significato che richiedono ulteriori studi.
  • A causa dell’elevato rischio di diffusione silente da parte di soggetti asintomatici, è indispensabile estendere le strategie di testing alle persone senza sintomi.

«Le evidenze ad oggi disponibili­ – conclude Cartabellotta – dimostrano che la prevalenza dei soggetti asintomatici è un fattore rilevante nella diffusione del contagio da Sars-Cov-2. Di conseguenza in questa fase della pandemia le misure di sanità pubblica devono essere orientate sia a identificare, tracciare e isolare i soggetti asintomatici, sia a fare rispettare il distanziamento sociale e utilizzare la mascherina quando non è possibile mantenere la distanza di sicurezza».


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4 giugno 2020
Coronavirus, fase 3: ridurre al minimo rischio seconda ondata. Il Paese non reggerebbe nuovi lockdown

LA FONDAZIONE GIMBE CONFERMA IL CONSISTENTE ALLEGGERIMENTO DI OSPEDALI E TERAPIE INTENSIVE QUALE EFFETTO DEL LOCKDOWN, MA ESCLUDE UNA MINORE GRAVITÀ DELLA COVID-19. TUTTAVIA INVITA A NON ABBASSARE LA GUARDIA, SIA PERCHÉ LE IMPROROGABILI RIAPERTURE SI BASANO SU DATI RELATIVI A 2-3 SETTIMANE FA, SIA PERCHÉ CONTINUA A MANCARE UN SISTEMA DI MONITORAGGIO UNIVOCO TRA LE REGIONI. STRATEGIA DELLE 3T E COMPORTAMENTI INDIVIDUALI SONO ARMI FONDAMENTALI PER RIDURRE IL RISCHIO DI UNA SECONDA ONDATA

Nella conferenza stampa di ieri, il Premier Conte ha ribadito che “I dati sono incoraggianti, l'Italia può ripartire, ma serve ancora prudenza perché il virus non è scomparso”, confermando le parole del Ministro Speranza dello scorso 29 maggio: “I dati del monitoraggio sono incoraggianti. I sacrifici importanti del lockdown hanno prodotto questi risultati. Dobbiamo continuare sulla strada intrapresa con gradualità e cautela”. Dichiarazioni basate sui dati dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), secondo cui “Al momento in Italia non vengono riportate situazioni critiche relative all’epidemia di Covid-19 secondo quanto emerge dal monitoraggio degli indicatori relativi alla settimana tra il 18 e il 24 maggio”.

«Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE – afferma il Presidente Nino Cartabellotta – conferma nella settimana 28 maggio-3 giugno sia la costante riduzione del carico su ospedali e terapie intensive, sia l’ulteriore rallentamento di contagi e decessi». In sintesi:

  • Casi totali: +2.697 (+1,2%)
  • Decessi: +529 (+1,6%)
  • Ricoverati con sintomi: -1.987 (-25,7%)
  • Terapia intensiva: -152 (-30,1%)

«In occasione dell’avvio della fase 3 – continua il Presidente – abbiamo effettuato un’analisi complessiva su dati ufficiali, strumenti di monitoraggio e livello di rischio per valutare se le azioni messe in campo da Governo e Regioni sono adeguati a fronteggiare i rischi di un’eventuale risalita del contagio».

DATI UFFICIALI

  • Dati ufficiali. Sono disponibili quelli relativi al monitoraggio delle singole Regioni e i valori di Rt contenuti nell’ultimo bollettino epidemiologico dell’ISS. Non sono invece pubblici i dati relativi ai 21 indicatori previsti dal Decreto 30 aprile 2020 del Ministero della Salute, né l’aggiornamento del “Quadro sintetico complessivo” sul monitoraggio regionale.
  • Finestra temporale. Nel report del 26 maggio l’ISS riporta che il valore di Rt è calcolato al 10 maggio, ribadendo che il consolidamento dei dati richiede 2 settimane e che gli altri indicatori sono relativi al periodo 11-24 maggio. In altre parole, l’impatto delle riaperture del 18 maggio sulla curva dei contagi non può ancora essere verificato e quello delle riaperture del 3 giugno sarà valutabile non prima di 2 settimane.

STRATEGIE DI MONITORAGGIO

  • 3T: testing, tracing, treating. Nel report ISS si legge che “Nel Paese continuano ad essere rafforzate a livello regionale politiche di testing e screening in modo da identificare il maggior numero di casi”. Le nostre analisi dimostrano tuttavia che, nelle ultime 2 settimane, la percentuale dei tamponi diagnostici non solo non è stata potenziata, ma si è ridotta mediamente del 6%, seppur in misura variabile tra le Regioni. Questo dato è influenzato dall’avvio in alcune Regioni dello screening con test sierologici, di cui tuttavia non esiste alcun monitoraggio nazionale, né una policy univoca tra le Regioni.
  • App Immuni. Utile solo se impiegata da almeno il 60-70% della popolazione e, soprattutto, se sostenuta da un potenziamento dell’attività di testing in tutte le Regioni. Altrimenti rimarrà una “scatola vuota”.
  • Indagine sieroepidemiologica. Considerato il notevole ritardo nell’avvio, non sono ancora disponibili i risultati che avrebbero potuto offrire un ulteriore elemento di valutazione sulla circolazione del virus.  

LIVELLO DI RISCHIO

  • Nuovi casi. I dati relativi al periodo 18 maggio-3 giugno (figura 1) dimostrano che la percentuale dei tamponi diagnostici positivi, seppur in riduzione, rispetto alla media nazionale (1,48%) è ancora elevata in Liguria (4,3%), Lombardia (3,83%) e Piemonte (2,69%). 3 Regioni riportano un’incidenza di nuovi casi per 100.000 abitanti nettamente superiore alla media nazionale (13): Lombardia (44), Liguria (36), Piemonte (26), ma la propensione all’esecuzione di tamponi diagnostici è sopra della media nazionale (891) in Lombardia (1.149) e Piemonte (952), mentre in Liguria (840) rimane poco al di sotto (figura 2).
  • Riapertura dei confini internazionali. A fronte del dibattito sulla mobilità interregionale, non è nota alcuna valutazione del rischio da persone provenienti dai Paesi dell’area Schengen e del Regno Unito, da ieri non più sottoposte all’obbligo di quarantena nel nostro Paese.
  • Comunicazione istituzionale. Con l’interruzione della conferenza stampa della Protezione Civile, l’unico appuntamento istituzionale, più per addetti ai lavori, rimane quella settimanale dell’ISS. Peraltro i dati completi del monitoraggio non sono pubblicamente disponibili a cittadini e ricercatori.

«Dai dati disponibili – spiega Cartabellotta – emergono tre ragionevoli certezze: innanzitutto, il via libera del 3 giugno è stato deciso sulla base del monitoraggio relativo a 2-3 settimane prima; in secondo luogo l’attitudine alla strategia delle 3T è molto variabile tra le Regioni e non esistono dati sistematici sugli screening sierologici; infine, rispetto al battage mediatico della fase 1, la comunicazione istituzionale si è notevolmente indebolita, alimentando un senso di falsa sicurezza che può influenzare negativamente i comportamenti delle persone».

«La Fondazione GIMBE – conclude Cartabellotta – ribadisce la necessità di non abbassare la guardia perché il Paese non può permettersi nuovi lockdown: il rischio di una seconda ondata dipende, oltre che da imprevedibili fattori legati al virus, dalle strategie di tracciamento e isolamento dei casi attuate dalle Regioni e dai comportamenti individuali. Se tuttavia l’improrogabile scelta di riaprire per rilanciare l’economia si è basata solo sull’andamento dei ricoveri e delle terapie intensive, è giusto dichiararlo apertamente ai cittadini con un gesto di grande onestà e responsabilità politica».


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28 maggio 2020
Coronavirus: Lombardia, Liguria e Piemonte non sono pronte alla riapertura. Stop ai regionalismi, serve unità nazionale

LE ANALISI POST LOCKDOWN DELLA FONDAZIONE GIMBE DIMOSTRANO CHE IN QUESTE TRE REGIONI SI RILEVANO LA PERCENTUALE PIÙ ELEVATA DI TAMPONI DIAGNOSTICI POSITIVI E IL MAGGIOR INCREMENTO DI NUOVI CASI, A FRONTE DI UNA LIMITATA ATTITUDINE ALL’ESECUZIONE DI TAMPONI DIAGNOSTICI. CON I DATI CHE RIFLETTONO LE RIAPERTURE DEL 4 MAGGIO, MA NON ANCORA QUELLE MOLTO PIÙ AMPIE DEL 18, LA SCADENZA DEL 3 GIUGNO METTE IL GOVERNO DAVANTI A UNA DECISIONE CHE, OLTRE AD ESSERE GUIDATA DAI DATI, DEVE AVVENIRE SOTTO IL SEGNO DELLA SOLIDARIETÀ TRA REGIONI E DELL’UNITÀ NAZIONALE.

Secondo quanto previsto dal DL 33/2020, dal 3 giugno saranno nuovamente autorizzati i movimenti di persone tra le Regioni italiane. Non tutte, però, potrebbero avere il via libera o le stesse modalità: domani il Ministro della Salute Speranza valuterà il monitoraggio dei dati del contagio da parte dell’Istituto Superiore di Sanità, i cui risultati saranno decisivi per formalizzare la decisione sulla ripresa della mobilità interregionale.

Tra le istituzioni, le forze di maggioranza e sindaci e governatori (in particolare del Sud) sembra prevalere un senso comune di massima cautela, nonostante il trend positivo dei dati. «Anche nella settimana 21-27 maggio, infatti – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – il nostro monitoraggio indipendente conferma sia la costante riduzione del carico su ospedali e terapie intensive, sia il rallentamento di contagi e decessi». In sintesi:

  • Casi totali: +3.375 (+1,7%)
  • Decessi: +742 (+2,3%)
  • Ricoverati con sintomi: -1.895 (-19,7%)
  • Terapia intensiva: -171 (-25,3%)

Tenendo conto delle notevoli eterogeneità regionali nell’esecuzione dei tamponi, della limitata affidabilità dell’indice Rt, per informare la possibile riapertura dei confini regionali la Fondazione GIMBE ha condotto un’analisi indipendente relativa alla fase 2 nelle varie Regioni utilizzando due indicatori parametrati alla popolazione residente: l’incidenza di nuovi casi e il numero di tamponi “diagnostici”, escludendo quelli eseguiti per confermare la guarigione virologica o per necessità di ripetere il test.

Questi in sintesi i risultati dell’analisi sul periodo post lockdown (4-27 maggio 2020) (figure 1 e 2):

  • Percentuale di tamponi diagnostici positivi. Risulta superiore alla media nazionale (2,4%) in 5 Regioni: in maniera rilevante in Lombardia (6%) e Liguria (5,8%) e in misura minore in Piemonte (3,8%) Puglia (3,7%) ed Emilia-Romagna (2,7%).
  • Tamponi diagnostici per 100.000 abitanti Rispetto alla media nazionale (1.343), svettano solo Valle d’Aosta (4.076) e Provincia Autonoma di Trento (4.038). Nelle tre Regioni ad elevata incidenza dei nuovi casi, la propensione all’esecuzione di tamponi rimane poco al di sopra della media nazionale sia in Piemonte (1.675) che in Lombardia (1.608), mentre in Liguria (1.319) si attesta poco al di sotto.
  • Incidenza di nuovi casi per 100.000 abitanti: rispetto alla media nazionale (32), l’incidenza è nettamente superiore in Lombardia (96), Liguria (76) e Piemonte (63). Se il dato del Molise (44) non desta preoccupazioni perché legato a un recente focolaio già identificato e circoscritto, quello dell’Emilia-Romagna (33) potrebbe essere sottostimato dal numero di tamponi diagnostici (1.202 per 100.000 abitanti) ben al di sotto della media nazionale (1.343)

 

Si sottolinea che i dati analizzati riflettono quasi interamente le riaperture del 4 maggio, ma non quelle molto più ampie del 18 maggio che potranno essere valutate nel periodo 1-14 giugno, tenendo conto di una media di 5 giorni di incubazione del virus e di 9-10 giorni per ottenere i risultati del tampone. A 23 giorni dall’allentamento del lockdown, dunque, la Fondazione GIMBE dimostra che la curva del contagio non è adeguatamente sotto controllo in Lombardia, Liguria e Piemonte: in queste Regioni si rileva la percentuale più elevata di tamponi diagnostici positivi, il maggior incremento di nuovi casi, a fronte di una limitata attitudine all’esecuzione di tamponi diagnostici. In Emilia-Romagna, una propensione ancora minore potrebbe distorcere al ribasso il numero dei nuovi casi.

«Il Governo – commenta Cartabellotta – a seguito delle valutazioni del Comitato Tecnico-Scientifico si troverà di fronte a tre possibili scenari: il primo, più rischioso, di riaprire la mobilità su tutto il territorio nazionale, accettando l’eventuale decisione delle Regioni del sud di attivare la quarantena per chi arriva da aree a maggior contagio; il secondo, un ragionevole compromesso, di mantenere le limitazioni solo nelle 3 Regioni più a rischio, con l’opzione di consentire la mobilità tra di esse; il terzo, più prudente, di prolungare il blocco totale della mobilità interregionale, fatte salve le debite eccezioni attualmente in vigore».

«In questa difficile decisione – conclude Cartabellotta – occorre accantonare ogni forma di egoismo regionalistico perché la riapertura della mobilità deve avvenire con un livello di rischio accettabile e in piena sintonia tra le Regioni. Una decisione sotto il segno dell’unità nazionale darebbe al Paese un segnale molto più rassicurante di una riapertura differenziata, guidata più da inevitabili compromessi politici che dalla solidarietà tra le Regioni, oggi più che mai necessaria per superare l’inaccettabile frammentazione del diritto costituzionale alla tutela della salute».


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25 maggio 2020
Coronavirus: indice Rt poco affidabile per monitorare la fase 2

LA FONDAZIONE GIMBE ANALIZZA I LIMITI DELL’INDICE RT: PARAMETRO MOLTO VARIABILE, IMPRECISO, NON TEMPESTIVO, CONDIZIONATO DA QUALITÀ DEI DATI E DA ELEVATE VARIABILITÀ TRA LE REGIONI NELL’ESECUZIONE DI TAMPONI DIAGNOSTICI. L’ULTIMA STIMA DISPONIBILE FOTOGRAFA ANCORA LA FASE DI LOCKDOWN ED È CALCOLATA SOLO SUL 30% DEI CASI CONFERMATI DALLA PROTEZIONE CIVILE.

Il decreto del Ministero della Salute del 30 aprile ha incluso, tra i 21 indicatori di monitoraggio della fase 2, l’indice Rt, elaborato settimanalmente dalla Fondazione Bruno Kessler sulla base dei dati della sorveglianza integrata dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) che ogni venerdì, in occasione della conferenza stampa, comunica i valori aggiornati.

«I valori di Rt – afferma il Presidente Nino Cartabellotta – sono diventati oggetto di dibattito pubblico con inopportune classifiche tra le Regioni che, in relazione alle variazioni settimanali, lo trasformano da vessillo da sbandierare a pomo della discordia, e viceversa. Addirittura, si è arrivati a ventilare l’ipotesi, subito archiviata dal Presidente dell’ISS, di utilizzare il valore di Rt per la mobilità interregionale». Intanto le Regioni, tra gli emendamenti del Decreto Rilancio, hanno chiesto di escludere il parametro Rt per misurare la diffusione del virus “sostituendolo con il parametro R0, che rappresenta il numero in media di casi secondari di un caso indice”.

«Se la richiesta delle Regioni di abbandonare l’utilizzo dell’indice Rt ha un senso – commenta il Presidente –risulta assolutamente incomprensibile quella di sostituirlo con il valore di R0, visto che si tratta dello stesso indice in fasi diverse dell’epidemia, a dimostrazione che sul monitoraggio del contagio la confusione regna ancora sovrana». Se il significato di R0 e Rt è lo stesso, ovvero il numero medio di persone che possono essere contagiate da un individuo infetto, l’ambito di applicazione e il significato pratico sono differenti. Infatti:

  • R0 (erre con zero): è una misura statica della potenziale contagiosità del SARS-CoV-2 all’inizio dell’epidemia, che presuppone che tutta la popolazione sia suscettibile data l’assenza di immunità. In Italia, uno studio condotto in 6 Regioni su 62.843 casi al 24 marzo 2020 riporta stime di R0 variabili tra 2,13 e 3,33.
  • Rt (erre con t): è una misura dinamica, che nel corso dell’epidemia si riduce proporzionalmente alla diminuzione dei soggetti suscettibili (aumento di quelli immuni e dei “casi chiusi”, ovvero guariti e deceduti), oltre che in conseguenza delle misure di distanziamento sociale attuate, ma può risalire per il riaccendersi di focolai oppure dopo l’allentamento delle misure di lockdown.

«Il valore di Rt – commenta il Presidente – inserito tra gli indicatori del Ministero della Salute per il monitoraggio della fase 2, di fatto è stato trasformato in un numero magico su cui fare classifiche, previsioni e addirittura prendere decisioni politiche regionali senza considerarne i limiti intrinseci e le criticità che ne influenzano il calcolo nel nostro contesto nazionale, dove continua a mancare un’adeguata base di dati».

La Fondazione GIMBE, al fine di ridimensionare il ruolo dell’indice Rt nel monitoraggio della fase 2, sottolinea che questo parametro:

  • Viene stimato con modelli matematici basati su dati reali, per cui il suo valore dipende sia dal modello utilizzato che dalla qualità dei dati.
  • Viene calcolato sulla data d’insorgenza dei sintomi della malattia, o in alternativa su quella di accertamento virologico dell’infezione, che in Italia spesso viene notificata con molti giorni di ritardo e in misura variabile tra le Regioni. Peraltro, nei casi asintomatici la data di insorgenza dei sintomi non può essere rilevata per definizione.
  • È inversamente proporzionale al tasso dei “casi chiusi”, ovvero persone non più infette a seguito di decesso o guarigione, dati non molto affidabili viste le evidenze sulla sottostima dei decessi e sulla sovrastima delle guarigioni in Italia.
  • Presuppone che nella popolazione generale tutti abbiano la stessa probabilità di contrarre l’infezione, non distinguendo quindi i focolai circoscritti dalle situazioni di contagio diffuso.

Inoltre, secondo quanto riporta il bollettino dell’ISS del 20 maggio:

  • Il valore di Rt può essere stimato correttamente solo con un ritardo di 15 giorni.
  • La stima può essere poco accurata in conseguenza di cambiamenti nei criteri di esecuzione dei tamponi.
  • I valori di Rt sono calcolati solo sul 30% dei casi riportati alla Protezione Civile per la necessità di allinearsi alle Regioni con la percentuale più bassa di dati disponibili.
  • L’ultima stima di Rt è stata calcolata alla data del 19 maggio e, sottratti i 15 giorni necessari per il consolidamento dei dati, è riferibile quindi al 3 maggio.

«Le nostre valutazioni indipendenti – commenta il Presidente – confermano che il dibattito politico e scientifico si sta concentrando su un indice molto variabile, condizionato dalla qualità dei dati, non tempestivo (l’ultima stima riflette ancora la fase di lockdown), calcolato su meno di un terzo dei casi confermati dalla Protezione Civile e influenzato dalle notevoli differenze regionali nell’esecuzione di tamponi diagnostici».

«Se il valore di R0 rimane una pietra miliare dell’epidemiologia per stimare il grado di contagiosità del virus all’inizio di una epidemia – conclude Cartabellotta – la Fondazione GIMBE conferma che l’indice Rt è poco affidabile nella fase di monitoraggio post lockdown. Il suo ruolo dovrebbe essere ridimensionato, evitando di utilizzarlo come parametro univoco e soprattutto per elaborare classifiche regionali».


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21 maggio 2020
Coronavirus: fase 2 con le armi spuntate. No testing, no tracing

CON L’INDAGINE SIERO-EPIDEMIOLOGICA NON ANCORA AVVIATA E L’APP IMMUNI AL PALO, L’UNICA STRATEGIA PER LA FASE 2 SAREBBE UNA MIRATA ESTENSIONE DEI TAMPONI. MA DAL 23 APRILE AL 20 MAGGIO NE SONO STATI EFFETTUATI 1.658.468 DI CUI SOLO IL 61,7% “DIAGNOSTICI” CON UNA MEDIA NAZIONALE GIORNALIERA DI 61 PER 100.000 ABITANTI ED AMPIE VARIABILITÀ REGIONALI: DAI 18 DELLA PUGLIA AI 168 DELLA VALLE D’AOSTA. NEL PERIODO 7-20 MAGGIO SOLO PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO E VALLE D’AOSTA SVETTANO PER INCREMENTO DEI TAMPONI DIAGNOSTICI RISPETTO ALLE DUE SETTIMANE PRECEDENTI. LA FONDAZIONE GIMBE AVVERTE: SENZA UNA SISTEMATICA ATTIVITÀ DI TESTING E TRACING IN UNA CLAUDICANTE FASE 2 PARLERANNO SOLO I RICOVERI OSPEDALIERI.

Evidenze scientifiche e raccomandazioni internazionali puntano per la fase 2 su tre pilastri: mirata estensione dei tamponi per individuare i soggetti asintomatici (testing), strategie di tracciatura dei casi (tracing), inclusa l’app Immuni, e loro adeguato isolamento (treatment), oltre alle indagini siero-epidemiologiche per conoscere la diffusione del virus nella popolazione. Tuttavia, in Italia questi pilastri non possono contare su un’adeguata infrastruttura informativa, tecnologica e organizzativa necessaria per una ripartenza del Paese in sicurezza nel momento in cui i dati riflettono ancora la fase finale del lockdown. «Anche nella settimana 13-20 maggio – afferma il Presidente Nino Cartabellotta – il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE conferma sia la costante riduzione del carico di ospedali e terapie intensive, sia il rallentamento sul fronte di contagi e decessi». In sintesi:

  • Casi totali: +5.318 (+2,4%)
  • Decessi: +1.224 (+3,9%)
  • Ricoverati con sintomi: -2.528 (-20,8%)
  • Terapia intensiva: -217 (-24,3%)

«Se i dati ospedalieri sono affidabili e tempestivi – continua il Presidente – il numero di nuovi casi è direttamente influenzato dal numero dei tamponi eseguiti dalle Regioni, che su questo in parte si mostrano restie, verosimilmente per il timore non dichiarato di veder aumentare troppo le nuove diagnosi che le costringerebbero ad applicare misure restrittive». Peraltro, le indicazioni all’uso dei tamponi rimangono quelle ministeriali del 20 marzo e del 3 aprile che raccomandano di eseguirli prioritariamente ai casi sintomatici/paucisintomatici, ai contatti a rischio sintomatici e agli operatori sanitari e agli ospiti di residenze per anziani: in altre parole la fase 2 è partita senza definire una nuova policy nazionale per l’esecuzione dei tamponi.

Considerata la rilevanza della strategia delle 3T (testare, tracciare, trattare), la Fondazione GIMBE ha aggiornato e approfondito l’analisi indipendente condotta sui dati della Protezione Civile che dal 19 aprile, oltre al numero totale dei tamponi effettuati da ciascuna Regione, rende disponibili i “casi testati”, ovvero il numero dei “soggetti sottoposti al test”.

«Per valutare la reale propensione di una Regione all’attività di testing e tracing – spiega Cartabellotta – sono stati considerati solo i tamponi “diagnostici” e non quelli “di controllo”, utilizzati per confermare la guarigione virologica o per altre necessità di ripetere il test». In sintesi, nelle ultime 4 settimane (23 aprile-20 maggio):

  • In Italia sono stati effettuati 1.658.468 tamponi di cui il 38,3% “di controllo” e il 61,7% “diagnostici”: su questi le differenze regionali sono notevoli, si va dal 34,1% della Campania al 98,2% della Calabria.
  • A fronte di una media nazionale di 61 tamponi diagnostici/die per 100.000 abitanti, le Regioni hanno una propensione al testing molto eterogenea e non sempre correlata alla situazione epidemiologica: il range varia dai 18 della Puglia ai 168 della Valle D’Aosta (figura 1).
  • Confrontando il periodo 7-20 maggio (fase 2 già avviata) con le due settimane precedenti, 12 Regioni fanno registrare incrementi e 9 Regioni riduzioni nel numero medio giornaliero di tamponi diagnostici per 100.000 abitanti (figura 2). In particolare, svettano per incremento rilevante solo Provincia Autonoma di Trento (+99) e Valle D’Aosta (+66), mente gli aumenti restano modesti in Umbria (+24), Abruzzo (+ 19), Molise (+18), Campania (+13) e Lombardia (+13). Circa la metà delle Regioni si colloca nel range ±12 facendo registrare minime variazioni in aumento o in diminuzione. Si rileva un moderato decremento in Emilia-Romagna (-14) e consistenti decrementi in Puglia (-43) e nel Lazio (-64), condizionati da ricalcoli nei dati riportati dalla Protezione Civile.

 

Dalle analisi relative alle ultime 4 settimane emergono tre dati incontrovertibili: innanzitutto, il numero medio giornaliero di tamponi “diagnostici per 100.000 abitanti è incredibilmente esiguo rispetto alla massiccia attività di testing e tracing necessaria nella fase 2; in secondo luogo, la propensione ad eseguire tamponi diagnostici presenta enormi e non giustificate variabilità regionali che influenzano anche il valore di Rt incluso negli indicatori del Ministero della Salute; infine, nelle ultime due settimane solo Provincia Autonoma di Trento e Valle D’Aosta hanno potenziato in maniera rilevante l’attività di testing.

«Per quasi tutte le Regioni – conclude Cartabellotta – la ricerca attiva di contagi asintomatici e la tracciatura dei loro contatti non rappresentano una priorità nonostante siano strumenti indispensabili della fase 2. Dopo essere stati colti impreparati nella fase 1 senza mascherine, DPI, ventilatori, stiamo pericolosamente rinunciando a giocare d’anticipo affrontando la fase 2 con armi spuntate: considerati i clamorosi ritardi dell’app Immuni e dell’indagine siero-epidemiologica, l’unica arma a disposizione oggi sono i tamponi diagnostici. Eseguirne pochi aumenta il rischio di una seconda ondata perché il monitoraggio della fase 2 potrà essere effettuato solo tardivamente sulla base dell’aumento dei ricoveri ospedalieri».


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19 maggio 2020
Coronavirus, gestione sanitaria fase 2: il Governo abdica, pieni poteri alle Regioni

LE ANALISI DELLA FONDAZIONE GIMBE DIMOSTRANO CHE IN ASSENZA DI UNA STRATEGIA SANITARIA NAZIONALE PER GESTIRE LA FASE 2, CON UN SISTEMA DI MONITORAGGIO INCOMPLETO E LA TOTALE AUTONOMIA DELLE REGIONI NEL MONITORARE L’EPIDEMIA E INTRODURRE MISURE IN DEROGA, IL RISCHIO NON SOLO NON È CALCOLATO, MA NON È AFFATTO CALCOLABILE. DI FATTO I RISULTATI SUL CONTENIMENTO DEL CONTAGIO SONO AFFIDATI ALLE RESPONSABILITÀ INDIVIDUALI, ATTRAVERSO IL RISPETTO DELLE NORME DI DISTANZIAMENTO SOCIALE E L’USO DELLE MASCHERINE.

19 maggio 2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

L’agognata ripartenza del Paese si concretizza con una giravolta normativa senza precedenti nella storia della Repubblica: il DL 16 maggio 2020 n. 33 (art. 1, comma 16) demanda interamente alle Regioni la responsabilità del monitoraggio epidemiologico e delle conseguenti azioni, con il Ministero della Salute che rimane spettatore passivo da informare sui dati e sulle eventuali azioni intraprese dai governatori. Secondo il nuovo decreto spetta infatti a ciascuna Regione in totale autonomia monitorare la situazione epidemiologica nel proprio territorio, valutare le condizioni di adeguatezza del proprio sistema sanitario e introdurre misure in deroga, ampliative o restrittive, rispetto a quelle nazionali.

«L’emergenza coronavirus – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – e soprattutto la gestione della fase 2 hanno accentuato il cortocircuito di competenze tra Governo e Regioni in tema di tutela della salute, oltre che la “competizione” tra Regioni su tempi e regole per la riapertura. Questo decentramento decisionale dimostra che, sulla tutela della salute, dalla leale collaborazione Stato-Regioni siamo passati ad una “ritirata” del Governo al fine di prevenire  conflitti con le Regioni».

Le analisi indipendenti condotte dalla Fondazione GIMBE sul nuovo Decreto rivelano incongruenze costituzionali, oltre che rischi non calcolabili di questo approccio.

Princìpi costituzionali. La Costituzione affida allo Stato da un lato la legislazione esclusiva in materia di profilassi internazionale (art. 117 lett. q) - come nel caso di una pandemia - dall’altro l'esercizio del potere sostitutivo a garanzia dell'interesse nazionale nel caso di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica (art. 120). Tuttavia, a fronte della più grave emergenza sanitaria della storia repubblicana, il Governo sin dall’inizio ha inspiegabilmente scelto di non esercitare i poteri conferiti dalla carta costituzionale.

Monitoraggio dell’epidemia. La decisione di affidare alle Regioni una totale autonomia sul monitoraggio dell’epidemia e sulle conseguenti azioni da intraprendere avviene in un contesto molto incerto e poco rassicurante. In dettaglio:

  • Il primo “Report di Monitoraggio della Fase 2” dimostra che le Regioni non hanno fornito a livello centrale tutti i 21 indicatori previsti dal decreto del Ministero della Salute del 30 aprile scorso. In particolare, non riporta nessuno dei 12 indicatori di processo e nel “Quadro sintetico complessivo” dettaglia solo 5 dei 9 indicatori di risultato, peraltro non tutti coincidenti con quanto previsto dal Decreto, e quindi non utilizzabili per l’applicazione degli algoritmi e la definizione del livello di rischio.
  • L’impatto sulla curva dei contagi di qualsiasi intervento di allentamento del lockdown può essere misurato solo 14 giorni dopo il suo avvio: in altri termini, le conseguenze delle riaperture del 4 maggio possono essere valutate solo a partire dal 18 maggio e quelle del 18 maggio lo saranno non prima del 1° giugno.
  • Dal 3 giugno, data in cui inizieremo a intravedere le conseguenze sulla curva epidemica delle riaperture del 18 maggio, il via libera alla mobilità interregionale e alla riapertura delle frontiere sancirà la libera circolazione su tutto il territorio nazionale anche dei soggetti contagiati.

Strategia per la gestione sanitaria della fase 2. A fronte di linee guida elaborate da Governo e Regioni per la riapertura delle attività produttive e sociali, non esiste una strategia sanitaria nazionale ma solo variabili orientamenti regionali variabili per bilanciare tutela della salute e rilancio dell’economia. In particolare:

  • Le Regioni hanno una propensione molto diversificata ad effettuare tamponi diagnostici: a fronte di una media nazionale di 61 per 100.000 abitanti al giorno, si va dai 17 della Puglia ai 166 della Valle D’Aosta. In assenza di uno standard nazionale, tali differenze condizionano l’implementazione della strategia delle 3T (testare, tracciare, trattare), permettono un utilizzo “opportunistico” dei tamponi e sanciscono ancora prima della sua introduzione il fallimento dell’app Immuni, che per definizione è uno strumento “tampone-dipendente”.
  • L’indagine siero-epidemiologica nazionale è partita in grande ritardo e non sappiamo quando saranno disponibili i risultati; le Regioni peraltro hanno adottato protocolli propri utilizzando test differenti.
  • Le modalità organizzative per la gestione territoriale dei casi positivi - Unità Speciali di Continuità Assistenziale (USCA),  isolamento domiciliare in strutture dedicate, prescrivibilità dei tamponi da parte dei medici di famiglia, etc.), sono caratterizzate da immancabili diseguaglianze regionali.

Con queste premesse i DL 16 maggio 2020 n. 33 e DPCM 18 maggio 2020 concretizzano due ragionevoli certezze sulla fase 2:

  • Gli indicatori più affidabili per monitorare l’eventuale risalita della curva epidemica non possono che essere i ricoveri ospedalieri e l’occupazione delle terapie intensive, dati al tempo stesso tempestivi e affidabili in quanto raccolti dai flussi ospedalieri.
  • I risultati sul contenimento del contagio sono in larga misura affidati alle responsabilità individuali dei cittadini, attraverso il rispetto delle norme di distanziamento sociale e l’uso delle mascherine.

«È evidente che le decisioni sulle riaperture – conclude Cartabellotta – hanno anteposto gli interessi economici del Paese alla tutela della salute. Tuttavia la dichiarazione del Premier Conte secondo cui si tratta di un rischio calcolato è smentita dall’impossibilità stessa di calcolarlo, perché la gestione e il monitoraggio dell’epidemia sono affidati a 21 diversi sistemi sanitari che decideranno in totale autonomia ampliamenti e restrizioni delle misure in base ad una situazione epidemiologica autocertificata. La storia insegna che non è sano quando controllore e controllato coincidono».


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14 maggio 2020
Coronavirus, Fase 2: riaprire su dati parziali aumenta rischio nuova ondata a inizio estate

SE LE RIAPERTURE ANNUNCIATE PER IL 18 MAGGIO SI BASERANNO ESCLUSIVAMENTE SUL TASSO DI OCCUPAZIONE DI POSTI LETTO IN TERAPIA INTENSIVA E IN AREA MEDICA TUTTE LE REGIONI SONO PRONTE.  SE INVECE NELLE DECISIONI ENTRANO IN GIOCO I CASI NOTIFICATI ALLA PROTEZIONE CIVILE E IL VALORE DI RT, GLI EFFETTI DELL’ALLENTAMENTO DEL LOCKDOWN DELLO SCORSO 4 MAGGIO POTRANNO ESSERE MISURATI SOLO DALLA PROSSIMA SETTIMANA. LA FONDAZIONE GIMBE LANCIA L’ALLARME: COSÌ SI RISCHIA NUOVO PICCO ALL’INIZIO DELL’ESTATE. 

Secondo quanto diffuso a mezzo stampa, al fine di decidere sulle riaperture differenziate annunciate per il 18 maggio, sono attesi per oggi i dati del monitoraggio del Ministero della Salute: tasso dei nuovi contagi, stima aggiornata del valore di Rt, tasso di occupazione dei posti letto in terapia intensiva e in area medica, e gli altri parametri definiti dal decreto del 30 aprile.

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE nella settimana 7-13 maggio conferma sia il costante alleggerimento di ospedali e terapie intensive, sia il rallentamento di contagi e decessi. In sintesi:

  • Casi totali: +7.647 (+3,6%)
  • Decessi: +1.422 (+4,8%)
  • Ricoverati con sintomi: -3.597 (-22,8%)
  • Terapia intensiva: -440 (-33,0%)

«Se da un lato questi numeri alimentano l’ottimismo e invitano ad anticipare riaperture di attività e servizi, – commenta Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – dall’altro bisogna essere consapevoli che l’epidemia è ancora attiva, che in Italia si stimano 3-4 milioni di persone contagiate e che i soggetti asintomatici rappresentano una fonte certa di contagio. Tuttavia, nel dibattito pubblico delle ultime settimane la vertiginosa rincorsa alle riaperture ha preso il sopravvento rispetto ad una scrupolosa programmazione sanitaria della fase 2 su cui non mancano criticità. Dall’assenza di una strategia di sistema ai problemi di approvvigionamento di mascherine e reagenti per i tamponi; dalla mancata applicazione  di misure per spezzare la catena dei contagi alle autonome interpretazioni regionali delle evidenze scientifiche su test diagnostici e trattamenti».

La Fondazione GIMBE riporta al centro del dibattito la gestione sanitaria della fase 2 ed esorta alla massima prudenza nelle riaperture, perché dalle proprie analisi indipendenti risulta che:

  • Il tempo medio tra il contagio e la comparsa dei sintomi è di 5 giorni, con un range da 2 a 14 giorni.
  • I tempi per la conferma della diagnosi dipendono da: richiesta del test, esecuzione del tampone, analisi di laboratorio e refertazione. Secondo i dati forniti dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), il tempo mediano tra insorgenza dei sintomi e conferma diagnostica è stato di 10 giorni nel periodo 21-30 aprile e di 9 giorni nel periodo 1-6 maggio.
  • La comunicazione dei nuovi casi dalle Regioni alla Protezione Civile non è immediata: i frequenti ricalcoli testimoniano ritardi non quantificabili in assenza di maggiori dettagli.

Sulla base di tali tempistiche l’impatto dell’allentamento del lockdown avvenuto lo scorso 4 maggio potrà essere valutato solo tra il 18 maggio e la fine del mese, peraltro presupponendo che la comunicazione dalle Regioni alla Protezione Civile avvenga in tempo reale (figura).

In sostanza i dati sull’andamento dei contagi che informeranno le eventuali riaperture del 18 maggio fotografano ancora la fase di lockdown e anche il valore di Rt viene calcolato sui dati delle due settimane precedenti come precisato dall’ISS: “Poiché la diagnosi di infezione da coronavirus SARS-CoV-2 che può avvenire anche due o tre settimane dopo l’infezione per via del tempo di incubazione (fino a 14 giorni) e dei tempi intercorsi tra l’inizio dei sintomi, la ricerca di assistenza medica e il completamento dei test di laboratorio, il valore di Rt può essere stimato solo fino a circa 15 giorni nel passato”. «Se lo scorso 8 maggio l’ISS ha reso noti i valori di Rt riferiti al 20 aprile – precisa Cartabellotta – domani potrà comunicare quelli riferiti al 27 aprile e solo tra due settimane conosceremo gli Rt conseguenti all’allentamento del 4 maggio».

Dunque, se le riaperture annunciate per il 18 maggio si basano esclusivamente sul tasso di occupazione di posti letto in terapia intensiva e in area medica, tutte le Regioni sono pronte perché il dato è molto affidabile e soprattutto disponibile in tempo reale. Se al contrario entrano in gioco i casi notificati alla Protezione Civile e il valore di Rt, bisogna essere consapevoli che le decisioni in questo momento non possono per definizione essere informate dai dati perché l’impatto dell’allentamento del lockdown sarà misurabile solo a partire dalla prossima settimana.

«Il “contagioso” entusiasmo per la fase 2 – conclude Cartabellotta – sta generando un pericoloso effetto domino sulle riaperture rischiando di vanificare i sacrifici degli italiani. Infatti, decidere la ripresa di attività e servizi sulla base di dati che, occupazione di posti letto a parte, riflettono ancora il periodo del lockdown, aumenta il rischio di una seconda ondata all’inizio dell’estate».


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7 maggio 2020
Coronavirus: la giungla dei tamponi. In alcune regioni test con il contagocce per paura di nuovi lockdown?

RACCOMANDAZIONI INTERNAZIONALI, EVIDENZE SCIENTIFICHE E DISPONIBILITÀ DI REAGENTI CONFERMANO CHE NELLA FASE 2 SERVE UNA STRATEGIA DI TESTING ESTESO. TUTTAVIA AD OGGI 1/3 DEI TAMPONI SONO DI CONTROLLO E NELLE ULTIME DUE SETTIMANE SONO STATI EFFETTUATI IN MEDIA 59 TEST PER 100.000 ABITANTI AL GIORNO, CON NOTEVOLI VARIABILITÀ REGIONALI: DAI 12 DELLA CAMPANIA AI 130 DELLA VALLE D’AOSTA. LA FONDAZIONE GIMBE RICHIAMA LE REGIONI A ESTENDERE IL NUMERO DEI TAMPONI E CHIEDE AL GOVERNO DI DEFINIRE UNA SOGLIA MINIMA GIORNALIERA DI 250 TEST PER 100.000 ABITANTI PER EVITARE COMPORTAMENTI OPPORTUNISTICI.

Il Decreto del Ministero della Salute del 30 aprile scorso ha definito 21 indicatori che le Regioni dovranno fornire per monitorare l’evoluzione dell’epidemia e gli algoritmi per valutare probabilità e impatto del rischio sanitario. La combinazione di questi due parametri permetterà al Governo di identificare le criticità regionali e rivalutare eventuali nuove chiusure durante questa fase dell’epidemia.

«Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE – afferma il Presidente Nino Cartabellotta – rileva sia il costante e notevole alleggerimento del carico su ospedali e terapie intensive, sia il rallentamento sul fronte di contagi e decessi, tuttavia non ancora stabilizzati». In sintesi, nella settimana 30 aprile – 6 maggio:

  • Casi totali: +10.866 (+5,3%)
  • Decessi: +2.002 (+7,2%)
  • Ricoverati con sintomi: -3.441 (-17,9%)
  • Terapia intensiva: -462 (-25,7%)

«Rispetto alla ridotta pressione sugli ospedali, tuttavia – continua il Presidente – il numero dei nuovi casi è influenzato dal numero dei tamponi eseguiti dalle Regioni e pertanto soggetto a possibili distorsioni». Per tali ragioni la Fondazione GIMBE ha condotto un’analisi indipendente sui dati della Protezione Civile che dal 19 aprile, oltre al numero totale dei tamponi, riporta per ciascuna Regione il numero dei “casi testati” definiti come il “totale dei soggetti sottoposti al test”. In sintesi:

  • I “casi testati” identificano i “tamponi diagnostici” e la differenza tra “tamponi totali” e “casi testati” corrisponde ai “tamponi di controllo”, effettuati sullo stesso soggetto per confermare la guarigione virologica o per altre necessità di ripetere il test. Dall’inizio dell’epidemia sono stati effettuati in Italia 2.310.929 tamponi di cui il 67,1% “diagnostici” e il 32,9% “di controllo”.
  • Sulla base della popolazione residente il numero di tamponi, sia totali che diagnostici, è stato parametrato a 100.000 abitanti/die, un indicatore più affidabile per i confronti regionali.
  • Le Regioni sono state suddivise secondo le 5 classi di propensione all’esecuzione dei tamponi di una recente analisi della Fondazione Hume, in relazione al numero di tamponi per 100.000 abitanti/die che risulta inversamente correlato alla mortalità.
  • Poiché il dato sui “casi testati” è stato oggetto di ricalcolo da parte di alcune Regioni fino al 21 aprile, il periodo di osservazione è stato fissato dal 22 aprile al 6 maggio.

«Le nostre analisi effettuate sugli ultimi 14 giorni – spiega il Presidente –forniscono tre incontrovertibili evidenze: innanzitutto, si conferma che circa 1/3 dei tamponi sono “di controllo”; in secondo luogo il numero di tamponi per 100.000 abitanti/die è molto esiguo rispetto alla massiccia attività di testing necessaria nella fase 2; infine, esistono notevoli variabilità regionali sia sulla propensione all’esecuzione dei tamponi, sia rispetto alla percentuale di tamponi “diagnostici”». In dettaglio, nel periodo di analisi 22 aprile - 6 maggio (tabella):

  • Tamponi totali: la media nazionale di 88 tamponi per 100.000 abitanti/die colloca l’Italia nella classe di propensione 4 con notevoli differenze regionali:
    • Classe 1 (>250): nessuna regione
    • Classe 2 (130-250): Provincia autonoma di Trento, Valle D’Aosta, Provincia autonoma di Bolzano, Veneto, Friuli-Venezia Giulia
    • Classe 3 (100-129): Piemonte, Emilia-Romagna, Umbria, Liguria
    • Classe 4 (60-99): Lombardia, Marche, Basilicata, Toscana, Molise, Abruzzo, Lazio
    • Classe 5 (<60): Sardegna, Calabria, Campania, Sicilia, Puglia
  • Tamponi diagnostici
    • A livello nazionale rappresentano il 67,1% dei tamponi totali, con ampie variabilità regionali: dal 25,3% della Campania al 98% della Puglia
    • La media nazionale per 100.000 abitanti/die è di 59, con notevoli variabilità regionali: dai 12 della Campania ai 130 della Valle D’Aosta

I dati confermano la resistenza di alcune Regioni ad estendere massivamente il numero di tamponi, in contrasto con raccomandazioni internazionali, evidenze scientifiche e disponibilità di reagenti. Infatti:

  • L’Organizzazione Mondiale della Sanità incoraggia l’estensione dei tamponi.
  • La già citata analisi della Fondazione Hume ha dimostrato una correlazione inversa tra tamponi e mortalità: ovvero “più tamponi, meno morti”.
  • 150 docenti sostenitori della riapertura in sicurezza hanno lanciato un appello in 11 punti: “più tamponi per salvare la Fase 2”.
  • Il commissario Arcuri ha confermato che sono già stati distribuiti 3,7 milioni di tamponi alle Regioni, che nelle prossime settimane ne riceveranno altri 5 milioni già acquisiti.

«Alla luce di questi dati la Fondazione GIMBE – conclude Cartabellotta – da un lato richiama tutte le Regioni a implementare l’estensione mirata dei tamponi diagnostici, dall’altro chiede al Ministero della Salute di inserire tra gli indicatori di monitoraggio della fase 2 uno standard minimo di almeno 250 tamponi diagnostici al giorno per 100.000 abitanti. Il Governo infatti, oltre a favorire le strategie di testing, deve neutralizzare comportamenti opportunistici delle Regioni finalizzati a ridurre la diagnosi di un numero troppo elevato di nuovi casi che, in base agli algoritmi attuali, aumenterebbe il rischio di nuovi lockdown».

Il monitoraggio GIMBE dell'epidemia di COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org


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30 aprile 2020
Coronavirus: fase 2, regole uguali per tutti. Troppi rischi al nord, eccessivi limiti per il sud

NELLA SETTIMANA 22-29 APRILE ULTERIORE ALLEGGERIMENTO DI OSPEDALI E TERAPIE INTENSIVE, MA A 4 GIORNI DALL’AVVIO DELLA FASE 2 SI RILEVA ANCORA UN INCREMENTO DI 16.264 CASI DI CUI 2.597 DECESSI, CONCENTRATI PER L’80% IN 5 REGIONI. CON QUESTO QUADRO EPIDEMIOLOGICO SE DAL 4 MAGGIO ALCUNE REGIONI DOVRANNO SOTTOSTARE A RESTRIZIONI ECCESSIVE CHE FAVORISCONO IMPROPRIE FUGHE IN AVANTI, PER ALTRE LA RIAPERTURA AVVERRÀ SUL FILO DEL RASOIO PERCHÉ DEI 4,5 MILIONI DI PERSONE CHE TORNERANNO AL LAVORO LA MAGGIOR PARTE SI CONCENTRA DOVE L’EPIDEMIA È MENO SOTTO CONTROLLO.

Il DPCM del 26 aprile 2020 prevede un programma di progressive riaperture di attività produttive e commerciali omogeneo per tutto il territorio nazionale che, secondo il documento del Comitato Tecnico Scientifico, ha valutato il rischio dell’incremento dei contagi tenendo conto della “struttura demografica italiana, l’eterogeneità dei contatti sociali a diverse età e nei diversi luoghi di aggregazione, il rischio di esposizione stimato per diverse categorie professionali e la tipologia di attività da riaprire”.

«A 4 giorni dall’avvio della fase 2 – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – il nostro monitoraggio indipendente sulle variazioni settimanali documenta un ulteriore alleggerimento del carico degli ospedali e in particolare delle terapie intensive. Tuttavia, sul fronte di contagi e decessi, nonostante il progressivo rallentamento, il numero dei nuovi casi non ha raggiunto quella prolungata stabilizzazione propedeutica alla ripartenza secondo le raccomandazioni della Commissione Europea». In sintesi, nella settimana 22-29 aprile:

  • Casi totali: +16.264 (+8,7%)
  • Decessi: +2.597 (+10,4%)
  • Ricoverati con sintomi: -4.595 (-19,3%)
  • Terapia intensiva: -589 (-24,7%)

«Se da un lato la Fondazione GIMBE condivide il principio di graduale riapertura del Governo – continua Cartabellotta – dall’altro rileva che l’avvio della fase 2 non rispecchia il principio della massima prudenza perché non tiene in considerazione le notevoli eterogeneità regionali delle dinamiche del contagio». A tal proposito è fondamentale rilevare che nella settimana 22-29 aprile l’80% sia dei nuovi casi, sia dei nuovi decessi si concentra in sole 5 regioni: Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Veneto e Liguria.

Il modello GIMBE (figura) che monitora l’evoluzione dell’epidemia tenendo conto della prevalenza (casi totali per 100.000 abitanti) e dell’incremento percentuale dei casi nell’ultima settimana a soli 4 giorni dalla ripartenza documenta che:

  • Piemonte, Liguria, Prov. Autonoma di Trento e Lombardia (quadrante rosso) non sono ancora fuori dalla fase 1: prevalenza e incrementi percentuali sopra la media nazionale, particolarmente elevati in Liguria (14%) e Piemonte (13,7%).
  • Ad esclusione del Friuli-Venezia Giulia, anche tutte le altre Regioni del nord (quadrante giallo) sono suscettibili di un incremento dei contagi, sia perché l’elevata prevalenza è un indicatore indiretto dei casi sommersi, sia perché si tratta proprio delle aree in cui si trovano la maggior parte delle attività produttive interessate dalla riapertura.
  • Eccezion fatta per le Marche, le Regioni del Centro e soprattutto del Sud hanno prevalenza e incrementi percentuali sotto la media nazionale.

«Con questo quadro epidemiologico – puntualizza il Presidente – se dal 4 maggio alcune aree dovranno sottostare a restrizioni eccessive che favoriscono autonome fughe in avanti, come dimostra il caso Calabria, per altre la riapertura avverrà sul filo del rasoio perché dei 4,5 milioni di persone che torneranno al lavoro la maggior parte si concentra proprio nelle Regioni dove l’epidemia è meno sotto controllo. E, soprattutto, occorre essere consapevoli che l’eventuale risalita della curva dei contagi sarà visibile non prima di 2 settimane».

«Come ogni decisione politica – conclude Cartabellotta – il DPCM sulla fase 2 rappresenta un inevitabile compromesso tra evidenze scientifiche ed interessi di altra natura. In particolare, il Governo ha dovuto necessariamente mediare tra le richieste dei governatori del Nord che spingono per la riapertura delle attività produttive e le istanze di quelli del Sud, contrari alla mobilità interregionale per timore di “importare” contagi. Con queste posizioni, modulare regole diverse secondo l’epidemiologia del contagio tra le varie Regioni avrebbe inevitabilmente fatto saltare il banco».


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27 aprile 2020
Coronavirus: nella fase 2 mascherina per tutti. La scienza dice s&#236;

NELLE ULTIME SETTIMANE LA SCIENZA HA CONFERMATO CHE IL CONTAGIO DA ASINTOMATICI È IL VERO TALLONE D’ACHILLE DELLE STRATEGIE PER CONTENERE IL CORONAVIRUS. CONSIDERATO CHE DAL 4 MAGGIO AUMENTERANNO I CONTATTI SOCIALI, LA FONDAZIONE GIMBE PUBBLICA IN ITALIANO LA SINTESI DELLE PIÙ RECENTI EVIDENZE SCIENTIFICHE SULL’USO DELLE MASCHERINE: PER RIDURRE IL RISCHIO DI CONTAGIO IL NUOVO DPCM OBBLIGA AL’USO DELLA MASCHERINA DOVE NON È POSSIBILE GARANTIRE IL DISTANZIAMENTO SOCIALE.

Durante la pandemia da Coronavirus organizzazioni internazionali, Istituzioni ed esperti hanno raccomandato la mascherina per la popolazione generale solo in presenza di sintomi. Tuttavia, nelle ultime settimane molti paesi consigliano, o hanno reso obbligatorio, l’utilizzo della mascherina facendo riferimento alla raccomandazione dei Centers for Disease Control and Prevention: “considerato che una rilevante percentuale di soggetti infetti da coronavirus sono asintomatici o pre-sintomatici, utilizzare la mascherina in tutti gli ambienti pubblici dove è difficile mantenere il distanziamento sociale, specialmente in aree con elevata trasmissione in comunità”.

«Mentre in Italia – afferma Nino Cartabellotta Presidente della Fondazione GIMBE – il dibattito sulle mascherine veniva monopolizzato dall’inadeguata disponibilità dei dispositivi di protezione individuale per gli operatori sanitari, i progressi della scienza nell’ultimo mese hanno messo in luce due aspetti cruciali. Innanzitutto, la trasmissione da soggetti asintomatici, largamente sottostimata, rappresenta il tallone d’Achille delle strategie per contenere la pandemia. In secondo luogo, le politiche di prevenzione devono essere guidate dal principio di precauzione e da princìpi di costo-efficacia; ovvero, anche in assenza di robuste evidenze scientifiche, è possibile concludere che un limitato utilizzo delle mascherine contribuisce alla crescita dei contagi».

Recentemente, dopo avere pubblicato l’analisi delle conflittuali raccomandazioni di autorità sanitarie internazionali e una revisione sistematica sulle prove di efficacia delle mascherine in comunità, Trisha Greenhalgh dell’Università di Oxford e Jeremy Howard dell’Università di San Francisco hanno realizzato una sintesi per il grande pubblico già tradotta in 17 lingue e oggi disponibile in italiano grazie alla Fondazione GIMBE. Tutte le valutazioni scientifiche convergono sul messaggio #Masks4All, ovvero mascherine per tutti:

  • Il contagio da soggetti asintomatici ha una notevole rilevanza: sia per il loro numero assoluto, sia perché i pazienti positivi sono più contagiosi nei primi giorni dell’infezione, quando sono asintomatici o presentano sintomi lievi.
  • Una semplice mascherina in tessuto indossata da un soggetto infetto riduce di 36 volte la quantità di virus trasmessa e permette di attuare il cosiddetto “controllo della sorgente”: ovvero, è molto più facile bloccare le goccioline (droplets) quando escono dalla bocca, piuttosto che arginarle quando si disperdono nell’aria.
  • Non esistono sperimentazioni cliniche che hanno valutato l’efficacia di mascherine da parte della popolazione generale per contenere l’epidemia di COVID-19, ma diverse sperimentazioni empiriche dimostrano che la mascherina potenzia gli effetti di altre misure di distanziamento sociale.
  • La mascherina non deve necessariamente arginare ogni singola particella virale, ma più ne blocca più si riduce la diffusione del virus. Infatti, gli effetti complessivi dell’uso delle mascherine nella popolazione generale dipendono dall’efficacia della mascherina e dalla percentuale della popolazione che la utilizza. Ovvero è possibile ottenere lo stesso risultato aumentando l’aderenza della popolazione, anche con mascherine meno efficaci.
  • Per aumentare l’aderenza della popolazione l’approccio più efficace è l’obbligo di indossarle in contesti specifici (es. mezzi di trasporto pubblico, supermercati), o ancora meglio sempre quando si esce da casa.
  • Se è vero che, in caso di obbligo di mascherina, alcune persone tendono ad attuare comportamenti a rischio (es. violare il lockdown, lavarsi meno le mani), a livello di popolazione l’effetto preventivo non viene compromesso.
  • Le analisi economiche dimostrano che ogni singola mascherina (dal costo trascurabile) indossata da una persona potrebbe generare enormi benefici economici e salvare molte vite.
  • Tenendo conto delle difficoltà di approvvigionamento e distribuzione, la scienza conferma l’opportunità del “fai da te”, perché non c’è alcuna evidenza che le mascherine debbano essere costruite con materiali o tecniche particolari.

In tal senso le indicazioni dei ricercatori sono molto chiare: “Per impedire la trasmissione di droplet puoi costruire tu stesso la mascherina: da una maglietta, un fazzoletto, una sciarpa, una bandana inserendo un tovagliolo di carta, come filtro usa e getta, tra due strati di un tessuto a maglie strette che ti permetta di respirare. Puoi lavare la mascherina di stoffa in lavatrice e riutilizzarla, esattamente come una maglietta”.

«Il nuovo DPCM sulla fase 2 – conclude Cartabellotta – sottolinea la necessità di mantenere la distanza di almeno un metro in qualsiasi contesto ci si trovi e dispone l’obbligo della mascherina in tutti i luoghi pubblici dove non è possibile mantenere il distanziamento sociale. Considerato che dal 4 maggio i contatti sociali aumenteranno progressivamente, al fine di ridurre il rischio di contagio è indispensabile la massima aderenza della popolazione, favorita dai prezzi calmierati e dalla possibilità di autoproduzione».

L’articolo “Mascherina per tutti? La scienza dice sì” è disponibile a: www.evidence.it/mascherine


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23 aprile 2020
Coronavirus, fase 2: i numeri impongono massima prudenza. Nell’ultima settimana +22.172 casi di cui 3.440 morti

NELLA SETTIMANA 15-22 APRILE SI CONFERMA L’ULTERIORE RIDUZIONE DEL SOVRACCARICO DI OSPEDALI E TERAPIE INTENSIVE, MA A 10 GIORNI DALL’AVVIO DELLA FASE 2 I RISULTATI SUL CONTENIMENTO DEL CONTAGIO NON SONO OTTIMALI, NÈ STABILIZZATI COME RACCOMANDA LA COMMISSIONE EUROPEA. OVVERO I NUMERI INVITANO ALLA MASSIMA CAUTELA, SIA PERCHÉ ALCUNE REGIONI E NUMEROSE PROVINCE SONO ANCORA IN PIENA FASE 1, SIA PERCHÉ GLI EVENTUALI EFFETTI NEGATIVI DELLE RIAPERTURE SI VEDRANNO SOLO DOPO 2-3 SETTIMANE.

Il Presidente Conte martedì 21 aprile ha riferito in Senato sul programma di progressive riaperture di attività produttive e commerciali omogeneo per tutto il territorio nazionale, che secondo alcune indiscrezioni potrebbe partire già dal 27 aprile. Il Premier ha assicurato che l’avvio della fase 2 manterrà sotto controllo la curva del contagio, precisando che la soglia deve essere “commisurata alla recettività delle strutture ospedaliere delle aree di riferimento”.

«Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE sulle variazioni settimanali – afferma il Presidente Nino Cartabellotta – documenta un trend in ulteriore miglioramento sul versante ospedaliero, in particolare sulle terapie intensive, ma non ancora sul numero di contagi e decessi». In sintesi, nella settimana 15-22 aprile rispetto alla precedente (figure 1, 2, 3, 4):

  • Casi totali: +22.172 (+13,4%)
  • Decessi: +3.340 (+15,9%)
  • Ricoverati con sintomi: -3.838 (-13,9%)
  • Terapia intensiva: -695 (- 22,6%)

Se la Commissione Europea nella roadmap per la ripartenza ha ribadito che è “fondamentale ridurre e stabilizzare il numero di ricoveri e/o dei nuovi casi per un periodo di tempo prolungato”, a 10 giorni dall’avvio della fase 2 il numero dei nuovi casi in Italia rimane elevato e non ha affatto raggiunto nessuna stabilizzazione prolungata.

«Se il parametro per la, seppur graduale, riapertura – conclude Cartabellotta –è il decongestionamento di ospedali e terapie intensive siamo quasi pronti; ma se non vogliamo rischiare una nuova impennata dei casi i numeri impongono la massima prudenza, sia perché alcune Regioni e numerose Province sono ancora in piena fase 1, sia perché gli eventuali effetti negativi della riapertura si vedranno solo dopo 2-3 settimane».


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20 aprile 2020
Coronavirus: pianificazione scientifica della fase 2. Osservare Regioni e Province sotto la stessa lente

LA GRADUALE RIAPERTURA DEL PAESE DOVREBBE ESSERE GUIDATA DA CRITERI SCIENTIFICI CHE TENGANO CONTO DI NUMEROSE VARIABILI AL FINE DI RIDURRE AL MINIMO IL RISCHIO DI UNA NUOVA IMPENNATA DI CASI. PER LA SUDDIVISIONE DEL PAESE IN AREE GEOGRAFICHE A DIFFERENTE LIVELLO DI RISCHIO, LA FONDAZIONE GIMBE PUBBLICA UN MODELLO UNIVOCO PER MAPPARE E MONITORARE L’EVOLUZIONE DEL CONTAGIO A LIVELLO REGIONALE E PROVINCIALE. LA FOTOGRAFIA SCATTATA IL 19 APRILE INVITA A MANTENERE ALTA L’ALLERTA AUSPICANDO UN CONSISTENTE RALLENTAMENTO DEL CONTAGIO NELLE PROSSIME DUE SETTIMANE.

Il Governo sta pianificando l’avvio della “fase 2” che dovrebbe partire dal 4 maggio. Il Premier Conte ha annunciato un piano nazionale, con linee guida omogenee per tutte le Regioni, che prenda in considerazione tutela della salute ed esigenze produttive.

«La fase 2 – afferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – deve essere guidata da criteri scientifici oggettivi condivisi tra Governo, Regioni ed enti locali, tenendo in considerazione i rischi legati a cinque variabili: attività produttive, libertà individuali, mezzi di trasporto, rischio di specifici sottogruppi di popolazione in relazione all’età e patologie concomitanti ed evoluzione del contagio nelle diverse aree geografiche». Su quest’ultimo aspetto, dalle prime indiscrezioni le riaperture sarebbero differenziate in relazione alla diffusione dei casi in tre macro-aree: Nord, Centro e Sud.

«La Fondazione GIMBE – dichiara Cartabellotta – pubblica oggi un modello dinamico per mappare e monitorare l’evoluzione del contagio a livello regionale e provinciale, al fine di fornire uno strumento univoco per informare le decisioni di Governo e Regioni troppo spesso concentrate sulle variazioni giornaliere che alimentano facili ottimismi sui tempi di riapertura e sottostimano i rischi in aree con pochi casi ma ad elevata prevalenza».

Considerato che per rallentare la diffusione del virus occorre ridurre in maniera costante la crescita percentuale dei casi, in particolare se la prevalenza aumenta, il modello GIMBE si basa su due variabili:

  • Prevalenza (casi totali per 100.000 abitanti): misura la “densità” dei casi confermati nella popolazione e rappresenta anche una stima indiretta dei contagi non noti.
  • Incremento percentuale dei casi totali: misura la “velocità” con cui si diffonde il virus. Tale valore viene calcolato su un arco temporale settimanale, viste le notevoli fluttuazioni dei dati giornalieri.

Utilizzando come “spartiacque” i valori medi nazionali di prevalenza e incremento percentuale le Regioni si posizionano in un grafico suddiviso in quattro quadranti (figura 1):

  • Verde: rappresenta l’area “fredda” con bassa prevalenza e basso incremento %.
  • Arancione: è l’area in corso di “riscaldamento”, con una prevalenza ancora bassa, ma un incremento percentuale elevato.
  • Rosso: rappresenta l’area “calda” caratterizzata da alta prevalenza che viene alimentata dall’elevato incremento % dei casi.
  • Giallo: rappresenta l’area in corso di “raffreddamento”, caratterizzata da un’alta prevalenza alimentata nelle settimane precedenti e da un incremento percentuale in corso di riduzione.

Considerato che la posizione di ciascuna Regione consegue a differenti dinamiche locali, la Fondazione GIMBE ha elaborato analoghi grafici regionali, che vedono le province distribuirsi in relazione ai valori medi regionali di prevalenza e di incremento percentuale (es. Regione Lombardia: figura 2).

«Questo modello – continua Cartabellotta – non ha l’obiettivo di stilare una classifica tra Regioni, ma solo di posizionarle e monitorarle nel tempo rispetto alla media nazionale di due variabili che condizionano l’evoluzione dell’epidemia». Ovvero, la distribuzione delle Regioni secondo il modello GIMBE dimostra che ad oggi la suddivisione del Paese in tre macro-aree (Nord, Centro, Sud) non riflette il rischio di evoluzione del contagio. Infatti:

  • Regioni del Nord: si posizionano quasi tutte nei due quadranti di destra (rosso, giallo) per l’elevata prevalenza, ma presentano diversi valori di incremento percentuale: dal 12,2% di Lombardia ed Emilia-Romagna al 26,4% del Piemonte. Il Friuli-Venezia Giulia si colloca invece nell’area verde.
  • Regioni del Centro: si collocano quasi tutte nei due quadranti di sinistra (arancione, verde) con incrementi percentuali che vanno dal 2,2% dell’Umbria al 18,8% del Lazio. Le Marche si collocano invece nell’area gialla.
  • Regioni del Sud, isole incluse: si trovano tutte nel quadrante verde, ad eccezione della Puglia che si posiziona nel quadrante arancione con un incremento percentuale del 18,1%.

«In generale – continua Cartabellotta – la fotografia scattata a 2 settimane dalla possibile riapertura non è affatto rassicurante perché gli incrementi percentuali negli ultimi 7 giorni sono ancora molto elevati anche nelle Regioni che si trovano nel quadrante verde, fatta eccezione per l’Umbria».

«Al di là delle indiscrezioni trapelate negli ultimi giorni – conclude Cartabellotta – i criteri con cui il Governo ridisegnerà la mappa dell’Italia per l’avvio e il monitoraggio della “fase 2” non sono ancora noti. Il modello proposto dalla Fondazione GIMBE permette di applicare la stessa unità di misura a livello nazionale, regionale e provinciale, sia al fine di consentire una “personalizzazione” degli interventi di allentamento o restrizione, sia di evitare valutazioni locali finalizzate a improprie fughe in avanti che rischiano di danneggiare la salute pubblica».

Download figure "COVID-19. Posizionamento posizionamento delle Regioni e delle province della Regione Lombardia in relazione aprevalenza e ad incremento percentuale dei casi(settimana 12-19 aprile)"


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16 aprile 2020
Coronavirus: il contagio non è sotto controllo. Nell’ultima settimana + 25.733 casi di cui 3.976 morti

LE MISURE DI DISTANZIAMENTO SOCIALE IMPOSTE DAI DECRETI “#IORESTOACASA” E “CHIUDI ITALIA” HANNO RIDOTTO IL SOVRACCARICO DEGLI OSPEDALI E SOPRATTUTTO DELLE TERAPIE INTENSIVE. MA SUL CONTENIMENTO DEL CONTAGIO I RISULTATI NON SONO AFFATTO RASSICURANTI E INVITANO ALLA MASSIMA CAUTELA. DALLA FONDAZIONE GIMBE UN’ANALISI DELLE POSSIBILI CAUSE PER INFORMARE LE ISTITUZIONI SUI PARAMETRI PER AVVIARE LA “FASE 2”, E PER SENSIBILIZZARE DECISORI, DATORI DI LAVORO E POPOLAZIONE SU INEFFICIENZE E RESPONSABILITÀ

«L’efficacia delle misure di distanziamento sociale sul contenimento dell’epidemia – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – dipende da tre fattori: tempestività, intensità e aderenza della popolazione. Di conseguenza, per valutare gli effetti dei decreti “#IoRestoACasa” e “Chiudi Italia”, bisogna anzitutto essere consapevoli che siamo partiti in ritardo, che il lockdown non è stato affatto totale e che l’aderenza della popolazione è stata buona, ma non eccellente, a giudicare dal numero delle sanzioni elevate nel corso dei controlli».

Secondo la roadmap lanciata ieri dalla Commissione Europea per la ripartenza è fondamentale ridurre e stabilizzare il numero di ricoveri e/o dei nuovi casi per un periodo di tempo prolungato. «Di conseguenza – rileva Cartabellotta – una programmazione scientifica della “fase 2” non può inseguire i numeri del giorno, ma deve osservare almeno le variazioni settimanali». E in tal senso i dati degli ultimi 7 giorni sui contagi non sono affatto incoraggianti: se, infatti, si è ridotto il numero dei pazienti ricoverati con sintomi (-3,0%) e soprattutto di quelli in terapia intensiva (-16,6%), si rileva un aumento dei casi totali del 18,0% (+25.733), di cui 3.976 decessi (+22,5%) (figure).

«Considerato che la riduzione dei nuovi casi sembra inferiore a quanto atteso – continua il Presidente – la Fondazione GIMBE ha effettuato una revisione di evidenze scientifiche e narrative per identificare le possibili motivazioni, con il duplice obiettivo di informare le Istituzioni sui parametri per avviare la “fase 2” e di sensibilizzare decisori della sanità, datori di lavoro e popolazione sulle proprie responsabilità». In particolare, sono state identificate due macro-categorie di motivazioni:

Identificazione di casi in sottogruppi di popolazione non adeguatamente esplorati. È funzione diretta del maggior numero numero di tamponi eseguiti tra gli operatori sanitari, gli ospiti di residenze per anziani e case di riposo, i detenuti negli istituti penitenziari, oltre che di una tracciatura dei contatti più efficace e del crescente numero di casi oligo/asintomatici identificati sul territorio.

Ridotta efficacia delle misure di distanziamento sociale: consegue a differenti motivazioni in parte non prevenibili (ruolo dei soggetti asintomatici), in parte a carenze sanitarie (insufficiente tracciatura dei contatti, isolamento domiciliare inadeguato), oltre che a misure inadeguate sui luoghi di lavoro e negli spazi chiusi, inclusi mezzi di trasporto, e a comportamenti individuali impropri.

  • Contagi da:
    • soggetti asintomatici non noti
    • casi non identificati per insufficiente tracciatura dei contatti
    • persone conviventi in isolamento domiciliare: isolamento inadeguato o troppo breve
  • Contagi sui luoghi di lavoro che non hanno implementato adeguatamente i protocolli di sicurezza
  • Contagi sui mezzi di trasporto
  • Contagi da operatori sanitari, soprattutto in contesti non ospedalieri (residenze per anziani, case famiglia, assistenza domiciliare)
  • Contagi da persone infette che hanno violato la quarantena

In tutti i contesti regionali e locali dove il controllo dei nuovi casi risulta inadeguato tutte queste casistiche dovrebbero essere attentamente monitorate al fine di mettere in atto le opportune contromisure.

«Nonostante il contagioso entusiasmo per l’avvio della “fase 2” – conclude Cartabellotta – serve la massima prudenza: se oggi, infatti, ospedali e terapie intensive iniziano a “respirare”, i numeri confermano che la curva dei contagi non è affatto sotto controllo ed il rischio di una nuova impennata dei casi è sempre in agguato».

Il monitoraggio GIMBE dell'epidemia di COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org


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10 aprile 2020
Coronavirus: i falsi guariti in Lombardia. GIMBE chiede di mettere fine alle ambiguità

La Regione Lombardia non trasmette il numero dei soggetti guariti, ma solo dei dimessi. Questi casi nel report della Protezione Civile vengono conteggiati tra i guariti, con conseguente distorsione della comunicazione pubblica sull’andamento dell’epidemia da coronavirus (figura). 

«Nonostante l’appello della Fondazione GIMBE – dichiara il Presidente Nino Cartabellotta – dopo un’analisi sui dati relativi ai soggetti guariti trasmessi da 8 Regioni realizzata in collaborazione con YouTrend, il resoconto giornaliero inviato dalla Lombardia alla Protezione Civile e le modalità con cui questa conteggia i casi rimangono invariati».

Ieri 9 aprile 2020, il tracciato della Regione Lombardia riportava nell’area verde:

  • 15.706 casi con “con almeno un passaggio in ospedale (anche solo in pronto soccorso) dichiarati dimessi/non ricoverati dagli ospedali lombardi. Questi pazienti sono in isolamento domiciliare fino a che non saranno dichiarati guariti”. In altre parole, la Lombardia dichiara esplicitamente che si tratta di casi che non possono essere considerati guariti
  • 16.042 “persone per cui non si rileva nessun passaggio in ospedale”

Nel report ufficiale della Protezione Civile:

  • 15.706 casi, che la Lombardia dichiara “in isolamento domiciliare”, vengono inseriti nella colonna “Dimessi/Guariti” per poi confluire nel “Totale Guariti”.
  • 16.042 vengono correttamente riportati nella colonna “Isolamento domiciliare”.

Considerato che:

  • il 55,2% del “Totale Guariti” in Italia proviene dalla Lombardia (15.706/28.470);
  • la maggior parte delle altre Regioni trasmettono i dati utilizzando i criteri di guarigione clinica e virologica definiti dal Comitato Tecnico Scientifico;

al fine di eliminare questa indebita distorsione dei casi guariti, la Fondazione GIMBE chiede:

  • alla Protezione Civile e al Ministero della Salute di non conteggiare più tra i “Guariti” i casi che la stessa Regione Lombardia dichiara “in isolamento domiciliare”;
  • alla Regione Lombardia di allinearsi alle altre Regioni sulle modalità per riportare i casi “Guariti”.

«La sovrastima del numero dei casi guariti – conclude Cartabellotta – condiziona la percezione pubblica sull’andamento dell’epidemia e influenza le decisioni sanitarie e politiche. In particolare, la pianificazione della “fase 2” deve essere informata da dati reali, evitando qualsiasi distorsione che induce decisioni finalizzate a tutelare interessi economici, piuttosto che la salute delle persone».

Il monitoraggio GIMBE dell'epidemia di COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org
 


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8 aprile 2020
Coronavirus: verso la fase 2. Rischioso allentare misure prima di fine maggio

LE IMMINENTI DECISIONI DEL GOVERNO SU UN ALLENTAMENTO DELLE MISURE DI CONTENIMENTO NON POSSONO PRESCINDERE DA ALCUNE DOMANDE CRUCIALI: È POSSIBILE PREVEDERE IL GIORNO DEL CONTAGIO ZERO? QUALI RISULTATI HANNO OTTENUTO LE MISURE DI DISTANZIAMENTO SOCIALE? I NOSTRI RISULTATI SONO IN LINEA CON QUELLI DELLA CINA? DALLA FONDAZIONE GIMBE RISPOSTE BASATE SUI DATI E UN MODELLO PREDITTIVO PER INFORMARE UNA DELLE DECISIONI PIÙ DIFFICILI DELLA STORIA DELLA REPUBBLICA

Il quadro progressivamente meno funesto offerto dal bollettino giornaliero della Protezione Civile e l’imminente scadenza del decreto “Chiudi Italia” fissata per il 13 aprile hanno acceso il dibattito sull’avvio dell’agognata “Fase 2”, ovvero tempi e modi per allentare il lockdown. Dal vertice di ieri tra il Governo e il Comitato Tecnico Scientifico è emersa una linea di “gradualità e prudenza”, con l’ipotesi di una “Fase 2” in due step: il primo riguarderebbe piccole aperture per le attività produttive, il secondo la rimodulazione delle misure per spostamenti e uscite.

 

Ma cosa dicono oggi i dati? L’andamento dell’epidemia in Italia permette di programmare un allentamento delle misure? Con quali rischi?

«La Fondazione GIMBE – afferma il Presidente Nino Cartabellotta – ha deciso di rendere pubblici i risultati delle proprie analisi indipendenti per offrire alcune risposte, utili ad informare le decisioni politiche ed aumentare la consapevolezza della popolazione in un momento estremamente delicato della gestione dell’epidemia nel nostro Paese».

È POSSIBILE PREVEDERE IL GIORNO DEL “CONTAGIO ZERO”?  Nell’impossibilità di prevedere il giorno in cui non ci sarà alcun nuovo caso, la Fondazione GIMBE pubblica il proprio modello predittivo che ha ormai raggiunto un’adeguata stabilità (figura 1). Il modello è stato elaborato con l’analisi della regressione utilizzando 2 variabili: l’incremento percentuale dei nuovi casi e il tempo espresso in giorni. Il modello prevede che il 16 aprile l’aumento dei casi scenderà al 2%, il 27 aprile all’1%, il 7 maggio allo 0,5% e il 2 giugno allo 0,1%, soglia utilizzata ad Hubei per allentare le misure. «Il modello – spiega Cartabellotta – viene aggiornato quotidianamente e deve sempre essere maneggiato con cautela perché l’andamento dei contagi potrebbe essere influenzato da variabili non considerate, spesso differenti nelle varie Regioni: insorgenza di nuovi focolai, numero di tamponi effettuati, aderenza alle misure di distanziamento sociale, sovraccarico degli ospedali».

QUALI RISULTATI HANNO OTTENUTO LE MISURE DI DISTANZIAMENTO SOCIALE?

  • Nuovi casi: nell’ultima settimana l’incremento medio giornaliero è stato del 3,9%, con trend in progressiva riduzione dal 4,5% al 2,3% (figura 2).
  • Rispetto alle categorie di casi riportati dalla Protezione Civile (figura 3):
    • Pazienti ricoverati con sintomi e in terapia intensiva: il crescente decongestionamento degli ospedali è il dato che infonde maggiore ottimismo (figura 4).
    • Isolamento domiciliare: il numero è in continuo aumento grazie ad una più efficace identificazione dei contatti e di casi sempre meno gravi.
    • Guariti: il numero aumenta, ma risulta sovrastimato perché vengono conteggiati in questa categoria i casi della Regione Lombardia dimessi dall’ospedale, senza informazioni sul loro status di guarigione clinica o virologica (ieri 59,4% dei “guariti”).
    • Deceduti: la curva continua a salire con una minima flessione negli ultimi 2-3 giorni.

I RISULTATI ITALIANI SONO IN LINEA CON QUELLI DELLA CINA? Il confronto è stato effettuato con la provincia di Hubei che conta 58,5 milioni di abitanti ed ha avuto una modalità di espansione iniziale dell’epidemia simile a quella italiana. Le curve di crescita dei contagi (figura 5) dimostrano che i risultati delle misure attuate in Italia sono ben lontani da quelli ottenuti in Cina. «Questa differenza – spiega Cartabellotta – è dovuta almeno a tre motivazioni: da noi misure non tempestive, meno rigorose e più frammentate e minore aderenza della popolazione».

«Il ruolo dei dati nelle decisioni politiche – continua Cartabellotta – dipenderà da quali indicatori sceglierà il Governo per stabilire criteri, tempi e modalità per l’avvio graduale della “Fase 2”, nella consapevolezza che, a differenza della Cina, non siamo in condizioni di applicare una sistematica tracciatura dei contatti tramite tecnologie avanzate e che i test sierologici non permettono ancora di fornire alcun “patentino di immunità”».

In sintesi, le analisi indipendenti della Fondazione GIMBE suggeriscono che:

  • La curva del contagio è rallentata, ma l’aumento dei nuovi casi è ancora rilevante.
  • Le misure di distanziamento sociale hanno alleggerito il carico sugli ospedali, ma il loro effetto sul numero totale dei casi è ancora modesto
  • L’allentamento delle misure dovrà essere graduale e differenziato per tipologia di intervento e, ove possibile, “personalizzato” nelle varie Regioni monitorando strettamente l’insorgenza di nuovi focolai.  
  • Se nelle prossime settimane sarà confermato il rallentamento dei nuovi casi, con una certa dose di spavalderia la “Fase 2” potrebbe essere avviata tra fine aprile e inizio maggio, accettando il rischio di una nuova impennata dei contagi.
  • Se al contrario la linea vuole essere quella della gradualità e della prudenza, qualsiasi riapertura prima di fine maggio non si basa sulle dinamiche del contagio in Italia.

«Il Governo – conclude Cartabellotta – è chiamato a prendere una delle decisioni più difficili della storia della Repubblica, con effetti determinanti sulla nostra salute, sulle nostre libertà individuali e sull’economia del Paese. Guardando ai numeri è fondamentale conoscere quale indicatore guiderà la politica per l’attuazione della “Fase 2”: sarà, auspicabilmente, la riduzione dei contagi al di sotto di una soglia più bassa possibile? Oppure, ci si limiterà a contenere il verosimile aumento dei ricoveri e dei decessi, per il timore che la popolazione e l’economia non sono in grado di reggere un rigoroso prolungamento del lockdown?»

Il modello predittivo è quotidianamente aggiornato sul sito: https://coronavirus.gimbe.org


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2 aprile 2020
Coronavirus: la sovrastima dei casi guariti

LA FONDAZIONE GIMBE, IN COLLABORAZIONE CON YOUTREND, HA ANALIZZATO DEFINIZIONI E DISCREPANZE SUI CASI “DIMESSI/GUARITI”, CATEGORIA MOLTO ETEROGENEA CHE NELLA COMUNICAZIONE PUBBLICA VIENE FATTA COINCIDERE CON LE GUARIGIONI. EMBLEMATICO IL CASO LOMBARDIA: A IERI 11.415 PAZIENTI DIMESSI DA SETTING OSPEDALIERI DI CUI NON SI CONOSCE LO STATUS CLINICO CONFLUISCONO NEL DATO NAZIONALE “DIMESSI/GUARITI” DOVE COSTITUISCONO IL  68%, SOVRASTIMANDO IL TASSO DI GUARIGIONE. LA FONDAZIONE GIMBE CHIEDE ALLE ISTITUZIONI DI ELIMINARE QUESTA AMBIGUA ETICHETTA, DI NON CONTEGGIARE TRA I “DIMESSI/GUARITI” I CASI CON STATUS DI GUARIGIONE NON NOTO E DISTINGUERE LE GUARIGIONI CLINICHE DA QUELLE VIROLOGICHE.

2 aprile 2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

I dati ufficiali sui casi di COVID-19 comunicati in occasione della conferenza stampa quotidiana della Protezione Civile, pubblicati sulla dashboard ufficiale  e sul sito del Ministero della Salute, sono aggregati in tre macro-categorie, la cui somma corrisponde al totale dei casi riportati quotidianamente dal nostro Paese all’Organizzazione Mondiale della Sanità.

  • Attualmente positivi: è la somma dei pazienti “Ricoverati con sintomi”, in “Terapia intensiva” e in “Isolamento domiciliare”.
  • Dimessi/Guariti: è un “contenitore” eterogeneo che include sia pazienti dimessi dall’ospedale (non sempre guariti), sia casi di guarigione clinica o virologica.
  • Deceduti: rimangono in attesa di conferma della causa di morte da parte dell’Istituto Superiore di Sanità che a cadenza bisettimanale pubblica il bollettino epidemiologico.

«In termini di sanità pubblica – afferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – questa classificazione mira a distinguere i casi attivi (totale positivi), che possono contribuire alla diffusione dell’infezione, dai casi chiusi, ovvero i deceduti e i guariti che non possono contagiare altre persone. Se il numero dei casi chiusi è condizionato, nel bene e nel male, dalla qualità dell’assistenza sanitaria, quello dei casi attivi influenza sia le decisioni sanitarie per contenere l’epidemia, sia quelle politiche per l’eventuale rimodulazione delle misure di distanziamento sociale».

Dal monitoraggio GIMBE dei dati pubblici sono emerse alcune incongruenze, relative sia ai trend regionali dei “Dimessi/Guariti”, sia alle definizioni e alle modalità comunicative della Protezione Civile. In particolare, nella dashboard nazionale si rileva una discrepanza tra la denominazione del box “Dimessi/Guariti” e la legenda che riporta “Guariti: totale persone clinicamente guarite”. Inoltre, in calce al report quotidiano, dove vengono riportati i totali del giorno, il dato della colonna “Dimessi/Guariti” viene etichettato come “Totale guariti”.

«Di fronte a queste discrepanze – spiega Cartabellotta – abbiamo deciso di approfondire la questione con ulteriori analisi condotte in collaborazione con YouTrend, progetto digitale di informazione e analisi dati, edito dall'agenzia Quorum».

«Le nostre valutazioni – spiega Lorenzo Pregliasco, co-fondatore di YouTrend – evidenziano una notevole eterogeneità dei dati raccolti dalle Regioni e inviati alla Protezione Civile, vista anche l’assenza di un modello informatizzato univoco. Infatti, i dati sono trasmessi da ciascuna Regione con modalità diverse e i criteri sulla definizione dei casi “Dimessi/Guariti” sono estremamente variabili».

L’analisi effettuata il 1 aprile su 8 Regioni che rappresentano l’85,7% dei casi totali e il 91,6% dei “Dimessi/Guariti” comunicati dalla Protezione Civile (tabella) conferma l’estrema eterogeneità di questo “contenitore” nel quale confluiscono 4 tipologie di casi: pazienti virologicamente guariti (2 tamponi negativi a distanza di 24 ore), pazienti in via di guarigione virologica (primo tampone negativo, in attesa del risultato del secondo), pazienti guariti clinicamente (non sottoposti a tampone), pazienti “dimessi” da un setting ospedaliero senza alcuna informazione sullo stato di guarigione, sia essa clinica o virologica.

«Al fine di sanare questa misclassificazione e garantire la massima trasparenza – aggiunge Pregliasco – è indispensabile uniformare i dati comunicati dalle Regioni alla Protezione Civile, con la diffusione dei dettagli in formato open data per consentire ai ricercatori di effettuare analisi sui dati grezzi e su unità geografiche a livello di provincia e di comune».

Emblematico l’impatto del caso Lombardia. La Regione, infatti, nel bollettino quotidiano non menziona affatto il numero delle guarigioni, ma riporta solo il numero di pazienti dimessi dall’ospedale (o dal pronto soccorso) e inviati in isolamento domiciliare. Tutti questi casi (ieri 11.415, il 68% del totale) confluiscono nei “Dimessi/Guariti” del bollettino nazionale sovrastimando il tasso di guarigione. Infatti, il comunicato stampa giornaliero della Protezione Civile ieri riporta 16.847 persone guarite, dato confermato anche sul sito del Ministero della Salute.

«Al fine di non alimentare un irrealistico senso di ottimismo sul reale andamento dell’epidemia – conclude Cartabellotta – rischiando di affidare le decisioni sanitarie e politiche ad un numero che contiene anche casi ancora attivi, la Fondazione GIMBE chiede al Ministero della Salute e alla Protezione Civile di allineare la comunicazione pubblica ai criteri di guarigione clinica e virologica ribaditi  il 19 marzo dal Comitato Tecnico-Scientifico».

 

Richieste della Fondazione GIMBE al Ministero della Salute e alla Protezione Civile

  • Sostituire definitivamente l’ambigua etichetta “Dimessi/Guariti” con “Guariti”
  • I soggetti con status di guarigione non noto devono essere:
    • esclusi dal contenitore “Dimessi/Guariti”
    • riclassificati come casi attivi in isolamento domiciliare
  • Distinguere i soggetti guariti per:
    • guarigione clinica
    • guarigione virologica

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23 marzo 2020
Coronavirus: allarme operatori sanitari contagiati.A rischio salute pazienti e tenuta sanità

AL 22 MARZO L’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ RIPORTA 4.824 PROFESSIONISTI SANITARI POSITIVI AL CORONAVIRUS, PARI AL 9% DEL TOTALE DEI CASI CONFERMATI. LA FONDAZIONE GIMBE CHIEDE DI ESTENDERE L’ESECUZIONE DEI TAMPONI A TUTTI I PROFESSIONISTI E OPERATORI SANITARI E INVITA L’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ A MODIFICARE E INTEGRARE LE LINEE GUIDA NAZIONALI PER GARANTIRE LA MASSIMA PROTEZIONE DI CHI È IMPEGNATO IN PRIMA LINEA CONTRO L’EMERGENZA CORONAVIRUS.

23 marzo 2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

Secondo i dati diffusi dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), in Italia dall’inizio dell’epidemia sono 4.824 i professionisti sanitari che hanno contratto un’infezione da coronavirus, pari al 9% del totale delle persone contagiate, una percentuale più che doppia rispetto a quella della coorte cinese dello studio pubblicato su JAMA (3,8%). Peraltro, a giudicare dalle innumerevoli narrative e dalla mancata esecuzione dei tamponi a tutti i professionisti e gli operatori sanitari, il numero ufficiale fornito dall’ISS è ampiamente sottostimato.

«Un mese dopo il caso 1 di Codogno – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – i numeri dimostrano che abbiamo pagato molto caro il prezzo dell’impreparazione organizzativa e gestionale all’emergenza: dall’assenza di raccomandazioni nazionali a protocolli locali assenti o improvvisati; dalle difficoltà di approvvigionamento dei dispositivi di protezione individuale (DPI), alla mancata esecuzione sistematica dei tamponi agli operatori sanitari; dalla mancata formazione dei professionisti sanitari all’informazione alla popolazione». Tutte queste attività, inclusa la predisposizione dei piani regionali, erano previste dal “Piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale” predisposto dopo l’influenza aviaria del 2003 dal Ministero della Salute e aggiornato al 10 febbraio 2006. «È inspiegabile – continua il Presidente – che tale piano non sia stato ripreso e aggiornato dopo la dichiarazione dello stato di emergenza nazionale, lo scorso 31 gennaio».

«Inoltre la mancanza di policy regionali univoche sull’esecuzione dei tamponi agli operatori sanitari, conseguente anche al timore di indebolire gli organici – spiega Cartabellotta – si è trasformata in un boomerang letale. Infatti, gli operatori sanitari infetti sono stati purtroppo i grandi e inconsapevoli protagonisti della diffusione del contagio in ospedali, residenze assistenziali e domicilio di pazienti». Per tale ragione la Fondazione GIMBE invita tutte le Regioni, sulla scia di quanto già deliberato in Emilia Romagna e Calabria, a mettere in priorità assoluta l’esecuzione di tamponi a tutti gli operatori sanitari, sia in ospedale, sia sul territorio, con particolare attenzione ai professionisti coinvolti nell’assistenza domiciliare e nelle residenze assistenziali assistite, oltre che in case di riposo.

Riguardo l’elaborazione dei protocolli regionali e locali di protezione degli operatori sanitari, l’ISS ha pubblicato il 14 marzo la seconda versione delle “Indicazioni ad interim per un utilizzo razionale delle protezioni per infezione da SARS-COV-2 nelle attività sanitarie e sociosanitarie (assistenza a soggetti affetti da COVID-19) nell’attuale scenario emergenziale SARS-COV-2” che riprendono quasi interamente le raccomandazioni pubblicate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) il 27 febbraio 2020, senza tenere conto delle più recenti raccomandazioni dell’European Centre for Diseases Prevention and Control e dei Centers for Disease Control and Prevention.

L’analisi GIMBE del documento originale dell’OMS identifica una distorsione di fondo: le raccomandazioni si basano sul presupposto che le scorte mondiali di DPI, in particolare mascherine e respiratori medici, sono insufficienti per fronteggiare l’emergenza pandemica di COVID-19. Al contrario, le linee guida dovrebbero essere basate sulle migliori evidenze scientifiche, lasciando poi ai singoli paesi, la possibilità di definire le priorità in relazione a necessità, disponibilità ed eventuali difficoltà di approvvigionamento.

«Le raccomandazioni nazionali – sottolinea Claudio Beltramello, medico igienista, componente della faculty GIMBE, già collaboratore del Dipartimento Prevenzione e Controllo delle Malattie Infettive dell’OMS –devono indicare gli interventi più efficaci per prevenire l’infezione del personale sanitario. Se esistono difficoltà locali ad attuarle per carenza di DPI, in particolare mascherine chirurgiche e FFP2, è un altro problema. Raccomandare l’utilizzo appropriato dei DPI è fondamentale per garantirli; se invece viene legittimato che in vari scenari a rischio i DPI non servono, sarà meno probabile predisporre un adeguato piano di approvvigionamento».

«Non è accettabile dal punto di vista scientifico ed etico – ribadisce Cartabellotta – “tarare al ribasso” le raccomandazioni nazionali e, a cascata, i protocolli regionali e locali per proteggere gli operatori sanitari, visto che le conseguenze non ricadono solo sulla salute dei professionisti, ma soprattutto su quella dei pazienti, oltre che sulla tenuta del servizio sanitario».

Peraltro il documento dell’ISS contiene raccomandazioni inapplicabili in ambito ospedaliero e/o insufficienti a garantire la massima protezione degli operatori sanitari, che la Fondazione GIMBE invita pertanto a rettificare ed integrare (box). «Le evidenze scientifiche – sottolinea Beltramello – dimostrano che in setting assistenziali le mascherine chirurgiche non proteggono adeguatamente professionisti e operatori sanitari. Infatti, sin dall’inizio dell’epidemia Istituzioni ed esperti indipendenti ribadiscono che la mascherina chirurgica non conferisce sufficiente protezione ai soggetti sani che vengono a contatto con un soggetto infetto».

«Confidiamo – conclude Cartabellotta – che l’Istituto Superiore di Sanità proceda ad una revisione del documento per garantire la massima protezione di professionisti e operatori sanitari, che tutte le Regioni dispongano di effettuare i tamponi a tutti gli operatori in prima linea contro l’emergenza e che la fornitura di mascherine per medici, operatori sanitari e pazienti – annunciata ieri da Domenico Arcuri, commissario straordinario per l’emergenza coronavirus – sia adeguata secondo quanto previsto dalle le migliori evidenze scientifiche».

PROPOSTA DI MODIFICHE AL DOCUMENTO

Rapporto ISS COVID-19 n. 2/2020

“Indicazioni ad interim per un utilizzo razionale delle protezioni per infezione da SARS-COV-2 nelle attività sanitarie e sociosanitarie (assistenza a soggetti affetti da COVID-19) nell’attuale scenario emergenziale SARS-COV-2”

 

AREE DI DEGENZA

Stanza di pazienti COVID-19

  • Per gli operatori sanitari che assistono pazienti con COVID-19, sostituire l’indicazione della mascherina chirurgica con quella FFP2; la mascherina chirurgica può essere un’opzione di seconda scelta solo se anche il paziente è in grado di indossarla, circostanza poco probabile perché molti pazienti ricoverati hanno distress respiratorio.
  • Per gli operatori sanitari che eseguono i tamponi oro-faringei raccomandare la mascherina FFP2. Estendere la raccomandazione anche a setting diversi dalla stanza di degenza dei COVID-19 positivi, visto che il tampone si esegue soprattutto su casi sospetti, che non sono già ricoverati in stanze dedicate.

 

Altre aree di transito e trasporto interno dei pazienti

  • Raccomandare la mascherina chirurgica al personale addetto ai trasporti interni in tutte le aree di transito/reparti e la FFP2 se il transito prevede partenza/arrivo/passaggio in aree COVID-19 positivi.
  • Tutti i pazienti trasportati dovrebbero indossare la mascherina chirurgica, se tollerata, per ridurre il rischio di contagio durante il trasporto.

 

Triage

  • Eliminare o modificare tutte le raccomandazioni che prevedono di mantenere la distanza di un metro, in quanto inapplicabili nelle attività di triage che prevedono il contatto con i pazienti.
  • Pazienti: sostituire “sintomi respiratori” con “sintomi compatibili con infezione da SARS-COV2” (es. febbre e/o tosse e/o mal di gola e/o congiuntivite e/o distress respiratorio).
  • Raccomandare l’uso di mascherine chirurgiche, ad eccezione degli operatori che lavorano dietro al vetro con interfono.
  • Prevedere una raccomandazione specifica per gli operatori che effettuano il triage e la valutazione a diretto contatto con i pazienti, per i quali deve essere indicato l’uso della mascherina FFP2.

 

AMBULATORI OSPEDALIERI E DEL TERRITORIO NEL CONTESTO DI COVID-19

Ambulatori

  • Operatori sanitari: raccomandare l’utilizzo della mascherina FFP2 per gli operatori (es. medici di medicina generale) che visitano pazienti con sintomi sospetti di COVID-19.
  • Pazienti: sostituire “sintomi respiratori” con “sintomi compatibili con infezione da SARS-COV2” (es. febbre e/o tosse e/o mal di gola e/o congiuntivite e/o distress respiratorio).

 

Triage

  • Operatori sanitari: eliminare la raccomandazione di rispettare la distanza di almeno 1 metro in quanto inapplicabile e raccomandare almeno la mascherina chirurgica.
  • Prevedere una raccomandazione specifica per gli operatori che effettuano il triage e la valutazione a diretto contatto con i pazienti, per i quali deve essere indicato l’uso della mascherina FFP2.

 

 

AMBULANZA O MEZZI DI TRASPORTO

Operatori sanitari

  • Indicare FFP2 se si trasportano pazienti con COVID-19; prevedere in alternativa la mascherina chirurgica solo se anche il paziente è in grado di indossarla in quanto stabile, ovvero non si prevede che debba essere tolta durante il trasporto per somministrargli ossigeno o eseguire manovre.

Autisti

  • Raccomandare l’utilizzo della mascherina chirurgica anche in caso di abitacolo separato visto che aiutano a caricare e scaricare i pazienti e la distanza di un metro non può essere garantita. Per gli autisti prevedere una mascherina FFP2 a disposizione nel mezzo da indossare in caso debbano aiutare l’operatore sanitario a gestire una crisi respiratoria di un paziente positivo trasportato.

 

ULTERIORI RACCOMANDAZIONI SUGGERITE

  • In tutte le aree di degenza dove si presuppone che i pazienti siano COVID-19 negativi dovrebbe essere raccomandato l’utilizzo sistematico della FFP2 o, se non disponibile, della mascherina chirurgica da parte di tutti gli operatori sanitari. Infatti, la maggior parte delle epidemie ospedaliere che hanno coinvolto i professionisti sanitari sono partite da unità operative non dedicate a pazienti COVID-19 positivi (es. ginecologia, geriatria, medicina interna, ortopedia, neurologia, etc.). Di conseguenza, è necessario considerare potenzialmente infetto ogni paziente ospedalizzato per altre patologie e prevedere la protezione dei professionisti di aree non COVID-19, secondo il concetto di precauzione universale.
  • In aree geografiche ad elevata endemia sarebbe opportuno prevedere l’uso della mascherina chirurgica per tutti i pazienti che accedono a qualsiasi setting sanitario, sia ospedaliero che territoriale.

 


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18 marzo 2020
Coronavirus 25 giorni dopo: i numeri rispondono ai dubbi degli italiani e esortano l’Europa a non perdere altro tempo

DALLE ANALISI INDIPENDENTI DELLA FONDAZIONE GIMBE SULL’EPIDEMIA DI COVID-19 EMERGONO ALCUNE CERTEZZE: GRAVITÀ E TASSO DI LETALITÀ SONO AMPIAMENTE SOVRASTIMATI PERCHÈ CI SONO ALMENO 100.000 CASI, DI CUI 70.000 NON IDENTIFICATI. I TASSI DI LETALITÀ IN LOMBARDIA ED EMILIA ROMAGNA, PROSSIMI AL 10%, DOCUMENTANO UN SOVRACCARICO DEGLI OSPEDALI. LE REGIONI DEL SUD SONO QUELLE CHE POSSONO BENEFICIARE AL MEGLIO DELLE MISURE DI DISTANZIAMENTO SOCIALE AL FINE DI EVITARE UN DISASTRO SANITARIO. INACCETTABILI I TENTENNAMENTI E RITARDI DI EUROPA E USA CHE DEVONO AFFRONTARE LA STESSA BATTAGLIA DELL’ ITALIA

17 marzo 2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

Dal 21 gennaio 2020 la Fondazione GIMBE alimenta con i dati ufficiali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e della Protezione Civile una dataroom per attività indipendenti di ricerca e divulgazione.

«Abbiamo da sempre ritenuto – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – che le attività di un’organizzazione indipendente finalizzate a informare il Paese sulla salute, l’assistenza sanitaria e la ricerca biomedica possono determinare grandi benefici sociali ed economici. Ecco perché abbiamo convogliato i nostri sforzi su analisi dei dati e comunicazione dell’epidemia da coronavirus».

A poco più di 3 settimane dal primo caso di Codogno, la Fondazione GIMBE risponde con i dati ai quesiti più frequenti e rilevanti di cittadini, decisori, professionisti sanitari e media.

Gravità della COVID-19. Il quadro restituito dai dati ufficiali spaventa gli italiani che percepiscono una patologia molto grave (figura 1). L’aggiornamento del 16 marzo (che non include i dati della Puglia e della Prov. Aut. di Trento), riporta 27.980 casi: 1.851 (6,6%) pazienti in terapia intensiva; 11.025 (39,4%) ricoverati con sintomi; 10.197 (36,4%) in isolamento domiciliare; 2.749 (9,8%) dimessi guariti; 2.158 i decessi (7,7%). «Questa distribuzione di gravità della malattia – spiega il Presidente – appare molto più severa di quella cinese: infatti, lo studio condotto sulla coorte cinese e  pubblicato su JAMA riportava 44.415 casi confermati di cui 81% lievi, 14% severi (ospedalizzati) e 5% critici (in terapia intensiva), con un tasso grezzo di letalità del 2,3%».

Considerato che in Italia i tamponi vengono effettuati prevalentemente sui soggetti sintomatici, la gravità di COVID-19 è ampiamente sovrastimata perché vediamo solo la punta dell’iceberg. «Assumendo una distribuzione di gravità della malattia sovrapponibile a quella delle coorte cinese – spiega Cartabellotta – si può ipotizzare che la parte sommersa dell’iceberg contenga oltre 70.000 casi lievi/asintomatici non identificati». Prendendo in considerazione questi casi, la casistica italiana si “ricompone” riducendo la percentuale di pazienti ricoverati e in terapia intensiva (figura 2), oltre che del tasso di letalità che si riallinea a quello della coorte cinese.

«La sottostima del numero totale dei contagiati – continua il Presidente – se da un lato può attenuare le preoccupazioni sulla gravità della COVID-19, dall’altro non deve in alcun modo fare abbassare la guardia. Tutti dobbiamo essere consapevoli della necessità di rimanere a casa e di applicare rigorosamente tutte le misure di distanziamento sociale imposte dal Governo con l’obiettivo di ridurre la circolazione del virus, di evitare il contagio di altre persone, in particolare di soggetti anziani e fragili, al fine di evitare il sovraccarico degli ospedali».

Tasso di letalità della COVID-19. Oltre che dall’esecuzione dei tamponi prevalentemente ai soggetti sintomatici, viene anche sovrastimato dai soggetti positivi deceduti per altre cause, per i quali si deve attendere la conferma della causa di morte dall’Istituto Superiore di Sanità. In ogni caso, il tasso grezzo di letalità ieri ha raggiunto il 7,7%, con ampie variabilità regionali: in particolare è del 9,8% in Emilia Romagna e 9,7% in Lombardia, rispetto al 4% nelle altre Regioni (figura 3). «Questo dato – spiega Cartabellotta – rappresenta una spia rossa sul sovraccarico degli ospedali, in particolare delle terapie intensive, allineando i numeri alla narrativa di chi lavora in prima linea».

Diffusione del coronavirus in Italia. Il vertiginoso aumento giornaliero dei casi genera un’attesa spasmodica del momento in cui sarà raggiunto il picco. Al di là dei numeri assoluti, bisogna tenere d’occhio l’incremento percentuale dei nuovi casi che, dopo alcuni zig-zag iniziali, nelle ultime 2 settimane si è attestato intorno al 20-25% (figura 4), ovvero ogni 4-5 giorni si è raddoppiato il numero di casi (il dato di ieri del 13% non è definitivo). Tuttavia, le modalità di diffusione dell’epidemia in Italia permettono di identificare 4 “contenitori” con dinamiche differenti: Lombardia; Emilia Romagna e Veneto; Regioni confinanti; tutte le altre Regioni. I 4 “contenitori” hanno un’impennata della curva molto simile, ma ritardata di 4-5 giorni l’uno rispetto all’altro (figura 5). «Se da un lato – spiega il Presidente – il numero di casi limitati nelle “altre Regioni”, prevalentemente del centro-sud, genera un pericoloso e fallace senso di tranquillità, dall’altro rappresenta un grande vantaggio per ridurre la circolazione del virus grazie alle misure di distanziamento sociale che in quelle regioni sarebbero molto più tempestive».

Diffusione del coronavirus in Europa. La recente impennata dei casi in Spagna, Francia, Germania, dimostra che per tutti i paesi europei la battaglia è analoga a quella italiana, con un ritardo di 7-9 giorni (figura 6) «Tutti i paesi hanno avuto la possibilità di giocare d’anticipo – spiega Cartabellotta – avendo già visto il film italiano, ma hanno perseguito politiche attendiste contro un virus che si diffonde alla velocità della luce, e da cui si ritenevano immuni. Considerato che l’efficacia delle misure di distanziamento dipende dalla loro rigorosità, dalla tempestività e dall’aderenza dei cittadini, Europa, Stati Uniti e tutti i paesi del mondo, dovrebbero fare tesoro dell’esperienza (e degli errori) dell’Italia».

Modelli predittivi. Alla domanda “quando finirà?”, purtroppo è impossibile rispondere perché la validità dei modelli predittivi è influenzata da due fattori imprevedibili: la diffusione asincrona del coronavirus tra i vari paesi e l’assenza di un piano pandemico unico in Europa, dove i singoli Paesi stanno adottando differenti modalità di gestione dell’epidemia. «Le conseguenze di questo approccio frammentato – ammonisce il Presidente – sono al contrario piuttosto prevedibili. Innanzitutto, si rischia di vanificare le misure draconiane messe in atto da alcuni paesi (in primis l’Italia), a causa degli inevitabili “casi di rientro”; in secondo luogo, i picchi dell’epidemia avverranno in tempi diversi tra i vari paesi e le conseguenze saranno legate all’efficacia dei vari sistemi sanitari; infine, sarà molto più difficile predisporre misure straordinarie per fronteggiare la recessione economica se i paesi del G7 e del G20 si troveranno disallineati nella gestione dell’epidemia e delle sue conseguenze sui mercati finanziari».

«Nonostante alcuni evitabili ritardi – conclude Cartabellotta – l’Italia è sulla giusta strada per contrastare l’avanzata del coronavirus. Adesso spetta a noi tutti fare i necessari sacrifici individuali per contribuire alla tutela della salute e alla tenuta del nostro insostituibile Servizio Sanitario Nazionale. Serve molta pazienza perché è ragionevolmente certo che i tempi non saranno affatto brevi».


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6 marzo 2020
Coronavirus: le misure di distanziamento sociale sono efficaci per rallentare l’epidemia ed evitare il collasso della sanità

CORONAVIRUS: LE MISURE DI DISTANZIAMENTO SOCIALE SONO EFFICACI PER RALLENTARE L’EPIDEMIA ED EVITARE IL COLLASSO DELLA SANITÀ

IN ASSENZA DI UN VACCINO, LE MISURE DI DISTANZIAMENTO SOCIALE SONO L’UNICA RISPOSTA POSSIBILE ALL’EMERGENZA CORONAVIRUS: ISOLAMENTO DEI MALATI, QUARANTENA DEI SOGGETTI ESPOSTI, TRACCIATURA DEI CONTATTI, CHIUSURA DELLE SCUOLE, MISURE PER GLI AMBIENTI DI LAVORO E DIVIETO DI ASSEMBRAMENTI. DALLA FONDAZIONE GIMBE UNA REVISIONE SISTEMATICA DELLE PROVE DI EFFICACIA DI QUESTI INTERVENTI PER INFORMARE SCELTE POLITICHE, DECISIONI DI AMMINISTRATORI LOCALI E COMPORTAMENTI DEI CITTADINI. LA CHIAVE DEL SUCCESSO? ATTUAZIONE TEMPESTIVA DELLE MISURE ED ELEVATA ADERENZA DA PARTE DELLA POPOLAZIONE.

6 marzo 2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il 4 marzo il Presidente del Consiglio Conte ha firmato un nuovo DPCM che prevede misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza da COVID-19 valide sull’intero territorio nazionale. Misure drastiche e impopolari che hanno subito scatenato il dibattito scientifico e politico: la miccia si è accesa alla notizia che il Comitato Tecnico-Scientifico istituito dalla Protezione Civile avrebbe espresso parere contrario alla sospensione delle attività scolastiche, una misura considerata priva di efficacia in assenza di evidenze scientifiche a supporto.

«Le infezioni da virus influenzali – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – si diffondono prevalentemente tramite stretto contatto nelle comunità e in assenza di un vaccino per il COVID-19 le misure di distanziamento sociale sono l’unica arma a nostra disposizione per contrastare l’epidemia». Queste misure infatti, riducendo la trasmissione del virus, ritardano il picco dell'epidemia, ne riducono l’entità e distribuiscono i casi su un arco temporale più lungo per consentire al sistema sanitario di prepararsi adeguatamente e consentire una migliore gestione dei casi sintomatici (figura).

Per fornire una base scientifica al dibattito in corso, oltre che per informare ulteriori scelte politiche, la Fondazione GIMBE ha tradotto e adattato una revisione sistematica pubblicata lo scorso 2 febbraio sulla rivista dei Center for Disease and Control and Prevention (CDC). La revisione analizza le prove di efficacia relative a sei misure per contrastare le pandemie influenzali: isolamento domiciliare dei malati, quarantena dei soggetti esposti, tracciatura dei contatti, misure relative alle scuole e agli ambienti di lavoro e divieto di assembramenti di persone.

Isolamento domiciliare dei malati: 15 studi documentano un’efficacia moderata nel ridurre la trasmissione e l’impatto dell’epidemia. Presupponendo un’elevata aderenza da parte dei soggetti sintomatici, l'isolamento volontario domiciliare potrebbe essere preferibile rispetto ad altre misure di protezione personale. «Due aree di incertezza sul COVID-19 – spiega il Presidente – condizionano la durata del periodo di isolamento volontario: la durata dell'infettività e l’entità della trasmissione da parte dei casi lievi o asintomatici».

Quarantena dei soggetti esposti: 16 studi documentano un’efficacia moderata nel ridurre la trasmissione e l’impatto dell’epidemia. Tuttavia, identificare tempestivamente i casi e i loro contatti stretti può essere complicato nelle fasi iniziali di un’epidemia e impossibile successivamente. «Peraltro – precisa Cartabellotta – la quarantena solleva rilevanti questioni etiche relative alla libertà di movimento». Di conseguenza, l’auto-quarantena sembra preferibile a quella obbligatoria nella maggior parte degli scenari, ma sulla durata ottimale non esistono evidenze scientifiche.

Tracciatura dei contatti: 4 studi documentano che in associazione con altre misure (es. isolamento e quarantena) può ridurre la diffusione e l’impatto dell’epidemia. «Tuttavia la tracciatura dei contatti apporta benefici marginali a fronte delle risorse necessarie – spiega Cartabellotta – perché dopo la fase iniziale dell’epidemia il numero di casi cresce esponenzialmente in poco tempo». Per questo non esiste un razionale per l'uso routinario della tracciatura dei contatti nella popolazione generale per il contenimento dell’epidemia.

Misure relative alle scuole:

  • Vacanze pianificate: 28 studi dimostrano che la diffusione dell’epidemia si riduce durante il periodo di vacanza, ma può aumentare dopo la riapertura delle scuole
  • Chiusura reattiva delle scuole: 16 studi documentano un’efficacia variabile nel ridurre la diffusione dell’epidemia quando la chiusura viene disposta dopo il verificarsi di focolai influenzali
  • Chiusura preventiva delle scuole: 13 documentano un’efficacia variabile nel ridurre la diffusione dell’epidemia

«Se fortunatamente i bambini non sembrano particolarmente suscettibili al COVID-19 – sottolinea Cartabellotta – la frequenza scolastica svolge un ruolo importante nella diffusione di tutti i virus influenzali a causa di più elevati tassi di contatto tra le persone. Infatti, numerosi studi osservazionali confermano che la trasmissione complessiva dell'influenza nella comunità si riduce quando le scuole sono chiuse». Tuttavia, l’efficacia di questo intervento è condizionata dalla tempestività e dalla durata, talora difficili da definire nel turbine di un'epidemia, tra ritardi informativi e difficoltà nell'interpretazione dei dati di sorveglianza.

Misure relative agli ambienti di lavoro: 18 studi dimostrano un’efficacia variabile nel ridurre la diffusione e l’impatto dell’epidemia. Incentivazione del telelavoro, scaglionamento dei turni, congedi retribuiti, ferie pianificate possono ridurre in parte la trasmissione all'interno della comunità, ma con un effetto minore rispetto alla chiusura delle scuole. 10 studi (tutti di simulazione) sulla chiusura dei luoghi di lavoro dimostrano un’efficacia moderata nel ridurre la trasmissione e l’impatto dell’epidemia. «Considerato che tali misure determinano conseguenze economiche rilevanti – puntualizza il Presidente – occorre identificare attentamente gli ambienti di lavoro a cui applicare gli interventi, stabilire se compensare dipendenti o aziende per eventuali perdite di reddito o produttività e evitare diseguaglianze sociali nelle fasce a basso reddito e tra i lavoratori occasionali».

Divieto di assembramenti: 3 studi documentano un’efficacia moderata nel ridurre la diffusione dell’epidemia, ma solo se l’applicazione è tempestiva e prolungata.

«Le evidenze scientifiche – conclude Cartabellotta – documentano l'efficacia delle misure di distanziamento sociale per ridurre l’impatto delle epidemie influenzali, in particolare quando combinate tra loro. La scelta delle misure di sanità pubblica, oltre che dalla qualità e quantità delle evidenze scientifiche, è condizionata da fattori epidemiologici, geografici, economici e sociali. In ogni caso, la loro efficacia è sempre condizionata da due fattori: attuazione tempestiva ed elevata aderenza da parte di amministratori locali e cittadini».

L’articolo “Efficacia delle misure di distanziamento sociale per contrastare le pandemie influenzali” è disponibile a: www.evidence.it/distanziamento-sociale.


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11 febbraio 2020
Coronavirus: tra numeri ufficiali e incognite vietato abbassare la guardia

LA FONDAZIONE GIMBE ANALIZZA I CASI CONFERMATI DALL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITÀ E CON ALCUNE INFOGRAFICHE OFFRE UN QUADRO AGGIORNATO E COMPLETO A DECISORI, PROFESSIONISTI SANITARI, CITTADINI E MEDIA. AD OGGI L’EPIDEMIA APPARE CONFINATA IN CINA E LA SUA DIFFUSIONE NEL RESTO DEL MONDO È BEN CONTROLLATA: PER OGNI 1.000 CASI IN CINA, 8 NEL RESTO DEL MONDO DI CUI 1 IN EUROPA. SULL’AFFIDABILITÀ DEI NUMERI UFFICIALI PESANO PERÒ ALCUNE INCOGNITE: SOTTOSTIMA DEI CASI IN CINA, ASSENZA DI SEGNALAZIONI DALL’AFRICA PER MANCANZA DEI KIT DIAGNOSTICI, INQUIETANTE SILENZIO DAL SUD-AMERICA. CRUCIALE MANTENERE TUTTE LE MISURE DI MASSIMA PRECAUZIONE PERCHÈ LA TUTELA DELLA SALUTE VIENE PRIMA DI TUTTO.

11 febbraio 2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

L’overdose d’informazioni sul coronavirus, spesso finalizzate alla ricerca della notizia a tutti i costi, distrae dai numeri confermati dalle istituzioni internazionali, oltre che dalle dinamiche di diffusione del virus, gli unici punti di riferimento per le decisioni di sanità pubblica e per l’informazione alla popolazione. Questa asimmetria informativa ha generato una dissociazione tra la minaccia reale dell’epidemia e la sua percezione pubblica, alimentata ogni giorno da notizie irrilevanti, allarmanti, incomplete o imprecise. A ciò si aggiungono anche le discordanti interpretazioni degli esperti di dati ed evidenze scientifiche che aumentano la disinformazione e disorientano la popolazione.

«Per tali ragioni – afferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – abbiamo deciso di pubblicare le nostre analisi sui casi confermati con le relative infografiche per fornire a decisori, professionisti sanitari, cittadini e media un quadro sintetico e completo sui numeri dell’epidemia da coronavirus, che oggi non può essere etichettata come pandemia, visto che non si tratta di un’epidemia di dimensioni globali con focolai in vari paesi anche distanti tra loro».

La Fondazione GIMBE dal 27 gennaio alimenta un database con i dati pubblicati dal report quotidiano dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), integrati con alcuni dettagli del Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (ECDC) per ciò che riguarda l’Europa. «Al fine di facilitare la comunicazione per i non addetti ai lavori – spiega il Presidente – i dati sono stati aggregati per le principali aree geografiche, privilegiando la rilevanza per il nostro Paese rispetto ai dettagli analitici, per i quali si rimanda alle fonti originali». Al 10 febbraio 2020 l’OMS riporta i seguenti dati:

CASI CONFERMATI 40.554 così distribuiti:

  • Cina: 40.235 casi (99,2% del totale) di cui:
    • Provincia di Hubei: 29.631 casi (73,1% del totale)
    • Province confinanti a Hubei: 4.234 casi (10,4% del totale)
    • Altre province: 6.370 casi (15,7% del totale)
  • Resto del mondo: 319 casi (0,8% del totale)
    • Europa: 39 casi (0,1% del totale)
    • Altri paesi: 280 casi (0,7% del totale), di cui la maggior parte nei paesi del Sud-Est asiatico (n. 143) e del Pacifico occidentale (n. 37), oltre che sulla nave Diamond Princess in quarantena al largo delle coste giapponesi (n.67).

«Questi numeri – spiega Cartabellotta – dimostrano che per ogni 1.000 casi confermati in Cina si conta 1 solo caso in Europa e 7 negli altri paesi quasi tutti vicini alla Cina. È evidente che l’affidabilità dei dati dell’OMS è condizionata da alcune incognite oggi non valutabili: verosimile sottostima dei casi in Cina, assenza di segnalazioni dall’Africa per la mancanza di kit diagnostici, silenzio totale dal Sud America».

910 DECESSI, di cui solo 1 fuori dalla Cina, nelle Filippine. «Il tasso grezzo di mortalità – precisa Cartabellotta – è del 2,2%, percentuale maggiore a quella dell’influenza stagionale in Italia, ma indubbiamente sovrastimata perché il numero dei casi in Cina potrebbe essere di gran lunga superiore».

39 CASI CONFERMATI IN EUROPA: Germania (n. 14), Francia (n. 11), Regno Unito (n. 4), Italia (n. 3), Spagna (n. 2), Belgio, Finlandia e Svezia (n. 1). I casi riportati dall’OMS includono anche i 2 della Russia che l’ECDC non conteggia tra quelli europei. 20 dei 39 casi confermati in Europa sono “importati”, ovvero diagnosticati in persone con recente storia di viaggi in Cina, mentre 12/14 in Germania, 5/6 casi in Francia e 2/4 nel Regno Unito sono classificati “contratti localmente”, ovvero in soggetti senza storia di viaggi in Cina. Al momento l’ECDC afferma che, grazie alle misure di contenimento adottate, il rischio di infezione per la popolazione europea rimane molto basso, ma sottolinea le numerose incertezze sulla trasmissione del virus e la verosimile sotto-rilevazione dei casi, in particolare quelli lievi o asintomatici.

«Ad oggi – conclude Cartabellotta – il numero e la distribuzione geografica dei casi accertati confermano che l’epidemia è contenuta in Cina, prevalentemente nella provincia di Hubei, e che la diffusione al resto del mondo è ben controllata, in particolare in Europa dove la “cintura di sicurezza” sta funzionando adeguatamente. Tuttavia, se i dati attestano che non esiste alcun motivo di allarme in Europa e in Italia, le numerose incertezze supportano sia la scelta politica della massima precauzione per tutelare la salute delle persone, sia la necessità per i cittadini di seguire le raccomandazioni del Ministero della Salute, diffidando delle notizie sensazionalistiche perché la paura individuale può alimentare il panico collettivo, oggi molto più pericoloso del coronavirus».

Tutte le infografiche GIMBE sono disponibili a: www.gimbe.org/coronavirus.


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3 febbraio 2020
Overdose di notizie e giostra dei numeri: virus del panico più pericoloso del coronavirus

COMUNICATO STAMPA

OVERDOSE DI NOTIZIE E GIOSTRA DEI NUMERI:
VIRUS DEL PANICO PIÙ PERICOLOSO DEL CORONAVIRUS

LA FONDAZIONE GIMBE CHIEDE AL MINISTRO SPERANZA DI POTENZIARE L’INFORMAZIONE ISTITUZIONALE E CEMENTARE UN PATTO CON ESPERTI E MEDIA AL FINE DI PREVENIRE INUTILI ALLARMISMI PERCHÉ L’IMPATTO DEL PANICO SULLA SANITÀ PUBBLICA RISCHIA DI ESSERE MOLTO PIÙ GRAVE DELL’EPIDEMIA DI CORONAVIRUS, AL MOMENTO BEN CONTROLLATA DALLE MISURE IN VIGORE.  
IL PAESE DEVE FARE SQUADRA PER EVITARE CHE INFORMAZIONI FALSE, IMPRECISE E INCOMPLETE OSCURINO LA COMUNICAZIONE ISTITUZIONALE, AMPLIFICANDO DISINFORMAZIONE E PAURA. INTANTO L’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITÀ LANCIA L’ALLARME INFODEMIA.

3 febbraio 2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

Qual è il numero degli infetti dal nuovo coronavirus? Quanti i morti? Come e da chi si trasmette il virus? Quali sono le misure di prevenzione efficaci? Esiste una terapia? Quando arriverà il vaccino? Tutti alla ricerca spasmodica di informazioni, ma pochi in grado di identificare le ragionevoli certezze in un oceano di fake news in continua espansione, anche per le voci di esperti improvvisati che forniscono ai media informazioni parziali, inaccurate o sensazionalistiche. La diffusione incontrollata delle notizie sui social media amplifica la narrativa della paura, promuove la voce dei fatalisti e alimenta le strumentalizzazioni politiche, innescando un circolo vizioso: più la narrativa si diffonde, maggiore è la richiesta di copertura mediatica e minore la competenza degli esperti coinvolti. E visto che le paure individuali rischiano di trasformarsi in panico collettivo, ieri l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato l’allarme “infodemia” mettendo in guardia dall’eccesso d’informazioni, non sempre accurate, che rende molto difficile alle persone reperire fonti affidabili quando ne hanno bisogno.

«Nell’ultima settimana – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – in particolare dopo la conferma dei due casi in Italia, la popolazione è sempre di più dedita ad uno zapping compulsivo che assorbe informazioni dal web, dalle dichiarazioni spesso contraddittorie di esperti, dai titoli allarmistici di testate giornalistiche, dai social media, sino ai gruppi WhatsApp. E le informazioni false, imprecise e incomplete indeboliscono, sino ad oscurare, la già difficile comunicazione istituzionale».

Quanto sappiamo è che il nuovo coronavirus, a fronte di una elevata contagiosità, ha una mortalità di poco superiore alla normale influenza, malattia che paradossalmente sembra non spaventare affatto, a giudicare dalla bassissima copertura della vaccinazione anti-influenzale in Italia, in particolare nelle fasce a rischio. «È evidente – puntualizza il Presidente – che la distanza tra la minaccia reale e quella percepita genera due focolai diversi: il primo è quello del nuovo coronavirus, il secondo quello delle fake news, la cui velocità di diffusione è di gran lunga superiore».

Peraltro le evidenze scientifiche sono ancora esigue: in data odierna, utilizzando la parola chiave “coronavirus”, a fronte di oltre 850 milioni di risultati restituiti da Google (il motore di ricerca più utilizzato), Pubmed (la principale banca dati biomedica) riporta solo 148 pubblicazioni di cui meno della metà relative al nuovo coronavirus: articoli divulgativi, ricerche di base di esclusivo interesse dei ricercatori, pochi studi clinici che descrivono le caratteristiche di pazienti infetti nella zona di Whuan e segnalazioni, anche su casi singoli, delle modalità di trasmissione del virus.

«L’abisso tra evidenze scientifiche e impatto mediatico – spiega Cartabellotta – dimostra che siamo di fronte al primo scenario di comunicazione sociale in cui un’epidemia convive con la potenza di Internet e la viralità dei social media. Nel novembre 2002, ad esempio, la SARS si muoveva in un mondo senza Facebook e Twitter e il sovraccarico di informazioni tramite il web era di gran lunga inferiore». In tal senso Facebook, Google e Twitter si sono già mobilitate per mettere un freno alla disinformazione sul coronavirus.

«In queste circostanze – continua il Presidente – le responsabilità dei media sono enormi: titoli sensazionalistici sfidano, oscurandoli, i toni pacati delle comunicazioni istituzionali e generano ulteriore paura con il rischio di compromettere le misure di prevenzione della salute pubblica. Infatti, il dilagare della falsa narrativa sul coronavirus erode la fiducia nelle istituzioni, minaccia la comprensione pubblica dei rischi reali e può generare un utilizzo improprio dei servizi sanitari con conseguenze imprevedibili».

In un contesto in cui le evidenze sono ancora limitate, il quadro epidemiologico in continua evoluzione e il rischio di disinformazione elevatissimo, la Fondazione GIMBE invita a fidarsi solo di dati e raccomandazioni istituzionali: in Italia Ministero della Salute e Istituto Superiore di Sanità, a livello internazionale Organizzazione Mondiale della Sanità e il Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie. «Purtroppo – spiega il Presidente – la loro autorevolezza nel diffondere dati ed evidenze viene diluita “a dosi omeopatiche” nell’oceano di persone che comunicano in tempo reale con i loro smartphone».

Ecco perché la Fondazione GIMBE si appella al Ministro Speranza per mettere la comunicazione istituzionale al centro del piano di emergenza per il coronavirus, tramite interventi coordinati per potenziare la circolazione di notizie vere e arginare il più possibile quelle false, incerte e allarmistiche:

  • Garantire l’aggiornamento costante delle informazioni sul sito del Ministero della Salute, in particolare nella sezione delle FAQ, diversificandole per operatori sanitari e cittadini e mantenendole perfettamente allineate con quelle dell’Istituto Superiore di Sanità.
  • Standardizzare le modalità per diffondere tali informazioni a Regioni, ASL e cittadini.
  • Istituire un bollettino ufficiale del Ministero della Salute da diffondere quotidianamente su tutti i canali: web, social media, reti televisive e stampa.
  • Richiamare i giornalisti alla propria deontologia professionale al fine di evitare titoli sensazionalistici e ingiustificati e limitare la pubblicazione di notizie superflue, ma allarmanti.
  • Fare appello alla scienza e coscienza degli esperti che devono evitare da un lato di occultare evidenze in grado di tranquillizzare la popolazione, dall’altro arginare i proclami su scoperte scientifiche senza immediato beneficio per la comunità, ma soprattutto astenersi dalla comunicazione pubblica se non adeguatamente informati sul tema.
  • Invitare tutti al buon senso, per far circolare sui social media esclusivamente informazioni istituzionali, evitando di amplificare in maniera virale quelle francamente distorte o false.

«In questo momento di paura e disorientamento – conclude Cartabellotta – la popolazione deve ricevere solo informazioni valide e aggiornate e il Paese deve fare squadra per evitare che il panico collettivo, faccia più danni del coronavirus. Oggi, infatti, il vero rischio è che persone con banali sintomi influenzali, terrorizzate da una “malattia killer” mandino in tilt pronto soccorsi e ospedali, già messi a dura prova come ogni anno dall’influenza stagionale».

 

Coronavirus: fonti raccomandate

 

Istituzioni nazionali

 

Istituzionali internazionali

 

Riviste internazionali

 


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20 gennaio 2020
Medici in corsia sino a 70 anni: a rischio la sicurezza dei pazienti

PER FRONTEGGIARE LA CARENZA DI PERSONALE IL PATTO PER LA SALUTE 2019-2021 HA PREVISTO LA POSSIBILITÀ PER I MEDICI OSPEDALIERI DI RIMANERE IN CORSIA SINO A 70 ANNI. TUTTAVIA, CONSISTENTI EVIDENZE SCIENTIFICHE DIMOSTRANO CHE QUESTA MISURA RISCHIA DI RIDURRE LA SICUREZZA DEI PAZIENTI E LA QUALITÀ DELL’ASSISTENZA E DI AUMENTARE IL CONTENZIOSO MEDICO-LEGALE. CONSIDERATO CHE QUESTA MISURA DI EMERGENZA DOVREBBE ESSERE CONTENUTA IN UN EMENDAMENTO AD HOC AL MILLEPROROGHE, LA FONDAZIONE GIMBE LANCIA UN APPELLO AL MINISTRO SPERANZA PER INSERIRE NEL TESTO L’OBBLIGO DI UNA PROCEDURA NAZIONALE STANDARDIZZATA PER VALUTARE LE PERFORMANCE FISICHE E COGNITIVE DEI MEDICI CHE OFFRIRANNO LA LORO DISPONIBILITÀ A RIMANERE IN CORSIA SINO A 70 ANNI.

Il Patto per la Salute 2019-2021, approvato lo scorso dicembre da Governo e Regioni, contiene una sezione (Scheda 3. Risorse umane) dedicata a varie misure volte a fronteggiare la carenza di medici e altri professionisti sanitari. Tra gli interventi in grado di garantire un tamponamento immediato dell’emergenza la facoltà, sino al 31 dicembre 2022, per i “medici specialisti, su base volontaria e per esigenze dell’azienda o dell’ente di appartenenza, di permanere in servizio anche oltre il limite di 40 anni di servizio effettivo […] e comunque non oltre il 70° anno di età.”.  Secondo le stime del Ministero della Salute sarebbero almeno 10.000 i medici potenzialmente interessati a questa misura, fortemente criticata da ANAAO, il sindacato più rappresentativo dei medici ospedalieri, anche perché l’attuale età media dei medici in servizio è già tra le più elevate d’Europa.

Al fine di trasformare gli intenti contenuti nel Patto in provvedimenti normativi e accelerarne l’entrata in vigore, le Regioni hanno già chiesto al Ministro Speranza specifici emendamenti al decreto Milleproroghe che possono essere presentati entro le 15 di oggi, 20 gennaio, anche al fine di allineare l’età di uscita dei dirigenti medici a quella dei medici universitari, dei medici di medicina generale e dei pediatri di famiglia, i quali possono già rimanere in servizio sino a 70 anni.

«Se è certo che tale misura non avrà alcun impatto sulla finanza pubblica – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – spiace constatare che, a dispetto della legge 24/2017 sulla sicurezza delle cure,  il dibattito non ha tenuto conto né dei potenziali rischi per i pazienti, né il fatto che i dati di letteratura sulla relazione tra età dei medici e performance professionali sono contrastanti, quando non decisamente allarmanti».

Ad esempio, una revisione sistematica sulla relazione tra qualità dell’assistenza ed anni di carriera condotta su 62 studi e oltre 33.000 medici ha dimostrato che in 15 (25%) degli studi inclusi i medici più anziani hanno performance analoghe o migliori dei più giovani, ma in 32 studi (52%) i medici a fine carriera hanno minori conoscenze cliniche, aderiscono meno alle raccomandazioni delle linee guida ed hanno performance peggiori sull’appropriatezza dei processi preventivi, diagnostici e terapeutici.

«Più in generale – spiega Cartabellotta – anche se i medici sono più resilienti al decadimento fisico e cognitivo legato all’età, robuste evidenze scientifiche dimostrano che con l’aumentare degli anni apportano al contempo benefici e rischi sia ai pazienti, sia all’organizzazione sanitaria». Infatti, se da un lato la cosiddetta “intelligenza cristallizzata”, ovvero la capacità di utilizzare rapidamente conoscenze, abilità ed esperienze acquisite, aumenta dai 40 ai 70 anni, dall’altro l’“intelligenza fluida”, che include bisogno di aggiornamento, velocità di elaborazione dei dati e risoluzione di scenari clinici e problemi insoliti, inizia a declinare molto lentamente a partire dai 40 anni, per ridursi drasticamente dopo i 60-65 anni. Infine, accanto al fisiologico declino cognitivo, gli studi epidemiologici documentano che la malattia di Alzheimer in fase precoce, le patologie cerebro-vascolari silenti ed altre condizioni asintomatiche compromettono un numero sempre crescente di persone, medici inclusi, limitando la consapevolezza dei loro limiti cognitivi.

«Di conseguenza – continua il Presidente – se da un lato va dato atto a Governo e Regioni di aver finalmente messo nero su bianco diverse misure integrate per affrontare la gravissima carenza di personale sanitario, dall’altro questa contromisura d’emergenza richiederebbe una valutazione psico-fisica standardizzata dei medici che intendono avvalersene, al fine di minimizzare i rischi per i pazienti, aumentare la sicurezza delle cure e ridurre il potenziale contenzioso medico-legale».

Peraltro, mentre in Italia la politica è pronta a sdoganare la permanenza dei medici in corsia sino al compimento dei 70 anni, il prestigioso Journal of American Medical Association (JAMA) nel fascicolo del 14 gennaio dedica ben 4 articoli su opportunità e sfide di valutare i medici anziani, sulla loro responsabilità nel mantenere la competence professionale con l’avanzare degli anni, sui risultati dell’utilizzo di una batteria di test neurocognitivi e, soprattutto, sulle best practice che tutti i sistemi sanitari dovrebbero utilizzare per valutare la competence professionale dei medici che hanno superato una certa età.

«Considerato che la sicurezza dei pazienti e la qualità delle cure vengono prima di tutto – conclude Cartabellotta – la Fondazione GIMBE chiede al Ministro Speranza di inserire nell’emendamento al Milleproroghe l’obbligo di una procedura nazionale standardizzata per valutare le performance fisiche e cognitive dei medici che offriranno la loro disponibilità a rimanere in corsia sino a 70 anni, oltre ad un potenziamento del monitoraggio degli eventi sentinella nelle strutture in cui lavoreranno questi professionisti. Esattamente come accade per i piloti che, per garantire la sicurezza dei voli, devono sottoporsi a visita medica almeno una volta l'anno, dopo i 60 anni devono farlo ogni sei mesi e a 65 anni devono improrogabilmente appendere la cloche al chiodo».


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14 gennaio 2020
Ipertensione in gravidanza: frequente e insidiosa, ma sottovalutata

I DISORDINI IPERTENSIVI IN GRAVIDANZA RAPPRESENTANO UN RILEVANTE PROBLEMA DI SALUTE PUBBLICA GESTITO ANCORA IN MANIERA FRAMMENTATA E SUBOTTIMALE, NONOSTANTE LA LORO FREQUENZA E IL RISCHIO DI PREECLAMPSIA CHE PUÒ ANCHE ESSERE FATALE. CRUCIALE IL COINVOLGIMENTO ATTIVO DEI MEDICI DI FAMIGLIA PER ATTUARE ADEGUATE STRATEGIE DI PREVENZIONE E MONITORAGGIO NEL POST PARTUM AL FINE DI RIDURRE IL RISCHIO CARDIOVASCOLARE FUTURO. DALLA FONDAZIONE GIMBE LA VERSIONE ITALIANA DELLE LINEE GUIDA NICE PER LA DIAGNOSI E TERAPIA DELL’IPERTENSIONE IN GRAVIDANZA PER L’AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE E L’INFORMAZIONE ALLE DONNE.

L’ipertensione arteriosa in gravidanza rappresenta un rilevante problema di salute pubblica per donne e neonati, sia per la frequenza (interessa circa il 10% delle donne gravide) sia per la gravità, in quanto – se non correttamente diagnosticata e trattata – può determinare gravi conseguenze per la donna (es. ictus, mortalità materna e aumento del rischio cardiovascolare) e per il neonato (es. basso peso alla nascita, necessità di cure intensive neonatali).

«Di questa patologia si parla relativamente poco – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – spesso affrontando solo la punta dell’iceberg, ovvero la preeclampsia, già nota come gestosi, che complica circa il 5% delle gravidanze». Per massimizzare l’efficacia delle strategie preventive, invece, bisogna prendere in considerazione sia l’ipertensione cronica (diagnosticata prima della gravidanza o entro la 20a settimana di gestazione), sia quella gravidanza-correlata che include ipertensione gestazionale e preeclampsia, condizione a volte fatale. Infatti, il Primo Rapporto sulla sorveglianza della mortalità materna documenta che i disordini ipertensivi della gravidanza sono al secondo posto tra le cause dirette di morte materna nel periodo 2006-2012 e al terzo posto nel periodo 2013-2017.

«Caratteristiche e storia naturale dell’ipertensione in gravidanza – dichiara Cartabellotta – dimostrano che questa condizione, spesso sottovalutata e la cui gestione va oltre il periodo della gravidanza, viene trattata esclusivamente dal team ginecologico. Al contrario, le cure primarie devono giocare un ruolo chiave nella prevenzione, nel trattamento di prima linea e nel monitoraggio in gravidanza e dopo il parto». I medici di famiglia, adeguatamente coinvolti, devono saper gestire adeguatamente questa condizione, ove opportuno indirizzare la donna verso l’assistenza specialistica e monitorarla nel post partum, perché i disturbi ipertensivi in gravidanza aumentano sia il rischio di ipertensione in gravidanze successive, sia quello di patologie cardiovascolari a lungo termine.

«In tal senso è indispensabile un approccio multidisciplinare condiviso tra cure primarie, assistenza specialistica e ospedaliera – continua il Presidente – guidato da percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali (PDTA) basati su linee guida di elevata qualità metodologica». Per tali ragioni la Fondazione GIMBE ha realizzato la sintesi in lingua italiana delle linee guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE), aggiornate a giugno 2019, già pubblicate nella sezione “Buone Pratiche” del Sistema Nazionale Linee Guida, gestito dall’Istituto Superiore di Sanità. Le linee guida NICE formulano raccomandazioni su vari aspetti: dal trattamento dell’ipertensione cronica e gestazionale alle strategie per la diagnosi precoce della preeclampsia e al suo trattamento, inclusa la definizione delle tempistiche di un eventuale parto pre-termine. Inoltre, le linee guida affrontano le conseguenze a lungo termine dell’ipertensione in gravidanza, stimando sia la loro prevalenza in future gravidanze, sia il rischio cardiovascolare complessivo nel corso della vita.

«Le linee guida – puntualizza il Presidente – enfatizzano la necessità di un’adeguata e completa informazione alla donna, con la quale vanno condivise sia le opzioni terapeutiche dell’ipertensione in gravidanza e nel post partum (anche per non compromettere l’allattamento al seno), sia le adeguate strategie di prevenzione per ridurre il rischio di morbilità cardiovascolare a lungo termine».

«Auspichiamo che la versione italiana di queste linee guida del NICE – conclude Cartabellotta – rappresenti un’autorevole base scientifica per la costruzione dei PDTA regionali e locali, per la sensibilizzazione e l’aggiornamento dei professionisti sanitari, oltre che per una corretta informazione delle donne gravide rispetto al rischio di insorgenza di ipertensione e delle sue conseguenze precoci e tardive, e di quelle già ipertese che intendono affrontare una gravidanza».

Le “Linee guida per la diagnosi e la terapia dell’ipertensione arteriosa in gravidanza” sono disponibili a: www.evidence.it/ipertensione-gravidanza.


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18 dicembre 2019
Manovra: per la Sanità ben € 8,5 miliardi dal 2020, ma niente risorse vincolate per il personale e lo sblocco dei nuovi LEA. Cala il silenzio sul finanziamento 2022

LA LEGGE DI BILANCIO ESCE DAL SENATO CON UN “PANIERE” MOLTO RICCO, SEMPRE CHE OGGI GOVERNO E REGIONI RIESCANO A SCRIVERE LA PAROLA FINE ALLA SAGA INFINITA DEL PATTO PER LA SALUTE SBLOCCANDO L’INCREMENTO DI € 3,5 MILIARDI DEL FABBISOGNO SANITARIO NAZIONALE. VA IN SOFFITTA IL SUPERTICKET, ARRIVANO € 2 MILIARDI IN 11 ANNI PER RISTRUTTURAZIONE EDILIZIA E AMMODERNAMENTO TECNOLOGICO, € 879 MILIONI IN 4 ANNI PER DISABILITÀ E NON AUTOSUFFICIENZA E € 157 MILIONI PER OLTRE 1.200 CONTRATTI DI FORMAZIONE SPECIALISTICA. RIMANGONO NEL DIMENTICATOIO SIA LE RISORSE VINCOLATE PER RINNOVI CONTRATTUALI E SBLOCCO DEI NUOVI LEA, SIA LA DEFINIZIONE DEL FABBISOGNO SANITARIO NAZIONALE PER IL 2022.

18 dicembre 2019 - Fondazione GIMBE, Bologna

Dopo il via libera del Senato, la Fondazione GIMBE porta all’attenzione dell’opinione pubblica e della politica un’analisi indipendente delle misure sanitarie e socio-sanitarie contenute nella Legge di Bilancio 2020, al fine di fornire un contributo al dibattito parlamentare conclusivo, anche se difficilmente alla Camera potranno esserci modifiche prima del voto finale. «Fondamentale innanzitutto offrire un prospetto sulle cifre destinate alla sanità sino a fine legislatura – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – perché le dichiarazioni informali che si rincorrono su stampa, TV e social media riportano dati parziali e incompleti e si prestano a strumentalizzazioni politiche».

LEGGE DI BILANCIO 2020
Misure sanitarie e socio-sanitarie al 18/12/2019

MILIONI DI EURO

Stanziati

2020

2021

2022

2023

Aumento del fabbisogno sanitario nazionale standard1

3.500

2.000

1.500

-

 

Abolizione del superticket

1.847

1852

554

554

554

Edilizia sanitaria e ammodernamento tecnologico

2.0003

-

-

100

100

Fondo per la disabilità e la non autosufficienza

829

29

200

300

300

Fondo per la non autosufficienza

504

50

-

-

-

Contratti di formazione specialistica (c. 271)

79,95

5,4

10,9

16,5

22,1

Ulteriori contratti di formazione specialistica (c. 859)

102

25

25

26

26

Assunzioni di medici INPS

21,6

-

7,2

7,2

7,2

Sperimentazione della farmacia dei servizi

50,6

-

25,3

25,3

-

Altre misure

33

-

1 Risorse assegnate dalla Legge di Bilancio 2019 e subordinate alla stipula del Patto per la Salute entro il 31/12/2019

2 L’importo incrementa il fabbisogno sanitario nazionale standard; nel 2020 agli € 185 milioni si aggiungono € 40 milioni del fondo per il superamento del superticket, assegnati dalla Legge di Bilancio 2018

3 Modalità di ripartizione: € 100 milioni per il 2022 e 2023 e € 200 milioni/anno dal 2024 al 2032

4 L’importo incrementa i € 571 milioni del fondo per la non autosufficienza (L. 296/2006)

5 L’importo include i € 25 milioni stanziati per il 2024

  • Fabbisogno sanitario nazionale standard (FSN). Se il testo della Manovra non menziona gli incrementi previsti dal precedente Esecutivo con la Legge di Bilancio 2019, i € 3,5 miliardi per il 2020-2021 rimangono appesi alla stipula del nuovo Patto per la Salute che oggi auspicabilmente dovrebbe vedere la luce. «La Fondazione GIMBE – afferma il Presidente – oltre a lanciare un ultimo appello a Governo e Regioni per la stipula del Patto chiede di mettere nero su bianco il finanziamento per il 2022, su cui al momento la casella sta a zero euro».
  • Abolizione del superticket. Dal 1° settembre 2020 sarà definitivamente abolito l’iniquo balzello applicato dalle Regioni per la compartecipazione alle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale. «Per garantire le coperture – spiega Cartabellotta – il FSN viene aumentato di € 185 milioni per il 2020 e di € 554 milioni annui a decorrere dal 2021. Per il 2020 vengono utilizzati ulteriori € 40 milioni del fondo per il superamento del superticket, stanziato dalla Legge di Bilancio 2018».
  • Programma di edilizia sanitaria e ammodernamento tecnologico. € 2 miliardi in più per il programma pluriennale ma «si tratta di risorse – commenta il Presidente – “spalmate” su 11 anni: le Regioni infatti potranno disporre di € 100 milioni per il 2022 e 2023 e € 200 milioni/anno dal 2024 al 2032». A valere su tale programma anche i € 235,8 milioni destinati ad apparecchiature sanitarie per erogare prestazioni di competenza dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta. «Tuttavia non è chiaro se questo investimento attingerà da quanto già stanziato dalla precedente Legge di Bilancio – precisa Cartabellotta – perché in caso contrario l’importo totale non sarà disponibile prima del 2024».
  • Disabilità e non autosufficienza. Istituito il fondo per la disabilità e non autosufficienza con una dotazione di € 29 milioni per il 2020, € 200 milioni per il 2021 e € 300 milioni dal 2022. «Tali risorse – spiega il Presidente – integrano i € 571 milioni del Fondo nazionale per la non autosufficienza a cui la manovra aggiunge € 50 milioni per il 2020».
  • Contratti di formazione specialistica. Oltre alle risorse già previste dal testo arrivato in Senato, il comma 859 aggiunge ulteriori € 102 milioni. «Complessivamente – commenta Cartabellotta – si tratta di € 182 milioni che permetteranno di stipulare 1.217 contratti di formazione specialistica».
  • Personale sanitario. La Manovra stabilizza i precari, grazie all’estensione della Legge Madia, e i ricercatori di IRCCS e Istituti Zooprofilattici, ma non prevede nessun finanziamento dedicato, a parte i medici INPS, al piano straordinario per le assunzioni più volte annunciato. Gli incrementi retributivi 2019-2021 per il personale dipendente e convenzionato del SSN (1,3% nel 2019, 1,9% nel 2020, 3,5% dal 2021) rimangono a carico dei bilanci regionali. «In altri termini – puntualizza il Presidente – la Manovra non prevede risorse vincolate e spetta alle Regioni reperirle dalla quota di riparto, grazie anche all’innalzamento del tetto di spesa dal 5% al 15% previsto dal Decreto fiscale».
  • Nuovi LEA. Nonostante la bozza del Patto per la Salute preveda di completare l’approvazione del “decreto tariffe” per dare il via libera ai nomenclatori della specialistica ambulatoriale e della protesica, la Legge di Bilancio non stanzia risorse dedicate.
  • Altre misure. La Manovra assegna ulteriori risorse per specifici obiettivi: osservatorio sulla formazione specialistica e definizione del fabbisogno di medici e professionisti sanitari (€ 21 milioni); disposizioni per l’acquisto di sostitutivi del latte materno (€ 7 milioni); ricerca sull’endometriosi (€ 4 milioni), rete nazionale dei registri dei tumori e dei sistemi di sorveglianza (€ 1 milione).

«Pur riconoscendo a Governo e Parlamento un grande impegno per rifinanziare la sanità pubblica – conclude Cartabellotta – le nostre analisi permettono di rivalutare, numeri alla mano, le recenti dichiarazioni del Premier Conte che ha espresso il desiderio di “sforare o sfiorare i 10 miliardi di investimenti sulla salute entro la fine della legislatura”. Infatti, se apparentemente le risorse assegnate dalla Legge di Bilancio 2020 ammontano ad oltre € 8,5 miliardi, bisogna anzitutto ricordare che i € 3,5 miliardi di incremento del FSN, già stanziati dal precedente Esecutivo, non sono formalmente inclusi nella Manovra. In secondo luogo, dei € 2 miliardi per il programma di ristrutturazione edilizia e ammodernamento tecnologico solo € 200 milioni saranno esigibili entro il 2023. Infine, mancano all’appello sia il FSN per il 2022, sia le risorse vincolate ai rinnovi contrattuali, al piano straordinario delle assunzioni per il personale e allo sblocco dei nuovi LEA, pilastri portanti per garantire quell’universalismo tanto caro al Ministro Speranza».


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10 dicembre 2019
Oltre 3,5 milioni di persone con BroncoPneumopatia Cronica Ostruttiva: puntare su prevenzione, diagnosi precoce e coinvolgimento dei pazienti

PER LA BPCO IN ITALIA PREVALENZA IN CONTINUO AUMENTO, OLTRE UN MILIONE/ANNO DI GIORNATE DI RICOVERO OSPEDALIERO E RILEVANTE IMPATTO ECONOMICO. INDISPENSABILE POTENZIARE LA DIAGNOSI PRECOCE E COINVOLGERE ATTIVAMENTE I PAZIENTI PER MIGLIORARE GLI STILI DI VITA ED AUMENTARE L’ADERENZA TERAPEUTICA. DALLA FONDAZIONE GIMBE LA VERSIONE ITALIANA DELLE LINEE GUIDA NICE PER LA DIAGNOSI E TERAPIA DELLA BPCO, CHE PUNTA SU 5 “PILASTRI”: STOP AL FUMO, PIANO PERSONALIZZATO DI SELF MANAGEMENT, VACCINAZIONE ANTI-PNEUMOCOCCICA E ANTINFLUENZALE, TRATTAMENTO DELLE COMORBIDITÀ E RIABILITAZIONE POLMONARE, SE INDICATA.

10 dicembre 2019 - Fondazione GIMBE, Bologna

La broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) è una malattia respiratoria caratterizzata da tosse, produzione di espettorato, difficoltà respiratorie (dispnea) e ridotta resistenza agli sforzi; è frequentemente associata a comorbidità e nelle forme più gravi evolve in enfisema polmonare e insufficienza respiratoria.
I principali fattori di rischio della BPCO sono il fumo di tabacco, quindi l’esposizione a fumi, polveri o irritanti chimici da inquinamento atmosferico, domestico e lavorativo e, in misura minore, le infezioni respiratorie croniche.

Secondo i dati ISTAT, in Italia la BPCO colpisce il 5,6% degli adulti (circa 3,5 milioni di persone) ed è responsabile del 55% dei decessi per malattie respiratorie. Tuttavia, la prevalenza della malattia è verosimilmente più elevata perché la BPCO viene spesso diagnosticata nelle fasi avanzate, spesso in occasione del ricovero ospedaliero per riacutizzazione, mentre le forme iniziali e lievi non vengono diagnosticate.

L’impatto economico complessivo della BPCO sul SSN è molto rilevante, sia per la durata di malattia, sia per il notevole impiego di risorse nelle fasi di riacutizzazione, gestite per lo più con ricoveri ospedalieri. Infatti, il Programma Nazionale Esiti (PNE) riporta per il 2017 un tasso grezzo di ospedalizzazione per BPCO dell’1,94 per mille, per un totale di 109.674 ricoveri ordinari e 3.394 in day hospital che, in base ai dati sulla degenza media del Rapporto annuale 2017 sull’attività di ricovero ospedaliero del Ministero della Salute, corrispondono ad oltre un milione di giornate di degenza ospedaliera. Il PNE documenta inoltre che i pazienti con BPCO riacutizzata hanno un tasso di mortalità a 30 giorni del 9,8% e del 13,45% di riammissioni ospedaliere a 30 giorni, per un totale di 73.222 ricoveri.    

«A fronte dei dati nazionali – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – il PNE documenta notevoli differenze inter- ed intra-regionali relative a tassi di ospedalizzazione, riammissioni ospedaliere a 30 giorni e mortalità ospedaliera. Questo conferma indirettamente l’estrema variabilità della qualità dell’assistenza sia ospedaliera che territoriale». Ecco perché è indispensabile un approccio multidisciplinare condiviso tra assistenza specialistica e cure primarie, oltre a reti clinico-assistenziali integrate tra ospedale e territorio guidate da percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali (PDTA) che devono sempre essere basati su linee guida di elevata qualità metodologica.

Per tali ragioni la Fondazione GIMBE ha realizzato la sintesi in lingua italiana delle linee guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE), aggiornate al luglio 2019, che saranno inserite nella sezione “Buone Pratiche” del Sistema Nazionale Linee Guida, gestito dall’Istituto Superiore di Sanità. Le linee guida NICE, destinate prevalentemente ai professionisti delle cure primarie, in particolare a medici di medicina generale e infermieri, formulano raccomandazioni su vari aspetti della gestione della malattia: dalla diagnosi all’educazione e self management del paziente; dalla terapia inalatoria alla profilassi antibiotica; dall’ossigenoterapia ai criteri per la riduzione chirurgica del volume polmonare. Cinque i “pilastri” del trattamento della BPCO identificati dalla linea guida NICE, da considerare ad ogni visita di controllo ed offrire a tutti i pazienti, ove necessario:

  • Prescrivere un trattamento e fornire supporto per smettere di fumare
  • Condividere un piano personalizzato di self management
  • Effettuare le vaccinazioni anti-pneumococcica ed antinfluenzale
  • Prescrivere la riabilitazione polmonare, se indicata
  • Ottimizzare la terapia delle comorbidità

 

«Fondamentali le raccomandazioni sul coinvolgimento del paziente – puntualizza Cartabellotta – che prevedono sia di fornire un set standardizzato di informazioni scritte, sia di predisporre un piano di azione per prevenire e gestire le riesacerbazioni». Infatti, le evidenze scientifiche dimostrano che, grazie a questi strumenti, i programmi di self management migliorano la qualità della vita e riducono le ospedalizzazioni.

«Auspichiamo che la versione italiana di questa linea guida del NICE – conclude Cartabellotta – rappresenti un’autorevole base scientifica sia per la costruzione dei PDTA regionali e locali, sia per l’aggiornamento dei professionisti sanitari, oltre che per una corretta informazione di pazienti, familiari e caregiver».

Le “Linee guida per la diagnosi e la terapia della broncopneumopatia cronica ostruttiva negli adulti” sono disponibili a: www.evidence.it/BPCO.  


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3 dicembre 2019
Vaccinazione anti-pneumococcica in età pediatrica: il delicato equilibrio tra evidenze, epidemiologia e mercato

UN REPORT INDIPENDENTE DELLA FONDAZIONE GIMBE ANALIZZA SOTTO LA LENTE DELLA VALUE-BASED HEALTHCARE IL CASO DELLA VACCINAZIONE ANTI-PNEUMOCOCCICA IN ETÀ PEDIATRICA. PER GARANTIRE IL MASSIMO RITORNO IN TERMINI DI SALUTE DEL DENARO INVESTITO IN SANITÀ È INDISPENSABILE INTEGRARE LE MIGLIORI EVIDENZE SCIENTIFICHE CON I DATI EPIDEMIOLOGICI, ENTRAMBI IN CONTINUA EVOLUZIONE.

2 dicembre 2019 - Fondazione GIMBE, Bologna

Le malattie invasive batteriche (MIB) hanno un rilevante impatto clinico, organizzativo ed economico sul Servizio Sanitario Nazionale (SSN): lo pneumococco è l’agente più comune di MIB ed è causa delle malattie invasive pneumococciche (MIP), che includono patologie gravi quali meningite e sepsi, o meno gravi come polmoniti, infezioni delle alte vie respiratorie, otiti. Sono noti oltre 90 sierotipi diversi di pneumococco, solo alcuni dei quali sono contenuti nei due vaccini autorizzati per la vaccinazione in età pediatrica (PCV13 e PCV10), offerta gratuitamente dalle Regioni a tutti i nuovi nati.

«La vaccinazione anti-pneumococcica in età pediatrica – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – rappresenta un caso di studio concreto per verificare nel nostro Paese l’applicazione dei princìpi dell’evidence-based healthcare (EBHC), che prevede l’integrazione delle migliori evidenze nelle decisioni che riguardano la salute delle popolazioni  e della value-based healthcare (VBHC), che mira ad ottenere il massimo risultato in termini di salute dalle risorse investite in sanità».

In Italia, nonostante la disponibilità di due vaccini registrati per l’età pediatrica, la scelta delle Regioni è caduta esclusivamente sul PCV13 in ragione della protezione verso un maggior numero di ceppi: una scelta che ha generato di fatto un regime monopolistico rilevato anche dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. «Nel 2018 la Regione Piemonte – spiega Cartabellotta – si è dissociata da questo “pensiero unico” innescando un vespaio di polemiche, strumentalizzazioni politiche oltre che una battaglia legale tra le due aziende produttrici culminata davanti al Consiglio di Stato».

La Fondazione GIMBE ha pubblicato un report indipendente per rispondere a due semplici domande che tutti i decisori dovrebbero porsi: tenendo conto delle evidenze scientifiche e dei dati epidemiologici, la più ampia copertura dei sierotipi del PCV13 rispetto al PCV10 giustifica le Regioni a non considerare equivalenti i due prodotti? Ovvero il potenziale mancato impatto sulle MIP legittima l’esclusione dalle gare del PCV10, con evidenti mancati risparmi dovuti al monopolio di mercato del PCV13?

Il report GIMBE contiene tutte le informazioni necessarie a decisori, professionisti e pazienti per effettuare scelte informate e consapevoli: dalla descrizione delle MIP al quadro normativo vigente; dai dati di sorveglianza nazionale delle MIP ai vaccini disponibili sul mercato; dalle prove di efficacia alle raccomandazioni nazionali e internazionali sulla scelta del vaccino; dall’analisi di evidenze sullo switch da PCV13 a PCV10 alle coperture vaccinali. Il report analizza tutti i documenti istituzionali sul tema, effettua una revisione sistematica della letteratura sulle prove di efficacia dei due vaccini, riporta le raccomandazioni formulate da istituzioni nazionali e internazionali ed analizza i casi di querelle giudiziaria tra le aziende produttrici.  

In sintesi:

  • Dal punto di vista teorico, e in misura marginale da evidenze di immunogenicità, la “miglior protezione disponibile” nei confronti dello pneumococco sembrerebbe offerta dal PCV13, che include tre sierotipi in più del PCV10. In altre parole, basandosi esclusivamente sul principio di precauzione, la scelta delle Regioni parrebbe obbligata. In realtà, il presupposto che i 3 sierotipi aggiuntivi del PCV13 riducano l’incidenza delle MIP non è dimostrato da studi testa a testa tra i due vaccini. Pertanto, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, l’efficacia di PCV10 e PCV13 nel ridurre l’overall burden delle MIP, secondo il recente statement dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, è assolutamente comparabile.
  • La mancata corrispondenza tra numero di sierotipi aggiuntivi del PCV13 e prevenzione delle MIP è dovuta a numerosi fattori non sempre noti: variabile circolazione dei sierotipi; efficacia dei due vaccini per ciascun sierotipo; durata della protezione; protezione crociata (cross protection); capacità di indurre protezione indiretta (herd immunity); fenomeno del rimpiazzo (replacement) dei sierotipi; quadri clinici di MIP non sottoposti a sorveglianza o di difficile diagnosi eziologica.
  • Sulla scelta del vaccino mancano prese di posizione nette da parte delle Istituzioni:
    • Il Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale 2017-2019 raccomanda “il raggiungimento della massima protezione possibile in relazione al profilo epidemiologico prevalente e alla diffusione dei ceppi”: se da un lato dunque raccomanda implicitamente il PCV13, dall’altro contestualizza la raccomandazione ai sierotipi circolanti.
    • Il Ministero della Salute afferma che entrambi i vaccini sono sicuri ed efficaci nei confronti dei sierotipi riportati nelle specifiche schede tecniche; propone il concetto di ““accettabile vaccinoprofilassi”, che prevede la considerazione del contesto epidemiologico e il monitoraggio dei sierotipi circolanti; affida a Regioni e Province autonome sia la gestione dei capitolati destinati all’acquisto dei vaccini, sia la definizione dei criteri da inserire nei bandi di gara per l’approvvigionamento.
    • L’AIFA continua a non prendere alcuna posizione.
  • Il monitoraggio epidemiologico dei sierotipi circolanti è cruciale per l’EBHC, in quanto a parità di evidenze scientifiche, le Regioni potrebbero trovarsi ad effettuare scelte differenti: in particolare, la scelta del PCV10 deve essere giustificata da una condizione epidemiologica locale di assente o ridotta circolazione dei sierotipi 3 e 19A e accompagnata da un costante monitoraggio per eventuali azioni correttive della strategia vaccinale. Monitoraggio necessario anche per confermare la scelta del PCV13, perché indicazioni e strategia d’uso dei vaccini devono essere periodicamente rivalutate per aumentare il value for money.
  • Qualsiasi forma di monopolio in sanità limita i controlli sul fornitore, aumenta i costi e riduce il ritorno in termini di salute del denaro investito. Di conseguenza, a fronte di una documentata bassa prevalenza dei sierotipi aggiuntivi del PCV13, la decisione di indire una gara tra i due prodotti concretizza l’applicazione dei princìpi della VBHC, permettendo attraverso la competizione di ridurre i costi di acquisto e reinvestire le risorse recuperate in altri interventi di sanità pubblica (es. fornitura gratuita di vaccino anti-meningococco, istituzione di anagrafe vaccinale regionale, etc.).

«La Fondazione GIMBE – conclude Cartabellotta – auspica che le analisi indipendenti del report rappresentino la base per un costruttivo confronto scientifico e di politica sanitaria che deve inevitabilmente tener conto sia delle numerose aree di incertezza sulla vaccinazione anti-pneumococco in età pediatrica, sia della variabilità che caratterizza questo batterio».

Il report dell’Osservatorio GIMBE “La vaccinazione anti-pneumococcica in età pediatrica” è disponibile a: http://www.gimbe.org/vaccinazione-antipneumococcica


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27 novembre 2019
Sanità: inaccettabili diseguaglianze regionali nell’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza 2010-2017

L’ANALISI GIMBE ATTESTA UNA PERCENTUALE CUMULATIVA 2010-2017 DI ADEMPIMENTI REGIONALI AI LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA DEL 73,7% CON UNA FORBICE ESTREMAMENTE AMPIA: DAL 92,5% DELL’EMILIA ROMAGNA AL 53,9% DELLA CAMPANIA. OVVERO, SE I PUNTEGGI DELLA “GRIGLIA LEA” RAPPRESENTANO L’INDICATORE UFFICIALE PER MONITORARE L’EROGAZIONE DELLE PRESTAZIONI, NEL PERIODO 2010-2017 IL 26,3% DELLE RISORSE ASSEGNATE DALLO STATO ALLE REGIONI NON HA PRODOTTO SERVIZI PER I CITTADINI. GIMBE INVOCA UN RADICALE CAMBIO DI ROTTA PARALLELO ALL’IMPLEMENTAZIONE DEL NUOVO SISTEMA DI GARANZIA CHE DAL 2020 SOSTITUIRÀ LA GRIGLIA LEA, PERCHÉ IL DIRITTO ALLA TUTELA DELLA SALUTE NON PUÒ PIÙ ESSERE LEGATO AL CAP DI RESIDENZA DELLE PERSONE.

27 novembre 2019 - Fondazione GIMBE, Bologna

Ogni anno il Ministero della Salute pubblica il documento “Monitoraggio dei LEA attraverso la cd. Griglia LEA” per verificare l’effettiva erogazione delle prestazioni sanitarie che le Regioni devono garantire ai cittadini. Per le Regioni considerate inadempienti e sottoposte a Piano di rientro, il Ministero della Salute prevede uno specifico affiancamento nell’ambito dei rispettivi programmi operativi.

«Il nostro Osservatorio – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – rileva ormai da anni che la griglia LEA si è progressivamente “appiattita” e non è uno strumento adeguato per verificare la reale erogazione delle prestazioni sanitarie e la loro effettiva esigibilità da parte dei cittadini». Infatti, le già modeste capacità dello strumento nel “catturare” gli inadempimenti per numero limitato di indicatori e modalità di rilevazione (autocertificazione delle Regioni) si sono progressivamente ridotte sia per la stabilità della griglia (indicatori e soglie non hanno subìto negli anni rilevanti variazioni e non vengono modificati dal 2015), sia per l’invarianza della soglia di adempimento (per essere “promosse” alle Regioni è sufficiente raggiungere 160/225 punti).

«In altre parole, dal 2008 – continua il Presidente – lo Stato certifica l’erogazione regionale delle prestazioni con uno strumento sempre meno adeguato per valutare la qualità dell’assistenza sanitaria. Infatti, a fronte dei risultati dell’ultimo monitoraggio (2017) che documenta un trend dei punteggi LEA in progressivo aumento dal 2012 e identifica come inadempienti solo Calabria e Campania, numerosi report indipendenti nazionali e internazionali attestano invece un peggioramento della qualità dell’assistenza, in particolare secondo la prospettiva del cittadino/paziente».

Considerato che Governo e Regioni sono impegnati nella stesura del nuovo Patto per la Salute, dove Piani di rientro e commissariamenti rappresentano uno dei nodi più critici da sciogliere, la Fondazione GIMBE rende disponibili i risultati preliminari dello studio “Adempimenti LEA 2008-2017” avviato con l’obiettivo di valutare le performance regionali negli ultimi 10 anni. Rispetto ai metodi:

  • Sono stati analizzati i 10 monitoraggi annuali del Ministero della Salute pubblicati dal 2008 al 2017.
  • Dal report preliminare sono stati esclusi gli anni 2008 e 2009 che richiedono analisi complesse attualmente in corso; pertanto, i risultati sono relativi al periodo 2010-2017, 8 anni durante i quali ciascuna Regione poteva raggiungere un punteggio massimo di 1.800.
  • Utilizzando i dati regionali relativi a ciascun indicatore e la griglia di attribuzione dei punteggi disponibili nei monitoraggi ministeriali, sono stati calcolati per gli anni 2010-2016 i punteggi per le Regioni non sottoposte a verifica degli adempimenti (Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Valle D’Aosta, Province autonome di Trento e di Bolzano) e per tutte le Regioni per gli anni 2010-2011 per cui il Ministero non riporta il punteggio totale, ma solo lo status adempiente/non adempiente.
  • Le “percentuali di adempimento” delle 21 Regioni e Province autonome sono state calcolate come rapporto tra punteggio cumulativo ottenuto nel periodo 2010-2017 e punteggio massimo raggiungibile.
  • Non sono stati considerati criteri e soglie per rinviare le Regioni al Piano di rientro, sia perché modificate nel tempo, sia per evitare bias di interpretazione.
  • La classifica finale è stata elaborata secondo le percentuali cumulative di adempimento 2010-2017 e suddivisa, attraverso la definizione dei quartili, in quattro gruppi.


Dall’analisi degli adempimenti LEA 2010-2017 (tabella) è possibile trarre alcune considerazioni:

  • La percentuale cumulativa di adempimento delle Regioni è del 73,7% (range 53,9-92,2%): in altri termini, se i punteggi rappresentano l’indicatore ufficiale per monitorare l’erogazione dei LEA, il 26,3% (range 7,8-46,1%) delle risorse assegnate dallo Stato alle Regioni nel 2010-2017 non ha prodotto servizi per i cittadini. Interessante rilevare che la percentuale di mancato adempimento relativa al 2017 (18,7%) è simile alla stima di sprechi e inefficienze (19%) dell’ultimo Rapporto GIMBE sulla sostenibilità del SSN.
  • Il trend 2010-2017 documenta un aumento progressivo della percentuale di adempimento: dal 64,1% del 2010 all’81,3% del 2017, un miglioramento inevitabilmente sovrastimato per il fenomeno di “appiattimento” della griglia LEA sopra descritto.
  • Regioni e Province autonome non sottoposte a verifica degli adempimenti hanno performance peggiori di quelle sottoposte a verifica, ma con trend di miglioramento molto differenti: in particolare, se Friuli-Venezia Giulia e Provincia autonoma di Trento hanno raggiunto elevate percentuali di adempimento, le performance di Valle D’Aosta e soprattutto di Sardegna e Provincia autonoma di Bolzano sono allineate a quelle delle Regioni in Piano di rientro.
  • Solo 11 Regioni superano la soglia di adempimento cumulativo del 75% e, ad eccezione della Basilicata, sono tutte situate al Centro-Nord, confermando sia la “questione meridionale” in sanità, sia la sostanziale inefficacia dei Piani di rientro nel migliorare l’erogazione dei LEA.

 

«Questa valutazione pluriennale – commenta Cartabellotta – fornisce numerosi spunti per definire le regole di implementazione del Nuovo Sistema di Garanzia che, salvo ulteriori ritardi, dovrebbe mandare in soffitta la griglia LEA dal gennaio 2020». Infatti, se il nuovo strumento è stato sviluppato per meglio documentare gli adempimenti regionali, oltre a mettere in atto strategie per prevenirne il progressivo “appiattimento”, è necessario utilizzarlo per rivedere interamente le modalità di attuazione dei Piani di rientro e permettere al Ministero di effettuare “interventi chirurgici” selettivi sia per struttura, sia per indicatore, evitando di paralizzare con lo strumento del commissariamento l’intera Regione. 

«In un momento storico per il SSN – conclude Cartabellotta – in cui il Ministro Speranza ha ripetutamente dichiarato che l’articolo 32 è il faro del suo programma di Governo, i dati del nostro report parlano chiaro.  Senza una nuova stagione di collaborazione politica tra Governo e Regioni e un radicale cambio di rotta per monitorare l’erogazione dei LEA, sarà impossibile ridurre diseguaglianze e mobilità sanitaria e il diritto alla tutela della salute continuerà ad essere legato al CAP di residenza delle persone».

Tabella adempimenti LEA 2010-2017

La mappa delle performance


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18 novembre 2019
Patto per la Salute: stop al braccio di ferro tra Governo e Regioni perché la Sanità rischia di perdere 3,5 miliardi

LA FONDAZIONE GIMBE ESORTA GOVERNO E REGIONI A SIGLARE AL PIÙ PRESTO IL PATTO PER LA SALUTE, AL QUALE SONO LEGATE LE RISORSE ASSEGNATE ALLA SANITÀ PER IL 2020-2021. DA 11 MESI DI STERILE CONFRONTO ISTITUZIONALE EMERGONO L’ETERNO CONFLITTO GOVERNO-REGIONI, INTERESSI DELLE REGIONI SEMPRE PIÙ CONFLITTUALI E LA PREOCCUPAZIONE DEL MEF PER LA TENUTA DEI CONTI. FATTI E DATI DIMOSTRANO, IN OGNI CASO, CHE È TEMPO DI MANDARE IN SOFFITTA UNO STRUMENTO FALLIMENTARE DI PROGRAMMAZIONE SANITARIA E TERRENO DI CONTINUO SCONTRO POLITICO A CUI NON PUÒ ESSERE AFFIDATA LA TUTELA DELLA SALUTE.

18 novembre 2019 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il Patto per la Salute è l’accordo finanziario e programmatico tra Governo e Regioni per la gestione del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), la cui stipula costituisce quest’anno per la prima volta conditio sine qua non per garantire l’incremento di risorse per la sanità pubblica (€ 2 miliardi nel 2020 e ulteriori € 1,5 miliardi nel 2021) come sancito dall’ultima Legge di Bilancio. La scadenza per la stipula del Patto, fissata al 31 marzo 2019, è poi slittata al 31 dicembre.

«Bisogna avere l’onestà intellettuale e politica di riconoscere – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – che il Patto per la Salute è uno strumento anacronistico per varie ragioni. Innanzitutto, l’arco temporale di riferimento (3 anni) è troppo breve; in secondo luogo, la sua durata reale è sempre inferiore a quanto programmato e l’obiettivo di rinnovarlo ogni tre anni viene spesso disatteso per la scadenza dei mandati elettorali; infine, non essendo di fatto sottoposto ad alcun monitoraggio, finisce per avere un impatto residuale sull’organizzazione dei servizi sanitarie sostanzialmente nullo sulla salute delle persone, perché la maggior parte delle misure concordate rimangono inattuate».

L’analisi indipendente della Fondazione GIMBE (box) dimostra che Governo e Regioni hanno bruciato quasi 11 mesi senza una tabella di marcia ben definita e con continui cambi di rotta, senza riuscire a siglare un Patto che per la prima volta condiziona l’incremento delle risorse che, se dovessero malauguratamente andare in fumo, farebbero precipitare nel baratro il SSN.

«I fatti documentano senza appello – spiega il Presidente – che il Patto per la Salute non è che un terreno di acceso scontro politico, non solo per la storica difficoltà di sintonizzare le priorità di Governo e Regioni, ma soprattutto per l’impossibilità di allineare sulla salute delle persone gli interessi divergenti e conflittuali delle varie Regioni. Infatti, gli orientamenti partitici, le istanze di regionalismo differenziato, l’incolmabile gap Nord-Sud e la variabile penetrazione del privato accreditato rendono impossibili accordi unanimi, facendo largo a compromessi e mediazioni. Infine, dopo l’abolizione della clausola di salvaguardia finanziaria fortemente voluta dai Ministri Grillo e Speranza, l’occhio vigile del MEF vuole evitare che alcuni accordi mettano a rischio l’equilibrio finanziario delle Regioni».

Per tali ragioni la Fondazione GIMBE esorta Governo e Regioni a:

  • Siglare al più presto e senza ulteriori indugi il Patto per la Salute: i tempi sono ormai strettissimi e la posta in gioco è troppo alta.
  • Modificare l’orizzonte temporale del Patto per la Salute 2019-2021 in 2020-2022, allineandolo a quello della Legge di Bilancio 2020, al fine di assegnare anche le risorse per il 2022.
  • Avviare una riflessione costruttiva sulla necessità di una profonda revisione del Patto per la Salute, ripartendo dalla denominazione anacronistica, dai contenuti inappropriati, visto che si tratta di un contenitore di volta in volta riempito in maniera strumentale, dall’orizzonte temporale troppo breve per una adeguata programmazione sanitaria, dalle inesistenti modalità di monitoraggio e verifica.

«Non è più accettabile – conclude Cartabellotta – affidare la tutela della salute ad un documento che, a dispetto della denominazione, configura un terreno di continuo scontro politico, alimenta compromessi sempre più al ribasso delegittimando le Istituzioni ed è di provata inefficacia sulla sanità e soprattutto sulla salute. Per non parlare delle conseguenze che vengono scaricate, oltre che su aziende sanitarie e professionisti, su pazienti e famiglie delle fasce socio-economiche più deboli, in particolare al Centro-Sud, rendendo evanescente il ruolo della Repubblica, che dovrebbe tutelare la nostra salute proprio tramite una leale collaborazione Governo-Regioni».

 

Verso la stipula del Patto per la Salute 2019-2021: cronistoria di un’odissea

1 gennaio - 5 settembre 2019: Ministro Giulia Grillo

  • 13 febbraio. Le Regioni definiscono la cornice politico-istituzionale per la stesura del Patto al fine di un primo confronto con la Ministra, che tuttavia non si presenta al primo incontro ufficiale del 27 febbraio.
  • 14 marzo. La Ministra invia al presidente della Conferenza delle Regioni Bonaccini una contro-proposta, bocciata senza appello perché giudicata “invasiva”.
  • 16 aprile. Nel secondo incontro ufficiale Governo e Regioni abbandonano l’ipotesi di una cornice politico-istituzionale, dando via libera ai tavoli tecnici.
  • 22 maggio. La Ministra convoca 11 gruppi di lavoro per la stesura del Patto: LEA e Piani di rientro, risorse umane, mobilità sanitaria, Enti vigilati, governance farmaceutica e dei dispositivi medici, investimenti, reti strutturali di assistenza territoriale sociosanitaria, fondi integrativi, modelli previsionali, ricerca, efficienza e appropriatezza utilizzo fattori produttivi.
  • 27 maggio. La bozza del Patto finisce sotto i riflettori per la clausola di salvaguardia che rischia di vanificare le risorse assegnate dalla Legge di Bilancio: le Regioni si irrigidiscono, recuperando poi la sintonia con la Ministra sulla necessità di abolire la clausola.
  • 8-10 luglio. Il Ministero della Salute organizza la “Maratona Patto per la Salute”, kermesse per raccogliere le proposte di tutti gli stakeholder della sanità.
  • 17 luglio. La Ministra Grillo davanti alle Commissioni Affari Sociali della Camera e Igiene e Sanità del Senato dichiara che «le interlocuzioni con Regioni e Province autonome stanno proseguendo per arrivare ad […] un Patto per la Salute che restituisca alla sanità centralità nelle politiche del Paese».

Dal 5 settembre a oggi: Ministro Roberto Speranza.

  • 19 settembre. Luigi Icardi, neo-coordinatore della Commissione sanità delle Regioni, dichiara che «Sul Patto abbiamo ingranato la quinta […] e siamo già al 90% del lavoro […] con l’obiettivo di portare le nostre proposte all’attenzione della Conferenza delle Regioni del 26 settembre».
  • 25 settembre. Il Ministero invia alle Regioni un documento suddiviso in 15 schede tematiche, da cui viene definitivamente eliminata la clausola di salvaguardia finanziaria. Ma il Patto per la Salute non risultava tra i punti all’ordine del giorno del 26 settembre della Conferenza delle Regioni.
  • 2 ottobre. Le Regioni accolgono positivamente il documento, concordando sulla volontà di chiudere il testo entro ottobre.
  • 10 ottobre. Governo e Regioni stabiliscono di posticipare la scadenza per la stipula del Patto al 31 dicembre.
  • 24 ottobre. Il Ministro Speranza di fronte alle Commissioni congiunte Affari Sociali della Camera e Igiene e Sanità del Senato dichiara che «Ci sono le condizioni per dare un'accelerazione nelle prossime settimane e arrivare nel più breve tempo possibile all'approvazione di questo documento strategico».
  • 26 ottobre. Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Fiscale che sancisce lo slittamento della stipula Patto per la Salute al 31 dicembre 2019.
  • 30 ottobre. Rispetto all’impianto generale del Patto, ormai chiuso, il MEF esprime perplessità sul nuovo sistema di Piani di rientro e commissariamenti e sulla flessibilità dei tetti di spesa per il personale sanitario.
  • 13 novembre. Il Ministro Speranza esclude stralci del testo da parte del MEF con cui conferma una interlocuzione positiva e costruttiva.

 

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11 novembre 2019
GIMBE: nasce l’Osservatorio mondiale sulle evidenze scientifiche per il futuro della ricerca e della sanità

PER UNA RICERCA REALMENTE FINALIZZATA A MIGLIORARE LA SALUTE DELLE PERSONE E LA SOSTENIBILITÀ DEI SISTEMI SANITARI, LA FONDAZIONE GIMBE HA LANCIATO IL PROGETTO “GLOBEE”. L’OBIETTIVO È MONITORARE PUBBLICAZIONE, IMPLEMENTAZIONE E IMPATTO DEGLI STANDARD INTERNAZIONALI REALIZZATI PER OTTIMIZZARE PRODUZIONE, SINTESI E TRASFERIMENTO DELLE EVIDENZE SCIENTIFICHE ALLA PRATICA PROFESSIONALE, ALLE POLITICHE SANITARIE E ALLE SCELTE DEI PAZIENTI.

11 novembre 2019 - Fondazione GIMBE, Bologna

La 9a edizione della International Conference for Evidence-based Healthcare Teachers and Developers, (Taormina, 6-9 novembre 2019) organizzata dalla Fondazione GIMBE, ha riunito in Italia oltre 200 tra i massimi esperti mondiali provenienti da 33 paesi di tutti i continenti per discutere delle sfide che deve affrontare l’ecosistema delle evidenze scientifiche.

«Analogamente agli ecosistemi presenti in natura – ha esordito Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – l’ecosistema delle evidenze scientifiche è influenzato da tre componenti: gli esseri viventi, ovvero gli innumerevoli attori della sanità e della ricerca con le loro competizioni, collaborazioni e conflitti di interesse; i fattori ambientali, ossia le determinanti sociali, culturali economiche e politiche; la componente non vivente, ovvero le evidenze scientifiche attraverso i processi di produzione, sintesi e trasferimento alle decisioni professionali e di politica sanitaria e alle scelte di cittadini e pazienti».

«Al di là dei sofismi metodologici – ha ribadito il Presidente – il fine ultimo dell’evidence-based healthcare (EBHC) consiste nel migliorare la salute delle popolazioni, la sostenibilità dei servizi sanitari e le esperienze dei pazienti, integrando a tutti i livelli le migliori evidenze scientifiche nelle decisioni che riguardano la salute delle persone. Purtroppo, la produzione, la sintesi e il trasferimento delle evidenze scientifiche, i tre pilastri che reggono l’intero ecosistema, sono “erosi” da molteplici criticità e le loro interazioni non sono ben armonizzate». Cartabellotta, oltre a rilevare gli interessi commerciali che condizionano la ricerca, ha analizzato le criticità che oggi mettono in crisi l’intero movimento dell’EBHC:

  • Produzione delle evidenze. Dalle innumerevoli aree di incertezza dove gli studi mancano o sono di scarsa qualità e/o conflittuali agli sprechi nella conduzione e pubblicazione della ricerca, classificati in 5 aree: definizione delle priorità; disegno, conduzione e analisi; regolamentazione e gestione; accessibilità; completezza e usabilità.
  • Sintesi delle evidenze. Dalla proliferazione “epidemica” di inutili revisioni sistematiche prodotte solo per aumentare il numero di pubblicazioni, a linee guida metodologicamente inadeguate, spesso duplicate sulle stesse patologie/condizioni e incapaci di prendere in considerazione la multi-morbidità.
  • Trasferimento delle evidenze. I consistenti gap tra le migliori evidenze disponibili e pratica professionale, politiche sanitarie e scelte dei pazienti condizionano negativamente la sostenibilità dei servizi sanitari, lo stato di salute delle popolazioni e le esperienze dei pazienti. Infatti, ingenti risorse vengono sprecate per sovra-utilizzo di interventi sanitari (farmaci, test diagnostici, dispositivi) inefficaci e inappropriati, sotto-utilizzo di quelli efficaci e appropriati e inadeguato coordinamento dell’assistenza, in particolare tra ospedale e cure primarie, determinando esiti di salute non ottimali e esperienze negative dei pazienti.

«Se è vero che negli ultimi 20 anni – ha spiegato Cartabellotta – la letteratura metodologica internazionale ha prodotto numerosi standard e strumenti per migliorare i processi di produzione, sintesi e implementazione delle evidenze, la loro qualità è molto variabile e non si conosce il loro impatto reale. Ma soprattutto, manca una visione globale sull’ecosistema delle evidenze scientifiche».

Ecco perché la Fondazione GIMBE ha lanciato il progetto GLOBEE (GLobal OBservatory on Ecosystem of Evidence), un osservatorio mondiale in cui saranno coinvolte tutte le organizzazioni internazionali impegnate nel migliorare i tre pilastri dell’ecosistema delle evidenze scientifiche «con l’obiettivo – ha spiegato il Presidente – di rilevare i bisogni, tracciare la pubblicazione e monitorare implementazione e impatto di tutti gli standard internazionali finalizzati a migliorare produzione, sintesi e trasferimento delle evidenze».

«I più autorevoli esperti mondiali nel campo dell’EBHC – conclude Cartabellotta – hanno espresso grande entusiasmo e massima disponibilità a collaborare con la Fondazione GIMBE per il lancio di GLOBEE. E soprattutto hanno condiviso che, in un momento caratterizzato dalla crisi dell’EBHC è indifferibile sia orientare al miglioramento della salute pubblica i processi di produzione e sintesi della ricerca, sia favorire un adeguato trasferimento delle migliori evidenze alla pratica professionale, alle politiche sanitarie ed alle decisioni di cittadini e pazienti».

La Fondazione GIMBE invita a manifestare il proprio interesse ad essere coinvolti nel progetto a: www.globee.online.


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5 novembre 2019
Manovra 2020: per la sanità luci e ombre, ma è buio pesto su personale e sblocco dei nuovi LEA

ANALISI GIMBE DEL TESTO DELLA LEGGE DI BILANCIO INVIATO ALLE CAMERE: IMPLICITAMENTE CONFERMATI I 3,5 MILIARDI DI AUMENTO DEL FABBISOGNO SANITARIO NAZIONALE PER IL 2020-2021, MA NESSUN CENNO ALLE RISORSE PER IL 2022. RILEVANTE INVESTIMENTO DI ULTERIORI € 2 MILIARDI PER EDILIZIA SANITARIA E AMMODERNAMENTO TECNOLOGICO, IN PARTE DESTINATI ALLA DOTAZIONE DI APPARECCHIATURE DEL MEDICO DI FAMIGLIA. BENE ELIMINAZIONE SUPERTICKET, MA PER GARANTIRE L’UNIVERSALISMO VOLUTO DAL MINISTRO SPERANZA, GOVERNO E PARLAMENTO DEVONO SBLOCCARE I NUOVI LEA. GRANDE ASSENTE DALLA MANOVRA IL RILANCIO DELLE POLITICHE PER IL PERSONALE SANITARIO, NONOSTANTE LE ENORMI CRITICITÀ CHE PARALIZZANO LA SANITÀ PUBBLICA.

5 novembre 2019 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il testo della Legge di Bilancio 2020 approda in Parlamento con buone nuove per la sanità pubblica: implicitamente confermati i € 3,5 miliardi di aumento del fabbisogno sanitario nazionale (FSN) standard per il biennio 2020-2021, eliminazione del superticket, aumento di € 2 miliardi per il programma di ristrutturazione edilizia e ammodernamento tecnologico, in parte destinati alla dotazione tecnologica dei medici di famiglia. Ma è realmente tutto oro quello che luccica? «Al fine di favorire il dibattito parlamentare – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – oltre che il confronto tra Governo e Regioni al fine della stipula del Patto per la Salute, la Fondazione GIMBE ha realizzato un’analisi indipendente degli investimenti previsti per la sanità nella Legge di Bilancio 2020». Dall’analisi sono escluse le misure finalizzate al recupero di risorse (rimodulazione detrazioni fiscali, sugar tax, accise tabacchi, etc.) che non necessariamente saranno reinvestite in sanità.

Fabbisogno sanitario nazionale (FSN) standard 2020-2022. Il testo della manovra non menziona gli aumenti previsti dalla Legge di Bilancio 2019, ovvero € 2 miliardi nel 2020 e € 1,5 miliardi nel 2021. «Un incremento di € 3,5 miliardi in due anni – puntualizza Cartabellotta – rappresenta un grande risultato, tenendo conto che nel periodo 2010-2019 il FSN è aumentato di soli € 8,8 miliardi». Tali risorse, tuttavia, rimangono appese al filo del Patto per la Salute 2019-2021 la cui stipula, con scadenza slittata dal 31 marzo al 31 dicembre, sembra ancora in alto mare: il MEF è infatti molto scettico su due punti che hanno trovato la convergenza di Ministero della Salute e Regioni: il superamento di Piani di rientro e commissariamenti e la maggiore flessibilità dei tetti di spesa per il personale. «Oltre a sollecitare Governo e Regioni ad accelerare la stipula del Patto – rileva il Presidente – la Fondazione GIMBE chiede di mettere nero su bianco il finanziamento del FSN per il 2022 e richiamare esplicitamente gli incrementi 2020-2021».

Il testo della Legge di Bilancio 2020 prevede risorse finalizzate a specifici obiettivi:

  • Eliminazione del superticket. Dal 1° settembre 2020 sarà abolito l’iniquo balzello applicato dalle Regioni per la compartecipazione alle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale. Per garantire le coperture il FSN standard viene aumentato di € 185 milioni per il 2020 e di € 554 milioni annui a decorrere dal 2021. «Il Ministro Speranza – commenta il Presidente – ha finalmente portato a casa un risultato storico per ridurre le diseguaglianze, anche se il processo di riduzione/eliminazione del superticket era già stato avviato da alcune Regioni».
  • Programma di ristrutturazione edilizia e ammodernamento tecnologico. Aumenta di € 2 miliardi il fondo per il programma pluriennale. «Riconoscendo l’impegno del Governo – commenta Cartabellotta – è bene precisare che tali risorse non saranno immediatamente disponibili: ad esempio, i € 4 miliardi messi sullo stesso piatto dalla precedente Legge di Bilancio saranno distribuiti alle Regioni durante un arco temporale che si estende sino al 2033».
  • Apparecchiature sanitarie dei medici di medicina generale. € 235,8 milioni del fondo per la ristrutturazione edilizia e l’ammodernamento tecnologico saranno destinati ad apparecchiature sanitarie per erogare prestazioni di competenza dei medici di medicina generale. «Si tratta – spiega il Presidente – di un segnale storico per il rilancio delle cure primarie nella gestione dei pazienti cronici, anche se l’efficacia di questo investimento per ridurre le liste di attesa è un’avvincente ipotesi tutta da dimostrare. Inoltre, per massimizzarne il ritorno, l’investimento dovrebbe essere accompagnato da misure normative, contrattuali, organizzative e formative. Infine, opportuno rilevare che rispetto ai test diagnostici di primo livello (elettrocardiogramma, spirometria, etc.), eseguibili in qualsiasi ambulatorio, gli innovativi sistemi di tele-assistenza, di per sé efficaci, rischiano di rimanere sottoutilizzati in assenza adeguate infrastrutture, formazione di professionisti e pazienti».
  • Fondo per la disabilità e la non autosufficienza. Istituito per “finanziare interventi finalizzati al riordino e alla sistematizzazione delle politiche di sostegno alla disabilità”, prevede una dotazione di € 50 milioni per il 2020, € 200 milioni per il 2021 e € 300 milioni dal 2022. «Vista la parziale sovrapposizione nella denominazione – commenta Cartabellotta – sarebbe opportuno sia esplicitare che queste risorse vanno ad integrare il Fondo nazionale per la non autosufficienza che oggi ammonta a circa € 570 milioni, sia specificarne meglio la destinazione d’uso».
  • Rinnovi contrattuali 2019-2021. L’art. 13 incrementa le risorse a carico dello Stato da destinare alla contrattazione collettiva nazionale per il triennio 2019-2021 con incrementi retributivi (1,3% nel 2019, 1,9% nel 2020, 3,5% dal 2021) per il personale della Pubblica Amministrazione. Invece, per il personale dipendente e convenzionato del SSN gli oneri rimangono carico dei bilanci delle relative amministrazioni ed enti. «Traducendo il politichese – puntualizza il Presidente – non esistono risorse dedicate per i rinnovi contrattuali del personale sanitario e le Regioni dovranno reperirle dal FSN».

I grandi assenti. Restano fuori dalla manovra alcune rilevanti priorità per la tenuta del SSN.

  • Personale sanitario. A fronte del grave impoverimento del capitale umano della sanità pubblica, il testo della manovra non contiene alcun investimento dedicato né per i rinnovi contrattuali, né per lo sblocco del turnover secondo i parametri fissati dal Decreto Calabria, né prevede l’incremento del numero delle borse di specializzazione.
  • Nuovi LEA. A quasi 3 anni dalla pubblicazione del DPCM 12 gennaio 2017 continua l’assordante silenzio sulla mancata esigibilità dei nuovi LEA: i nomenclatori tariffari relativi a specialistica e protesica restano “ostaggio” del MEF per mancata copertura finanziaria, impedendo l’esigibilità delle nuove prestazioni nella maggior parte delle Regioni. Le stime per la copertura oscillano tra € 800 milioni (Ragioneria Generale dello Stato) e € 1.600 milioni (Conferenza Regioni e Province autonome).
  • Fondi per i farmaci innovativi. Nel testo della manovra non c’è traccia del rinnovo dei due fondi destinati a farmaci innovativi e innovativi oncologici, ciascuno di € 500 milioni. «Vero è – precisa Cartabellotta – che la Legge di Bilancio 2017 istituiva i fondi senza definirne alcuna scadenza, ma dopo il primo triennio è opportuno che la manovra metta nero su bianco la conferma con i relativi capitoli di bilancio (quota premiale vs FSN)».

«Nonostante il seducente vestito confezionato per la sanità – conclude Cartabellotta – il testo della Legge di Bilancio sbarca in Parlamento con incertezze e ambiguità. Dalla mancata esplicitazione dell’incremento del FSN per il 2020-2021 all’omessa definizione delle risorse per il 2022; dal silenzio sui fondi per i farmaci innovativi all’istituzione di un Fondo per “disabilità e non autosufficienza” senza precisare che integra quello esistente. Riguardo alla tutela dell’universalismo, grande merito al Ministro Speranza di aver definitivamente eliminato il superticket: tuttavia, visto che l’articolo 32 della Costituzione rappresenta il faro del suo programma è indispensabile che Governo e Parlamento lo supportino, vincolando almeno € 1 miliardo per sdoganare i “nuovi LEA” e soprattutto, concretizzando un rilancio delle politiche per il personale sanitario che non hanno diritto di cittadinanza nel testo della manovra».


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29 ottobre 2019
Agenzia Italiana del Farmaco: serve un cambio di rotta per designare chi gestisce oltre 29 miliardi l’anno

IN OCCASIONE DELLA PROSSIMA NOMINA DEL NUOVO DIRETTORE GENERALE DELL’AIFA, LA FONDAZIONE GIMBE CHIEDE AL MINISTRO SPERANZA DI RENDERE PUBBLICI SIA IL PROFILO DELLE COMPETENZE, SIA LE PROCEDURE E I CRITERI DI VALUTAZIONE UTILIZZATI PER SCEGLIERE UN PLENIPOTENZIARIO CHE DEVE GARANTIRE LA GOVERNANCE DEL FARMACO TRA INNOVAZIONE, ETICA E SOSTENIBILITÀ. GIMBE INVITA INOLTRE A PRENDERE ATTO CHE, DOPO 15 ANNI, È OPPORTUNO AVVIARE UNA DISCUSSIONE PIÙ AMPIA PER MODIFICARE IL REGOLAMENTO SU ORGANIZZAZIONE E FUNZIONAMENTO DELL'AIFA, INCLUSI I CRITERI DI NOMINA DEL DIRETTORE GENERALE.

29 ottobre 2019 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il 24 ottobre il Ministero della Salute ha pubblicato un avviso pubblico per la manifestazione di interesse per l’incarico di direttore generale dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), certificando che il Ministro Speranza ha avviato lo spoils system che porterà alla sostituzione di Luca Li Bassi entro il prossimo 9 dicembre. Modalità che ricalcano quelle inaugurate dall’ex Ministra Giulia Grillo che pubblicò un identico avviso per sostituire l’allora direttore Mario Melazzini.

«Il direttore generale dell’AIFA – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – è una figura chiave per la sostenibilità e l’innovazione farmaceutica del Servizio Sanitario Nazionale: infatti se da un lato gestisce la quota di spesa sanitaria più elevata, visto che il mercato dei farmaci vale più di € 29 miliardi di cui oltre € 22 di spesa pubblica, dall’altro il Regolamento sull'organizzazione ed il funzionamento dell'AIFA (DM 245/2004) ne fa una figura plenipotenziaria che, oltre ai poteri di rappresentanza legale dell’Ente, mantiene tutti quelli di gestione e direzione delle attività».

Se la normativa prevede che sia il Ministro della Sanità a nominare il direttore generale dell’AIFA, «rispetto alla nomina fiduciaria – puntualizza Cartabellotta – l’avviso pubblico di manifestazione di interesse lanciato da Giulia Grillo è stato un primo passo verso la trasparenza, anche se la successiva procedura di selezione è stata assolutamente opaca». Infatti, prima della selezione è stato pubblicato solo il numero di richieste pervenute (93) e solo dopo la nomina di Luca Li Bassi sono stati resi noti i 3 esperti che hanno selezionato la rosa dei candidati più adatti al ruolo. Al contrario, i metodi con cui gli esperti hanno valutato i curricula e le motivazioni della decisione della Ministra Grillo di proporre Li Bassi alla Conferenza delle Regioni e Province autonome sono rimasti nell’ombra.

«Peraltro, a fronte dell’enorme complessità dell’AIFA – continua Cartabellotta – i requisiti richiesti per ricoprirne il ruolo di direttore generale sono troppo generici e non è mai stato definito un profilo di competenze specifiche». Infatti, l’art. 10 del DM 245/2004 indica criteri talmente minimalisti da lasciare massima discrezionalità nella scelta: diploma di laurea specialistica e, molto genericamente, “qualificata e documentata competenza ed esperienza sia sul piano tecnico-scientifico nel settore dei farmaci, sia in materia gestionale e manageriale”.

Un minimalismo che stride, ad esempio, con l’ultima call della Commissione Europea per la nomina del direttore esecutivo della European Medicines Agency (EMA), che include una descrizione molto analitica delle competenze richieste: dall’esperienza in funzione dirigenziale alle conoscenze tecniche, dalle capacità di comunicazione e negoziazione ai requisiti formali, sino ai criteri di indipendenza e conflitto di interessi. Ma soprattutto descrive minuziosamente il processo che porta alla selezione dei candidati e quindi alla nomina del direttore esecutivo da parte della Commissione Europea.

«Considerate le enormi criticità nella governance della spesa farmaceutica – precisa Cartabellotta – la delicata gestione dei rapporti con l’industria, l’indifferibile revisione del prontuario, l’esigenza di conciliare sostenibilità e innovazione, l’insolita “doppia veste” di agenzia regolatoria e di health technology assessment, la necessità di rilanciare l’informazione indipendente sui farmaci e di potenziare la ricerca indipendente, è indubbio che la selezione del direttore generale dell’AIFA debba avvenire su basi meritocratiche in assenza di conflitti di interesse». Ecco perché sarebbe opportuno rendere pubblici, prima della nomina, sia una descrizione analitica delle competenze richieste, sia le procedure e i criteri di valutazione che porteranno il Ministro alla scelta fiduciaria di una figura che nel 2018 ha gestito oltre € 22 miliardi di spesa pubblica.

«Certi che il Ministro Speranza – conclude Cartabellotta – sceglierà la figura più idonea, la Fondazione GIMBE da un lato chiede di rendere il processo di nomina più esplicito e trasparente, dall’altro rileva che il DM 245/2004 ha ormai fatto il suo tempo. Dopo 15 anni è dunque necessario avviare una discussione più ampia sulla necessità di modificarlo, in particolare rispetto alle modalità di conferimento dell’incarico di direttore generale, sia perché il ruolo dell’AIFA è profondamente mutato, sia perché la riforma degli enti vigilati è nell’agenda del nuovo Patto per la Salute».


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15 ottobre 2019
Un milione di pazienti con scompenso cardiaco: riorganizzare l’assistenza per ridurre ricoveri e mortalità

L’IDENTIKIT DELLO SCOMPENSO CARDIACO IN ITALIA DOCUMENTA UNA PREVALENZA IN CONTINUO AUMENTO, TASSI DI OSPEDALIZZAZIONE ALLE STELLE RISPETTO AD ALTRE MALATTIE CRONICHE, MORTALITÀ ELEVATA ED IMPATTO ECONOMICO MOLTO RILEVANTE. INDISPENSABILE SPOSTARE L’ASSE DELL’ASSISTENZA SUL TERRITORIO CON NUOVI MODELLI ORGANIZZATIVI CHE INTEGRANO TEAM SPECIALISTICI E DI CURE PRIMARIE, COINVOLGENDO ATTIVAMENTE I PAZIENTI PER AUMENTARE L’ADERENZA TERAPEUTICA E MIGLIORARE GLI STILI DI VITA. DALLA FONDAZIONE GIMBE LA VERSIONE ITALIANA DELLE LINEE GUIDA NICE PER LA DIAGNOSI E TERAPIA DELLO SCOMPENSO CARDIACO CRONICO DESTINATE A MEDICI DI FAMIGLIA, INFERMIERI, OLTRE CHE A PAZIENTI FAMILIARI E CAREGIVER.

15 ottobre 2019 - Fondazione GIMBE, Bologna

Lo scompenso cardiaco cronico costituisce un problema di salute pubblica sempre più rilevante perché, a causa dell’invecchiamento della popolazione e dei progressi terapeutici nell’ambito delle malattie cardiovascolari, il numero dei malati è in costante aumento. In Italia si stimano circa 1 milione di pazienti con scompenso cardiaco, pari all’1,7% della popolazione, con circa 90.000 nuovi casi all’anno. La prevalenza della malattia aumenta di circa il 2% per ogni decade di età sino a raggiungere almeno il 10% nei pazienti over 70. Lo scompenso cardiaco cronico è gravato da un elevato tasso di mortalità: circa il 10% dei pazienti muore in occasione del primo ricovero ospedaliero, oltre il 25% decede entro un anno dalla diagnosi e circa la metà entro 5 anni; inoltre, quasi il 60% viene re-ospedalizzato entro un anno dal primo ricovero.

Secondo il Rapporto annuale 2017 sull’attività di ricovero ospedaliero del Ministero della Salute, lo scompenso cardiaco è la prima causa di ricovero per malattie non chirurgiche: 176.254 dimissioni con una degenza media di 9,2 giorni, un totale di 1.626.769 giornate di degenza e una remunerazione teorica di oltre € 527 milioni. A questi si aggiungono 6.331 ricoveri in regime di riabilitazione con una degenza media di 19,9 giorni, un totale di 131.956 giorni di ricovero e 14.638 accessi in regime diurno. Il tasso di ospedalizzazione è di gran lunga superiore a quello di tutte le altre malattie croniche: 312 per 100.000 abitanti nei pazienti maggiorenni e 1.052 per 100.000 abitanti negli over 65, con ampie variabilità regionali che documentano una notevole eterogeneità della presa in carico territoriale.

L’impatto economico della malattia è enorme: secondo i dati dell’Osservatorio ARNO pubblicati nel 2015 un paziente con scompenso cardiaco costa quasi € 12.000 euro l’anno di cui l’85% assorbito dal ricovero ospedaliero, il 10% dai farmaci e il 5% dalle prestazioni specialistiche.

«I dati del Programma Nazionale Esiti – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – documentano in questi pazienti range molto ampi dei tassi di re-ospedalizzazione e della mortalità a 30 giorni, confermando indirettamente l’estrema variabilità della qualità dell’assistenza sia ospedaliera che territoriale. Ecco perché è indispensabile sia un approccio multidisciplinare condiviso tra assistenza specialistica e cure primarie, sia reti clinico-assistenziali integrate tra ospedale e territorio guidate da percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali (PDTA) che devono sempre essere basati su linee guida di elevata qualità metodologica».

Per tali ragioni la Fondazione GIMBE ha realizzato la sintesi in lingua italiana delle linee guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE), aggiornate al settembre 2018, che saranno inserite nella sezione “Buone Pratiche” del Sistema Nazionale Linee Guida, gestito dall’Istituto Superiore di Sanità. Le linee guida NICE sono destinate prevalentemente ai professionisti delle cure primarie, in particolare a medici di medicina generale e infermieri, formulando raccomandazioni su vari aspetti della gestione della malattia: diagnosi, approccio multidisciplinare, sviluppo del piano assistenziale, terapia farmacologica, monitoraggio dei pazienti, consigli su stili di vita e programmi di riabilitazione, sino alle cure palliative. Le linee guida sono corredate di due flow chart per guidare l’approccio diagnostico e quello terapeutico.

«II dati epidemiologici – puntualizza Cartabellotta – quelli provenienti dal real world e le evidenze scientifiche suggeriscono che per la gestione dei pazienti con scompenso cardiaco è indispensabile puntare su modelli organizzativi a gestione extra-ospedaliera, efficaci nel migliorare la qualità di vita e nel ridurre la mortalità e le re-ospedalizzazioni, i cui costi rischiano di diventare insostenibili per la sanità pubblica». In tal senso, le linee guida NICE puntano sulla riorganizzazione territoriale dei servizi grazie ad una stretta collaborazione tra un team multiprofessionale specializzato e un team di cure primarie, definendone le specifiche responsabilità.

«I pazienti con scompenso cardiaco – continua il Presidente – possono essere ospedalizzati oppure assistiti in setting specialistici in occasione di riacutizzazioni e “restituiti” alle cure primarie una volta stabilizzati. Considerato che spesso presentano comorbidità rilevanti (ipertensione, diabete, broncopneumopatia cronica ostruttiva, etc.), gestire tutte le informazioni è un processo complesso con ruoli e responsabilità non sempre chiari». Ecco perché le linee guida NICE raccomandano di redigere e aggiornare periodicamente piani assistenziali personalizzati e strutturati da condividere con pazienti, familiari e caregiver oltre che con tutti i professionisti coinvolti nell’assistenza. «Tutto ciò – precisa Cartabellotta – senza trascurare gli interventi sugli stili di vita: dalla necessità di ridurre consumo di sali e apporto di liquidi, ai programmi riabilitativi personalizzati basati sull’esercizio fisico con obiettivi ben definiti e adeguatamente monitorati».

«Auspichiamo che la versione italiana di questo documento del NICE – conclude Cartabellotta – rappresenti un’autorevole base scientifica sia per la costruzione dei PDTA regionali e locali, sia per l’aggiornamento dei professionisti sanitari, oltre che per una corretta informazione di pazienti, familiari e caregiver».

Le “Linee guida per la diagnosi e la terapia dello scompenso cardiaco cronico negli adulti” sono disponibili a: www.evidence.it/scompenso-cardiaco.  


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9 ottobre 2019
Cronicità e invecchiamento: non può esistere assistenza sanitaria senza assistenza sociale

LA FONDAZIONE GIMBE HA PRESENTATO AL CONGRESSO NAZIONALE FIMMG UN REPORT CHE ANALIZZA LA SPESA SOCIALE DI INTERESSE SANITARIO CHE NEL 2017 SFIORA I 42 MILIARDI DI EURO. CONSIDERATO CHE L’IMPATTO COMPLESSIVO DELLA SPESA DELLE FAMIGLIE PER LA LONG-TERM CARE SUPERA I 12 MILIARDI, OLTRE IL SOMMERSO, PER UNA GESTIONE OTTIMALE DI CRONICITÀ, MULTIMORBIDITÀ E INVECCHIAMENTO DELLA POPOLAZIONE È INDISPENSABILE RIVEDERE LE MODALITÀ DI FINANZIAMENTO, ORGANIZZAZIONE, EROGAZIONE E MONITORAGGIO DELL’ASSISTENZA SOCIO-SANITARIA CON L’OBIETTIVO DI DEFINIRE, NEL MEDIO TERMINE, UN FABBISOGNO SOCIO-SANITARIO NAZIONALE.

9 ottobre 2019 - Fondazione GIMBE, Villasimius (CA)

La Fondazione GIMBE ha presentato oggi al 76° Congresso Nazionale FIMMG-METIS nella sessione “Tendenze demografiche e nuove povertà” un report che analizza la spesa sociale di interesse sanitario, in larga parte riconducibile al grande contenitore della long term care (LTC) e stimata per il 2017 in quasi € 42 miliardi. Il Presidente Nino Cartabellotta ha enfatizzato che le attuali modalità di finanziamento, organizzazione, erogazione e monitoraggio dell’assistenza socio-sanitaria sono inadeguate e che per la gestione di invecchiamento, cronicità e multimorbidità è indispensabile gettare presto le basi per un servizio socio-sanitario nazionale, al fine di pervenire nel medio termine un fabbisogno socio-sanitario nazionale.

«La salute e la qualità di vita delle persone – esordisce il Presidente– sono condizionate, oltre che dall’assistenza sanitaria, anche da tutte le prestazioni sociali finalizzate a soddisfare i bisogni legati a patologie e condizioni che determinano non solo disabilità, ma anche limitazioni funzionali o parziale non-autosufficienza. Tali prestazioni sono in larga parte riconducibili al grande contenitore della LTC».

La spesa sanitaria per LTC include l’insieme delle prestazioni sanitarie erogate a persone non autosufficienti che, per senescenza, malattia cronica o limitazione mentale, necessitano di assistenza continuativa. Secondo i conti ISTAT-SHA nel 2017 questa spesa ammonta a € 15.511 milioni: € 11.757 milioni (75,8%) di spesa pubblica, € 3.618 milioni (23,3%) a carico delle famiglie e € 136 milioni (0,9%) di spesa intermediata.

«Se formalmente – continua Cartabellotta – i livelli essenziali di assistenza dovrebbero essere integralmente coperti dalla spesa pubblica, tutte le forme di assistenza socio-sanitaria (domiciliare, territoriale, residenziale e semiresidenziale) vengono finanziate prevalentemente dalla spesa sociale di interesse sanitario. In altre parole, i servizi assistenziali destinati alla LTC escono dal perimetro della spesa sanitaria, sfuggendo a tutte le analisi che non considerano la spesa sociale di interesse sanitario».

Considerato che tra i punti del “Piano di Salvataggio del SSN” elaborato dalla Fondazione GIMBE rientra “Costruire un servizio socio-sanitario nazionale, perché i bisogni sociali condizionano la salute e il benessere delle persone”, è fondamentale integrare la spesa sanitaria con la quella sociale di interesse sanitario, che il report GIMBE stima per il 2017 in € 41.888, così ripartiti:

  • Fondo Nazionale per la non autosufficienza: € 513,6 milioni
  • Fondi regionali per la non autosufficienza: € 435,5 milioni, importo riferito alla sola Regione Emilia Romagna per impossibilità di reperire i dati di altre Regioni
  • INPS: € 27.853,4 milioni che includono pensioni di invalidità previdenziale (€ 8.475,9 milioni), le prestazioni assistenziali (€ 13.802 milioni per indennità di accompagnamento e € 3.524,3 milioni per pensioni agli invalidi civili) e i permessi retribuiti (€ 2.051,2 milioni)
  • Comuni: € 3.977 milioni per prestazioni in denaro e natura
  • Famiglie: la stima della spesa diretta ammonta a € 9.109 milioni che includono i servizi regolari di badantato (€ 5.009 milioni) e i costi indiretti per mancato reddito dei caregiver (stimabili in € 4.100 milioni). Le stime della spesa per le badanti irregolari (compresa tra € 6.185,9 e € 9.776,4 milioni) non sono state incluse nel computo totale.

«Se l’assistenza sanitaria – puntualizza il Presidente – configura un sistema di prestazioni in natura, la spesa sociale per la LTC è quasi interamente rappresentata da erogazioni in denaro senza vincolo di destinazione, né sottoposte ad alcuna verifica. Di conseguenza, sfuggendo a qualsiasi meccanismo di governance pubblica, è impossibile stimare il ritorno in termini di salute di questi investimenti pubblici. D’altro canto, senza considerare il sommerso, l’impatto complessivo della LTC sulle famiglie supera i € 12,2 miliardi di euro».

Al fine di avviare un dibattito pubblico sulla complessa integrazione tra assistenza sociale e sanitaria la Fondazione GIMBE fornisce nel report alcune raccomandazioni perché tale integrazione può migliorare gli esiti di salute, ottimizzare l’uso del denaro pubblico e preparare il SSN alle ardue sfide che lo attendono. In particolare, è necessario potenziare e formare adeguatamente le risorse umane, implementare tecnologie informatiche innovative e introdurre nuovi modelli di finanziamento, dove decisori politici, responsabili della programmazione sanitaria, professionisti sanitari e operatori sociali devono attuare un gioco di squadra perché tutti rivestono un ruolo primario.

«Evidenze scientifiche e dati dal real world – conclude Cartabellotta – dimostrano che non può esistere assistenza sanitaria senza assistenza sociale: di conseguenza è indispensabile avviare una profonda revisione delle modalità attuali di finanziamento, organizzazione, erogazione e monitoraggio dell’assistenza socio-sanitaria, al fine di integrare la spesa sanitaria con quella sociale e pervenire, nel medio termine, alla definizione di un fabbisogno socio-sanitario nazionale».

La versione integrale del Report “La spesa sociale di interesse sanitario nel 2017” è disponibile all’indirizzo web: www.gimbe.org/spesa-sociale-2017


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2 ottobre 2019
Verso la manovra 2020: per sostenere la Sanità belle parole, ma nessun rilancio del finanziamento pubblico

L’ANALISI GIMBE DELLA NOTA DI AGGIORNAMENTO DEL DEF 2019 DOCUMENTA CHE I GOVERNI CAMBIANO MA PER LA SANITÀ PUBBLICA LA MUSICA È SEMPRE LA STESSA. PAROLE APPASSIONATE SULLA VOLONTÀ DI SOSTENERE E RAFFORZARE UN SERVIZIO SANITARIO PUBBLICO E UNIVERSALISTICO, MA SENZA RILANCIARE IL FINANZIAMENTO. IL “PIANO STRAORDINARIO” DI ASSUNZIONI DI MEDICI E INFERMIERI PREVISTO DAL PROGRAMMA DI GOVERNO DIVENTA UN “ORDINARIO PROSEGUIMENTO” DI ASSUNZIONI E STABILIZZAZIONI PER COPRIRE LE CARENZE DI PERSONALE. SI CONFERMA LA LINEA DI TUTTI I PRECEDENTI GOVERNI: L’EVENTUALE RIPRESA DELL’ECONOMIA NON DETERMINERÀ ALCUN RILANCIO DEL FINANZIAMENTO DELLA SANITÀ PUBBLICA.

2 ottobre 2019 - Fondazione GIMBE, Bologna

La linea programmatica relativa alla sanità nella Nota di aggiornamento al DEF (NaDEF) 2019 conferma - almeno a parole – quanto previsto dal Programma di Governo: “Il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) rappresenta un patrimonio da tutelare e rafforzare intervenendo anche per ridurre disuguaglianze crescenti. Occorre consolidare la natura universalistica del servizio sanitario nazionale e il ruolo cruciale della sanità pubblica nell’assicurare a tutti i cittadini il pieno diritto ad accedere ai migliori servizi per la salute”.

«A fronte di questa premessa – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – dopo 10 anni di saccheggio che hanno sottratto alla sanità pubblica oltre € 37 miliardi, dalla NaDEF 2019 era lecito aspettarsi un forte segnale di discontinuità. Invece, i numeri sono inequivocabili: nessun rilancio del finanziamento pubblico che, nella migliore delle ipotesi, per il 2020-2021 aumenterà dei € 3,5 miliardi già assegnati dalla scorsa Legge di Bilancio, pericolosamente legati al nuovo Patto per la Salute, ancora sul tavolo di Governo e Regioni».

Alla vigilia della discussione della Legge di Bilancio 2020, al fine di stemperare gli entusiasmi e ridurre vane aspettative, la Fondazione GIMBE ha effettuato un’analisi indipendente della NaDEF 2019.

Revisione delle stime finanziarie

  • La NaDEF 2019 stima una crescita del PIL del 2% nel 2020 che raggiunge il 2,7% nel 2021 per poi flettere al 2,6% nel 2022, ma contiene l’aumento percentuale della spesa sanitaria all’1,7% nel 2020, 1,2% nel 2021 e 1,4% nel 2022. Questo primo dato conferma che la crescita della spesa sanitaria nel triennio 2020-2022 rimane sempre inferiore a quella stimata per il PIL nominale: -0,3% nel 2020, -1,5% nel 2021 e -0,8% nel 2022. Peraltro, considerato che l’indice dei prezzi del settore sanitario è superiore all’indice generale dei prezzi al consumo, la restrizione in termini di spesa reale è ancora più marcata.
  • Rispetto al DEF 2019, la NaDEF 2019 aumenta il rapporto spesa sanitaria/PIL solo di un misero 0,1% nel 2022 riallineandolo al 6,5% del 2021. Nessuna inversione di tendenza dunque e, soprattutto, nessuna traccia della proposta “Quota 10” del Partito Democratico, ovvero “10 miliardi di risorse aggiuntive nei prossimi 3 anni”.
  • Le stime della spesa sanitaria aumentano rispetto al DEF 2019: € 120.596 milioni per il 2020 (+ € 643 milioni), € 122.003 per il 2021 (+ € 645 milioni) e € 123.696 per il 2022 (+ € 644 milioni), ma si rileva un anomalo incremento di € 3,150 miliardi (+ 2,7%) dal 2018 al 2019: da € 115.410 milioni certificati nel 2018 dalla Ragioneria Generale dello Stato ai € 118.560 stimati dalla NaDEF per il 2019. «Considerato che il deficit ante-coperture nel 2018 – afferma Cartabellotta –  ammonta a € 1.200 milioni e che il finanziamento pubblico aggiuntivo nel 2019 è pari a € 1 miliardo, si tratta di un via libera per le Regioni a spendere in libertà nei prossimi mesi aumentando il deficit? Oppure è una sofisticata mossa contabile?». Parallelamente, non tornano i conti rispetto all’incremento del finanziamento pubblico previsto dall’ultima Legge di Bilancio: nel 2020 l’aumento stimato della spesa sanitaria è di soli € 645 milioni (invece che € 2.000) e nel 2021 di € 645 (invece che € 1.500).

 

Azioni e contraddizioni. Se da un lato si riconosce la volontà di attenuare le disuguaglianze in termini di accesso ai servizi e di variabilità regionale garantendo l'erogazione dei LEA in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, dall’altro il Programma di Governo intende proseguire nel processo di autonomia differenziata, che realisticamente aumenterà proprio le diseguaglianze. Si propone di “aumentare l'attenzione per la promozione e la prevenzione della salute” senza azioni correlate né risorse dedicate. «Inoltre – commenta il Presidente – è anacronistico affermare che bisogna “prepararsi ai cambiamenti derivanti dal progresso scientifico e tecnologico”, ignorando il ritardo decennale nell’adozione di tecnologie innovative, prima tra tutte la telemedicina non ancora inclusa nei LEA». Rispetto alla compartecipazione della spesa sanitaria, la NaDEF ripropone la progressiva rivisitazione dell’attuale sistema aggravato dall’introduzione del superticket la cui abolizione è obiettivo prioritario per il Ministro Speranza, ma paradossalmente l’iniquo balzello potrebbe essere scaricato sul fondo sanitario nazionale». Dulcis in fundo puntualizza Cartabellotta «il “piano straordinario” di assunzioni di medici e infermieri annunciato dal Programma di Governo si è ridimensionato in un “ordinario proseguimento” dei processi di assunzione e stabilizzazione per coprire le carenze di personale».

«Il Governo Conte bis – conclude Cartabellotta – con la NaDEF conferma la linea dei precedenti Esecutivi perdendo la prima vera occasione per confermare che il rafforzamento del SSN annunciato nel Programma di Governo rappresenta una reale priorità politica. Infatti, la mancata inversione di tendenza del rapporto spesa sanitaria/PIL dimostra che l’eventuale ripresa dell’economia non determinerà alcun rilancio del finanziamento pubblico della sanità nel prossimo triennio».

 

Rapporto spesa sanitaria/PIL

2019

2020

2021

2022

DEF 2019

6,6%

6,6%

6,5%

6,4%

NaDEF 2019

6,6%

6,6%

6,5%

6,5%

Differenza

0,0%

0,0%

0,0%

0,1%

Spesa sanitaria (in milioni di euro)

2019

2020

2021

2022

DEF 2019

118.061

119.953

121.358

123.052

NaDEF 2019

118.560

120.596

122.003

123.696

Differenza

499

643

645

644

Aumento % spesa sanitaria

2019

2020

2021

2022

DEF 2019

2,3%

1,6%

1,2%

1,4%

NaDEF 2019

2,7%

1,7%

1,2%

1,4%

Differenza

0,4%

0,1%

0,0%

0,0%

 


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24 settembre 2019
Stop ai check-up periodici: per la scienza nessun beneficio, possibili rischi e aumento dei costi

APPELLO DELLA FONDAZIONE GIMBE CHE RILANCIA IL VERDETTO DEL CENTRE FOR EVIDENCE-BASED MEDICINE DI OXFORD: SOTTOPORSI A CHECK-UP PERIODICI NON DETERMINA ALCUN BENEFICIO PER LA SALUTE, AUMENTA IL RISCHIO DI SOVRA-DIAGNOSI E SOVRA-TRATTAMENTO E CONSUMA PREZIOSE RISORSE PUBBLICHE E PRIVATE. A FRONTE DI QUESTE INEQUIVOCABILI EVIDENZE, LE OFFERTE PROMOZIONALI DI CHECK-UP PERIODICI, ANCHE DA PARTE DI AZIENDE SANITARIE PUBBLICHE, SI MOLTIPLICANO DIFFONDENDO UN CONCETTO DISTORTO DI PREVENZIONE E DIAGNOSI PRECOCE.

24 settembre 2019 - Fondazione GIMBE, Bologna

I check-up periodici con comuni test di laboratorio (esami del sangue) e strumentali sono estremamente diffusi in tutti i paesi industrializzati e quasi sempre a carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Eppure, le evidenze scientifiche suggeriscono che nella popolazione generale i check-up, lungi dal migliorarne lo stato di salute, possono peggiorarlo in conseguenza di fenomeni di sovra-diagnosi e sovra-trattamento, determinando al tempo stesso uno spreco di risorse sia pubbliche che private.

Recentemente i ricercatori del Centre for Evidence-Based Medicine di Oxford hanno pubblicato sulla rivista BMJ Evidence-based Medicine il seguente “verdetto” basato sulle migliori evidenze scientifiche: «Non esistono convincenti evidenze per supportare l’utilizzo dei check-up generici nell’ambito delle cure primarie. Non sembrano efficaci nel modificare esiti di salute rilevanti e non esistono evidenze di elevata qualità a supporto della loro costo-efficacia, in particolare se confrontati con le modalità standard di cure primarie». In altre parole il “verdetto” conferma l’inefficacia dei check-up e il conseguente spreco di risorse, ribadendo che nelle persone sane l’esecuzione periodica di test di laboratorio e strumentali deve essere sempre personalizzata dal medico di famiglia in relazione ad età, sesso, specifici fattori di rischio di malattia, storia personale e familiare.

«Eppure digitando su Google la parola “check-up” – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – la ricerca restituisce innumerevoli siti web che offrono “pacchetti” di test diagnostici proponendoli come insostituibile strumento di prevenzione e diagnosi precoce». Alla popolazione sana viene così trasmesso un messaggio al tempo stesso anti-scientifico e consumistico: frequenti e completi check-up periodici aumentano la probabilità di migliorare la salute in quanto consentono la diagnosi precoce e il successivo trattamento di malattie asintomatiche, in particolare tumori.

«Tali “pacchetti” – precisa Cartabellotta – vengono proposti soprattutto da chi in sanità genera profitti, ovvero centri medici privati, compagnie assicurative e fondi sanitari, con una terminologia più consona ad un catalogo commerciale che alla tutela della salute: per uomo e per donna, base, avanzato, plus. Tuttavia, è inaccettabile che alcune Regioni abbiano deliberato la possibilità per le aziende sanitarie di promuovere check-up a pagamento, che peraltro includono screening oncologici già inclusi nei livelli essenziali di assistenza».

Il verdetto dei ricercatori di Oxford si basa sull’ultima revisione sistematica Cochrane che ha valutato benefici e rischi dei check-up definiti come “l’esecuzione di test diagnostici per più di una malattia o fattore di rischio in più di un organo o un apparato”. «Sostanzialmente – puntualizza il Presidente – si tratta di un periodico “tagliando” effettuato con l’inverosimile obiettivo di identificare tutte le malattie in tutte le persone tramite esami strumentali non invasivi (elettrocardiogramma, radiografia del torace, ecografia addominale) e test di laboratorio (emocromo, esame delle urine, glicemia, test di funzionalità renale, epatica, tiroidea, profilo lipidico)».

La revisione Cochrane include 17 studi clinici randomizzati di cui 15 riportano dati relativi ad oltre 250.000 partecipanti: i risultati dimostrano che i check-up non riducono la mortalità totale né quella per tumori e non hanno un impatto significativo su mortalità cardiovascolare, ictus e infarto fatale e non fatale. Nonostante alcuni limiti metodologici e di generalizzabilità rilevati dagli autori, questi risultati sono coerenti con quelli di altre revisioni, in particolare relative all’ambito delle cure primarie.

«Peraltro la revisione Cochrane – continua Cartabellotta – non valuta l’impatto clinico ed economico della sovra-diagnosi (overdiagnosis), vera epidemia del 21° secolo: l’utilizzo inappropriato di test diagnostici sempre più sensibili, infatti, porta ad etichettare come malate persone il cui stadio di malattia è troppo precoce, molto lieve e/o non evolutivo, generando a cascata ulteriori approfondimenti diagnostici e trattamenti non necessari che configurano il fenomeno del sovra-trattamento (overtreatment)». In queste situazioni test diagnostici invasivi e trattamenti non necessari possono generare effetti avversi anche gravi, oltre che aumentare i costi sanitari.

I ricercatori di Oxford sottolineano l’inutilità dei check-up rispetto all’efficacia e costo efficacia di numerosi interventi di prevenzione primaria: attività fisica, educazione alimentare, disassuefazione al fumo, riduzione del consumo di alcool.

«Le evidenze scientifiche – conclude Cartabellotta – dimostrano che è ormai indifferibile una presa di coscienza professionale, sociale e politica che nelle persone sane i check-up periodici non determinano alcun beneficio in termini di salute, possono peggiorarla in conseguenza dei fenomeni di sovra-diagnosi e sovra-trattamento e consumano preziose risorse che potrebbero essere reinvestite in strategie di prevenzione primaria più efficaci e costo-efficaci, in Italia ampiamente sotto-finanziate e sotto-utilizzate».


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16 settembre 2019
Sanità pubblica, in 10 anni un saccheggio da 37 miliardi. Al nuovo Governo GIMBE chiede fatti, non solo parole

IL REPORT DELLA FONDAZIONE GIMBE SUL DEFINANZIAMENTO DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE DOCUMENTA CHE NELL’ULTIMO DECENNIO TUTTI I GOVERNI HANNO ATTINTO ALLA SPESA SANITARIA PER ESIGENZE DI FINANZA PUBBLICA, SGRETOLANDO PROGRESSIVAMENTE LA PIÙ GRANDE OPERA PUBBLICA MAI COSTRUITA IN ITALIA. SERVONO DECISIONI POLITICHE E AZIONI IMMEDIATE PERCHÉ LA REPUBBLICA POSSA NUOVAMENTE GARANTIRE IL DIRITTO ALLA TUTELA DELLA SALUTE: DALLA FONDAZIONE GIMBE UN APPELLO IN CINQUE PUNTI AL NUOVO ESECUTIVO

«Nell’ultimo decennio – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – tutti i Governi hanno contribuito a sgretolare il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), la maestosa opera pubblica costruita per tutelare la salute delle persone. Con il nuovo Esecutivo a breve impegnato nell’aggiornamento del Documento di Economia e Finanza 2019 e, soprattutto, nella stesura della Legge di Bilancio, la Fondazione GIMBE pubblica un report sul definanziamento 2010-2019 del SSN al fine di stimare, al di là dei proclami, la reale entità delle risorse necessarie a rilanciare la sanità pubblica».

Il Report GIMBE analizza entità e trend del definanziamento del SSN nel periodo 2010-2019, traccia le prospettive a medio termine tenendo conto delle risorse assegnate dalla Legge di Bilancio 2019 e delle previsioni del DEF 2019, analizza le ragioni della mancata stipula del Patto per la Salute che rischia di compromettere le risorse aggiuntive 2020-2021 e illustra la posizione dell’Italia rispetto ai paesi dell’OCSE e del G7 in termini di spesa sanitaria. Dal report emerge l’imponenza del definanziamento pubblico 2010-2019, visto che tutti i Governi per fronteggiare le emergenze finanziarie del Paese hanno ridotto la spesa sanitaria, di fatto il capitolo di spesa pubblica più facilmente aggredibile:

  • Il finanziamento pubblico è stato decurtato di oltre € 37 miliardi, di cui circa € 25 miliardi nel 2010-2015 per tagli conseguenti a varie manovre finanziarie ed oltre € 12 miliardi nel 2015-2019, quando alla sanità sono state destinate meno risorse di quelle programmate per esigenze di finanza pubblica.
  • In termini assoluti il finanziamento pubblico in 10 anni è aumentato di € 8,8 miliardi, crescendo in media dello 0,9% annuo, tasso inferiore a quello dell’inflazione media annua (1,07%).
  • Il DEF 2019 ha ridotto progressivamente il rapporto spesa sanitaria/PIL dal 6,6% nel 2019-2020 al 6,5% nel 2021 e al 6,4% nel 2022.
  • L’aumento del fabbisogno sanitario nazionale per gli anni 2020 (+€ 2 miliardi) e 2021 (+€ 1,5 miliardi) è subordinato alla stipula tra Governo e Regioni del Patto per la Salute 2019-2021, tuttora al palo.
  • I dati OCSE aggiornati al luglio 2019 dimostrano che l’Italia si attesta sotto la media OCSE, sia per la spesa sanitaria totale ($3.428 vs $ 3.980), sia per quella pubblica ($ 2.545 vs $ 3.038), precedendo solo i paesi dell’Europa orientale oltre a Spagna, Portogallo e Grecia. Nel periodo 2009-2018 l’incremento percentuale della spesa sanitaria pubblica si è attestato al 10%, rispetto a una media OCSE del 37%.
  • Tra i paesi del G7 le differenze assolute sulla spesa pubblica sono ormai incolmabili: ad esempio, se nel 2009 la Germania investiva “solo” $ 1.167 (+50,6%) in più dell’Italia ($ 3.473 vs $ 2.306), nel 2018 la differenza è di $ 2.511 (+97,7%), ovvero $ 5.056 vs $ 2.545.

«Le prime dichiarazioni del neo Ministro della Salute – continua Cartabellotta – non lasciano dubbi sulla volontà di preservare e rilanciare una sanità pubblica e universalistica e di rifinanziare il SSN». Infatti, Roberto Speranza ha identificato nella carta Costituzionale il “faro” per il suo programma, affermando che “la spesa sanitaria non è un costo ma un investimento per la salute”. Tuttavia, il Programma di Governo e il discorso per la fiducia alle Camere del Premier Conte, al di là della volontà di attuare “un piano straordinario di assunzioni di medici e infermieri”, contengono solo un generico impegno a difendere la sanità pubblica, senza prevedere esplicitamente il rilancio del finanziamento per il SSN. «In tal senso – puntualizza Cartabellotta – la prima cartina al tornasole è rappresentata dall’imminente Nota di Aggiornamento del DEF 2019: ad esempio, se si volesse attuare la cosiddetta “Quota 10” proposta dal Partito Democratico (€ 10 miliardi di investimenti aggiuntivi nei prossimi 3 anni) occorrerebbe incrementare il rapporto spesa sanitaria/PIL almeno dello 0,2-0,3% per ciascuno degli anni 2020-2022».

«Inoltre – continua il Presidente – considerato che almeno il 50% degli oltre € 37 miliardi sottratti alla sanità pubblica negli ultimi 10 anni sono stati “scippati” al personale dipendente e convenzionato, il piano di assunzioni straordinarie di medici e infermieri citato dal Programma di Governo se da un lato sicuramente contribuirà a risolvere la carenza di risorse umane, dall’altro non concretizza nessun rilancio delle politiche per il personale sanitario che non deve solo essere adeguatamente “rimpiazzato”, ma soprattutto (ri)motivato con l’allineamento delle retribuzioni a standard europei».

«Pertanto se tutte le forze politiche del nuovo Esecutivo dichiarano in maniera convergente di voler “difendere la sanità pubblica” – conclude il Presidente – devono prendere atto che il tempo è ormai scaduto: le parole non sono più sufficienti, ma servono azioni concrete in tempi rapidi».

La Fondazione GIMBE lancia dunque un appello al nuovo Governo chiedendo di:

  • Prendere reale consapevolezza che il rilancio della sanità pubblica richiede volontà politica, investimenti rilevanti, un programma di azioni a medio-lungo termine e innovazioni di rottura.
  • Accelerare la stipula del Patto per la Salute 2019-2021 per non perdere il finanziamento aggiuntivo già assegnato dall’ultima Legge di Bilancio.
  • Rilanciare la mozione già elaborata dalla Commissione Affari Sociali della Camera, che richiede al Governo di adottare iniziative per mettere in sicurezza le risorse per la sanità pubblica.
  • Definire un piano di rifinanziamento del SSN che, nonostante le criticità della finanza pubblica, dovrebbe già trovare riscontri oggettivi sia nella Nota di Aggiornamento del DEF 2019, sia nella prossima Legge di Bilancio.
  • Mettere in campo in maniera tempestiva e integrata tutte le azioni per aumentare il ritorno in termini di salute (value for money) delle risorse investite in sanità: dalla ridefinizione del perimetro dei LEA secondo principi di efficacia e costo-efficacia all’integrazione della spesa sanitaria con la spesa sociale di interesse sanitario; dalla revisione delle detrazioni/deduzioni per spese sanitarie e contributi versati a fondi sanitari integrativi, al disinvestimento da sprechi e inefficienze.

Il Report GIMBE “Il definanziamento 2010-2019 del Servizio Sanitario Nazionale” è disponibile a: www.gimbe.org/definanziamento-SSN.


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28 agosto 2019
Tumori cerebrali: informare i pazienti, coinvolgere le cure primarie

CON OLTRE 6.000 NUOVE DIAGNOSI OGNI ANNO, I BISOGNI ASSISTENZIALI DEI PAZIENTI AFFETTI DA TUMORI CEREBRALI RAPPRESENTANO UNA SFIDA MOLTO ARDUA PERCHÉ, INSIEME ALLA DISABILITÀ FISICA, TUMORE E TERAPIE CONDIZIONANO IL COMPORTAMENTO, LE FUNZIONI COGNITIVE E LA PERSONALITÀ DEL PAZIENTE. DALLA FONDAZIONE GIMBE LA VERSIONE ITALIANA DELLE LINEE GUIDA NICE PER L’ASSISTENZA AI PAZIENTI CON NEOPLASIE CEREBRALI DESTINATE A MEDICI DI FAMIGLIA, INFERMIERI, OLTRE CHE A PAZIENTI, FAMILIARI E CAREGIVER.

Anche se rappresentano solo il 3% di tutte le neoplasie, i tumori cerebrali primitivi (ossia quelli che si sviluppano direttamente nel sistema nervoso centrale) sono responsabili del maggior numero di anni di vita persi rispetto ad altre neoplasie maligne. Infatti, nonostante i progressi diagnostico-terapeutici, la sopravvivenza media a 5 anni rimane intorno al 25%. In Italia, i tumori cerebrali rappresentano la 12a causa di morte, pari al 3% del totale dei decessi per tumori maligni: nel 2018 sono stati diagnosticati circa 6.000 nuovi casi di tumori cerebrali primitivi, di cui poco più della metà negli uomini. I tumori cerebrali colpiscono prevalentemente i giovani, visto che tra i soggetti di età inferiore a 15 anni sono al terzo posto in termini di frequenza e rappresentano il 13% del totale dei tumori, mentre il 7% nella fascia 15-19 anni.  

«Anche se diagnosi, stadiazione e terapia dei tumori cerebrali sono affidate a team multispecialistici – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – le cure primarie rivestono un ruolo rilevante nella gestione degli effetti cognitivi, fisici e mentali a lungo termine del tumore e della terapia. Per un’adeguata presa in carico di questi pazienti è dunque indispensabile un approccio multidisciplinare condiviso tra assistenza specialistica e cure primarie, oltre a reti integrate guidate da percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali (PDTA)».

Per tali ragioni la Fondazione GIMBE ha realizzato la sintesi in lingua italiana delle linee guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE), aggiornate a luglio 2018, che saranno inserite nella sezione “Buone Pratiche” del Sistema Nazionale Linee Guida, gestito dall’Istituto Superiore di Sanità. I contenuti di queste linee guida integrano quelle pubblicate dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), destinate prevalentemente ad un target specialistico e ultraspecialistico con obiettivi diagnostici e terapeutici. Le linee guida NICE, infatti, si rivolgono ai non specialisti e ai professionisti delle cure primarie, in particolare ai medici di medicina generale e infermieri, formulando raccomandazioni su vari aspetti della gestione della malattia: dalla valutazione dei bisogni assistenziali dei pazienti all’identificazione di un professionista sanitario di riferimento; dalla condivisione delle informazioni con pazienti, familiari e caregiver alla valutazione neuroriabilitativa; dalla gestione degli effetti precoci e tardivi di radioterapia e chemioterapia al follow-up a lungo termine dei pazienti.

«Considerato il notevole impatto emotivo su pazienti e familiari – puntualizza Cartabellotta – è bene precisare che la diagnosi di tumore cerebrale non è necessariamente infausta, perché esistono numerosissime varianti molto eterogenee per morfologia, sede d’insorgenza, aspetti biologici, clinici, prognostici ed eziologici». I tassi di sopravvivenza sono pertanto molto variabili in relazione a tipo di tumore, efficacia e tollerabilità delle terapie disponibili, trattabilità, dimensione delle lesioni craniche. In tal senso, le linee guida NICE identificano due principali categorie prognostiche: i tumori a lunga sopravvivenza (5-10 anni) che richiedono assistenza a lungo termine e quelli con aspettativa di vita limitata (1-3 anni), che necessitano di rapida valutazione diagnostica, trattamento tempestivo e massima attenzione ad assistenza e supporto per preservare la qualità di vita.

«Le linee guida NICE – puntualizza Cartabellotta – enfatizzano come i bisogni assistenziali dei pazienti affetti da tumori cerebrali rappresentino una sfida molto ardua in quanto, insieme alla disabilità fisica, tumore e relativi trattamenti possono condizionare il comportamento, le funzioni cognitive e la personalità del paziente». Per questo le linee guida raccomandano il coinvolgimento di pazienti, familiari e caregiver per fronteggiare la complessità dei loro potenziali bisogni assistenziali e sociali (psicologici, cognitivi, fisici, spirituali, emotivi) e, soprattutto, di prevedere un tempo adeguato per discutere del potenziale rilevante impatto del tumore cerebrale sulla vita del paziente e di chi lo circonda.

«Auspichiamo che la versione italiana di questo documento del NICE – conclude Cartabellotta – rappresenti una base scientifica di riferimento, sia per la costruzione dei PDTA regionali e locali, sia per l’aggiornamento dei professionisti sanitari, oltre che per una corretta informazione di pazienti, familiari e caregiver».

Le linee guida “Linee guida per il trattamento di tumori cerebrali primitivi e metastatici degli adulti” sono disponibili a: www.evidence.it/tumori-cerebrali.


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31 2019
Migrazione sanitaria 2017: 4,6 miliardi di euro si spostano dal sud al nord. Le 3 regioni capofila dell’autonomia differenziata incassano l’88% del saldo attivo

IL REPORT DELL’OSSERVATORIO GIMBE ANALIZZA CREDITI, DEBITI E SALDI DELLE REGIONI SULLA MOBILITÀ SANITARIA 2017 DOCUMENTANDO UN FENOMENO DALLE ENORMI IMPLICAZIONI SANITARIE, SOCIALI, ETICHE ED ECONOMICHE CHE COINVOLGE OGNI ANNO QUASI UN MILIONE DI PAZIENTI, OLTRE AI FAMILIARI. IL FIUME DI DENARO SCORRE PREVALENTEMENTE DA SUD A NORD: INFATTI L’88% DEL SALDO IN ATTIVO ALIMENTA LE CASSE DI LOMBARDIA, EMILIA ROMAGNA E VENETO E IL 77% DI QUELLO PASSIVO GRAVA SU PUGLIA, SICILIA, LAZIO, CALABRIA E CAMPANIA. PER ANALISI PIÙ DETTAGLIATE SULLA MOBILITÀ SANITARIA GIMBE HA INOLTRATO RICHIESTA UFFICIALE DEI DATI AL MINISTERO DELLA SALUTE.

I cittadini italiani hanno il diritto di essere assistiti in strutture sanitarie di Regioni differenti da quella di residenza, concretizzando il fenomeno della mobilità sanitaria interregionale che include la mobilità attiva (voce di credito che identifica l’indice di attrazione di una Regione) e quella passiva (voce di debito che rappresenta l’indice di fuga da una Regione). Le compensazioni finanziarie tra Regioni vengono effettuate secondo regole e tempistiche definite da un Intesa Stato-Regioni per rendicontare 7 flussi finanziari: ricoveri ospedalieri e day hospital (differenziati per pubblico e privato accreditato), medicina generale, specialistica ambulatoriale, farmaceutica, cure termali, somministrazione diretta di farmaci, trasporti con ambulanza ed elisoccorso.

«Le nostre analisi – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – sono state effettuate esclusivamente sui dati economici della mobilità sanitaria aggregati in crediti, debiti e relativi saldi, ma per studiare al meglio questo fenomeno abbiamo già inoltrato formale richiesta dei flussi integrali trasmessi dalle Regioni al Ministero che permetterebbero di analizzare, per ciascuna Regione, la distribuzione delle tipologie di prestazioni erogate in mobilità, la differente capacità di attrazione di strutture pubbliche e private accreditate e la Regione di residenza dei cittadini che scelgono di curarsi lontano da casa, identificando le dinamiche della mobilità, alcune “fisiologiche” ed altre francamente “patologiche”».

Nel 2017 il valore della mobilità sanitaria ammonta a € 4.578,5 milioni, importo approvato dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome lo scorso 13 febbraio, previa compensazione dei saldi.

Mobilità attiva. 6 Regioni con maggiori capacità di attrazione vantano crediti superiori a € 200 milioni: in testa Lombardia (25,5%) ed Emilia Romagna (12,6%) che insieme contribuiscono ad oltre 1/3 della mobilità attiva. Un ulteriore 29,2% viene attratto da Veneto (8,6%), Lazio (7,8%), Toscana (7,5%) e Piemonte (5,2%). Il rimanente 32,7% della mobilità attiva si distribuisce nelle altre 15 Regioni, oltre che all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù (€ 217,4 milioni) e all’Associazione dei Cavalieri Italiani del Sovrano Militare Ordine di Malta (€ 39,7). In generale emerge una forte attrazione delle grandi Regioni del Nord, a cui fa da contraltare quella estremamente limitata delle Regioni del Centro-Sud, con la sola eccezione del Lazio.

Mobilità passiva. Le 6 Regioni con maggiore indice di fuga generano debiti per oltre € 300 milioni: in testa Lazio (13,2%) e Campania (10,3%) che insieme contribuiscono a circa 1/4 della mobilità passiva; un ulteriore 28,5% riguarda Lombardia (7,9%), Puglia (7,4%), Calabria (6,7%), Sicilia (6,5%). Il restante 48% si distribuisce nelle altre 15 Regioni. Più sfumate le differenze Nord-Sud nella mobilità passiva. In particolare, se quasi tutte le Regioni del Sud hanno elevati indici di fuga, questi sono rilevanti anche in tutte le grandi Regioni del Nord con elevata mobilità attiva, testimoniando specifiche preferenze dei cittadini agevolate dalla facilità di spostamento tra Regioni del Nord con elevata qualità dei servizi sanitari: Lombardia (-€ 362,3 milioni), Piemonte (-€ 284,9 milioni), Emilia Romagna (-€ 276 milioni), Veneto (-€ 256,6 milioni) e Toscana (-€ 205,3 milioni).

Saldi. Le Regioni con saldo positivo superiore a € 100 milioni sono tutte del Nord, mentre quelle con saldo negativo maggiore di € 100 milioni tutte del Centro-Sud. In particolare:

  • Saldo positivo rilevante: Lombardia (€ 784,1 milioni), Emilia Romagna (€ 307,5 milioni), Veneto (€ 143,1 milioni) e Toscana (€ 139,3 milioni)
  • Saldo positivo minimo: Molise (€ 20,2 milioni), Friuli Venezia Giulia (€ 6,1 milioni), Provincia Autonoma di Bolzano (€ 1,1 milioni)
  • Saldo negativo minimo: Provincia Autonoma di Trento (-€ 0,1 milioni), Valle d'Aosta (-€ 1,8 milioni), Umbria (-€ 4,17 milioni)
  • Saldo negativo moderato: Marche (-€ 43 milioni), Piemonte (-€ 51 milioni), Basilicata (-€ 53,3 milioni), Liguria (-€ 71,2 milioni), Sardegna (-€ 77,2 milioni), Abruzzo (-€ 80 milioni)
  • Saldo negativo rilevante: Puglia (-€ 201,3 milioni), Sicilia (-€ 236,9 milioni), Lazio (-€ 239,4 milioni), Calabria (-€ 281,1 milioni), Campania (-€ 318 milioni)

Saldo pro-capite di mobilità sanitaria. «Con questo nuovo indicatore elaborato dalla Fondazione GIMBE – precisa Cartabellotta –  la classifica dei saldi si ricompone dimostrando che, al di là del valore economico, gli importi relativi alla mobilità sanitaria devono sempre essere interpretati in relazione alla popolazione residente». In particolare: il Molise conquista il podio nella classifica per saldo pro-capite; si riducono le differenze delle prime tre Regioni nel saldo pro-capite: Lombardia (€ 78), Emilia Romagna (€ 69), Molise (€ 65); la Calabria precipita in ultima posizione con un saldo pro-capite negativo di € 144, pari circa a tre volte quello della Campania (€ 55) e di poco inferiore alla somma del saldo pro-capite positivo di Lombardia ed Emilia Romagna (€ 147).

«In tempi di regionalismo differenziato – conclude Cartabellotta – il report GIMBE non solo dimostra che il denaro scorre prevalentemente da Sud a Nord, ma che l’88% del saldo in attivo alimenta proprio le casse di Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, mentre il 77% del saldo passivo grava sulle spalle di Puglia, Sicilia, Lazio, Calabria e Campania. Anche se la bozza del Patto per la Salute 2019-2021 prevede numerose misure per analizzare la mobilità sanitaria e migliorarne la governance, difficilmente la “fuga” in avanti delle tre Regioni potrà ridurre l’impatto di un fenomeno dalle enormi implicazioni sanitarie, sociali, etiche ed economiche».

Il report dell’Osservatorio GIMBE “La mobilità sanitaria interregionale nel 2017” è disponibile a: www.gimbe.org/mobilita2017


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24 2019
3 miliardi di euro di ticket sanitari nel 2018: ma il 38% serve per acquistare i farmaci di marca

IL REPORT DELL’OSSERVATORIO GIMBE ANALIZZA I DATI SUI TICKET 2018 CHE AMMONTANO A QUASI 50 EURO PRO-CAPITE CON RILEVANTI DIFFERENZE REGIONALI. IN PROGRESSIVA RIDUZIONE I TICKET “VERI” PER PRESTAZIONI SPECIALISTICHE E QUOTA FISSA RICETTA FARMACI, IN AUMENTO QUELLI “FACOLTATIVI” PER L’ACQUISTO DI FARMACI DI MARCA. DA GIMBE LE PROPOSTE PER UN’ADEGUATA GOVERNANCE: REVISIONE DEI CRITERI DI COMPARTECIPAZIONE ALLA SPESA, SUPERAMENTO DEFINITIVO DEL SUPERTICKET E POLITICHE PER INCENTIVARE L’USO DEI FARMACI EQUIVALENTI, IL CUI MANCATO UTILIZZO VALE OLTRE € 1,1 MILIARDI

Tutte le Regioni prevedono sistemi di compartecipazione alla spesa sanitaria, con un livello di autonomia tale da generare negli anni una vera e propria “giungla dei ticket”: infatti, le differenze regionali riguardano sia le prestazioni su cui vengono applicati (farmaci, prestazioni specialistiche, pronto soccorso, etc.), sia gli importi che i cittadini devono corrispondere, sia le regole per le esenzioni. 

Integrando i dati del Rapporto 2019 sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei Conti con quelli del Rapporto OSMED 2018 sull’utilizzo dei farmaci in Italia, il report dell’Osservatorio GIMBE analizza in dettaglio composizione e differenze regionali della compartecipazione alla spesa sanitaria che nel 2018 sfiora i 3 miliardi di euro.

«Introdotta come moderatore dei consumi – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – la compartecipazione dei cittadini alla spesa sanitaria si è progressivamente trasformata in un consistente capitolo di entrata per le Regioni, in un periodo caratterizzato da un imponente definanziamento della sanità pubblica». Nel 2018 le Regioni hanno incassato per i ticket € 2.968 milioni (€ 49,1 pro-capite), di cui € 1.608 milioni (€ 26,6 pro-capite) relativi ai farmaci e € 1.359 milioni (€ 22,5 pro-capite) per le prestazioni di specialistica ambulatoriale, incluse quelle di pronto soccorso. 

«Nel periodo 2014-2018 – spiega Cartabellotta –  l’entità complessiva della compartecipazione alla spesa sanitaria si è mantenuta relativamente stabile, ma è avvenuta una sua progressiva ricomposizione. Infatti, rispetto al 2014, quando gli importi dei ticket per farmaci e prestazioni specialistiche erano sovrapponibili, nel 2018 si sono ridotti del 6,1% quelli per le prestazioni e sono aumentati quelli per i farmaci (+12%)». In particolare, nell’ultimo anno i ticket sono aumentati complessivamente di € 83,4 milioni (+2,9%), di cui € 22,4 milioni (+1,7%) per le prestazioni specialistiche e € 61 milioni (+3,9%) per i farmaci.

Dalle analisi emergono notevoli differenze regionali relative sia all’importo totale della compartecipazione alla spesa, sia alla ripartizione tra farmaci e prestazioni specialistiche: in particolare, se il range della quota pro-capite totale per i ticket oscilla da € 88 in Valle d’Aosta a € 33,7 in Sardegna, per i farmaci l’importo varia da € 36,2 in Campania a € 16 in Piemonte, mentre per le prestazioni specialistiche si passa da € 64,2 della Valle d’Aosta a € 8,5 della Sicilia.

«Un dato di estremo interesse – precisa Cartabellotta – emerge dallo “spacchettamento” dei ticket sui farmaci, che include la quota fissa per ricetta e la quota differenziale sul prezzo di riferimento pagata dai cittadini che scelgono di acquistare il farmaco di marca al posto dell’equivalente». Nel 2018 dei € 1.608 milioni sborsati dai cittadini per il ticket sui farmaci, solo il 30% è relativo alla quota fissa per ricetta (€ 482,6 milioni pari a € 8 pro-capite), mentre i rimanenti € 1.126,4 milioni (€ 18,6 pro-capite) sono imputabili alla scarsa diffusione in Italia dei farmaci equivalenti come confermato dall’OCSE che ci colloca al penultimo posto su 27 paesi sia per valore, sia per volume del consumo dei farmaci equivalenti. Dal canto suo, il Rapporto OSMED 2018 documenta che nel periodo 2013-2018 si è ridotta del 14% la quota fissa sulle ricette (-€ 76 milioni) mentre è aumentata del 28% la quota prezzo di riferimento per la preferenza accordata ai farmaci di marca (+ € 248 milioni).

«In questo ambito – rileva il Presidente – spicca l’ostinata e ingiustificata resistenza ai farmaci equivalenti nelle Regioni del Centro-Sud nelle quali si rileva, oltre al trend in aumento dal 2017 al 2018, una spesa per i farmaci di marca più elevata della media nazionale di € 18,6 pro-capite». In particolare: Lazio (€ 24,7), Sicilia (€ 24,2), Calabria (€ 23,6), Campania (€ 23), Basilicata (€ 22,1), Puglia (€ 21,9), Abruzzo (€ 21,5), Molise (€ 21,3), Umbria (€ 20,7) e Marche (€ 20,2).

«Considerato che la revisione dei criteri di compartecipazione alla spesa – conclude Cartabellotta –  è un obiettivo fissato dalla Legge di Bilancio 2019 per la stesura del nuovo Patto per la Salute, le eterogeneità regionali relative alle tipologie di ticket, ovvero prestazioni specialistiche vs farmaci e quota ricetta fissa vs quota prezzo di riferimento, richiedono azioni differenti. Innanzitutto, è indispensabile uniformare a livello nazionale i criteri per la compartecipazione e le regole per le esenzioni; in secondo luogo, anche al fine di arginare “fughe” verso il privato per le prestazioni specialistiche, occorre pervenire ad un definitivo superamento del superticket per il quale sono già stati ripartiti € 60 milioni; infine, sono indispensabili azioni concrete per incrementare l’utilizzo dei farmaci equivalenti, visto che la preferenza per i farmaci di marca oggi “pesa” per il 38% del totale sborsato dai cittadini per i ticket e per il 70% della compartecipazione per i farmaci».

Il report dell’Osservatorio GIMBE “Ticket 2018” è disponibile a: www.gimbe.org/ticket2018 


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17 2019
Riconoscere la vera scienza con l’Evidence-based Practice: il nuovo curriculum per tutti i professionisti sanitari

DALLA FONDAZIONE GIMBE LA VERSIONE ITALIANA DEL NUOVO SET INTERNAZIONALE DI COMPETENZE CORE PER L’EVIDENCE-BASED PRACTICE AL FINE DI GUIDARE L’ELABORAZIONE DI CURRICULA UNIVERSITARI E SPECIALISTICI E PROGRAMMI DI FORMAZIONE CONTINUA. OGGI L’ECCESSO D’INFORMAZIONI SCIENTIFICHE RENDE INDISPENSABILI TALI COMPETENZE PER RICERCARE, VALUTARE CRITICAMENTE E INTEGRARE LE MIGLIORI EVIDENZE NELLE DECISIONI PROFESSIONALI, PERCHÉ MIGLIORANO LA QUALITÀ DELL’ASSISTENZA, RIDUCONO GLI SPRECHI CONSEGUENTI AL SOVRA- E SOTTO-UTILIZZO DI FARMACI, TEST DIAGNOSTICI E ALTRI INTERVENTI SANITARI E FACILITANO LA COMUNICAZIONE CON I PAZIENTI.

Ogni anno in oltre 20.000 riviste vengono pubblicati più di 2 milioni di articoli, di cui solo il 7-8% possono essere definiti “evidenze scientifiche”, ovvero studi condotti con metodi rigorosi che producono risultati rilevanti per la salute delle persone e per la sanità pubblica. Le evidenze scientifiche rispondono ai criteri di qualità definiti dall’Evidence-based Medicine, termine coniato nel 1991, che oggi ha lasciato il posto a quello di Evidence-based Practice (EBP), visto che la metodologia si è progressivamente estesa a tutte le professioni sanitarie.

«Negli ultimi vent’anni – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – l’EBP è stata integrata come componente del curriculum di base per medici e altri professionisti sanitari, dei programmi specialistici e di quelli di formazione continua. Tuttavia, in assenza di set di competenze definiti in maniera sistematica, esiste una estrema variabilità di qualità e contenuti dei programmi di insegnamento dell’EBP». In Italia, uno studio condotto dalla Fondazione GIMBE, in collaborazione con il Segretariato Italiano degli Studenti in Medicina, ha dimostrato che nonostante l’EBM sia formalmente prevista dal core curriculum della Conferenza Permanente dei Presidenti dei Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia, gli insegnamenti e i programmi sono estremamente variabili.

Al fine di raggiungere il consenso sulle competenze core da includere nei programmi formativi di EBP per studenti e professionisti sanitari è stata recentemente pubblicata una consensus internazionale che, attraverso un processo metodologico estremamente rigoroso, ha definito un set di 68 competenze core relative ai principali step dell’EBP: aspetti generali (n. 5), formulazione dei quesiti (n. 3), ricerca delle evidenze (n. 4), valutazione critica e interpretazione delle evidenze (n. 9), applicazione delle evidenze (n. 4), valutazione delle proprie performance (n. 2). Il set include la descrizione e il livello di approfondimento di ciascuna competenza: menzionata (M), spiegata in dettaglio (S), praticata con esercitazioni (P).

«Rispetto al Sicily Statement on Evidence-based Practice – spiega il Presidente – le principali novità riguardano gli strumenti di accesso alla letteratura biomedica, in particolare le risorse “pre-valutate”, la necessità di esaminare fonti di finanziamento e conflitti di interesse nella valutazione critica della letteratura, le modalità per valutare le performance individuali e soprattutto il processo decisionale condiviso, una innovativa modalità di comunicazione con il paziente che, informato sui rischi e benefici degli interventi sanitari, sceglie consapevolmente la migliore opzione in relazione alle sue preferenze, valori e aspettative»

«Considerato che le competenze core per l’EBP – conclude Cartabellotta – migliorano la qualità dell’assistenza, riducono gli sprechi conseguenti al sovra- e sotto-utilizzo di farmaci, test diagnostici e altri interventi sanitari e facilitano la comunicazione con i pazienti, la Fondazione GIMBE oltre alla versione italiana dello statement ha realizzato un pratico handbook sia per rendere consapevoli tutti i professionisti sanitari delle irrinunciabili competenze da acquisire, sia per guidare l’elaborazione dei curricula universitari e specialistici e dei programmi di formazione continua».

L’handbook “Competenze core per l’Evidence-based Practice” è disponibile a: www.gimbe.org/EBP


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2 2019
Sanità, per la salute delle persone servono risorse certe: le proposte GIMBE nella mozione M5S-Lega per blindare il finanziamento pubblico

LE PROPOSTE DEL 4° RAPPORTO GIMBE PER METTERE IN SICUREZZA LE RISORSE PER LA SANITÀ PUBBLICA, GIÀ ACCOLTE DAL MINISTRO GRILLO, IN UNA MOZIONE DEGLI ESPONENTI DI MAGGIORANZA DELLA CAMERA DEI DEPUTATI. L’OBIETTIVO È IMPEGNARE IL GOVERNO A GARANTIRE LA CERTEZZA DELLE RISORSE E RECUPERARE PROGRESSIVAMENTE QUELLE SOTTRATTE NELL'ULTIMO DECENNIO. LA FONDAZIONE GIMBE AUSPICA LA CONVERGENZA DI TUTTE LE FORZE POLITICHE PERCHÉ IL RILANCIO DELLA SANITÀ PUBBLICA NON PUÒ ESSERE CONDIZIONATO DA IDEOLOGIE PARTITICHE, NÉ DALLA SCADENZA DEI MANDATI ELETTORALI.

Il 4° Rapporto GIMBE sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), ampiamente divulgato dagli organi di stampa e dalle principali rappresentanze professionali (ENPAM, FNOMCeO, FIMMG, FIMP, FNOPI, FNOPO, FNOVI), ha indicato nel definanziamento pubblico una delle maggiori determinanti della crisi di sostenibilità. In particolare, il Rapporto GIMBE ha documentato che nel periodo 2010-2019 tra tagli e definanziamenti sono stati sottratti al SSN circa € 37 miliardi, mentre l’aumento nominale del fabbisogno sanitario nazionale (FSN) è stato di soli € 8,8 miliardi, con un incremento medio annuo dello 0,9%, inferiore a quello dell’inflazione (+ 1,07%). Guardando al futuro, il DEF 2019 riduce progressivamente il rapporto spesa sanitaria/PIL dal 6,6% nel 2019-2020 al 6,5% nel 2021 e al 6,4% nel 2022.

«D’altro canto – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – in linea con il Contratto per il Governo del Cambiamento, la Legge di Bilancio ha previsto per il triennio 2019-2021 un consistente rilancio del finanziamento pubblico. Si tratta complessivamente di € 8,5 miliardi, seppur subordinati ad ardite, e già smentite, previsioni di crescita economica e alla stipula del Patto per la Salute 2019-2021 che si configura tutta in salita». Infatti, la bozza del Patto in esame ha riacceso il conflitto istituzionale Governo-Regioni perché, se da un lato conferma le risorse assegnate dalla Legge di Bilancio 2019 (€ 116,4 miliardi per il 2020 e € 117,9 miliardi per il 2021), dall’altro contiene la clausola di salvaguardia (“salvo eventuali modifiche che si rendessero necessarie in relazione al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblico e a variazione del quadro macroeconomico”) che rischia di vanificare la disponibilità di tali risorse, come già accaduto al Patto 2014-2016.

«Il vulnus principale della spesa sanitaria – precisa Cartabellotta – consegue al fatto che rappresenta il capitolo di spesa pubblica più facilmente aggredibile, rispetto ad esempio alle pensioni o al debito pubblico. Infatti, i dati dimostrano che dal 2010 tutti i Governi hanno sempre trovato nella spesa sanitaria le risorse per fronteggiare ogni emergenza finanziaria, certi che il nostro SSN possa fornire sempre e comunque buoni risultati in termini di salute e consapevoli che spetterà a qualcun altro più avanti raccogliere i cocci». Per tale ragione, al fine di non vanificare ogni tentativo di rilancio del finanziamento pubblico, il Rapporto GIMBE ha proposto di “sanare” questo vulnus per evitare le periodiche revisioni al ribasso. Ovvero, considerato che il livello di definanziamento della sanità ha ormai raggiunto un tale livello di allarme, è necessario “mettere in sicurezza” le risorse tramite la definizione di:

  • una soglia minima del rapporto spesa sanitaria/PIL;
  • un incremento percentuale annuo del FSN in termini assoluti, pari almeno al doppio dell'inflazione.

«Tale azione – puntualizza il Presidente – dimostrerebbe sia il reale impegno della politica a programmare, stabilizzandolo, il rilancio il finanziamento pubblico per la sanità, sia di poter contare su risorse certe nella Legge di Bilancio, indipendentemente dal colore dei Governi che verranno».

Dopo che la Ministra Giulia Grillo ha pubblicamente manifestato il suo interesse per le proposte della Fondazione GIMBE e il suo impegno a “blindare” le risorse per la sanità, i parlamentari di maggioranza hanno firmato la mozione 1-00195, un atto politicamente rilevante che richiede l'impegno al Governo ad adottare iniziative per “mettere in sicurezza” le risorse per la sanità pubblica. La mozione, presentata il 13 giugno scorso dall'On. Marialucia Lorefice, è già stata firmata dai deputati di M5S e Lega della Commissione Affari Sociali.

«La mozione – spiega Cartabellotta –  riprende dati e proposte del Rapporto GIMBE e sottolinea la necessità di recuperare integralmente tutte le risorse economiche sottratte in questi anni per garantire la reale sostenibilità dei livelli essenziali di assistenza attraverso il rifinanziamento del fondo sanitario nazionale». I firmatari della mozione chiedono inoltre al Governo di “adottare le opportune iniziative affinché, da un lato, sia definita una soglia minima del rapporto spesa sanitaria/prodotto interno lordo, dall’altro sia previsto un incremento percentuale annuo del FSN (pari almeno al doppio dell’inflazione), al fine di garantire le esigenze di pianificazione e organizzazione degli interventi necessari in sanità nel rispetto dei princìpi di equità, solidarietà e universalismo che da 40 anni caratterizzano il SSN”.

«La Fondazione GIMBE – conclude Cartabellotta – ringrazia la Ministra Grillo, tutti i parlamentari che hanno elaborato e firmato la mozione, oltre che le organizzazioni e i media che hanno diffuso analisi e proposte del nostro Rapporto. L’Osservatorio GIMBE effettuerà monitorerà gli esiti della mozione, auspicando la convergenza di tutte le forze politiche, perché il rilancio della sanità pubblica non può essere condizionato da ideologie partitiche, né dalla scadenza dei mandati elettorali».

La versione integrale della mozione 1-00195 è disponibile a: https://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=1-00195&ramo=C&leg=18


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25 giugno 2019
Verso la privatizzazione della sanità: oltre 4 miliardi di agevolazioni fiscali per fondi integrativi e welfare aziendale

UN FIUME DI DENARO PUBBLICO SOTTO FORMA DI INCENTIVI FISCALI ALIMENTA PROFITTI PRIVATI SENZA INTEGRARE REALMENTE L’OFFERTA DEI LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA, PERMETTENDO L’ESPANSIONE DI UN SERVIZIO SANITARIO “PARALLELO” CHE AUMENTA LE DISEGUAGLIANZE, NON RIDUCE LA SPESA DELLE FAMIGLIE E ALIMENTA IL CONSUMISMO SANITARIO. LA CRISI DI SOSTENIBILITÀ DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE E LA GRAVE CARENZA DI PERSONALE IMPONGONO ALLA POLITICA DI SPEZZARE QUESTO CIRCOLO VIZIOSO INDIRIZZANDO QUESTE RISORSE AL RILANCIO DELLA SANITÀ PUBBLICA, EVITANDO DI RENDERSI COMPLICE DELLA SUA PRIVATIZZAZIONE.

Nel gennaio 2019, con il report sulla sanità integrativa e con l’audizione parlamentare nell’ambito della “Indagine conoscitiva in materia di fondi integrativi del Servizio Sanitario Nazionale”, la Fondazione GIMBE ha invocato un riordino legislativo per restituire alla sanità integrativa il suo ruolo originale, ovvero rimborsare esclusivamente prestazioni non incluse nei LEA, evitando che il denaro pubblico, sotto forma di incentivi fiscali, alimenti i profitti dell’intermediazione finanziaria e assicurativa. Con il 4° Rapporto GIMBE sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale la Fondazione ha confermato che l’espansione incontrollata del cosiddetto “secondo pilastro” rientra tra le determinanti della crisi di sostenibilità del SSN.

«In un momento di gravissima difficoltà della sanità pubblica – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – pesantemente segnata dalla carenza e dalla demotivazione del personale, non è accettabile che le agevolazioni fiscali destinate a fondi integrativi e welfare aziendale favoriscano la privatizzazione del SSN. I dati documentano infatti che siamo di fronte alla progressiva espansione di un servizio sanitario “parallelo” che sottrae denaro pubblico per alimentare anche profitti privati, senza alcuna connotazione di reale “integrazione” rispetto a quanto già offerto dai livelli essenziali di assistenza». Ma al di là della tipologia di prestazioni offerte, chi paga oggi la sanità integrativa, continuamente sbandierata come win-win solution e proposta come àncora di salvataggio per il SSN?

«Finalmente da quest’anno – spiega il Presidente – sono disponibili i dati ufficiali dell’Anagrafe dei Fondi Sanitari Integrativi mantenuta dal Ministero della Salute e soprattutto gli importi relativi alle detrazioni e deduzioni di imposta presentati dall’Agenzia delle Entrate nel corso di un’audizione parlamentare e ripresi dal Rapporto della Corte dei Conti 2019 sul coordinamento della finanza pubblica». Le analisi effettuate dalla Fondazione GIMBE su varie fonti documentano per l’anno 2017:

  • 322 fondi sanitari integrativi attestati dal Ministero della Salute
  • 10.616.847 di iscritti ai fondi di cui il 73% lavoratori, il 22,3% familiari e il 4,7% pensionati
  • 85% dei fondi sanitari riassicurati e/o gestiti da compagnie assicurative
  • 40% dei contributi versati erosi da costi amministrativi, oneri di riassicurazione e utili delle assicurazioni
  • € 2.329 milioni le risorse utilizzate per rimborsare prestazioni agli iscritti
  • 32% la percentuale di risorse destinate a prestazioni integrative quali odontoiatria e long term care
  • € 11.164 milioni l’ammontare dei contributi versati ai fondi portati in deduzione da persone fisiche per una spesa fiscale complessiva di € 3.361 milioni, considerando un’aliquota IRPEF media del 30%
  • € 2.053 milioni l’ammontare dei contributi versati da datori di lavoro/società di capitali, per una spesa fiscale complessiva di € 493 milioni, considerando l’aliquota IRES del 24%

Ai € 3.854 milioni di spesa fiscale per fondi sanitari bisogna aggiungere il mancato gettito fiscale per i premi di risultato previsti dal welfare aziendale. Su questo, in assenza di dati ufficiali dall’Agenzia delle Entrate, la Fondazione GIMBE ha stimato per il 2017 un importo di circa € 311 milioni sulla base dei seguenti dati:

  • 2.038.647 lavoratori hanno percepito premi di risultato
  • € 1.270 stima del premio di risultato individuale medio
  • 40% dei servizi di welfare aziendale riguardano forme di sanità integrativa
  • € 1.036 milioni il totale dei premi di risultato, per una spesa fiscale complessiva di € 311 milioni, considerando un’aliquota IRPEF media del 30%

Le analisi della Fondazione GIMBE confermano che una normativa frammentata e incompleta ha favorito l’involuzione dei fondi sanitari ri-assicurati in strumento di privatizzazione del SSN in quanto:

  • I contributi versati ai fondi sanitari integrativi iscritti all’anagrafe del Ministero della Salute sono deducibili, da parte dell’iscritto e/o dell’impresa, sino a € 3.615,20.
  • Per l’iscrizione all’anagrafe ministeriale il fondo deve solo autocertificare che “impegna” almeno il 20% delle risorse in prestazioni extra-LEA, ovvero sino all’80% delle risorse possono essere destinate a prestazioni già offerte dal SSN pur mantenendo le agevolazioni fiscali.
  • Le compagnie assicurative, oltre a riassicurare i fondi, svolgono sempre più il ruolo di gestori “propositivi”: offrono una rete capillare di erogatori privati accreditati e propongono “pacchetti” di prestazioni che alimentano il consumismo sanitario, facendo leva sulle inefficienze del SSN (tempi di attesa) e su un concetto distorto di prevenzione (più esami = più salute).
  • Le imprese stipulano polizze collettive con le compagnie assicurative che selezionano un fondo sanitario iscritto all’anagrafe; il fondo, dal canto suo, assume la gestione del contratto ai fini fiscali e contributivi e riversa alla compagnia assicurativa i contributi dei dipendenti sotto forma di premio.
  • La normativa sul welfare aziendale ha ridotto ulteriormente il gettito fiscale con il benestare dei sindacati che hanno barattato una quota di salario e TFR con agevolazioni minime per i lavoratori.

«Alla Commissione Affari Sociali della Camera – spiega Cartabellotta – va riconosciuto il merito di aver riportato al centro del dibattito politico il ruolo dei fondi sanitari con l’avvio dell’indagine parlamentare. Tuttavia, con il Decreto crescita il Governo del Cambiamento ha riconosciuto la natura non commerciale dei fondi sanitari nonostante oltre 4/5 dei fondi sanitari siano gestiti da compagnie assicurative, permettendo così alle agevolazioni fiscali concesse ad enti non commerciali di alimentare i profitti di imprese commerciali».

«Come organizzazione indipendente impegnata da anni nella tutela di un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico – conclude il Presidente – abbiamo il dovere morale di informare politica, sindacati, professionisti sanitari, lavoratori e cittadini che, a legislazione vigente, fondi sanitari integrativi e welfare aziendale costituiscono un sofisticato strumento di privatizzazione che erode sempre più risorse alla finanza pubblica, le redistribuisce in maniera iniqua, aumenta la spesa sanitaria totale senza ridurre quella delle famiglie ed alimenta il consumismo sanitario aumentando i rischi per la salute delle persone legati a fenomeni di sovra-diagnosi e sovra-trattamento».


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11 giugno 2019
4° Rapporto GIMBE: la sanità pubblica, trascurata dalla politica, cade a pezzi e nel silenzio dei cittadini si avvia verso la privatizzazione

SPESA PUBBLICA ALLINEATA AI PAESI DELL’EUROPA ORIENTALE, TROPPI LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA GARANTITI SOLO SULLA CARTA, SPRECHI, INEFFICIENZE E CHIARI SEGNALI DI PRIVATIZZAZIONE DOVUTI ALL’ESPANSIONE DEL “SECONDO PILASTRO” RENDONO INFAUSTA LA PROGNOSI DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE. SENZA UN ADEGUATO RILANCIO IL DISASTRO SANITARIO, SOCIALE ED ECONOMICO È DIETRO L’ANGOLO, MA NEGLI ULTIMI 10 ANNI NESSUN ESECUTIVO HA AVUTO IL CORAGGIO DI METTERE LA SANITÀ PUBBLICA AL CENTRO DELL’AGENDA POLITICA, NÉ I CITTADINI SONO MAI SCESI IN PIAZZA PER DIFENDERE UN FONDAMENTALE DIRITTO COSTITUZIONALE. DA GIMBE ANALISI INDIPENDENTI, UN PIANO DI SALVATAGGIO E PROPOSTE DI RIFORME DI ROTTURA PER COSTRUIRE LA SANITÀ CHE MERITANO I CITTADINI.

La Fondazione GIMBE ha presentato oggi presso la Sala Capitolare del Senato della Repubblica il 4° Rapporto sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale (SSN): «Davanti al lento e progressivo sgretolamento della più grande opera pubblica mai costruita in Italia – esordisce il Presidente Nino Cartabellotta – negli ultimi dieci anni nessun Esecutivo ha mai avuto il coraggio di mettere la sanità pubblica al centro dell’agenda politica, ignorando che la perdita di un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico, oltre a compromettere la salute delle persone e a ledere un diritto fondamentale tutelato dalla Costituzione, porterà ad un disastro sociale ed economico senza precedenti».

Dal Rapporto GIMBE emerge la mancanza di un disegno politico di lungo termine per “preservare e potenziare” la sanità pubblica – già invocato dal Presidente Mattarella nel discorso di fine anno –  oltre che la scarsa attitudine degli attori della sanità a rinunciare ai privilegi acquisiti per tutelare il bene comune e soprattutto, constata amaramente il Presidente, che «cittadini e pazienti, ignorando il valore inestimabile del SSN di cui sono “azionisti di maggioranza” non sono mai scesi in piazza per rivendicare la tutela della sanità pubblica e costringere la politica a tirarla fuori dal dimenticatoio».

«L’Italia – affonda il Presidente – siede nel G7 tra le potenze economiche del mondo, ma la politica ha fatto precipitare il finanziamento pubblico per la sanità ai livelli dei paesi dell’Europa orientale, considerando la sanità come un mero capitolo di spesa pubblica da saccheggiare e non una leva di sviluppo economico da sostenere, visto che assorbe solo il 6,6% del PIL e l’intera filiera della salute ne produce circa l’11%. In tal senso, mentre il mondo professionale e i pazienti aspirano alle grandi (e costose) conquiste della scienza e l’industria investe in questa direzione, l’entità del definanziamento pubblico allontana sempre di più l’accessibilità per tutti alle straordinarie innovazioni farmacologiche e tecnologiche oggi disponibili».

«Peraltro – continua il Presidente – la scarsa attitudine ad investire in sanità va a braccetto con la facilità a disinvestire, visto che dal 2010 tutti i Governi hanno ridotto la spesa sanitaria per fronteggiare le emergenze finanziarie, fiduciosi che il SSN fornirà sempre risultati eccellenti e consapevoli che qualcun altro raccoglierà i cocci». Ma al tempo stesso, con l’obiettivo (fallito) di aumentare il consenso elettorale, hanno puntato sui sussidi individuali (bonus 80 euro, reddito di cittadinanza, quota 100), indebolendo di fatto le tutele pubbliche in sanità ed aumentando la spesa delle famiglie.

«Per progettare il SSN del futuro – puntualizza il Presidente – bisogna innanzitutto uscire dal perimetro della spesa sanitaria, perché la spesa sociale di interesse sanitario e la spesa fiscale per detrazioni e deduzioni sono custodite nello stesso “salvadanaio”: quello utilizzato per la salute degli italiani». Secondo le analisi effettuate la spesa per la salute in Italia 2017 ammonta complessivamente a € 204.034 milioni:

  • Spesa sanitaria: € 154.920 di cui € 113.131 milioni di spesa sanitaria pubblica e € 41.789 milioni di spesa sanitaria privata. Di questa € 35.989 milioni a carico delle famiglie e € 5.800 milioni intermediati da fondi sanitari/polizze collettive (€ 3.912 milioni), polizze individuali (€ 711 milioni) e da altri enti (€ 1.177 milioni).
  • Spesa sociale di interesse sanitario: € 41.888,5 milioni di cui € 32.779,5 milioni di spesa pubblica, in larga misura relative alle provvidenze in denaro erogate dall’INPS, e € 9.109 milioni stimati di spesa delle famiglie.
  • Spesa fiscale: € 7.225,5 milioni per deduzioni e detrazioni di imposta dal reddito delle persone fisiche per spese sanitarie (€ 3.864,3 milioni) e € 3.361,2 milioni per contributi versati a fondi sanitari integrativi, cifra ampiamente sottostimata per l’indisponibilità dei dati relativi al welfare aziendale e alle agevolazioni fiscali a favore delle imprese).

 

«Al di là delle cifre – spiega Cartabellotta – oggi la vera sfida è identificare il ritorno in termini di salute delle risorse investite in sanità (value for money): secondo le nostre analisi il 19% della spesa pubblica, almeno il 40% di quella delle famiglie ed il 50% di quella intermediata non migliorano salute e qualità di vita delle persone». Ecco perché bisogna avviare riforme sanitarie e fiscali, oltre che azioni di governance a tutti i livelli, per ridurre al minimo i fenomeni di sovra-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci o inappropriate e sotto-utilizzo di servizi e prestazioni efficaci e appropriate, aumentando il value for money delle tre forme di spesa sanitaria e pervenendo ad una loro distribuzione ottimale.

Il Rapporto conferma le 4 determinanti della crisi di sostenibilità del SSN: definanziamento pubblico, sostenibilità ed esigibilità dei nuovi LEA, sprechi e inefficienze ed espansione del “secondo pilastro”.

  • Definanziamento pubblico. «Nel periodo 2010-2019 – precisa Cartabellotta – sono stati sottratti al SSN circa € 37 miliardi e l’incremento complessivo del fabbisogno sanitario nazionale è stato di € 8,8 miliardi, con una media annua dello 0,9% insufficiente anche solo a pareggiare l’inflazione (+ 1,07%)». Nessuna luce in fondo al tunnel visto che il DEF 2019 riduce progressivamente il rapporto spesa sanitaria/PIL dal 6,6% nel 2019-2020 al 6,5% nel 2021 e al 6,4% nel 2022 e le buone intenzioni della Legge di Bilancio 2019 (+€ 8,5 miliardi nel triennio 2019-2021) sono subordinate ad ardite previsioni di crescita e alla stipula, tutta in salita, del Patto per la Salute.
  • Sostenibilità ed esigibilità dei nuovi LEA. Il Rapporto analizza le criticità per definire e aggiornare gli elenchi delle prestazioni e quelle che condizionano l’omogenea erogazione ed esigibilità dei nuovi LEA : «È ormai inderogabile – sottolinea il Presidente – un consistente “sfoltimento” delle prestazioni basato su evidenze scientifiche e princìpi di costo-efficacia per mettere fine ad un paradosso inaccettabile: in Italia il finanziamento pubblico tra i più bassi d’Europa convive con il “paniere LEA” più ampio, garantito però solo sulla carta». Quale prova tangibile, la mancata pubblicazione del “decreto tariffe” in ostaggio del MEF per mancata copertura finanziaria non permette l’esigibilità dei nuovi LEA su tutto il territorio nazionale, trasformando un grande traguardo politico in una cocente delusione collettiva.
  • Sprechi e inefficienze. Il Rapporto aggiorna le stime sull’impatto degli sprechi sulla spesa sanitaria pubblica 2017: € 21,49 miliardi erosi da sovra-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci o inappropriate (€ 6,48 mld), frodi e abusi (€ 4,75 mld), acquisti a costi eccessivi (€ 2,16 mld), sotto-utilizzo di servizi e prestazioni efficaci e appropriate (€ 3,24 mld), inefficienze amministrative (€ 2,37 mld) e inadeguato coordinamento dell’assistenza (€ 2,59 mld).
  • Espansione del secondo pilastro. Ruolo e potenzialità dei fondi sanitari integrativi sono compromessi da una normativa frammentata e incompleta, che da un lato ha permesso loro di diventare prevalentemente sostitutivi, con la garanzia di cospicue agevolazioni fiscali, dall’altro consente all’intermediazione assicurativa di gestire i fondi invadendo il mercato della salute con “pacchetti” di prestazioni superflue che alimentano il consumismo sanitario e possono danneggiare la salute. «Continuare a dirottare risorse pubbliche sui fondi sanitari tramite le agevolazioni fiscali e non riuscire a rinnovare contratti e convenzioni e, più in generale ad attuare le inderogabili politiche sul personale – spiega il Presidente –  è un chiaro segnale di privatizzazione del SSN che configura un grave atto di omissione politica».

 

Accanto a queste quattro “patologie”, due “fattori ambientali” peggiorano ulteriormente lo stato di salute del SSN: la non sempre leale collaborazione tra Governo e Regioni, oggi ulteriormente perturbata dalle istanze di regionalismo differenziato, e le irrealistiche aspettative di cittadini e pazienti che da un lato condizionano la domanda di servizi e prestazioni, anche se inutili, dall’altro non accennano a cambiare stili di vita inadeguati che aumentano il rischio di numerose malattie.

Con questa diagnosi, la prognosi per il SSN al 2025 non può che essere infausta: secondo le stime del Rapporto GIMBE per riallineare il SSN a standard degli altri paesi europei e offrire ai cittadini italiani un servizio sanitario di qualità, equo e universalistico sarà necessaria nel 2025 una spesa sanitaria di € 230 miliardi. Visto che la soluzione offerta dal “secondo pilastro” non è che un clamoroso abbaglio collettivo, il rilancio del SSN richiede la convergenza di tutte le forze politiche e un programma di azioni coraggiose e coerenti: dal consistente aumento del finanziamento pubblico alla ridefinizione del perimetro dei LEA, dalla rivalutazione delle agevolazioni fiscali per i fondi sanitari al ripensamento delle modalità con le quali viene erogata la spesa sociale di interesse sanitario al fine di pervenire ad un fabbisogno socio-sanitario nazionale. «Ma soprattutto – spiega il Presidente – bisogna “mettere in sicurezza” le risorse ed evitare le periodiche revisioni al ribasso, ovvero definire sia una soglia minima del rapporto spesa sanitaria/PIL, sia un incremento percentuale annuo del fabbisogno sanitario nazionale pari almeno al doppio dell'inflazione».

«Riprendendo parole di gattopardiana memoria – conclude Cartabellotta – se vogliamo rilanciare il SSN dobbiamo cambiare tutto – entità del finanziamento, criteri di riparto, verifica adempimenti LEA, pianificazione e organizzazione dei servizi sanitari, modalità di rimborso delle prestazioni – affinché non cambi nulla, ovvero per non perdere i princìpi di equità, solidarietà e universalismo che da 40 anni costituiscono il DNA del nostro Servizio Sanitario Nazionale».

La versione integrale del 4° Rapporto GIMBE è disponibile all’indirizzo web: www.rapportogimbe.it


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3 giugno 2019
Reti pediatriche: una nuova piattaforma per la salute dei bambini

DA UNA COLLABORAZIONE TRA L’ASSOCIAZIONE OSPEDALI PEDIATRICI ITALIANI E LA FONDAZIONE GIMBE UNA INNOVATIVA PIATTAFORMA IN GRADO DI GEOLOCALIZZARE DI SERVIZI PEDIATRICI PRESENTI IN AZIENDE SANITARIE PUBBLICHE E IRCCS PUBBLICI E PRIVATI E QUALIFICARE I SERVIZI OFFERTI: UNO STRUMENTO DALLE ENORMI POTENZIALITÀ PER GARANTIRE QUALITÀ E SICUREZZA DELLE CURE PER I PAZIENTI PIÙ PICCOLI, OLTRE CHE PER MIGLIORARE L’USO DEL DENARO PUBBLICO.

Fondazione GIMBE e Associazione Ospedali Pediatrici Italiani

Il 21 dicembre 2017 è stato siglato l’Accordo Stato-Regioni “Linee di indirizzo per la promozione e il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell’appropriatezza degli interventi assistenziali in area pediatrico-adolescenziale” integrato dal documento “Rete dell’emergenza-urgenza pediatrica”. Anche se tale accordo fa ampio riferimento alle reti pediatriche attualmente manca uno strumento in grado di mappare nelle varie Regioni i “nodi” della rete da connettere, ovvero strutture e servizi pediatrici ospedalieri e territoriali, al fine di costruire i percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali (PDTA).

«Tale lacuna – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – comporta un’estrema eterogeneità dell’offerta, la duplicazione di servizi che determina lo spreco di preziose risorse oltre a una riduzione della qualità dell’assistenza sanitaria con conseguente peggioramento degli esiti di salute. Per questo, in collaborazione con l’Associazione Ospedali Pediatrici Italiani (AOPI) abbiamo sviluppato una piattaforma per la geocalizzazione di servizi pediatrici presenti in aziende sanitarie pubbliche e IRCCS pubblici e privati e per la qualificazione dei servizi offerti».

La piattaforma, presentata in occasione del 75° Congresso Nazionale della Società Italiana di Pediatria, permette di visualizzare, anche su mappa geografica, tutti i dati relativi 472 strutture di ricovero per un totale di 2.148 servizi pediatrici.

 

«AOPI e GIMBE – precisa Paolo Petralia, Presidente AOPI –  hanno realizzato questo strumento operativo per tradurre le buone intenzioni in fatti: una piattaforma web based che intende fornire elementi conoscitivi e decisionali a Regioni e Aziende sanitarie per bilanciare domanda e offerta pediatriche e quindi programmare le attività tenendo conto delle peculiarità dei singoli territori».

 

La piattaforma permette di classificare le strutture di ricovero secondo il DM 70/2015 (base, I livello, II livello), inserire eventuali strutture di ricovero private accreditate con relativi servizi pediatrici, qualificare per ciascuna struttura di ricovero la presenza/assenza di pronto soccorso pediatrico, trasporto neonatale, trasporto materno assistito, punto nascita, sede di Scuola di Specializzazione, rapporti con l’Università; mappare le discipline/specialità cliniche previste dal DM 70/2015 (cardiochirurgia infantile; chirurgia pediatrica; genetica medica; neuropsichiatria infantile; pediatria; onco-ematologia pediatrica; terapia intensiva neonatale; neurochirurgia pediatrica; nefrologia pediatrica; urologia pediatrica); inserire per le Aziende sanitarie locali Aggregazioni Funzionali Territoriali, Unità Complesse di Cure Primarie, Pediatri di libera scelta; inserire nuovi Dipartimenti, UU.OO. e Servizi; indicare la tipologia di servizi offerti.

«Il modello di rete clinico-assistenziale – concludono Cartabellotta e Petralia – ha l’obiettivo di assicurare che la presa in carico del paziente avvenga in condizioni di appropriatezza, efficacia, efficienza, qualità e sicurezza delle cure, mettendo in relazione professionisti, strutture e servizi che erogano interventi sanitari e socio-sanitari di differente intensità e tipologia. In ambito pediatrico, la nostra piattaforma rappresenta il mezzo con cui raggiungere questo ambizioso obiettivo».


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20 maggio 2019
Sperimentazioni cliniche: migliorare la trasparenza per tutelare la salute e favorire l’innovazione

IN OCCASIONE DELLA GIORNATA INTERNAZIONALE DEI TRIAL CLINICI LA FONDAZIONE GIMBE PUBBLICA LA VERSIONE ITALIANA DI UNA GUIDA DESTINATA AI DECISORI ISTITUZIONALI PER MIGLIORARE LA TRASPARENZA DELLE SPERIMENTAZIONI CLINICHE. AL FINE DI RIDURRE GRAVI CONSEGUENZE CLINICHE, SOCIALI ED ECONOMICHE SONO NECESSARIE AZIONI NORMATIVE E REGOLATORIE PER CONSOLIDARE I CINQUE PILASTRI CHE SOSTENGONO LA TRASPARENZA DEI TRIAL CLINICI: REGISTRAZIONE, REPORT TEMPESTIVO DEI RISULTATI PRINCIPALI, DISPONIBILITÀ DEL REPORT INTEGRALE, PUBBLICAZIONE DEL TRIAL E CONDIVISIONE DEI DATI INDIVIDUALI DEI PARTECIPANTI.

Le sperimentazioni cliniche, in particolare quelle controllate e randomizzate rappresentano lo standard della ricerca per valutare l’efficacia di farmaci, dispositivi medici ed altri interventi sanitari, oltre che un’insostituibile strumento per il progresso e l’innovazione della medicina e della sanità pubblica. Tuttavia negli ultimi decenni consistenti evidenze hanno dimostrato che le prove di efficacia disponibili in letteratura sono incomplete e distorte per vari fattori che influenzano la trasparenza dei trial clinici.

«La scarsa trasparenza delle sperimentazioni cliniche – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – comporta gravi conseguenze cliniche, sociali ed economiche, visto che si tratta di studi che arruolano esseri umani per valutare l’efficacia e la sicurezza delle terapie: dai danni ai pazienti all’impossibilità per le agenzie regolatorie di prendere decisioni realmente informate, dallo spreco di risorse pubbliche al rallentamento dei progressi in campo medico, sino ai rischi per gli azionisti delle multinazionali».

Per diffondere questa consapevolezza a livello istituzionale, professionale e sociale, la Fondazione GIMBE ha realizzato la versione italiana della guida di Transparency International, destinata ai decisori istituzionali per promuovere la trasparenza delle sperimentazioni cliniche che poggia su cinque pilastri:

  • Registrazione. Tutti i trial clinici devono essere registrati prima del loro avvio in uno dei registri riconosciuti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).
  • Report dei risultati principali. I risultati principali dei trial clinici devono essere resi pubblici entro 12 mesi dal loro completamento negli stessi registri dove sono stati inizialmente registrati.
  • Report integrale. I risultati dettagliati dei trial clinici contenuti nei clinical study reports, devono essere divulgati in maniera proattiva.
  • Pubblicazione. Tutte le sperimentazioni cliniche devono essere pubblicate su riviste scientifiche o su piattaforme ad accesso libero.
  • Condivisione dei dati individuali dei partecipanti. Occorre stabilire norme e regolamenti per una condivisione efficace e attenta dei dati individuali dei partecipanti.

Per ciascuno dei “pilastri della trasparenza” la guida, riportando numerosi casi di studio, fornisce la definizione, ne spiega l’importanza, elenca i traguardi raggiunti, riporta gli standard internazionali e formula alcune raccomandazioni per i decisori istituzionali.

«Le Nazioni Unite – puntualizza il Presidente – hanno recentemente esortato i governi a risolvere questo rilevante problema di salute pubblica, anche perché numerosi interventi per migliorare la trasparenza dei trial clinici possono essere attuati nell’ambito dell’attuale quadro normativo con semplici azioni amministrative dal modesto impatto economico e dall’elevata costo-efficacia».

Tre le azioni concrete suggerite ai decisori istituzionali per aumentare la trasparenza dei trial clinici e migliorare l’accountability nei confronti di cittadini, pazienti, contribuenti e investitori:

  • Garantire la trasparenza del reporting dei trial clinici finanziati con risorse pubbliche. I decisori dovrebbero richiedere a tutti gli enti pubblici che finanziano la ricerca di adottare e seguire gli standard di trasparenza dell’OMS per la divulgazione dei risultati dei trial clinici e di garantirne la completa implementazione.
  • Far rispettare gli standard internazionali esistenti sul reporting dei trial clinici. I decisori dovrebbero fornire alle agenzie regolatorie risorse, poteri e supporto politico per fare rispettare normative e regolamenti esistenti ma non adeguatamente applicati, oltre che supportarle per definire meccanismi efficienti di monitoraggio e sanzionamento.
  • Potenziare il quadro normativo e regolatorio. I decisori dovrebbero allineare normative e regolamenti ai migliori standard internazionali e assicurare che vengano applicati a tutti i trial clinici, passati e presenti, attraverso i cinque i pilastri della trasparenza.

«Auspichiamo – conclude Cartabellotta – che la pubblicazione di questa guida alimenti il dibattito pubblico anche nel nostro Paese e favorisca tutte le azioni normative e regolatorie per aumentare la trasparenza delle sperimentazioni cliniche al fine di migliorare la salute delle persone, di permettere una migliore allocazione delle risorse pubbliche destinate alla ricerca, di favorire lo sviluppo di nuove terapie e di ridurre i rischi per gli azionisti».

La versione integrale del documento: “La trasparenza dei trial clinici: guida per decisori istituzionali”
è disponibile a: www.gimbe.org/trasparenza-trial.


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13 maggio 2019
Tempi di attesa: la trasparenza di Regioni e Aziende sanitarie è ancora lontana

CON L’AVVIO DEL NUOVO PROGRAMMA NAZIONALE PER IL GOVERNO DELLE LISTE DI ATTESA, LA FONDAZIONE GIMBE PUBBLICA IL MONITORAGGIO INDIPENDENTE SULLA RENDICONTAZIONE PUBBLICA DEI TEMPI DI ATTESA DA PARTE DI REGIONI E AZIENDE SANITARIE. SOLO 9 REGIONI DISPONGONO DI PORTALI INTERATTIVI, MA NESSUNA FORNISCE INFORMAZIONI SIA SUL RISPETTO DEI TEMPI MASSIMI DI ATTESA, SIA PER CIASCUNA PRESTAZIONE L’INDICAZIONE DELLA PRIMA DISPONIBILITÀ PER IL CITTADINO CON I TEMPI DI ATTESA DELLE STRUTTURE EROGANTI

Il Piano Nazionale di Governo delle Liste d'attesa (PNGLA) 2010-2012 aveva previsto, a garanzia della trasparenza e dell’accesso alle informazioni su liste e tempi di attesa, un monitoraggio annuale sistematico della loro presenza sui siti web di Regioni e Province Autonome e di Aziende sanitarie. Tali informazioni, secondo quanto previsto dal successivo “decreto trasparenza”, dovrebbero essere rese pubblicamente disponibili a tutti i cittadini con l'obiettivo di favorire il controllo diffuso sull'operato delle Istituzioni e sull'utilizzo delle risorse pubbliche.

«L’Osservatorio GIMBE – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – ha rilevato che il Ministero della Salute non ha mai pubblicato i risultati del monitoraggio previsto dal PNGLA 2010-2012. In particolare, non è disponibile alcun report sui recepimenti regionali del PNGLA e sulla redazione dei piani attuativi aziendali, né tantomeno sulla rendicontazione pubblica dei tempi di attesa, oggetto solo di studi a campione effettuati da varie organizzazioni. Al fine di colmare tale vuoto istituzionale abbiamo finanziato una ricerca indipendente con la borsa di studio “Gioacchino Cartabellotta”».

L’obiettivo generale dello studio era di valutare il livello di trasparenza e il dettaglio delle informazioni fornite sulle liste di attesa dai siti web di Regioni e Aziende sanitarie, verificando la disponibilità delle delibere di recepimento del PNGLA 2010-2012 da parte di Regioni e Province autonome e dei piani attuativi regionali; la disponibilità dei piani attuativi aziendali; la disponibilità e lo stato di aggiornamento su siti web regionali e aziendali dei tempi di attesa relativi alle 43 prestazioni ambulatoriali oggetto di monitoraggio del PNGLA 2010-2012.

La ricerca delle informazioni è stata effettuata sia consultando direttamente i siti web istituzionali di Regioni, Province autonome e Aziende sanitarie, sia tramite ricerche Google utilizzando specifiche parole chiave. I dati relativi ai siti di Regioni e Province autonome sono aggiornati al 6 maggio 2019, mentre quelli relativi ai siti delle Aziende sanitarie si riferiscono a dicembre 2018. Si riportano di seguito i risultati principali dello studio.

Regioni e Province autonome

  • Piani Regionali: tutte le Regioni e Province autonome rendono disponibili sia le delibere di recepimento del PNGLA 2010-2012 sia i Piani Regionali per il governo delle liste di attesa che nel periodo 2010-2018 sono stati aggiornati e/o integrati in misura molto variabile.
  • Trasparenza tempi di attesa: la rendicontazione pubblica relativa alle 43 prestazioni ambulatoriali previste dal PNGLA 2010-2012 è ancora lontana da standard ottimali ed estremamente variabile tra le diverse Regioni, nonostante il netto miglioramento rispetto ai risultati preliminari dello studio pubblicati a luglio 2018; in particolare:
    • 9 Regioni (Provincia autonoma di Bolzano, Basilicata, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Piemonte, Toscana, Valle d’Aosta) dispongono di portali interattivi;
    • 8 Regioni (Provincia autonoma di Trento, Abruzzo, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Veneto) rendono disponibili solo l’archivio storico con dati, range temporali e frequenza di aggiornamento estremamente variabili;
    • 3 Regioni (Campania, Sicilia, Umbria) rimandano ai siti web delle aziende sanitarie senza effettuare alcuna aggregazione dei dati, rendendo impossibile valutare il range temporale e la frequenza di aggiornamento degli archivi storici;
    • 1 Regione (Calabria) non fornisce alcuna informazione sui tempi di attesa.

 

Dall’analisi dei 9 portali interattivi, i più avanzati strumenti di trasparenza, emerge la notevole eterogeneità di struttura e funzioni da cui deriva la differente utilità per la programmazione sanitaria e per l’informazione al cittadino. Più in generale, nessuna Regione oggi fornisce informazioni complete sulle performance regionali sul rispetto dei tempi massimi di attesa, né i tempi di attesa delle strutture eroganti per ciascuna prestazione con indicazione della prima disponibilità per il cittadino.

Aziende sanitarie. Solo 49/269 (18%) aziende sanitarie rendono disponibile il piano attuativo aziendale, mentre l’83% effettua una rendicontazione pubblica sui tempi di attesa sul proprio sito o rimandando a quello della Regione; tuttavia, le informazioni disponibili sono frammentate ed notevolmente eterogenee rispetto alla potenziale utilità per gli utenti.

Durante la conduzione dello studio il tema delle liste di attesa è finalmente tornato al centro dell’agenda politica: per il triennio 2019-2021 il Governo ha stanziato complessivi € 400 milioni per “l’implementazione e l’ammodernamento delle infrastrutture tecnologiche legate ai sistemi di prenotazione elettronica per l’accesso alle strutture sanitarie” e lo scorso 21 febbraio 2019 la Conferenza Stato-Regioni ha approvato il PNGLA 2019-2021 che apporta diverse novità rispetto al piano precedente.

«Con il PNGLA 2019-2021 ai nastri di partenza – conclude Cartabellotta – l’auspicio è che i risultati del nostro studio vengano utilizzati a livello istituzionale per informare il riallineamento dei sistemi informativi regionali e aziendali, fornendo così una base univoca di dati per confrontare le performance regionali, anche al fine di includere il rispetto dei tempi di attesa negli adempimenti dei livelli essenziali di assistenza».

Il report integrale “Tempi di attesa: trasparenza di Regioni e Aziende sanitarie” è disponibile a: www.gimbe.org/liste-attesa.


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9 maggio 2019
Sostenibilità della Sanità Pubblica: una nuova generazione di decisori alla scuola GIMBE

AL VIA IL SECONDO BANDO NAZIONALE PER 25 BORSE DI STUDIO DESTINATE A SPECIALIZZANDI IN IGIENE E MEDICINA PREVENTIVA PER LA PARTECIPAZIONE AL CORSO AVANZATO SU “METODI E STRUMENTI DI CLINICAL GOVERNANCE PER LA SOSTENIBILITÀ DEL SSN”, REALIZZATO GRAZIE AD UNA EROGAZIONE LIBERALE DI MSD ITALIA AL PROGRAMMA GIMBE4YOUNG

Diversi fattori oggi minano la sostenibilità di tutti i sistemi sanitari: il progressivo invecchiamento delle popolazioni, il costo crescente delle innovazioni, in particolare quelle farmacologiche, il costante aumento della domanda di servizi e prestazioni da parte di cittadini e pazienti. Tuttavia, il problema della sostenibilità non è di natura squisitamente finanziaria, perché un’aumentata disponibilità di risorse non permette comunque di risolvere cinque criticità ampiamente documentate: estrema variabilità nell’utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie, effetti avversi dell’eccesso di medicalizzazione, le diseguaglianze conseguenti al sotto-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie dall’elevato value, incapacità di attuare efficaci strategie di prevenzione, sprechi che si annidano a tutti i livelli.

«Per affrontare queste sfide – afferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – numerosi sono gli interventi normativi messi in campo negli ultimi anni. In particolare, il DM 70/2015 ovvero il “Regolamento sugli standard qualitativi, tecnologici, strutturali e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera” ha avviato il processo di qualificazione e riorganizzazione della rete ospedaliera che, insieme a quella delle cure primarie, costituisce la fondamentale linea di programmazione sanitaria per la sostenibilità del SSN».

Il DM 70/2015 promuove standard organizzativi secondo il modello di clinical governance, i cui strumenti utilizzati con un approccio di sistema contribuiscono ad erogare un’assistenza basata sulle evidenze, ad elevato value, sostenibile e centrata sui bisogni della persona: l’utilizzo integrato di strumenti di gestione del rischio clinico, evidence-based medicine, percorsi assistenziali, health technology assessment, valutazione e miglioramento continuo delle attività cliniche (audit clinico, misurazione della performance clinica, degli esiti e della qualità percepita), documentazione sanitaria, comunicazione, informazione e partecipazione del cittadino/paziente, formazione continua del personale, team work e il team training sono dunque gli ingredienti fondamentali per la sostenibilità della sanità pubblica.

«Considerato che nei programmi di formazione universitaria e specialistica – precisa Cartabellotta – questi strumenti non vengono trasferiti in maniera sistematica, GIMBE punta a trasmettere queste competenze alle nuove generazioni di decisori della sanità, al fine di garantire continuità assistenziale tra ospedale e territorio, migliorare l’appropriatezza organizzativa, ridurre gli sprechi ed aumentare la soddisfazione dei pazienti».

Con questi obiettivi, nell’ambito del programma GIMBE4young, la Fondazione GIMBE ha lanciato un secondo bando nazionale per l’erogazione di 25 borse di studio che consentiranno a specializzandi in Igiene e Medicina Preventiva di partecipare al corso avanzato “Metodi e strumenti di clinical governance per la sostenibilità del SSN” che si terrà a Bologna da settembre 2019 a gennaio 2020.

L’iniziativa verrà realizzata grazie anche al sostegno di MSD Italia al programma GIMBE4young: «Con l’allungamento dell’aspettativa di vita – dichiara Nicoletta Luppi, Amministratore Delegato di MSD Italia – la cronicità rappresenta un fattore chiave che “erode” la sostenibilità del sistema sanitario. Le malattie croniche non trasmissibili quali diabete, malattie cardiovascolari metaboliche e patologie oncologiche, infatti, sono le principali responsabili di anni di salute persi e dell’assorbimento di risorse economiche».

«La ricetta per aiutare la sostenibilità del SSN nel lungo termine – continua Luppi – deve prevedere il rilancio del finanziamento pubblico, adeguati investimenti in prevenzione, anche attraverso i vaccini, riduzione degli sprechi e apertura a forme nuove di finanziamento. È necessario altresì introdurre un nuovo approccio di gestione manageriale basato sulle evidenze scientifiche e sull’utilizzo degli strumenti di clinical governance, previa un’adeguata formazione dei medici. Da queste premesse nasce il sostegno di MSD a questa iniziativa della Fondazione GIMBE che intende formare i giovani medici, già dalle scuole di specializzazione, creando una nuova generazione di professionisti in grado di erogare un’assistenza sanitaria generale prestazioni ad elevato impatto per la salute dei pazienti, coniugando innovazione e sostenibilità (value-based healthcare)».

Le candidature possono essere inviate online entro il 24 maggio 2019.

Tutte le informazioni sul bando sono disponibili a: www.gimbe4young.it/CG


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29 aprile 2019
Sanità: incombe lo spettro di nuovi tagli

DALL’OSSERVATORIO GIMBE ALLARME SU POSSIBILI TAGLI AL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE DOVUTI AL FORTE RIDIMENSIONAMENTO DELLA CRESCITA ECONOMICA NEL DEF 2019. PARALLELAMENTE NUMEROSE CRITICITÀ POLITICHE, ECONOMICHE E TECNICHE RISCHIANO DI RIACCENDERE IL CONFLITTO TRA GOVERNO E REGIONI, ARENANDO LA STIPULA DEL PATTO PER LA SALUTE A CUI È LEGATO L‘AUMENTO DEL FINANZIAMENTO PER LA SANITÀ. IL RISCHIO CONCRETO È DI RIDURRE ULTERIORMENTE L’EQUITÀ DI ACCESSO ALLE CURE E PEGGIORARE GLI ESITI DI SALUTE INCLUSA L’ASPETTATIVA DI VITA.

Dalle recenti analisi indipendenti dell’Osservatorio GIMBE sul DEF 2019 sono emerse forti preoccupazioni per la sanità pubblica sia perché la crescita economica del Paese è stata drammaticamente ridimensionata, rendendo poco realistici gli aumenti previsti dalla Legge di Bilancio per il 2020-2021, sia perché il rapporto spesa sanitaria/PIL rimane stabile sino al 2020 per poi ridursi dal 2021. «Se da un lato tali preoccupazioni – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – vengono confermate dalle audizioni dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio e della Corte dei Conti, dall’altro stupisce la sbrigativa superficialità con cui le risoluzioni di Camera e Senato sul DEF 2019 ignorano la polveriera sanità».

L’Ufficio Parlamentare di Bilancio, snocciolando i drammatici numeri del disavanzo, conferma che esistono pochi margini per una spending review e che “ulteriori tagli alla spesa sanitaria rischierebbero di incidere sulla qualità dei servizi offerti oppure sul perimetro dell’intervento pubblico in questo settore”. La Corte dei Conti, sottolineando che “al termine del 2018 […] non risultano sottoscritti gli accordi relativi alle aree della dirigenza sanitaria” rileva preoccupazioni per “la forte riduzione di personale, anche in relazione al tempo occorrente per l’assunzione di nuovo personale, con particolare riferimento a settori come la sanità […] in cui la diminuzione degli addetti rischia di incidere sull’erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni e sulla qualità dei servizi”.

A fronte di queste preoccupazioni per la tenuta della sanità pubblica, le speculari risoluzioni di Camera e Senato si limitano ad impegnare il Governo “a procedere dal 2019 ad un piano di assunzioni che argini il fenomeno della "fuga dei cervelli" e supporti la promozione di innovazione e ricerca in campo sanitario, valorizzando la funzione dei centri sanitari di nuova generazione e investendo in politiche di formazione ed inserimento lavorativo delle nuove professionalità, ad aggiornare a livello regionale il parametro di riferimento della spesa per il personale degli enti del SSN”.

«Il DEF 2019 – puntualizza il Presidente – indica il nuovo Patto per la Salute come strumento di governance per ottimizzare la spesa pubblica, ma in realtà il Patto condiziona anche le risorse per la sanità, come previsto dalla Legge di Bilancio 2019». Infatti, oltre al miliardo stanziato per il 2019, le risorse aggiuntive previste per il biennio 2020-2021 (+€ 2 miliardi nel 2020 e +€ 1,5 miliardi nel 2021) sono condizionate dalla stipula di un’intesa Stato-Regioni di un nuovo Patto per la Salute contenente “misure di programmazione e di miglioramento della qualità delle cure e dei servizi erogati e di efficientamento dei costi”.

La scadenza per la sottoscrizione del Patto era fissata al 31 marzo, ma visto che il suo mancato rispetto non avrebbe avuto conseguenze le motivazioni del ritardo inizialmente sono imputabili al dilatarsi della “fase esplorativa”. In dettaglio:

  • 13 febbraio. Le Regioni elaborano un documento fissando alcuni “paletti” per un primo confronto politico con la Ministra Grillo, assente alla riunione perché ritenuta meramente tecnica.
  • 27 febbraio. Nel primo incontro ufficiale riprende il dialogo politico ma il Ministero prende tempo sui “paletti” proposti dalle Regioni per definire la cornice politico istituzionale.
  • 14 marzo. La Ministra Grillo invia al presidente della Conferenza delle Regioni Stefano Bonaccini una contro-proposta, bocciata senza appello dalle Regioni perché giudicata “invasiva”.
  • 16 aprile. Nel secondo incontro ufficiale Governo e Regioni accantonano la cornice politico-istituzionale e danno il via libera ai tavoli tecnici: piani di rientro e commissariamenti, formazione e personale, governance del farmaco, investimenti in edilizia e tecnologie.

«Mentre Governo e Regioni bruciavano 4 mesi per annusarsi a vicenda – precisa il Presidente –  gli scenari politici, economici e tecnici tuttavia sono mutati, rendendo la strada per la stipula del Patto per la Salute sempre più in salita e lastricata di ostacoli».

  • Quadro economico. Il DEF 2019 ha certificato che gli aumenti del fabbisogno sanitario nazionale 2020-2021 sono utopistici, considerate le previsioni di aumento del PIL cui sono legati. Inoltre, nonostante il DEF annunci solo “un paziente lavoro di revisione della spesa corrente che porterà a un primo pacchetto di misure nella legge di bilancio per il 2020”, con la clausola di salvaguardia il blocco di € 2 miliardi di spesa pubblica nel 2020 finirà inevitabilmente per aggredire la sanità pubblica. In questo scenario, rispetto alle richieste delle Regioni, da un lato la Ministra Grillo non può offrire alcuna garanzia sull’aumento delle risorse previste per il 2020-2021, dall’altro per esigenze di finanza pubblica il Governo potrà in qualsiasi momento operare tagli alla sanità.
  • Scenario politico. Il rovente clima di competizione elettorale per le imminenti consultazioni europee genera attriti quotidiani sulle tematiche più disparate tra i due partiti di maggioranza indebolendo il Governo. Ma anche il fronte delle Regioni è altrettanto sfibrato sia dalla minore compattezza conseguente al regionalismo differenziato, sia dall’incertezza sulle risorse condizionate, oltre che dal quadro economico, proprio dalla necessità di stipulare il Patto.
  • Ostacoli tecnici. Il tema del regionalismo differenziato rende molto più complesso raggiungere un accordo sulle “misure di programmazione e di miglioramento della qualità delle cure e dei servizi erogati e di efficientamento dei costi” che, di fatto, rientrano tra le maggiori autonomie richieste in sanità da Emilia Romagna, Lombardia e Veneto.

«La Fondazione GIMBE, sulla base delle proprie valutazioni indipendenti – conclude Cartabellotta – invita Governo e Regioni a stipulare in tempi rapidi il Patto per la Salute, sia per garantire le condizioni necessarie all’aumento del fabbisogno sanitario nazionale (MEF permettendo), sia perché la sanità pubblica non può oggi reggere ad un conflitto tra Governo e Regioni. Infatti, il rischio concreto, oltre che di ridurre ulteriormente l’equità di accesso alle cure, in particolare per le fasce socio-economiche più deboli e al Centro-Sud, è di peggiorare gli esiti di salute inclusa l’aspettativa di vita».


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12 aprile 2019
DEF 2019: solo incongruenze e grandi incertezze per la sanità

DALL’ANALISI INDIPENDENTE DELL’OSSERVATORIO GIMBE SUL DOCUMENTO DI ECONOMIA E FINANZA 2019 EMERGONO CONTRADDIZIONI E INCERTEZZE PER IL FUTURO DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE. RISPETTO ALLE RISORSE ASSEGNATE DALLA LEGGE DI BILANCIO, LE STIME SULLA SPESA SANITARIA SONO INCONGRUENTI CON LE RISORSE GIÀ ASSEGNATE PER IL 2019, MENTRE PER GLI ANNI 2020-2021 CONTINUANO A DIPENDERE DA UTOPISTICHE PREVISIONI DI CRESCITA ECONOMICA. SU TUTTO ALEGGIA LO SPETTRO DELLA CLAUSOLA DI SALVAGUARDIA, OVVERO IL BLOCCO DI 2 MILIARDI DI SPESA PUBBLICA CHE SICURAMENTE COLPIRÀ LA SANITÀ.

Il Consiglio dei Ministri ha approvato il Documento di Economia e Finanza (DEF) 2019, secondo il quale nel triennio 2020-2022 il PIL nominale dovrebbe crescere in media del 2,5% per anno e l’aumento della spesa sanitaria attestarsi sul tasso medio annuo dell’1,4%. In termini finanziari la spesa sanitaria aumenterebbe così dai € 119.953 milioni stimati per il 2020 ai € 121.358 nel 2021 ai € 123.052 milioni nel 2022. Per l’anno in corso, invece, a fronte di una crescita del PIL nominale dell’1,2%, il DEF 2019 stima una spesa sanitaria di € 118.061 milioni che corrisponde ad una crescita del 2,3% rispetto ai € 115.410 del 2018.

«Le previsioni di crescita economica del Paese – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – emergono in tutta la loro evanescenza se si confrontano le stime messe nero su bianco appena 6 mesi fa». La Nota di aggiornamento del DEF 2018 (NaDEF) infatti aveva azzardato per il 2019 una crescita del PIL del 3,1%, che sarebbe dovuto schizzare al 3,5% nel 2020 per poi tornare al 3,1% nel 2021: tali previsioni sono precipitate all’1,2% per il 2019 (-1,9%), al 2,6% per il 2020 (-0,9%) ed al 2,5% per il 2021 (-0,6%).

Anche se le stime fossero corrette, la spesa sanitaria non potrà coprire nemmeno l'aumento dei prezzi sia perché cresce meno del PIL nominale, sia perché l’indice dei prezzi del settore sanitario è superiore all’indice generale dei prezzi al consumo e che l’inflazione media si è attestata oltre l’1% (1,2% nel 2017 e nel 1,1% nel 2018). «In altre parole – puntualizza Cartabellotta – la crescita media della spesa sanitaria dell’1,4% nel triennio 2020-2021 stimata dal DEF 2019 nella migliore delle ipotesi potrà garantire al SSN lo stesso potere di acquisto solo se la ripresa economica rispetterà previsioni più che ottimistiche, ovvero una crescita media del PIL del 2,5% per il triennio 2020-2021».

«Delle cifre assolute riportate nel DEF – continua il Presidente – è bene non fidarsi, soprattutto nel medio termine, perché le risorse assegnate alla sanità dalle Leggi di Bilancio risultano sempre inferiori alle stime del DEF sulla spesa sanitaria». Ad esempio, per l’anno 2018 la stima di € 121,3 miliardi di spesa sanitaria del DEF 2014 è precipitata a € 117,7 con il DEF 2015, quindi a € 116,2 con il DEF 2016 e a € 115,1 con il DEF 2017, per arrivare ad un finanziamento reale di € 113,4 miliardi con la Legge di Bilancio 2018».

Nel DEF 2019 il rapporto spesa sanitaria/PIL rimane identico al 2018 (6,6%) per gli anni 2019 e 2020, per poi ridursi al 6,5% nel 2021 e al 6,4% nel 2022. «Queste previsioni – afferma Cartabellotta – smentiscono l’inversione di tendenza incautamente annunciata dal Premier Conte nel giugno 2018 in occasione del discorso per la fiducia e sono identiche a quelle dei DEF (e dei Governi) precedenti, dove all’incremento atteso della crescita economica corrisponde sempre una riduzione del rapporto spesa sanitaria/PIL. Questa strategia di finanza pubblica documenta inequivocabilmente che per tutti i Governi che si sono succeduti negli anni, compreso il cosiddetto Governo del Cambiamento, la sanità non ha mai rappresentato una priorità politica. Infatti, quando l’economia è stagnante la sanità si trasforma automaticamente in un bancomat al portatore, mentre in caso di crescita economica i benefici per il SSN non sono proporzionali, rendendo di fatto impossibile un rilancio del finanziamento pubblico».

Analizzando le previsioni per l’anno 2019, emergono infine alcune incongruenze, visto che il DEF stima una spesa sanitaria di € 118.061 milioni con un aumento rispetto al 2018 di ben € 2.651 milioni, in buona parte da destinare al personale sanitario. Il DEF 2019 precisa infatti che per i redditi da lavoro dipendente si stima un livello di spesa pari a € 36.502 milioni, ovvero quasi un miliardo di euro in più rispetto al 2018, quando la spesa era di € 35.540 milioni. «Tuttavia – puntualizza Cartabellotta – se la Legge di Bilancio 2019 ha già destinato alla sanità solo € 1 miliardo, peraltro senza alcun vincolo sul personale, da tali previsioni emergono due legittimi interrogativi. Il DEF intende certificare per l’anno 2019 un aumento del deficit per la sanità di € 1.651 milioni? Con quali modalità il Governo intende convincere le Regioni a destinare un miliardo, di fatto quello previsto dall’aumento del FSN 2019, interamente al personale sanitario?».

In conclusione, dalle analisi GIMBE del DEF 2019 emergono alcune ragionevoli (e preoccupanti) certezze per il Servizio Sanitario Nazionale:

  • La crescita economica del Paese, rispetto alle previsioni della NaDEF 2018 è stata drammaticamente ridimensionata, in particolare per il 2019 (-1,9%).
  • Non viene definita alcuna inversione di tendenza del rapporto spesa sanitaria/PIL, che rimane stabile sino al 2020 e inizia a ridursi dal 2021.
  • Per il 2019 si stima, rispetto al 2018, un aumento di spesa sanitaria di € 2,65 miliardi prevedendo di destinare quasi un miliardo al personale dipendente; tali previsioni sono incongruenti con le risorse assegnate dalla Legge di Bilancio 2019, sia rispetto all’entità, sia rispetto alla destinazione.
  • Gli aumenti della spesa sanitaria stimati per il 2020 (+ € 1.892 milioni) e per il 2021 (+ € 1.405 milioni) sono in linea con l’incremento del FSN previsto dalla Legge di Bilancio 2019, rispettivamente € 2.000 milioni per il 2020 e € 1.500 milioni per il 2021.

«Il DEF 2019 – conclude Cartabellotta – se da un lato mette a nudo tutte le incertezze sulla crescita economica del Paese, dall’altro aumenta le preoccupazioni per la sanità per tre ragioni fondamentali: innanzitutto, per il 2019 le stime sono incongruenti con le risorse assegnate dalla Legge di Bilancio; in secondo luogo, se le stime per il 2020-2021 sono allineate con gli incrementi previsti del FSN, questi oltre che alla sottoscrizione di un Patto per la Salute ancora in stallo, sono legati ad utopistiche previsioni di crescita economica; infine, su tutto aleggia lo spettro della clausola di salvaguardia, ovvero il blocco di € 2 miliardi di spesa pubblica in caso di deviazione dall’obiettivo di indebitamento netto, che sicuramente colpirà la sanità».


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11 aprile 2019
Metodologia delle sperimentazioni cliniche: nuove generazioni di ricercatori alla scuola GIMBE

AL VIA LA SELEZIONE NAZIONALE PER LA TERZA EDIZIONE DELLA SUMMER SCHOOL SULLA METODOLOGIA DEI TRIAL CLINICI: 30 BORSE DI STUDIO DESTINATE A STUDENTI, MEDICI E FARMACISTI UNDER 32 SOSTENUTE DA ASSOGENERICI

Dopo il successo delle passate edizioni la Fondazione GIMBE lancia il terzo bando nazionale per la partecipazione alla “Summer School on... Metodologia dei trial clinici” (Loiano, 9-13 settembre 2019), corso residenziale sostenuto da Assogenerici e finalizzato a preparare le nuove generazioni di ricercatori alle sfide che li attendono per migliorare qualità, etica, rilevanza e integrità della ricerca clinica.

«Nella gerarchia delle evidenze scientifiche – dichiara Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – i trial clinici, in particolare quelli controllati e randomizzati, costituiscono lo standard di riferimento per valutare l’efficacia degli interventi sanitari. Tuttavia la loro qualità è spesso insoddisfacente: determinando la persistenza di numerose aree grigie, oltre che lo spreco di preziose risorse».

La campagna internazionale Lancet-REWARD (Reduce research Waste And Reward Diligence), promossa in Italia dalla Fondazione GIMBE e già integrata nei programmi di ricerca istituzionale del Ministero della Salute, punta a ridurre gli sprechi ed aumentare il value della ricerca biomedica: «Pazienti e professionisti – continua il Cartabellotta – vengono raramente coinvolti nella definizione delle priorità: per questo molti trial rispondono a quesiti irrilevanti e/o misurano outcome clinicamente irrilevanti e oltre la metà delle sperimentazioni cliniche vengono pianificate senza alcun riferimento a evidenze già disponibili, generando evitabili duplicazioni». Inoltre più del 50% dei trial pubblicati presentano rilevanti errori metodologici che ne invalidano i risultati; sino al 50% dei trial non vengono mai pubblicati e molti di quelli pubblicati tendono a sovrastimare i benefici e sottostimare i rischi degli interventi sanitari; oltre il 30% dei trial non riporta dettagliatamente le procedure con cui somministrare gli interventi studiati e spesso i risultati dello studio non vengono interpretati alla luce delle evidenze disponibili.

«Siamo sempre più convinti – dichiara Enrique Häusermann, presidente di Assogenerici – delle ragioni che da tre anni ci spingono a sostenere questa iniziativa: oggi più che mai il Servizio Sanitario Nazionale ha bisogno di risorse umane qualificate e formate ad una maggiore consapevolezza sulla corretta allocazione e gestione delle risorse. L’ultima Conferenza nazionale GIMBE ha lanciato un allarme sullo “stato di salute” del SSN, definito come un paziente in “codice rosso” la cui semplice “manutenzione ordinaria” non basterà per garantirlo alle future generazioni».

«Crediamo fermamente che qualsiasi “salvataggio” del nostro sistema sanitario pubblico – prosegue Häusermann – non possa prescindere dal coinvolgimento in prima linea dei professionisti sanitari che hanno contribuito alla sua eccellenza e grandezza. Per questo abbiamo scelto di sostenere un’iniziativa di formazione qualificata indirizzata ai giovani professionisti del settore sanitario sui temi della ricerca farmacologica, dell’accesso al farmaco e della corretta allocazione delle risorse».

Considerato che le metodologie di pianificazione, conduzione, analisi e reporting dei trial clinici non costituiscono ancora parte integrante dei percorsi universitari e specialistici, la Fondazione GIMBE lancia un bando nazionale per selezionare 30 giovani studenti, medici e farmacisti, al fine di colmare questo gap formativo.

La scadenza del bando è fissata al 17 maggio 2019.

Per ulteriori informazioni e invio candidature: www.gimbe4young.it/trial


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8 aprile 2019
Artrite reumatoide: è tempo di un'alleanza tra cure primarie e assistenza specialistica

A FRONTE DI OLTRE CIRCA 400.000 PAZIENTI AFFETTI DA ARTRITE REUMATOIDE E CIRCA € 2,5 MILIARDI DI COSTI, IN ITALIA MANCA UNA RETE INTEGRATA DI SERVIZI PER LA GESTIONE DI QUESTA INVALIDANTE PATOLOGIA. IN ASSENZA DI LINEE GUIDA NAZIONALI AGGIORNATE, PER INFORMARE L’ELABORAZIONE DI PERCORSI ASSISTENZIALI, OLTRE CHE PER L’AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE E L’INFORMAZIONE DEI PAZIENTI, LA FONDAZIONE GIMBE HA REALIZZATO LA VERSIONE ITALIANA DELLE LINEE GUIDA NICE PER LA DIAGNOSI E LA TERAPIA DEI PAZIENTI CON ARTRITE REUMATOIDE.

L’artrite reumatoide è una patologia autoimmune caratterizzata da infiammazione delle piccole e grandi articolazioni, in particolare quelle di mani, piedi e ginocchia, che si manifesta con tumefazione, rigidità, dolore e progressiva erosione articolare.  Può inoltre coinvolgere vari organi e apparati: dai polmoni all’apparato cardiovascolare, dagli occhi alla cute. La malattia colpisce soprattutto le donne di età generalmente compresa tra i 40 e i 60 anni, anche se può esordire a qualsiasi età. In Italia è la forma più comune di artrite infiammatoria e rappresenta il 6% delle malattie reumatiche: secondo dati ISTAT del 2001 la prevalenza della malattia nel nostro Paese è dello 0,73%, che corrisponde a circa 400.000 pazienti affetti, di cui il 75% donne e 5.000 casi gravi. L’artrite reumatoide ha un significativo impatto sulla vita dei malati: disabilità nell’80-90% dei casi, abbandono dell’attività lavorativa nel 20% e necessità di assistenza continua nel 10%. Se la malattia non è adeguatamente trattata l’aspettativa di vita si riduce di circa 4 anni negli uomini e di 10 nelle donne.

«I segni precoci dell’artrite reumatoide – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE –vengono spesso riscontrati nell’ambito delle cure primarie, dove i pazienti si rivolgono al medico di medicina generale per dolore e tumefazione articolare. Un adeguato sospetto clinico della malattia con invio tempestivo e appropriato ai servizi reumatologici è cruciale sia per una precoce remissione della malattia, sia per prevenire o ridurre la disabilità. In altre parole, prognosi della malattia e qualità di vita dipendono da una diagnosi tempestiva e da un trattamento appropriato».

L’artrite reumatoide è una malattia con un rilevante impatto economico: in Italia si stimano complessivamente costi diretti di circa € 1,4 miliardi l’anno, mentre quelli indiretti sfiorano il miliardo di euro e sono riconducibili prevalentemente all'assenza dal lavoro del paziente e dei suoi familiari.

«Per un’adeguata presa in carico dei pazienti con artrite reumatoide – continua il Presidente – è indispensabile un approccio multidisciplinare condiviso tra cure primarie e assistenza specialistica, oltre a reti specialistiche guidate da percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali (PDTA). Tuttavia, in assenza di linee guida nazionali aggiornate, manca la base scientifica per informare la costruzione dei PDTA a livello regionale e locale». Per questo la Fondazione GIMBE ha realizzato la sintesi in lingua italiana delle linee guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE), aggiornate a luglio 2018, che saranno inserite nella sezione “Buone Pratiche” del Sistema Nazionale Linee Guida, gestito dall’Istituto Superiore di Sanità.

Le linea guida NICE, destinate in particolare a medici non specialisti coinvolti nella valutazione iniziale dei sintomi dell’artrite reumatoide e nell’assistenza a lungo termine, forniscono raccomandazioni relative a vari aspetti della gestione della malattia: dai criteri di sospetto clinico per l’appropriata richiesta di consulto specialistico ai test diagnostici iniziali; dalle valutazioni prognostiche alla strategia treat-to-target; dalla terapia farmacologica iniziale al controllo dei sintomi, sino al monitoraggio dei pazienti.

«In attesa dell’elaborazione di linee guida nazionali sull’artrite reumatoide – conclude Cartabellotta – auspichiamo che la versione italiana di questo autorevole documento del NICE rappresenti una base scientifica di riferimento, sia per la costruzione dei PDTA regionali e locali, sia per l’aggiornamento dei professionisti sanitari sia per la corretta informazione di pazienti, familiari e caregiver».

Le linee guida “Diagnosi e terapia dell’artrite reumatoide negli adulti” sono disponibili a: www.evidence.it/artrite-reumatoide.


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1 aprile 2019
Vaccini: la tutela della salute dei bambini ostaggio di compromessi politici

LA FONDAZIONE GIMBE ESPRIME PROFONDO SCONCERTO SULL’EMENDAMENTO CHE PROPONE DI CANCELLARE OBBLIGO CERTIFICAZIONE QUALE REQUISITO DI ACCESSO SCOLASTICO APPENA DOPO LA PUBBLICAZIONE DEL REPORT GIMBE CHE HA DIMOSTRATO SIA CHE L’INTRODUZIONE DELL’OBBLIGO VACCINALE È ASSOCIATO AD UN AUMENTO DELLE COPERTURE, SIA CHE DIVERSE REGIONI DEVONO ANCORA RAGGIUNGERE I TARGET DEL PIANO NAZIONALE DI PREVENZIONE VACCINALE. LA FONDAZIONE GIMBE RINNOVA L’INVITO ALLA POLITICA A NON STRUMENTALIZZARE NORME E LEGGI CHE TUTELANO LA SALUTE DELLE PERSONE, IGNORANDO OPPORTUNISTICAMENTE EVIDENZE SCIENTIFICHE E DATI EPIDEMIOLOGICI E SUBORDINANDO LA SALUTE PUBBLICA A COMPROMESSI POLITICI E ACCORDI PRE-ELETTORALI.

1 aprile 2019 - Fondazione GIMBE, Bologna

Lo scorso 21 marzo la Fondazione GIMBE ha caldeggiato tutte le forze politiche ad interrompere il dibattito sulla rimodulazione dell’obbligo vaccinale, visti i risultati del report indipendente “Vaccinazioni in età pediatrica: impatto dell’obbligo sulle coperture vaccinali in Italia” che, analizzando i dati ufficiali del Ministero della Salute, ha documentato che:

  • l’entrata in vigore del DL 73/2017, convertito in Legge 119/2017, è associata ad un netto incremento delle coperture vaccinali: in particolare nella coorte 2014 l’incremento medio è del 2,21% per i vaccini dell’esavalente , del 7,3% per quelli del trivalente e del 7,95% per la varicella;
  • se la copertura nazionale risulta ≥95% per i vaccini dell’esavalente, poco al di sotto del 95% per quelli del trivalente e ben al di sotto del 60% per l’anti-varicella, analizzando le coperture delle singole Regioni emerge un quadro molto eterogeneo: infatti la copertura vaccinale media tra le Regioni varia dall’89,2% al 98,4% per l’esavalente, dall’82,2% al 97,5% per il trivalente e dal 3,4% al 91,7% per la varicella;
  • non sono ancora disponibili evidenze sul mantenimento delle coperture massime, ove raggiunte.

Esattamente una settimana dopo la pubblicazione del report GIMBE ecco vedere la luce l’emendamento Cantù-Sileri-Fregolent al DdL S770 che - tramite un nuovo articolo 7-bis – intende abrogare il caposaldo del DL Lorenzin prevedendo che a decorrere dall'entrata in vigore della nuova legge la presentazione della documentazione comprovante l'effettuazione delle vaccinazioni non costituirà più requisito di accesso ai servizi educativi per l'infanzia, alle scuole e ai centri di formazione professionale regionale.

«Considerato che il report GIMBE è stato inviato individualmente a tutti i parlamentari – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE –  questo emendamento non può che avere finalità esclusivamente politiche e ignora consapevolmente evidenze scientifiche e dati di copertura vaccinale, subordinando la tutela della salute pubblica a compromessi politici e accordi pre-elettorali».

Non stupisce, infatti, che l’emendamento sia figlio di un recente strappo giallo-verde tra il vice-premier Salvini che lo scorso 5 marzo aveva inviato alla Ministra Giulia Grillo formale richiesta di decreto legge per differire la scadenza del 10 marzo, al fine di consentire l’accesso ai servizi scolastici anche ai bambini non vaccinati, facendo addirittura leva sulla sensibilità di una neo-mamma ad “evitare traumi ai più piccoli”. Richiesta che la Ministra ha, giustamente, rigettato con convinzione visto che le Regioni avevano avuto tutto il tempo per mettersi in regola.  L’emendamento 7.0.1. ha tuttavia nel frattempo trovato nel Presidente della Commissione Igiene e Sanità del Senato – all’insaputa e in contrasto con la linea della Ministra Grillo – l’ariete “giallo” per raccogliere tutte le istanze no-vax del Movimento 5 Stelle e proporre un emendamento formalmente bipartisan, ma in questo momento pre-elettorale fortemente voluto dai “verdi”.

«Se è obiettivo della discussione parlamentare – puntualizza il Presidente – è pervenire ad una politica vaccinale scientificamente valida e socialmente responsabile, bisogna innanzitutto abbandonare l’idea dell’obbligo flessibile: mancano infatti le condizioni per attuare l’obbligo solo dove si verifichino significativi scostamenti dagli obiettivi del Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale». Infatti, se da un lato l’obbligo ha funzionato e le coperture vaccinali non sono ancora ottimali in tutte le Regioni, né stabilizzate in quelle che le hanno raggiunte, dall’altro la brusca transizione ad un modello basato su raccomandazione e persuasione richiede investimenti massivi (e tempi medio-lunghi) di implementazione per informazione e formazione, messa a punto di sanzioni severe per chi diffonde messaggi no-vax e anagrafi vaccinali accurate che permettano di conoscere lo stato di copertura in tempo reale.

«Ecco perché – conclude Cartabellotta  – come organizzazione indipendente che da anni si batte per la tutela della salute pubblica e la sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale tramite l’integrazione delle migliori evidenze scientifiche in tutte le decisioni professionali, manageriali e politiche, non possiamo che rinnovare l’invito alla politica a non strumentalizzare norme e leggi che tutelano la salute delle persone, ignorando opportunisticamente evidenze scientifiche e dati epidemiologici».


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21 marzo 2019
Obbligo vaccini: coperture in aumento, ma è troppo presto per cantar vittoria

L’ANALISI INDIPENDENTE DELL’OSSERVATORIO GIMBE DIMOSTRA CHE L’INTRODUZIONE DELL’OBBLIGO VACCINALE È ASSOCIATO AD UN AUMENTO DELLE COPERTURE, SIA PER I VACCINI OBBLIGATORI SIA PER QUELLI CONSIGLIATI. TUTTAVIA DIVERSE REGIONI DEVONO ANCORA RAGGIUNGERE I TARGET DEL PIANO NAZIONALE DI PREVENZIONE VACCINALE 2017-2019 E ALCUNE RIMANGONO BEN LONTANE. A FRONTE DI QUESTI DATI, PER LA TUTELA DELLE SALUTE PUBBLICA LA FONDAZIONE GIMBE INVITA AD INTERROMPERE OGNI DIBATTITO SULLA RIMODULAZIONE DELL’OBBLIGO VACCINALE, VISTA ANCHE L’ASSENZA DI EVIDENZE SUL MANTENIMENTO DELLE COPERTURE MASSIME, OVE RAGGIUNTE.

21 marzo 2018 - Fondazione GIMBE, Bologna

La Legge di conversione 119/2017 del DL 17/2017 (cd. Decreto Lorenzin) ha previsto 10 vaccinazioni obbligatorie: 6 incluse nel vaccino esavalente (anti-poliomielitica, anti-difterica, anti-tetanica, anti-epatite B, anti-pertosse, anti-Haemophilus influenzae tipo b), tre nel vaccino trivalente (anti-morbillo, anti-rosolia, anti-parotite), oltre all’anti-varicella. La legge ha inoltre indicato ad offerta attiva e gratuita da parte di Regioni e Province autonome, ulteriori 4 vaccinazioni non obbligatorie: anti-meningococco B, anti-meningococco C, anti-pneumococco, anti-rotavirus.

Al 30 giugno 2018 il Ministero della Salute ha effettuato una rilevazione “straordinaria” delle coperture vaccinali con l’obiettivo di valutare il potenziale impatto del DL 73/2017. «Se tale rilevazione – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – intendeva fornire una base epidemiologica per un confronto politico sull’opportunità di rimodulare l’obbligo vaccinale, l’obiettivo non risulta raggiunto in quanto manca un’analisi comparativa dell’incremento delle coperture nelle varie Regioni per ciascun vaccino. Inoltre, concentrandosi esclusivamente sull’incremento assoluto delle coperture al 30 giugno 2018, rispetto a quelle rilevate al 31 dicembre 2017, il rischio è di sottostimare l’impatto del DL 73/2017 sulle coperture vaccinali».

Considerato il rischio di strumentalizzazione dei dati su una tematica di estrema rilevanza per la salute pubblica, troppo spesso oggetto di dibattiti ideologici e non basati su evidenze scientifiche e dati epidemiologici, l’Osservatorio GIMBE ha condotto uno studio indipendente con due obiettivi: valutare le coperture vaccinali raggiunte dalle Regioni al 30 giugno 2018 nella coorte 2015, rispetto ai target definiti dal Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale (PNPV) 2017-2019; stimare le variazioni delle coperture dopo l’entrata in vigore del DL 73/2017.

Coperture vaccinali al 30 giugno 2018. Lo studio ha esaminato la coorte 2015, valutata a 24+6 mesi. Premesso che i dati di Campania e Molise non sono disponibili, la copertura nazionale risulta ≥95% per i vaccini dell’esavalente, poco al di sotto del 95% per quelli del trivalente e ben al di sotto del 60% per l’anti-varicella. La copertura vaccinale media tra le Regioni varia dall’89,2% al 98,4% per l’esavalente, dall’82,2% al 97,5% per il trivalente e dal 3,4% al 91,7% per la varicella. Analizzando le coperture delle singole Regioni emerge un quadro molto eterogeneo: dalla Toscana dove superano tutte il target massimo, alle Marche dove tutte si attestano al di sotto del target massimo, sino alla Provincia autonoma di Bolzano dove nessuna copertura raggiunge il target minimo. Alcune Regioni (Piemonte, Emilia Romagna, Umbria e Lazio) superano i target massimi per esavalente e trivalente, ma sono ben al di sotto dei target minimi per l’anti-varicella. La Provincia autonoma di Trento e il Veneto non raggiungono le coperture massime per tutti i vaccini dell’esavalente e del trivalente. Valle d’Aosta, Lombardia, Liguria Abruzzo, Puglia, Basilicata, Calabria e Sardegna presentano coperture simili (sopra soglia massima per l’esavalente e sotto soglia massima per il trivalente), ma raggiungono una copertura superiore al target 2018 per l’anti-varicella (eccetto l’Abruzzo). 

Analisi delle coperture vaccinali dopo la pubblicazione del DL 73/2017. Sono state condotte due analisi per confrontare le coperture vaccinali prima e dopo la pubblicazione del DL 73/2017:

  • Analisi A: sulla coorte 2014 è stato calcolato l’incremento delle coperture vaccinali tra la rilevazione al 31 dicembre 2016 (a 24 mesi) e quella al 30 giugno 2018 (a 42 mesi).
  • Analisi B: è stato effettuato un confronto delle coperture a 24+6 mesi nella coorte 2015, rilevate al 30 giugno 2018, con quelle a 24 mesi della coorte 2014, rilevate al 31 dicembre 2016.

L’analisi A dimostra che nella coorte 2014 l’incremento medio di copertura per i vaccini dell’esavalente è del 2,21%, del 7,3% per quelli del trivalente e del 7,95% per la varicella. L’entità degli incrementi medi nelle singole Regioni e per i singoli vaccini, oltre che essere influenzati dall’implementazione delle politiche vaccinali, sono inevitabilmente correlati anche alle coperture rilevate al 31 dicembre 2016. L’analisi B mostra risultati sovrapponibili per l’esavalente e per il trivalente, mentre documenta un incremento di copertura più consistente per l’anti-varicella (12,03%) conseguente alla mancanza di dati della Lombardia nella coorte 2014.

Il report GIMBE documenta che le coperture vaccinali, rispetto ai target previsti dal PNPV 2017-2019, sono ancora subottimali in numerose Regioni, sia per le vaccinazioni obbligatorie, sia per quelle consigliate. Inoltre, con due analisi differenti, dimostra che l’entrata in vigore del DL 73/2017 si associa ad un incremento delle coperture sia per i 10 vaccini obbligatori, sia per alcuni di quelli consigliati, in particolare anti-meningococco B e C e, in misura inferiore, anti-pneumococco.

«Un eventuale confronto politico sulla rimodulazione dell’obbligo vaccinale – conclude Cartabellotta – dovrebbe essere avviato solo in presenza di consistenti evidenze che dimostrino l’inefficacia del DL 73/2017 nell’aumentare le coperture vaccinali, oppure quando tutte le Regioni raggiungeranno e manterranno stabili nel tempo target ottimali di copertura. Considerato che i risultati del nostro report vanno in direzione completamente opposta, per la tutela della salute pubblica la Fondazione GIMBE ritiene al momento inopportuno discutere della rimodulazione dell’obbligo vaccinale per tre ragioni: la pubblicazione del DL 73/2017 è associata ad un netto incremento delle coperture vaccinali; numerose Regioni devono ancora raggiungere i target del PNPV 2017-2019 e alcune rimangono ben lontane; non sono ancora disponibili evidenze sul mantenimento delle coperture massime, ove raggiunte».

La versione integrale del report GIMBE “Vaccinazioni in età pediatrica: impatto dell’obbligo sulle coperture vaccinali in Italia” è disponibile a: www.gimbe.org/coperture-vaccinali-2018.


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8 marzo 2019
Servizio Sanitario Nazionale: un paziente in codice rosso

ALLA 14a CONFERENZA NAZIONALE LA FONDAZIONE GIMBE PUNTA I RIFLETTORI SULLA SCARSA SENSIBILITÀ DELLA POLITICA AD INVESTIRE E INNOVARE LA PIÙ GRANDE CONQUISTA SOCIALE DEI CITTADINI ITALIANI. IN ASSENZA DI UN CONSISTENTE RILANCIO DEL FINANZIAMENTO PUBBLICO E UN PIANO ORGANICO DI RIFORME, LA “MANUTENZIONE ORDINARIA” NON SARÀ PIÙ SUFFICIENTE A TUTELARE LA SALUTE DELLE PERSONE. DALLA FONDAZIONE GIMBE LA DIAGNOSI DELLE PATOLOGIE CHE COMPROMETTONO LA SALUTE DEL SSN E UN INNOVATIVO PIANO TERAPEUTICO PERSONALIZZATO CHE RICHIEDE CORAGGIO POLITICO, RILANCIO DEGLI INVESTIMENTI E LAVORO DI SQUADRA DI TUTTI GLI ATTORI DEL SISTEMA SALUTE, CITTADINI INCLUSI.

La 14a Conferenza Nazionale GIMBE si è aperta con la lettura inaugurale del Presidente Nino Cartabellotta che ha dichiarato: «A sei anni dal lancio del programma #salviamoSSN, le nostre analisi dimostrano che il SSN si presenta come un paziente il cui stato di salute è compromesso da quattro “malattie” e due “fattori ambientali”».

  • Definanziamento pubblico. Nel periodo 2010-2019 al SSN sono stati sottratti circa € 37 miliardi, il fabbisogno sanitario nazionale (FSN) è aumentato di € 8,8 miliardi, con un incremento percentuale inferiore all’inflazione media. Guardando al futuro nessuna luce in fondo al tunnel: la Nota di Aggiornamento del DEF 2018 ha eseguito un impercettibile lifting sul rapporto spesa sanitaria/PIL (+0,1% nel 2020 e nel 2021), mentre la Manovra 2019 porta in dote per il 2019 il miliardo già assegnato dalla precedente legislatura e prevede un incremento del FSN (+€ 2 miliardi nel 2020, +€ 1,5 miliardi nel 2021) legato ad ardite previsioni di crescita economica.
  • Ampliamento del “paniere” dei nuovi LEA. Dopo quasi 2 anni, i nomenclatori tariffari rimangono ancora “ostaggio” del MEF per mancata copertura finanziaria e la maggior parte delle nuove prestazioni ed esenzioni non sono esigibili. Peraltro la Commissione LEA non ha ancora pubblicato alcun aggiornamento/delisting delle prestazioni.
  • Sprechi e inefficienze. Sei le categorie nella tassonomia elaborata dalla Fondazione GIMBE: sovra-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci o inappropriate, frodi e abusi, acquisti a costi eccessivi, (conseguenze del) sotto-utilizzo di servizi e prestazioni efficaci e appropriate, complessità amministrative, inadeguato coordinamento dell’assistenza. Secondo le stime GIMBE nel 2017 oltre € 21 miliardi di spesa pubblica non hanno prodotto alcun miglioramento di salute, come confermato dal Rapporto OCSE Health at a Glance 2018.
  • Espansione incontrollata del secondo pilastro. L’idea di affidarsi al un complicato intreccio di fondi sanitari, assicurazioni e welfare aziendale per garantire la sostenibilità del SSN si è progressivamente affermata grazie a raffinate strategie di marketing basate su irrealistici dati di rinuncia alle cure e indebitamento dei cittadini. Purtroppo, non vengono adeguatamente valutati i numerosi potenziali effetti collaterali su “organi e apparati” del SSN: dai rischi per la sostenibilità a quelli di privatizzazione, dall’aumento delle diseguaglianze all’incremento della spesa sanitaria, dal sovra-utilizzo di prestazioni sanitarie alla frammentazione dei PDTA.

Il SSN affetto da queste patologie ingravescenti vive in un habitat fortemente influenzato da due fattori ambientali: la (leale?) collaborazione con cui Stato e Regioni dovrebbero tutelare il diritto alla salute (ulteriormente minata dal contagioso virus del regionalismo differenziato) e le aspettative irrealistiche di cittadini e pazienti per una medicina mitica e una sanità infallibile, alimentate da analfabetismo scientifico ed eccessi di medicalizzazione.

«Per mantenere un SSN a finanziamento prevalentemente pubblico, preservandone i princìpi di equità e universalismo – ha continuato il Presidente – abbiamo elaborato ed aggiornato secondo le migliori evidenze scientifiche un “piano terapeutico personalizzato” efficace nel modificare la storia naturale delle quattro malattie, minimizzare l’impatto dei fattori ambientali e intervenire su altri “patogeni” che minano la salute del SSN». Il piano di salvataggio GIMBE prevede infatti misure per orientare le scelte politiche, organizzative, professionali, oltre che quelle di cittadini e pazienti: dal rilancio del finanziamento pubblico all’avvio di un piano nazionale per la riduzione di sprechi e inefficienze; dalla ridefinizione del perimetro dei LEA secondo evidenze scientifiche e princìpi di costo-efficacia alla riforma della sanità integrativa; dall’attuazione del principio della “salute in tutte le politiche” all’informazione scientifica a cittadini e pazienti; dall’aumento delle capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni alla costruzione di un servizio socio-sanitario nazionale; dal rilancio delle politiche e degli investimenti per il personale alla programmazione del fabbisogno di medici, specialisti e altri professionisti sanitari; dalla regolamentazione dell’integrazione pubblico-privato e della libera professione secondo i reali bisogni di salute al finanziamento della ricerca clinica e organizzativa con almeno l’1% del fabbisogno sanitario nazionale; dalla ridefinizione dei criteri di compartecipazione alla spesa sanitaria all’eliminazione del superticket.

«Considerato che, per assicurare lunga vita al SSN – ha precisato Cartabellotta – non basta più la “manutenzione ordinaria”, occorre rilanciare in maniera consistente il finanziamento pubblico e mettere in campo riforme di rottura, per creare discontinuità rispetto al passato. Ecco perché, attivando il pensiero laterale, abbiamo sviluppato “innovazioni terapeutiche” indispensabili per garantire il SSN alle generazioni future». Ecco in sintesi ecco le principali proposte di riforme per salvare il “paziente SSN”:

  • Rilancio del finanziamento pubblico. Sganciare il finanziamento pubblico dal PIL, il cui aumento è legato alla salute e al benessere della popolazione, incrementando il FSN di una percentuale annua minima pari almeno al doppio dell'inflazione. Occorre inoltre uscire fuori dal perimetro del FSN, sia rivalutando il sistema delle detrazioni fiscali per spese sanitarie, fondi sanitari integrativi e welfare aziendale, sia definendo un fabbisogno socio-sanitario nazionale dove far confluire le risorse oggi destinate ad alcune spese sociali (es. indennità di accompagnamento, invalidità civile) e fondi per le politiche sociali (es. fondo per la non autosufficienza).
  • Aumento delle capacità di verifica dello Stato sulle Regioni. Modificare i criteri di riparto del FSN, prevedendo una quota fissa da destinare a costi standard di personale sanitario e di beni e servizi e una quota variabile vincolata ad adempimenti LEA secondo il nuovo sistema di garanzia con meccanismi bonus/malus a valere sul riparto dell’anno successivo: questo permetterebbe gradualmente anche di superare gli attuali Piani di rientro. Inderogabile la riforma degli enti vigilati favorendo sinergie ed evitando duplicazioni sia tra gli enti, sia con le DG del Ministero della Salute.
  • Piano nazionale contro gli sprechi. È indispensabile allineare a cascata i sistemi premianti a tutti i livelli del SSN, utilizzare criteri di rimborso value-based e favorire i processi di disinvestimento e riallocazione rendendo più flessibili tetti di spesa e budget.
  • Definizione dei LEA. I LEA devono essere informati da un piano nazionale per la valutazione di tutte le tecnologie sanitarie, idealmente gestito da un ente indipendente. AIFA dovrebbe mantenere il solo ruolo di agenzia regolatoria.
  • Riordino sanità integrativa. Definire le prestazioni LEA ed extra-LEA che possono/non possono essere coperte dai fondi sanitari integrativi, limitando le agevolazioni fiscali alle prestazioni extra-LEA e regolamentare i rapporti tra fondi sanitari integrativi e compagnie assicurative.
  • Politiche per il personale. È tempo di un contratto unico per il personale medico del SSN, oltre che di introdurre la revalidation per tutti i professionisti sanitari.
  • Integrazione pubblico-privato e regolamentazione libera professione. Stabilire un tetto massimo delle risorse del riparto regionale che possono essere destinate al privato accreditato. Necessario definire una consistente indennità di esclusività del rapporto pubblico, rendendo incompatibile la progressione di carriera con l’attività extramoenia.
  • Ricerca comparativa indipendente. Identificare le aree grigie e finanziare la ricerca comparativa indipendente al fine di includere ed escludere prestazioni sanitarie nei LEA. Prevedere meccanismi premiali per le Regioni che investono in ricerca indipendente per rispondere a quesiti di interesse nazionale.

«Dopo 40 anni – ha concluso il Presidente Cartabellotta – è tempo di acquisire una reale e piena consapevolezza del bene più prezioso di cui dispone il nostro Paese. Un SSN che si prende cura della nostra salute e che, in qualità di “azionisti di maggioranza”, siamo tenuti a tutelare, ciascuno secondo le proprie responsabilità siano esse pubbliche o individuali perché… la sanità pubblica è come la salute: ti accorgi che esiste solo quando l’hai perduta».


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4 marzo 2019
14a Conferenza GIMBE per garantire il Servizio Sanitario Nazionale alle generazioni future. A Roberto Burioni il premio “Evidence”

VENERDÌ 8 MARZO, IN OCCASIONE DELLA 14a CONFERENZA NAZIONALE, LA FONDAZIONE GIMBE ASSEGNERÀ IL PRESTIGIOSO RICONOSCIMENTO AL NOTO VIROLOGO PER “AVERE INVASO IL CAMPO DELL’ANTISCIENZA CON UNO STILE COMUNICATIVO INSOLITO PER IL MONDO DELLA MEDICINA, MA EFFICACE PER COMBATTERE CIARLATANI E FAKE NEWS CHE MINACCIANO LA SALUTE DELLE PERSONE”.
LA CONFERENZA PUNTA I RIFLETTORI SULLE POSSIBILI SOLUZIONI PER FRONTEGGIARE LA CRISI DI SOSTENIBILITÀ DEL SSN E IL PROGRESSIVO DEPAUPERAMENTO DELLA SANITÀ PUBBLICA: UNA PRIORITÀ POLITICA DALLE ENORMI IMPLICAZIONI SOCIALI, ECONOMICHE E SANITARIE, TRASCURATA DAI GOVERNI DI OGNI COLORE POLITICO.

Fondazione GIMBE - Bologna, 4 marzo 2019

L’Italia è tristemente nota come la patria degli incresciosi fenomeni Vannoni e Di Bella, punta di un pericoloso iceberg di imbonitori che assicurano di curare le più disparate malattie con le loro “pozioni miracolose” prive di qualsiasi base scientifica, lucrando sulla disperazione di pazienti per i quali la ricerca non ha ancora trovato terapie efficaci. Negli ultimi anni poi il nostro Paese ha conquistato i titoli di prestigiose riviste internazionali per la contagiosa diffusione di movimenti anti-vax basati su teorie antiscientifiche: dai contaminanti dei vaccini al numero di vaccini somministrati contemporaneamente, al richiamo ostinato all’inesistente relazione causale vaccini-autismo. Infatti, lo studio pubblicato da The Lancet nel 1998 è stato successivamente ritrattato perché fraudolento e il suo autore Andrew Wakefield radiato dall’ordine dei medici britannico con una dichiarazione di falsificazione disonesta della ricerca.

«In un contesto caratterizzato da aspettative irrealistiche della popolazione per una medicina mitica e una sanità infallibile – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – la democratizzazione delle informazioni nell’era di internet, la scarsa alfabetizzazione sanitaria e la viralità dei contenuti sui social media hanno prodotto una miscela letale: ricerca di scarsa qualità, presunzioni e fake news hanno spesso il sopravvento sulle migliori evidenze scientifiche, condizionando le scelte di cittadini e pazienti e, indirettamente, le politiche sanitarie che, legate alla politica partitica, non possono permettersi di scontentare gli elettori».

Considerata l’efficacia dei media e l’influenza dei social media nell’orientare le scelte di cittadini e pazienti, la Fondazione GIMBE assegna al Prof. Roberto Burioni il Premio Evidence 2019 per “avere invaso il campo dell’antiscienza con uno stile comunicativo insolito per il mondo della medicina, ma efficace per combattere ciarlatani e fake news che minacciano la salute delle persone”. Il prestigioso riconoscimento, è stato precedentemente assegnato a Luigi Pagliaro, Silvio Garattini, Walter Ricciardi, Aldo Maggioni, Giuseppe Remuzzi, Elena Cattaneo.

La cerimonia di consegna del Premio Evidence è prevista in occasione della 14a Conferenza Nazionale GIMBE che si terrà a Bologna il prossimo 8 marzo, dove «al giro di boa dei 40 anni del SSN – spiega il Presidente – la Fondazione GIMBE avvia la pars construens della campagna #salviamoSSN con proposte di rottura che saranno condivise con autorevoli esponenti di politica, management, professionisti sanitari, ricercatori, industria, pazienti e cittadini».

«Se la salute è il bene più prezioso delle persone – continua Cartabellotta – e il Servizio Sanitario Nazionale è lo strumento con cui attuare il principio costituzionale della sua tutela, la crisi di sostenibilità e il progressivo depauperamento della sanità pubblica rappresentano una priorità politica per le enormi implicazioni sociali ed economiche, oltre che sanitarie. Ma nessun Governo, indipendentemente dal colore, ha mai avuto il coraggio e la determinazione di mettere questa priorità al centro dell’agenda politica».

«Per tali ragioni la 14a Conferenza Nazionale GIMBE – conclude il Presidente – punterà i riflettori su 5 “parole chiave” per garantire il servizio sanitario nazionale alle generazioni future: risorse, riforme, equità, universalismo, innovazioni. In particolare, proveremo a trovare una risposta a due grandi interrogativi: quante risorse e quali riforme sono necessarie per garantire alle generazioni future il SSN, mantenendo i princìpi di equità e universalismo della L. 833 del 1978 che lo ha istituito? Con quali modalità il SSN può offrire a tutte le persone l’accesso alle vere innovazioni?».

Il programma della 14a Conferenza Nazionale GIMBE è disponibile a: www.conferenzagimbe.it/programma


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27 febbraio 2019
Finanziamenti dell’industria farmaceutica a professionisti e organizzazioni sanitarie: dati accessibili, trasparenza da migliorare

LA FONDAZIONE GIMBE PUBBLICA IL PRIMO REPORT NAZIONALE SUI TRASFERIMENTI DI VALORE, SECONDO QUANTO PREVISTO DAL CODICE DEONTOLOGICO DI FARMINDUSTRIA. 14 AZIENDE CHE SUPERANO IL 50% DEL FATTURATO TOTALE DI SETTORE TRASFERISCONO € 288 MILIONI A OPERATORI SANITARI (16%), A ORGANIZZAZIONI SANITARIE (43%) E ALLA RICERCA E SVILUPPO (41%). PER ARGINARE STRUMENTALIZZAZIONI E IPOTESI COMPLOTTISTE, DA GIMBE NUMEROSE PROPOSTE PER MIGLIORARE LA TRASPARENZA DEI DATI AD ESCLUSIVO BENEFICIO DEL RAPPORTO DI FIDUCIA CHE DALL’INDUSTRIA, ATTRAVERSO PROFESSIONISTI E ORGANIZZAZIONI SANITARIE, ARRIVA DIRETTAMENTE AI PAZIENTI.

27 febbraio 2019 - Fondazione GIMBE, Bologna

Da quando Farmindustria ha recepito nel proprio codice deontologico il codice EFPIA (European Federation of Pharmaceutical Industries and Association), entro il 30 giugno le aziende farmaceutiche associate pubblicano i trasferimenti di valore effettuati nell’anno precedente. In particolare, tramite un modulo standardizzato vengono rendicontati gli importi trasferiti a operatori e organizzazioni sanitarie relativi a erogazioni liberali e donazioni, eventi formativi, servizi e consulenze, oltre a quelli destinati alla ricerca e sviluppo. Purtroppo, nonostante questa fondamentale azione di trasparenza nelle relazioni tra industria del farmaco e professionisti sanitari, l’assenza di un report annuale e di un database unico ha generato solo “estrazioni selettive” dei dati volte ad alimentare ipotesi complottiste.

«Al fine di aumentare la consapevolezza pubblica sui trasferimenti di valore – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – e favorire la collaborazione tra industria, professionisti sanitari, organizzazioni sanitarie e pazienti, l’Osservatorio GIMBE ha realizzato un report indipendente per fornire un quadro oggettivo dei dati resi disponibili e identificare le aree per migliorare la trasparenza. Volutamente esclusa l’elaborazione di classifiche sulle somme percepite da singoli operatori o organizzazioni sanitarie, per evitare strumentalizzazioni e alimentare la “cultura del sospetto” che danneggia le relazioni di fiducia tra i protagonisti del sistema salute».

Le analisi sono state effettuate sui trasferimenti di valore di 14 aziende farmaceutiche che, insieme, rappresentano il 51,5% del fatturato totale di settore nel 2017 (€ 10.997/€ 21.337 milioni). Sui siti web delle aziende sono stati innanzitutto identificati i file relativi ai trasferimenti di valore, quindi i dati sono stati inseriti in un database unico tramite importazione o input manuale. Successivamente, sono stati effettuati gli allineamenti necessari per garantire la comparabilità dei dati provenienti dalle differenti fonti e sono state uniformate le denominazioni delle organizzazioni sanitarie, poi classificate in categorie omogenee.

Vengono di seguito riportati i risultati principali.

Trasferimenti di valore totali e loro distribuzione

  • Nel 2017 le 14 aziende hanno trasferito complessivamente € 288,1 milioni con un valore medio dei trasferimenti per azienda di € 20,58 milioni (range € 8,1-41,9 milioni). La percentuale media dei trasferimenti di valore sul fatturato è del 2,9% (range 0,8%-4,3%). Sulla base di questi dati, si stima un  trasferimento totale di tutte le aziende associate a Farmindustria di circa € 550-580 milioni.
  • € 45,9 milioni (15,9%) sono stati destinati ad operatori sanitari, € 124,8 milioni (43,3%) ad organizzazioni sanitarie e € 117,3 milioni (40,7%) alla ricerca e sviluppo con notevoli differenze tra le diverse aziende.

Trasferimenti a operatori sanitari

  • Le 14 aziende destinano ad operatori sanitari il 15,9% dei trasferimenti di valore (€ 45,9 milioni) con ampia variabilità: in media € 3,3 milioni (range € 0,5-6,0 milioni).
  • Quando gli operatori sanitari non forniscono il consenso alla pubblicazione dei dati, i corrispondenti importi vengono riportati in forma “aggregata”, una circostanza che secondo il codice deontologico di Farmindustria dovrebbe essere “del tutto eccezionale”. Il report GIMBE dimostra che i trasferimenti riportati in forma aggregata sono oltre un terzo (€ 15,1 milioni).
  • Dall’analisi della destinazione d’uso dei trasferimenti, effettuata solo sui dati aggregati, emerge una ripartizione omogenea tra eventi (€ 8 milioni) e servizi e consulenze (€ 7,9 milioni).

Trasferimenti a organizzazioni sanitarie

  • Le 14 aziende destinano a 1.448 organizzazioni sanitare il 43,7% dei trasferimenti di valore (€ 124,8 milioni) con ampia variabilità: in media € 8,9 milioni (range € 2,0-24,2 milioni).
  • Il 56,6% (€ 70,6 milioni) viene trasferito a società di servizi, il 14% (€ 17,5 milioni) a società scientifiche; ricevono tra il 6% e l’8% Università (€ 9,9 milioni), strutture di ricovero (€ 8,7 milioni) ed enti di ricerca (€ 7, 4 milioni). A tutte le altre organizzazioni va il rimanente 8,5% (€ 10,6 milioni).
  • Le 48 organizzazioni che ricevono oltre € 500.000 ciascuna rappresentano il 3,2% del totale e raccolgono il 39,7% dei trasferimenti; di queste, le 21 organizzazioni che ricevono oltre € 1 milione ciascuna rappresentano l’1,4% del totale e ricevono il 25% circa dei trasferimenti.
  • Per quanto riguarda le destinazioni d’uso dei trasferimenti, € 31,5 milioni sono relative ad erogazioni liberali e donazioni, quasi € 80 milioni ad eventi e € 12,5 milioni a servizi e consulenze.

Trasferimenti per ricerca e sviluppo

  • Le 14 aziende destinano alla ricerca e sviluppo il 41,1% dei trasferimenti di valore (€ 117,3 milioni) con ampia variabilità: in media € 8,4 milioni (range € 1,2-20,3 milioni).
  • Considerato che il codice EFPIA richiede solo di riportare l’importo totale destinato alla ricerca e sviluppo, non si conosce alcun dettaglio relativo ai destinatari (operatori e/o organizzazioni) e alla specifica destinazione d’uso (compensi, viaggio e alloggio e altre spese).

Il report GIMBE ha rilevato alcuni “problemi strutturali” che condizionano negativamente il livello di trasparenza dei dati pubblicati dalle singole aziende: inadeguatezza dei formati dei file per l’importazione e l’analisi, frequente mancanza di dati facoltativi, impossibilità di identificare i trasferimenti indiretti in favore degli operatori sanitari. Inoltre le aziende non sempre interpretano in maniera univoca alcuni punti del codice deontologico di Farmindustria, influenzando l’uniformità nel reporting dei dati.

«Nel ringraziare pubblicamente Farmindustria per aver adottato l’EFPIA disclosure code e tutte le aziende associate per aver reso pubblici i trasferimenti di valore – conclude il Presidente –  la Fondazione GIMBE invita ad esaminare dati e criticità emerse dal report e a prendere in considerazione le proposte formulate per migliorare la trasparenza ad esclusivo beneficio del rapporto di fiducia che dall’industria, attraverso professionisti e organizzazioni sanitarie, arriva direttamente ai pazienti».

Il report Trasferimenti di valore 2017 dell’industria farmaceutica a operatori e organizzazioni sanitarie è disponibile a: www.gimbe.org/trasferimenti-valore-2017.


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18 febbraio 2019
Regionalismo differenziato: le maggiori autonomie in sanità bocciate su tutta la linea

LA CONSULTAZIONE PUBBLICA PROMOSSA DALLA FONDAZIONE GIMBE RESTITUISCE UN VERDETTO SENZA APPELLO: SECONDO QUASI 4.000 PARTECIPANTI LE MAGGIORI AUTONOMIE IN SANITÀ AVRANNO UN IMPATTO RILEVANTE SULLE DISEGUAGLIANZE REGIONALI. DALL’ANALISI PRELIMINARE DI OLTRE 5.000 COMMENTI EMERGONO SERIE PREOCCUPAZIONI: IMPREVEDIBILITÀ DELLE CONSEGUENZE, AUMENTO DEL DIVARIO NORD-SUD E DIFFERENZIAZIONE DEL DIRITTO ALLA TUTELA DELLA SALUTE. LA FONDAZIONE GIMBE INVITA TUTTE LE FORZE POLITICHE A PROMUOVERE IL DIBATTITO CON LA PIÙ AMPIA PARTECIPAZIONE DELLA SOCIETÀ CIVILE.

18 febbraio 2019 - Fondazione GIMBE, Bologna

Lo scorso 6 febbraio la Fondazione GIMBE ha lanciato la consultazione pubblica “Maggiori autonomie in termini di tutela della salute richieste da Emilia Romagna, Lombardia e Veneto ai sensi dell’art. 116 della Costituzione Italiana” per far luce sui potenziali rischi del regionalismo differenziato sulla tutela della salute. Infatti, «in un Paese democratico – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – è inaccettabile l’assenza di dibattito su un tema le cui conseguenze rischiano di compromettere i diritti civili delle persone». La consultazione pubblica, promossa tramite i canali della Fondazione, è stata divulgata da numerose istituzioni e organizzazioni: dalla Camera dei Deputati alle Regioni, da FNOMCeO a FNOPI, da Cittadinanzattiva a CONAPS, dall’Associazione EPAC a Federspecializzandi, da vari sindacati (CIMO, SNAMI, Sindacato Nazionale Area Radiologica, CGIL Toscana e Veneto, ANAAO ASSOMED Veneto, SUMAI Lombardia, Nursind) a decine di testate giornalistiche.

«Nel ringraziare pubblicamente tutti coloro che hanno diffuso e partecipato alla consultazione pubblica – continua il Presidente – abbiamo ritenuto opportuno pubblicare immediatamente i risultati preliminari per informare il dibattito politico che si intravede dopo la brusca frenata nell’ultimo Consiglio dei Ministri».

La consultazione pubblica chiedeva di stimare l’impatto di ciascuna autonomia in sanità sulle diseguaglianze regionali, tramite uno score da 1 (minimo) a 4 (massimo), con possibilità di “astenersi” e di aggiungere commenti. Dal 6 al 17 febbraio hanno completato la consultazione 3.920 persone, un campione rappresentativo della popolazione italiana con un margine di errore inferiore all’1,6%. Sono stati inviati 5.610 commenti, pari a 1,43 per partecipante. Per ciascuna delle autonomie vengono riportati i risultati in termini di score medio (± deviazione standard), % di “Non so” e numero di commenti.

  • Maggiore autonomia finalizzata a rimuovere specifici vincoli di spesa in materia di personale stabiliti dalla normativa statale.
    Media 3,4 (± 0,9) - Non so 4.3% - Commenti n. 640
  • Maggiore autonomia in materia di accesso alle scuole di specializzazione […]
    Media 3,3 (± 0,9) - “Non so” 3,3% - Commenti n. 540
  • Possibilità di stipulare, per i medici, contratti a tempo determinato di “specializzazione lavoro” […] Media 3,2 (± 1,0) - “Non so” 7,9% - Commenti n. 510
  • Possibilità di stipulare accordi con le Università del rispettivo territorio: per l'integrazione operativa dei medici specializzandi con il sistema aziendale [Emilia Romagna e Veneto], per rendere possibile l'accesso dei medici titolari del contratto di "specializzazione lavoro" alle scuole di specializzazione [Emilia Romagna e Veneto], per l'avvio di percorsi orientati alla stipula dei contratti a tempo determinato di "specializzazione lavoro" [Lombardia]

Media 3,2 (± 1,0) - “Non so” 6,4% - Commenti n. 470

  • Maggiore autonomia nello svolgimento delle funzioni relative al sistema tariffario, di rimborso, di remunerazione e di compartecipazione, limitatamente agli assistiti residenti nella Regione
    Media 3,4 (± 1,0) - “Non so” 2% - Commenti n. 490
  • Maggiore autonomia nella definizione del sistema di governance delle aziende e degli enti del SSN
    Media 3,4 (± 1,0) - “Non so” 4,1% - Commenti n. 440
  • Possibilità di sottoporre all'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) valutazioni tecnico-scientifiche relative all'equivalenza terapeutica tra diversi farmaci […]
    Media 3,2 (± 1,0) - “Non so” 6,1% - Commenti n. 510
  • Competenza a programmare gli interventi sul patrimonio edilizio e tecnologico del SSN […]

Media 3,1 (± 1,0) - “Non so” 4,8% - Commenti n. 360

  • Maggiore autonomia legislativa, amministrativa e organizzativa in materia di istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi

Media 3,1 (± 0,9) - “Non so” 3,6% - Commenti n. 440

Maggiore autonomia in materia di gestione del personale del SSN, inclusa la regolamentazione dell'attività libero-professionale [solo Veneto]
Media 3,4 (± 0,9) - “Non so” 7,4% - Commenti n. 360

  • Facoltà, in sede di contrattazione integrativa collettiva, di prevedere, per i dipendenti del SSN, incentivi e misure di sostegno […] [solo Veneto]

Media 3,0 (± 1,1) - “Non so” 8,2% - Commenti n. 390

  • In tema di distribuzione ed erogazione dei farmaci: competenza a definire, sotto profili qualitativi e quantitativi, le forme di distribuzione diretta dei farmaci per la cura dei pazienti soggetti a controlli ricorrenti […] [solo Emilia Romagna]

Media 3,0 (± 1,1) - “Non so” 10,5% - Commenti n. 460

Dai dati quantitativi e dall’analisi preliminare dei commenti emergono alcune ragionevoli certezze:

  • L’esigua percentuale di “non so” (range 2-8,2%) e l’elevato numero di commenti riflette un campione composto prevalentemente da stakeholder della sanità.
  • L’impatto delle maggiori autonomie in sanità sulle diseguaglianze regionali viene percepito rilevante (media score da 3,0 a3,4), con deviazioni standard omogenee tra le diverse autonomie (da 0,9 a 1,1).
  • Tra le preoccupazioni più frequenti: imprevedibilità delle conseguenze, ulteriore spaccatura Nord-Sud, aumento del divario tra Regioni ricche vs povere, differenziazione del diritto costituzionale alla tutela della salute.
  • Le numerose proposte per “mitigare” i possibili effetti collaterali delle maggiori autonomie in sanità riconducono in sintesi a due contromisure: il contestuale aumento delle capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni e la messa in atto di meccanismi di solidarietà tra Regioni.

«Seppur limitati alla sanità – conclude il Presidente – questi risultati suggeriscono che il regionalismo differenziato deve essere “maneggiato con cura” con l’irrinunciabile obiettivo di rispettare gli equilibri previsti dalla Costituzione e garantire i diritti civili a tutti i cittadini sull’intero territorio nazionale. Ecco perché, la Fondazione GIMBE invita tutte le forze politiche a mettere da parte posizioni superficiali e sbrigative e ad avviare un vero dibattito favorendo la più ampia partecipazione della società civile, ripartendo dalla consapevolezza che il regionalismo differenziato non è un fenomeno univoco perché le richieste delle 3 Regioni sono guidate da differenti presupposti politici ed economici».


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6 febbraio 2019
Il regionalismo differenziato minaccia i nostri diritti costituzionali, soprattutto la tutela della salute

LA FONDAZIONE GIMBE ANALIZZA LE RICHIESTE AVANZATE DALLE REGIONI E LANCIA UNA CONSULTAZIONE PUBBLICA PER VALUTARE IL POTENZIALE IMPATTO DELLE MAGGIORI AUTONOMIE SULLA TUTELA DELLA SALUTE, PERCHÉ SENZA UN VERO DIBATTITO SUL REGIONALISMO DIFFERENZIATO SI RISCHIA UNA SILENZIOSA DISGREGAZIONE DELLO STATO SOCIALE. PER FRONTEGGIARE GLI EFFETTI SU UNA SANITÀ GIÀ FLAGELLATA DA INACCETTABILI DISEGUAGLIANZE, GIMBE RITIENE INDISPENSABILE POTENZIARE LE CAPACITÀ DI INDIRIZZO E VERIFICA DELLO STATO SULLE REGIONI.

Il prossimo 15 febbraio i Presidenti di Emilia Romagna, Lombardia e Veneto incontreranno il Premier Conte per riprendere la discussione sul regionalismo differenziato, in attuazione dell’art. 116 della Costituzione che attribuisce alle Regioni “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” sulla base di un'intesa tra lo Stato e le Regioni a statuto ordinario che ne facciano richiesta. Stabilita l’intesa, il Governo formulerà il DDL che dovrà essere quindi approvato dalle Camere con maggioranza assoluta.

«Dopo che le 3 Regioni – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – avevano sottoscritto al fotofinish gli accordi preliminari sul regionalismo differenziato con il Governo Gentiloni, il Contratto per il Governo del Cambiamento ha ribadito come «questione prioritaria […] l'attribuzione, per tutte le Regioni che motivatamente lo richiedano, di maggiore autonomia in attuazione dell'art. 116 della Costituzione, portando anche a rapida conclusione le trattative tra Governo e Regioni attualmente aperte». Nel frattempo, altre 7 Regioni (Campania, Lazio, Liguria, Marche, Piemonte, Toscana, Umbria) hanno conferito ai Presidenti il mandato di avviare il negoziato; Basilicata, Calabria e Puglia sono alla fase iniziale dell'iter, mentre Abruzzo e Molise non risultano aver avviato iniziative formali.

In un quadro di maggiori autonomie la cartina al tornasole è rappresentata dalla sanità dove già oggi, precisa Cartabellotta, «il diritto costituzionale alla tutela della salute, affidato ad una leale collaborazione tra Stato e Regioni, è condizionato da 21 sistemi sanitari che generano diseguaglianze sia nell’offerta di servizi e prestazioni sanitarie, sia soprattutto negli esiti di salute». In questo contesto, l'attuazione tout court dell'art. 116 non potrà che amplificare le diseguaglianze di un servizio sanitario nazionale, oggi universalistico ed equo solo sulla carta. In altre parole, puntualizza il Presidente, «senza un contestuale potenziamento delle capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni, il regionalismo differenziato finirà per legittimare normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini».

Infatti, le maggiori autonomie richieste dalle 3 Regioni sulla tutela della salute lasciano intravedere conseguenze non sempre prevedibili: dalla rimozione dei vincoli di spesa in materia di personale all'accesso alle scuole di specializzazione; dalla stipula di contratti a tempo determinato di “specializzazione lavoro” per i medici agli accordi con le Università; dallo svolgimento delle funzioni relative al sistema tariffario, di rimborso, di remunerazione e di compartecipazione al sistema di governance delle aziende e degli enti del SSR; dalla richiesta all'AIFA di valutazioni tecnico-scientifiche sull'equivalenza terapeutica tra diversi farmaci agli interventi sul patrimonio edilizio e tecnologico del SSR, sino all'autonomia in materia di istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi. Ulteriori autonomie per Emilia Romagna (distribuzione diretta di farmaci) e Veneto che punta alla gestione del personale: regolamentazione dell'attività libero-professionale e definizione di incentivi e misure di sostegno per i dipendenti del SSR in sede di contrattazione collettiva.

«Le posizioni delle varie forze politiche – incalza Cartabellotta – oscillano, come un pendolo schizofrenico, dal potenziamento del centralismo al regionalismo differenziato in ragione di opportunismi, alleanze e compromessi politici, senza ponderare i rischi per la coesione nazionale e sociale, né soprattutto le conseguenze sui diritti costituzionali, visto che con le maggiori autonomie nascere e vivere al Sud significherà avere meno diritti di chi risiede nelle Regioni più ricche: dalla sanità al welfare, dalla scuola all'Università».  Davanti a questo potenziale attentato allo Stato sociale, un’insolita congiunzione astrale ha allineato tutte le forze politiche, senza alimentare alcun dibattito sui rischi del regionalismo differenziato e sulla contestuale necessità di potenziare le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni, per evitare che l’attuazione dell’art. 116 si trasformi in elemento di disgregazione del Paese. In particolare:

  • Il Premier Conte, in qualità di arbitro ufficiale, si limita a parlare per ossimori affermando che il Governo “lavora seriamente sull'autonomia di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna”, ma deve "salvaguardare la coesione nazionale e sociale”.
  • Le ultradecennali spinte secessioniste della Lega, silenziosamente avallate da Forza Italia, non solo hanno trovato con l’art. 116 il cavallo di Troia per disgregare l’unità del Paese, ma provano ad andare oltre, visto che i referendum di Veneto e Lombardia hanno proposto quesiti incostituzionali, tra cui trattenere l'80% del gettito fiscale, rilanciando il secessionismo 1.0 di Umberto Bossi.
  • La Ministra per il Sud, Barbara Lezzi (MS5) –  garante politico di chi avrebbe la peggio dal regionalismo differenziato – ha rivendicato il ruolo attivo del M5S sulle autonomie, affermando la necessità di un confronto tra la Ministra Stefani (Lega), coordinatrice del negoziato, e i Ministri della Salute, dell'Ambiente e dei Trasporti (tutti in quota MS5). Nel frattempo però la Ministra Grillo aveva già aperto al regionalismo differenziato contraddicendo la dichiarazione d'intenti con cui si apre il capitolo Sanità del Contratto per il Governo del Cambiamento: “È prioritario […] tutelare il principio universalistico su cui si fonda la legge n. 833 del 1978 istitutiva del SSN. Tutelare il SSN significa […] garantire equità nell'accesso alle cure e uniformità dei livelli essenziali di assistenza”.
  • Il Partito Democratico, sebbene all’opposizione, di fatto è allineato con gli obiettivi di Governo perché l’Emilia Romagna è sulla stessa barca di Lombardia e Veneto, seppur con richieste più orientate alla qualità dei servizi ed efficienza amministrativa, piuttosto che all’identità regionale.

Risuonano così inascoltate le parole del Presidente Mattarella nel discorso di fine anno: «L'universalità e la effettiva realizzazione dei diritti di cittadinanza sono state grandi conquiste della Repubblica: il nostro Stato sociale, basato sui pilastri costituzionali della tutela della salute, della previdenza, dell'assistenza, della scuola rappresenta un modello positivo. Da tutelare».

«Considerato che sono in gioco i diritti civili delle persone – conclude Cartabellotta –  è inaccettabile per un Paese democratico l’assenza di un dibattito politico e civile sul tema. Ecco perché la Fondazione GIMBE ha elaborato una sintesi delle autonomie richieste dalle Regioni in sanità e invita tutti gli stakeholder (cittadini inclusi) a partecipare alla consultazione pubblica per far luce sui potenziali rischi del regionalismo differenziato sulla tutela della salute».

La consultazione pubblica è disponibile sino al 15 febbraio 2019, all’indirizzo: www.gimbe.org/regionalismo-differenziato.


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30 gennaio 2019
Demenza: un’emergenza socio-sanitaria con enormi implicazioni economiche

A FRONTE DI OLTRE UN MILIONE DI PAZIENTI AFFETTI DA DEMENZA E CON UNA PREVALENZA IN PROGRESSIVO AUMENTO, OLTRE 3 MILIONI DI PERSONE COINVOLTE NELL’ASSISTENZA AI PAZIENTI E COSTI SOCIO-SANITARI SUPERIORI AI 10 MILIARDI DI EURO ALL’ANNO, IN ITALIA MANCANO LINEE GUIDA AGGIORNATE PER LA GESTIONE DI QUESTA INVALIDANTE PATOLOGIA. PER PROFESSIONISTI SANITARI, OPERATORI SOCIALI, PAZIENTI, FAMILIARI E CAREGIVER LA FONDAZIONE GIMBE HA REALIZZATO LA VERSIONE ITALIANA DELLE LINEE GUIDA NICE PER LA DIAGNOSI, LA TERAPIA E IL SUPPORTO DEI PAZIENTI AFFETTI DA DEMENZA.

Il termine demenza descrive una serie di sintomi cognitivi, comportamentali e psicologici che possono includere perdita di memoria, difficoltà di ragionamento e di comunicazione e cambiamenti della personalità, compromettendo le capacità di svolgere le normali attività quotidiane con conseguente perdita di autonomia. In Italia, secondo i dati del Ministero della Salute, i pazienti affetti da demenza sono oltre un milione (di cui circa 600.000 con malattia di Alzheimer) ed in continuo aumento per l’invecchiamento della popolazione. Circa 3 milioni di persone sono coinvolte direttamente o indirettamente nell’assistenza dei pazienti affetti da demenza, i cui costi socio-sanitari sono stimati tra i 10 e 12 miliardi di euro all’anno.

«La demenza rappresenta una rilevante emergenza socio-sanitaria con enormi implicazioni economiche – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – e il suo impatto nei prossimi anni sarà condizionato, oltre che dall’invecchiamento della popolazione, anche da un’assistenza ad oggi non ottimale: infatti, se da un lato circa il 50% delle persone affette da demenza non riceve un supporto adeguato dopo la diagnosi, dall’altro 1 paziente su 3 non viene diagnosticato, impedendo alle famiglie ad accedere ai fondi per le disabilità».

Nel nostro Paese esistono numerosi riferimenti normativi e iniziative finalizzate a migliorare l’assistenza dei pazienti con demenza: dal Piano nazionale demenze (PND) al tavolo di monitoraggio della sua implementazione; dall’Osservatorio Demenze dell’Istituto Superiore di Sanità alle “Linee di indirizzo nazionali sui Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali (PDTA) per le demenze” e alle “Linee di indirizzo nazionali sull’uso dei Sistemi informativi per caratterizzare il fenomeno delle demenze”.

«A fronte dei vari documenti di programmazione e organizzazione sanitaria – continua il Presidente – non sono oggi disponibili per i professionisti sanitari, pazienti, familiari e caregiver linee guida nazionali aggiornate, mentre  quelle regionali risultano obsolete secondo i criteri definiti dal nuovo Sistema Nazionale Linee Guida (SNLG). In altri termini, manca una base scientifica condivisa per informare la costruzione dei PDTA a livello regionale e locale». Per questo la Fondazione GIMBE ha realizzato la sintesi in lingua italiana delle linee guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE), aggiornate a giugno 2018, che saranno inserite nella sezione “Buone Pratiche” del SNLG.

Le linee guida NICE forniscono raccomandazioni relative a vari aspetti della gestione della demenza: dal coinvolgimento attivo dei pazienti alla valutazione iniziale in ambiti non specialistici e all’invio ai Centri per i Disturbi Cognitivi e Demenze; dal coordinamento dell’assistenza agli interventi sanitari per promuovere le funzioni cognitive, l’indipendenza e il benessere dei pazienti; dalla terapia farmacologica delle demenze da Alzheimer e non-Alzheimer ai farmaci che possono causare un deterioramento cognitivo; dal trattamento dei sintomi non cognitivi (ansia, depressione, disturbi del sonno) alla valutazione e trattamento di altre condizioni croniche (dolore, deficit sensoriali); dal supporto ai caregiver alla pianificazione anticipata dell’assistenza.

«Fondamentale per l’implementazione delle raccomandazioni – puntualizza il Presidente – è l’identificazione di un unico professionista sanitario o sociale responsabile del coordinamento assistenziale dei pazienti affetti da demenza, i cui ruoli e responsabilità sono declinati in maniera molto precisa dalle linee guida».

Numerose anche le raccomandazioni pratiche su accuratezza diagnostica dei vari test cognitivi, criteri di diagnosi differenziale tra demenza e delirium, interventi cognitivi e di formazione per i caregiver, oltre alla definizione delle priorità rilevanti per la ricerca, al fine di ampliare le conoscenze scientifiche per la gestione di questa condizione.

«In attesa della elaborazione delle linee guida nazionali sulla demenza, già incluse nell’elenco delle priorità da parte del Comitato Strategico del SNLG – conclude Cartabellotta – auspichiamo che la versione italiana di questo autorevole documento del NICE rappresenti una base scientifica di riferimento, sia per la costruzione dei PDTA regionali e locali, sia per l’aggiornamento di professionisti sanitari e operatori sociali sia per la corretta informazione di pazienti, familiari e caregiver».

Le Linee guida per la diagnosi, la terapia e il supporto dei pazienti affetti da demenza sono disponibili a: www.evidence.it/demenze.


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23 gennaio 2019
Al via indagine parlamentare sui fondi integrativi: le proposte GIMBE per un riordino normativo

LA FONDAZIONE GIMBE, AUDITA PRESSO LA COMMISSIONE AFFARI SOCIALI DELLA CAMERA SUI FONDI SANITARI INTEGRATIVI, ESPONE CRITICITÀ ED “EFFETTI COLLATERALI” DI UN SISTEMA IN CUI OGGI VIGE UNA TOTALE DEREGULATION. GIMBE PROPONE UN TESTO UNICO SULLA MATERIA AFFINCHÈ LA SANITÀ INTEGRATIVA POSSA SVOLGERE UNA REALE FUNZIONE DI SUPPORTO AL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE PER LE PRESTAZIONI SANITARIE EXTRA-LEA. LE PRESTAZIONI SOSTITUTIVE EROGATE DAI FONDI SANITARI NON DOVREBBERO PIÙ USUFRUIRE DI DETRAZIONI FISCALI, SIA PERCHÉ ALIMENTANO BUSINESS PRIVATI E CONSUMISMO SANITARIO, SIA PERCHÉ È PIÙ EQUO ED EFFICIENTE INDIRIZZARE TALI RISORSE AL FINANZIAMENTO DELLA SANITÀ PUBBLICA.

Si è tenuta ieri, presso la Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati, l’audizione della Fondazione GIMBE nell’ambito della “Indagine conoscitiva in materia di fondi integrativi del Servizio Sanitario Nazionale”.

«Le nostre analisi – ha affermato Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – confermano che le potenzialità di questo strumento sono oggi compromesse da una normativa frammentata e incompleta, che da un lato ha permesso ai fondi integrativi di diventare prevalentemente sostitutivi mantenendo le agevolazioni fiscali, dall’altro consente alle compagnie assicurative di intervenire come “ri-assicuratori” e gestori dei fondi in un ecosistema creato per enti no-profit, oltre che di riempire i “pacchetti ” dei fondi con prestazioni sanitarie che alimentano il consumismo e rischiano di danneggiare la salute».

Il Presidente ha esposto dati e analisi del report indipendente GIMBE sulla sanità integrativa, sottolineando come l’Anagrafe dei Fondi Sanitari Integrativi mantenuta dal Ministero della Salute continui, nonostante le numerose richieste, a rimanere pubblicamente inaccessibile e che pertanto tutte le elaborazioni provengono da una pluralità di fonti, spesso parziali o settoriali. «È dunque impossibile – ha puntualizzato Cartabellotta – soddisfare uno degli obiettivi della presente indagine parlamentare, ovvero conoscere l’impatto sulla finanza pubblica delle detrazioni fiscali concesse ai fondi sanitari».

«La Fondazione GIMBE – ha proseguito Cartabellotta – ritiene inderogabile un riordino legislativo, idealmente un Testo unico in grado di restituire alla sanità integrativa il suo ruolo, ovvero rimborsare esclusivamente prestazioni non incluse nei LEA. Al tempo stesso, bisogna  evitare che il denaro pubblico, sotto forma di incentivi fiscali, venga utilizzato per alimentare i profitti dell’intermediazione finanziaria e assicurativa, occorre tutelare cittadini e pazienti da derive consumistiche dannose per la salute e  assicurare una governance nazionale, oggi minacciata dal regionalismo differenziato, garantendo a tutti gli operatori del settore le condizioni per una sana competizione».

Il Presidente ha infine proposto alla Commissione gli spunti di riforma elaborati dalla Fondazione GIMBE.

  • “Sfoltire” i LEA secondo un metodo evidence- & value-based per tre ragioni: innanzitutto, oggi in assenza di un consistente rilancio del finanziamento pubblico è impossibile garantire in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale un “paniere” LEA così ampio; in secondo luogo, i LEA includono oggi troppe prestazioni dal value basso o addirittura negativo; infine, l’ambito d’azione della sanità integrativa è attualmente molto limitato generando improprie “invasioni di campo”.
  • Definire con appositi nomenclatori le prestazioni LEA ed extra-LEA che possono/non possono essere coperte dai fondi sanitari integrativi.
  • Rimodulare i criteri di detrazione fiscale innalzando la quota di risorse vincolate a prestazioni extra-LEA dall’attuale 20% all’80% o in alternativa consentire la detrazione fiscale solo per le prestazioni extra-LEA.
  • Rendere accessibile l’anagrafe dei fondi sanitari integrativi, con l'obiettivo di favorire il controllo diffuso sull'operato delle Istituzioni e sull’utilizzo delle risorse pubbliche.
  • Disciplinare con un regolamento l’ordinamento dei fondi sanitari, espandendo ed aggiornando quanto già previsto dal comma 8 dell’art. 9 della L. 502/1992.
  • Varare un sistema di accreditamento pubblico delle compagnie assicurative che possono operare in sanità, identificando requisiti validi su tutto il territorio nazionale.
  • Regolamentare i rapporti tra compagnie assicurative (profit) e fondi sanitari integrativi (no-profit), per impedire che gli incentivi fiscali alimentino i profitti dell’intermediazione finanziaria e assicurativa.
  • il rapporto tra finanziatori privati ed erogatori privati accreditati, al fine di evitare pericolose alleanze con conseguenti derive consumistiche nell’offerta di prestazioni sanitarie e, al tempo stesso, incrementare l’erogazione di prestazioni finanziate dai terzi paganti da parte delle strutture pubbliche.
  • Regolamentare le campagne pubblicitarie di fondi sanitari e assicurazioni per evitare la diffusione di messaggi che fanno spesso leva sulle criticità di accesso del servizio pubblico o su prestazioni “preventive” che soddisfano il cittadino-consumatore, ma alimentano inappropriatezza, medicalizzazione della società, oltre a fenomeni di sovra-diagnosi e sovra-trattamento.
  • Avviare una campagna istituzionale informativa per consentire ai cittadini di conoscere opportunità (e svantaggi) della sanità integrativa.
  • Escludere in maniera perentoria il trasferimento della gestione dei fondi sanitari integrativi alle Regioni, nell’ambito delle maggiori autonomie previste dal regionalismo differenziato.
  • Coinvolgere l’imprenditoria sociale, cogliendo tutte le opportunità offerte dalla riforma del terzo settore.

Il video integrale dell’audizione è disponibile a: https://youtu.be/LShw5p6AUsY


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16 gennaio 2019
Fondi sanitari: privatizzano la sanit&#224;, alimentano il consumismo e possono danneggiare la salute. Servono riforme urgenti e maggiore trasparenza

IN OCCASIONE DELL’AVVIO DELL’INDAGINE CONOSCITIVA DELLA COMMISSIONE AFFARI SOCIALI DELLA CAMERA SUI FONDI SANITARI, LA FONDAZIONE GIMBE PUBBLICA UN REPORT INDIPENDENTE CHE DOCUMENTA I GRAVI EFFETTI COLLATERALI PER LA SANITÀ PUBBLICA DELL’ATTUALE IMPIANTO NORMATIVO. I FONDI SANITARI INTEGRATIVI SONO DIVENTATI PREVALENTEMENTE SOSTITUTIVI, AUMENTANO LE DISEGUAGLIANZE E MEDICALIZZANO LA SOCIETÀ, SPACCIANDO PER “PACCHETTI PREVENTIVI” PRESTAZIONI INAPPROPRIATE CHE POSSONO DANNEGGIARE LA SALUTE DELLE PERSONE. NEL FRATTEMPO GLI INCENTIVI FISCALI DI CUI BENEFICIANO I FONDI ALIMENTANO I PROFITTI DELLE ASSICURAZIONI. LA FONDAZIONE GIMBE INVOCA UN RIORDINO NORMATIVO E CHIEDE AL MINISTRO GRILLO DI RENDERE PUBBLICA L’ANAGRAFE DEI FONDI SANITARI INTEGRATIVI.

Negli ultimi anni, segnati da un imponente definanziamento della sanità pubblica, si è progressivamente fatta largo l’idea che il cosiddetto “secondo pilastro” – generato da un complicato intreccio tra fondi sanitari, assicurazioni e welfare aziendale – sia l’unica soluzione per garantire la sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). In controtendenza con questo clima di contagioso e spesso inconsapevole entusiasmo, la Fondazione GIMBE annovera invece l’espansione incontrollata del secondo pilastro tra le macro-determinanti della crisi di sostenibilità del SSN.

«Considerato che, dopo anni di silenzio politico la Commissione Affari Sociali della Camera ha annunciato l’avvio di un’indagine conoscitiva sulla sanità integrativa – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – abbiamo realizzato un report indipendente da cui emerge l’inderogabile necessità di un riordino legislativo, in quanto i fondi sanitari sono diventati in prevalenza sostitutivi di prestazioni già offerte dal SSN. In particolare le crepe di una normativa frammentata e incompleta hanno permesso all’intermediazione finanziaria e assicurativa di cavalcare l’onda del welfare aziendale, generando profitti grazie alle detrazioni fiscali di cui beneficiano i fondi sanitari e proponendo prestazioni che alimentano il consumismo sanitario e aumentano i rischi per la salute delle persone».

Il report, dopo avere analizzato le determinanti che hanno favorito l’espansione del secondo pilastro e fornito una bussola per orientarsi nel complesso ecosistema dei terzi paganti e delle tipologie di coperture offerte, snocciola i dati relativi alla spesa sanitaria intermediata da fondi, assicurazioni e altri enti. Nel periodo 2010-2016 il numero dei fondi sanitari è aumentato da 255 a 323, con incremento sia del numero di iscritti (da 3.312.474 a 10.616.847), sia delle risorse impegnate (da € 1,61 a 2,33 miliardi). Tre i dati di particolare rilevo: innanzitutto, la percentuale delle risorse destinate a prestazioni realmente “integrative” rimane stabile intorno al 30%; in secondo luogo a fronte di un incremento medio annuo degli iscritti del 22,3%, quello delle risorse impegnate è del 6,4%: sostanzialmente i fondi incassano sempre di più, ma rimborsano sempre meno; infine, i fondi che intrattengono “relazioni” con compagnie assicurative sono passati dal 55% nel 2013 all’85% nel 2017.

Nel 2016 la spesa privata intermediata ammonta a € 5.600,8 milioni ed è sostenuta da varie tipologie di terzi paganti: € 3.830,8 milioni da fondi sanitari e polizze collettive, € 593 milioni da polizze assicurative individuali, € 576 milioni da istituzioni senza scopo di lucro e € 601 milioni da imprese. I fondi sanitari registrati all’anagrafe ministeriale sono 323 per un totale di 10.616.847 iscritti (73% lavoratori, 22% familiari e 5% pensionati). Relativamente ai dati economici, non si conosce né l’ammontare dei contributi versati dagli iscritti, né l’entità del mancato gettito per l’erario connesso alle agevolazioni fiscali, mentre sono noti i rimborsi effettuati dai fondi sanitari, pari a € 2,33 miliardi. Di tali risorse, quelle destinate a prestazioni integrative (es. odontoiatria, assistenza a lungo termine) sono poco più del 32%, ovvero quasi il 70% delle risorse copre prestazioni già incluse nei LEA.

«Un dato inconfutabile – puntualizza Cartabellotta – invita a frenare gli entusiasmi per i fondi sanitari: il 40-50% dei premi versati non si traducono in servizi per gli iscritti perché erosi da costi amministrativi, fondo di garanzia (o oneri di ri-assicurazione) e da eventuali utili di compagnie assicurative. A fronte della crescente bramosia sindacale e imprenditoriale per le varie forme di welfare aziendale, i fondi sanitari offrono dunque ai lavoratori dipendenti solo vantaggi marginali, mentre a beneficiare dei fondi sanitari sono le imprese che risparmiano sul costo del lavoro, l’intermediazione finanziaria e assicurativa che genera profitti e la sanità privata che aumenta la produzione di prestazioni sanitarie».

Il report analizza anche tutti gli “effetti collaterali” dei fondi sanitari che favoriscono la privatizzazione, generano iniquità e diseguaglianze, minano la sostenibilità, aumentano la spesa sanitaria delle famiglie e dello Stato, alimentano il consumismo sanitario tramite il sovra-utilizzo di prestazioni sanitarie che possono anche danneggiare la salute delle persone, generano frammentazione dei percorsi assistenziali e compromettono una sana competizione tra gli operatori del settore.

«Le nostre analisi – conclude Cartabellotta – confermano che oggi le potenzialità della sanità integrativa sono compromesse da un’estrema deregulation che da un lato ha permesso ai fondi integrativi di diventare prevalentemente sostitutivi mantenendo le agevolazioni fiscali, dall’altro alle compagnie assicurative di intervenire come “ri-assicuratori” e gestori dei fondi in un contesto creato per enti no-profit». Ecco perché, nell’ambito della campagna #salviamoSSN, la Fondazione GIMBE invoca un Testo Unico della sanità integrativa in grado di:

  • restituire alla sanità integrativa il suo ruolo originale, ovvero quello di rimborsare esclusivamente prestazioni non incluse nei LEA;
  • evitare che il denaro pubblico, sotto forma di incentivi fiscali, venga utilizzato per alimentare i profitti dell’intermediazione finanziaria e assicurativa;
  • tutelare cittadini e pazienti da derive consumistiche dannose per la salute;
  • assicurare una governance nazionale, oggi minacciata dal regionalismo differenziato;
  • garantire a tutti gli operatori del settore le condizioni per una sana competizione.

Ma ancor prima, è indispensabile che il Ministero della Salute renda pubblicamente accessibile l’anagrafe dei fondi sanitari integrativi per offrire ai cittadini e agli enti di ricerca un’adeguata trasparenza.

La versione integrale del report GIMBE “La sanità integrativa” è disponibile a: www.gimbe.org/sanita-integrativa.


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8 gennaio 2019
Ripetere gli esami di laboratorio in ospedale: una pratica rischiosa e costosa

LA CONTINUA RIPETIZIONE DEI TEST DI LABORATORIO DI ROUTINE NEI PAZIENTI RICOVERATI NON SOLO RAPPRESENTA UNA RILEVANTE FONTE DI SPRECHI, QUALI TRASFUSIONI NON NECESSARIE, ULTERIORI TEST DIAGNOSTICI E ALLUNGAMENTO DEL RICOVERO, MA PUÒ DETERMINARE EFFETTI AVVERSI ANCHE GRAVI: DALL’ANEMIA ALL’AUMENTO DELLA MORTALITÀ IN PAZIENTI CON MALATTIE CARDIO-POLMONARI. DALLA FONDAZIONE GIMBE UN POSITION STATEMENT PER RIDURRE LA RIPETIZIONE DI TEST DI LABORATORIO NEI PAZIENTI RICOVERATI

La crisi di sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale ha determinato un crescente interesse per la promozione di un’assistenza sanitaria ad elevato value, in grado di ridurre gli sprechi ed aumentare il ritorno in termini di salute del denaro investito in sanità. In tal senso, l’eccesso di test diagnostici è una pratica dal basso value molto diffusa e, in particolare, la continua ripetizione di esami di laboratorio di routine nei pazienti ospedalizzati determina effetti avversi prevenibili, sia clinici (es. anemia da ospedalizzazione, aumento della mortalità nei pazienti con patologie cardiopolmonari) sia economici (es. esecuzione di ulteriori test diagnostici, trasfusioni inappropriate, aumento della durata della degenza). Peraltro, anche se gli esami di laboratorio rappresentano meno del 5% della spesa ospedaliera, l’impatto economico è molto più elevato perchè i loro risultati influenzano circa 2/3 delle decisioni cliniche relative ad ulteriori test diagnostici o interventi terapeutici.

«Il fenomeno è molto complesso – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – perché le prescrizioni ripetute di esami di laboratorio nei pazienti ospedalizzati conseguono alla variabile interazione di vari fattori: medicina difensiva, incertezza diagnostica, sottostima degli effetti avversi, scarsa consapevolezza dei costi, mancato feedback sulla prescrizione dei test, differente background formativo dei medici. Tuttavia, oggi consistenti evidenze scientifiche oggi documentano sia l’efficacia di vari interventi per ridurre i test di laboratorio inappropriatamente ripetuti in ospedale, sia che tale riduzione non si associa ad un aumento di eventi avversi, quali mancate diagnosi, re-ospedalizzazione o mortalità».

Per tali ragioni, previa revisione sistematica della letteratura, la Fondazione GIMBE ha realizzato un Position Statement per offrire a professionisti e ospedali un framework multidisciplinare e basato sulle evidenze per promuovere iniziative finalizzate a ridurre la ripetizione dei test di laboratorio di routine in ospedale.

Tre gli interventi efficaci per ridurre la ripetizione inappropriata di test di laboratorio di routine nei pazienti ricoverati: la formazione, l’audit & feedback ai professionisti sull’appropriatezza delle prescrizioni e la loro restrizione tramite cartella clinica informatizzata. «Nonostante l’efficacia dei singoli interventi – precisa Cartabellotta – una riduzione significativa e prolungata dei test superflui si ottiene dalla loro combinazione multifattoriale, coinvolgendo opinion leader clinici e decisori per promuovere il cambiamento nell’organizzazione ed estendendo gli interventi a tutti i professionisti sanitari e non solo ai medici prescrittori».

«In base alle evidenze scientifiche – conclude Cartabellotta – oggi possiamo affermare sia che la continua ripetizione dei test di laboratorio nei pazienti ospedalizzati genera sprechi e danni, sia che la loro riduzione non ha alcun impatto negativo sulla sicurezza dei pazienti. Auspichiamo che il Position Statement GIMBE venga utilizzato dagli ospedali e dai medici, sia per ridurre una pratica costosa e rischiosa, sia per il potenziale impatto culturale, visto che ridurre pratiche dal basso value migliora la sicurezza, l’efficacia e la costo-efficacia dell’assistenza e contribuisce alla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale».

Il Position Statement GIMBE “Strategie per ridurre la ripetizione dei test di laboratorio nei pazienti ospedalizzati” è disponibile a: www.evidence.it/riduzione-test-laboratorio.


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13 dicembre 2018
Doveroso celebrare i 40 anni del Servizio Sanitario Nazionale, ma per tramandarlo ai nostri figli servono investimenti e riforme di rottura

LA FONDAZIONE GIMBE RINGRAZIA PUBBLICAMENTE IL MINISTERO DELLA SALUTE PER LA CELEBRAZIONE DEL 40° COMPLEANNO DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE, MA INVITA TUTTI I CITTADINI A PRENDERE ATTO CHE OGGI LA NOSTRA PIÙ GRANDE CONQUISTA SOCIALE SI STA LENTAMENTE SGRETOLANDO E IL RISCHIO DI UNA SANITÀ PRIVATA PER I RICCHI ED UNA PUBBLICA RESIDUALE PER I MENO ABBIENTI È DIETRO L’ANGOLO. UN LOGO DELLA FONDAZIONE GIMBE SIA PER CELEBRARE QUELLO CHE ABBIAMO COSTRUITO, SIA PER DIFFONDERE LA CONSAPEVOLEZZA CHE RISCHIAMO DI NON AVERLO PIÙ, PERCHÉ LA SANITÀ PUBBLICA È COME LA SALUTE: TI ACCORGI CHE ESISTE SOLO QUANDO L’HAI PERDUTA.

La Ministra della Salute Giulia Grillo, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ha celebrato ufficialmente il 40° compleanno del nostro Servizio Sanitario Nazionale (SSN), modello di sanità pubblica ispirato da princìpi di equità e universalismo, finanziato dalla fiscalità generale, che ha prodotto eccellenti risultati di salute e che tutto il mondo continua ad invidiarci.

Ripercorrendo la storia del SSN, la Ministra ha ribadito alcuni paletti fondamentali per il futuro: mantenere nel DNA della sanità pubblica universalismo, gratuità ed equità, garantire la periodica manutenzione della “più grande opera pubblica del nostro Paese”, non cedere alla privatizzazione dei diritti fondamentali dei cittadini. Dal canto suo il Presidente Mattarella ha ringraziato tutti i protagonisti che in 40 anni hanno scritto un pezzo di storia importante del nostro Paese.

«Purtroppo in questi 40 anni – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – i cittadini italiani non hanno acquisito piena consapevolezza che il nostro Paese dispone di un SSN che si prende cura della nostra salute e che, in qualità di “azionisti di maggioranza”, tutti siamo tenuti a tutelare, ciascuno secondo le proprie responsabilità siano esse pubbliche o individuali».

Purtroppo, la ricorrenza cade in un momento particolarmente difficile come dimostrato dalle analisi della Fondazione GIMBE che hanno recentemente “diagnosticato” il SSN come un quarantenne affetto da quattro “patologie”: imponente definanziamento pubblico, eccessivo ampliamento del “paniere” dei livelli essenziali di assistenza (LEA), sprechi e inefficienze, espansione incontrollata dell’intermediazione assicurativa. Inoltre, lo stato di salute del SSN è influenzato da due “fattori ambientali”: la collaborazione (non sempre leale) tra Stato e Regioni e le aspettative (spesso irrealistiche) di cittadini e pazienti.

«Se vogliamo realmente mantenere un SSN a finanziamento prevalentemente pubblico, preservando i princìpi di equità e universalismo definiti dalla Legge 833/78 – commenta il Presidente – è urgente mettere in atto un “piano terapeutico” personalizzato in grado di modificare sia la storia naturale di queste quattro malattie, sia di ridurre al minimo l’impatto dei fattori ambientali».

Le proposte della Fondazione GIMBE spaziano dal graduale e consistente rilancio del finanziamento pubblico, allo “sfoltimento” dei LEA secondo evidenze scientifiche e princìpi di costo-efficacia; dalla costruzione di un servizio socio-sanitario nazionale ad una inderogabile riforma della sanità integrativa; dal piano nazionale di disinvestimento dagli sprechi a quello di informazione scientifica di cittadini e pazienti; da maggiori capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni (nel pieno rispetto delle loro autonomie), al rilancio delle politiche del personale; dalla revisione dei criteri di compartecipazione alla spesa alla sana integrazione pubblico-privato. Tutte azioni che richiedono, indipendentemente dal colore dell’Esecutivo, un preciso programma politico, adeguati investimenti e riforme di rottura, perché oggi al SSN non basta una “manutenzione ordinaria”, ma serve un radicale cambio di rotta per garantirne la sopravvivenza.

«La Fondazione GIMBE – conclude Cartabellotta – tramite il proprio Osservatorio sta monitorando l’attuazione del programma per la sanità messo nero su bianco nel “Contratto per il Governo del Cambiamento” e confida molto nella determinazione della Ministra Grillo. Tuttavia, se vogliamo garantire alle generazioni future un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico, le celebrazioni del 40° compleanno del SSN devono essere lette come ultima occasione sia per diffondere la consapevolezza che si sta silenziosamente sgretolando una grande conquista sociale, sia per rimettere la sanità pubblica al centro dell’agenda politica, destinando adeguate risorse e mettendo in campo le riforme necessarie ad assicurare lunga vita al SSN».

Con l’obiettivo di aumentare la sensibilizzazione pubblica sull’importanza di un “servizio” di natura “nazionale” che si prende cura della salute di 60 milioni di persone, in occasione dell’evento celebrativo il Presidente Cartabellotta ha consegnato alla Ministra Grillo il logo realizzato dalla Fondazione GIMBE per i 40 anni del SSN. In questa ricorrenza è doveroso celebrare quello che abbiamo costruito, ma occorre soprattutto diffondere la consapevolezza di quello che rischiamo di non avere più, perché, di fatto, la sanità pubblica è come la salute: ti accorgi che esiste solo quando l’hai perduta.


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10 dicembre 2018
Manovra 2019. Più risorse per la sanità, ma per il personale è sempre buio pesto

LA MANOVRA SBARCA AL SENATO CON UN “PANIERE” PIÙ RICCO PER LA SANITÀ: AUMENTO DI € 200 MILIONI PER LE LISTE DI ATTESA ED ULTERIORI € 2 MILIARDI PER EDILIZIA SANITARIA E AMMODERNAMENTO TECNOLOGICO. ANCORA AL PALO IL PERSONALE: NIENTE RISORSE VINCOLATE PER I RINNOVI CONTRATTUALI, NÉ RIMOZIONE DEI VINCOLI DI SPESA PER SBLOCCARE IL TURNOVER. SVANITO ANCHE L’EMENDAMENTO PER LA RIDUZIONE DEL SUPERTICKET. LA FONDAZIONE GIMBE ESORTA IL SENATO A CONSIDERARE L’ADOZIONE DI MISURE PER IL PERSONALE E INVITA TUTTI AD UN SANO REALISMO PERCHÉ LE RISORSE CERTE SOLO QUELLE PER IL 2019, MENTRE I € 3,5 MILIARDI PREVISTI PER IL 2020-2021 RIMANGONO LEGATI AD ARDITE PREVISIONI DI CRESCITA ECONOMICA.

«Nell’impossibilità di ottenere un’audizione formale in Commissione Bilancio, che ha scelto di ascoltare esclusivamente soggetti istituzionali – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – desideriamo portare all’attenzione dell’opinione pubblica e della politica le nostre analisi e proposte per contribuire al dibattito parlamentare conclusivo». Preme anzitutto fornire un prospetto aggiornato sulle cifre, visto che le dichiarazioni informali rilasciate tramite social, stampa e TV riportano dati parziali e incompleti, spesso utilizzati per strumentalizzazioni politiche.

LEGGE DI BILANCIO 2019
Principali misure per il finanziamento della sanità al 7-12-2018

MILIONI DI EURO

2019

2020

2021

Aumento del fabbisogno sanitario nazionale standard

1.0001

2.0002

1.5002

Riduzione tempi di attesa delle prestazioni sanitarie

150

100

100

Borse di studio corso di formazione Medicina Generale

10

10

10

Borse di studio scuole di specializzazione3

22,5

45

68,4

Programmi di edilizia sanitaria e ammodernamento tecnologico

4.0004

1Già assegnato dalla Legislatura precedente

2Subordinati alla stipula, entro il 31 marzo 2019, di un’Intesa Stato-Regioni per il Patto per la Salute 2019-2021 che preveda “misure di programmazione e di miglioramento della qualità delle cure e dei servizi erogati e di efficientamento dei costi”.

3 Oltre a € 91,8 milioni per il 2022 e € 100 milioni l’anno dal 2023.

4Ripartiti nel periodo 2021-2032.

Ecco i principali passi in avanti compiuti dalla Manovra rispetto al finanziamento pubblico della sanità.

  • Sottoscrizione Patto per la Salute 2019-2021: come già richiesto anche dalla Fondazione GIMBE la scadenza è stata posticipata di due mesi, ovvero al 31 marzo 2019.
  • Fondi per la riduzione dei tempi di attesa: i 150 milioni di euro previsti per gli anni 2019-2021 diventano 350: 150 per il 2019 e 100/anno dal 2020. «È bene ribadire – spiega Cartabellotta – che si tratta di risorse vincolate a “implementazione e ammodernamento delle infrastrutture tecnologiche legate ai sistemi di prenotazione elettronica”, nel rispetto delle indicazioni previste dal nuovo Piano Nazionale per il Governo delle Liste di Attesa. In altri termini, le Regioni non potranno utilizzarle per assunzione di personale o e/o acquisizione di prestazioni sanitarie da soggetti privati». Possibile che per il 2020 le liste d’attesa possano beneficiare di altri € 50 milioni assegnati dal Decreto Fiscale.
  • Programmi di edilizia sanitaria e ammodernamento tecnologico: il fondo aumenta complessivamente di € 4 miliardi, «una cifra indubbiamente rilevante – commenta il Presidente – ma troppo “diluita” nel tempo, visto che saranno nella disponibilità delle Regioni solo € 100 milioni/anno per il 2021 e 2022, € 400 milioni/anno dal 2023 al 2031 e € 200 milioni nel 2032».
  • Farmaci innovativi: confermati i due fondi (€ 500 milioni ciascuno) per farmaci innovativi e innovativi oncologici, che saranno trasferiti nello stato di previsione del MEF nell’ambito del finanziamento del FSN cui concorre lo Stato.

A fronte di conferme e passi avanti, rimangono purtroppo ancora disattese inderogabili necessità per la tenuta del Servizio Sanitario Nazionale, in particolare quelle che riguardano il personale:

  • Rinnovi contrattuali: gli spiragli intravisti dopo lo sciopero dei medici non si sono al momento concretizzati in risorse dedicate. Infatti, per la dirigenza, a partire dal triennio 2019-2021 il trattamento economico aggiuntivo (indennità di esclusività) concorrerà alla determinazione del monte salari, ma rimarrà nel FSN indistinto; inoltre, nessun riferimento alla retribuzione individuale di anzianità.
  • Sblocco turnover: respinti gli emendamenti che proponevano di modificare il tetto di spesa per il personale, fissato all'ammontare del 2004 diminuito dell'1,3%: la Ministra Grillo sta facendo pressing con il vice-Ministro dell’Economia Garavaglia per intervenire al Senato su quello che lei stessa ha etichettato come un “anacronistico parametro non più tollerabile”.
  • Nuovi LEA: nessuna proposta per sbloccare i nomenclatori tariffari “ostaggio” del MEF per mancata copertura finanziaria, che impediscono di fatto l’esigibilità dei nuovi LEA.
  • Superticket: non ha visto la luce l’emendamento per rifinanziare il fondo per ridurre il superticket.

Auspicando che al Senato alcune di queste misure possano trovare diritto di cittadinanza nella Manovra, la Fondazione GIMBE suggerisce due ulteriori spunti per il dibattito parlamentare:

  • Distribuire equamente nel quinquennio 2019-2023 i € 327,7 milioni stanziati per le borse di studio delle scuole di specializzazione, assicurando nel 2023 ben 2.600 (invece che 900) nuovi specialisti che, peraltro, già all’ultimo anno di corso potranno essere ammessi ai concorsi per l’accesso alla dirigenza.
  • Spostare sulle Regioni i costi organizzativi del corso di formazione specifica in Medicina Generale, aumentando così il numero di borse da circa 250 a 290 l’anno.

«Indubbiamente – conclude Cartabellotta – da questo primo giro di consultazioni parlamentari la Manovra esce con un “paniere sanità” più ricco, ma al momento il personale sanitario, vero pilastro del SSN in questi anni difficili, rimane a bocca asciutta. Più in generale, è necessaria una dose di sano realismo, facendo tesoro di quanto ha insegnato la storia recente: le risorse certe sono solo quelle stanziate per il 2019, perché l’aumento del FSN e gli altri interventi previsti per gli anni successivi sono inevitabilmente legati ad ardite previsioni di crescita economica e oggi non rappresentano “liquidità” in cui confidare ciecamente».


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22 novembre 2018
Malattia di Lyme: se la conosci la curi

NONOSTANTE SI TRATTI DI UNA PATOLOGIA POCO FREQUENTE, È FONDAMENTALE CONOSCERLA PER RICONOSCERLA, PERCHÉ, ANCHE IN ASSENZA DI CONFERME DI LABORATORIO, UN ADEGUATO SOSPETTO CLINICO, LA RIMOZIONE DELLA ZECCA E L’INIZIO TEMPESTIVO DELLA TERAPIA ANTIBIOTICA POSSONO PREVENIRE DANNI RILEVANTI A LIVELLO NEUROLOGICO, CARDIACO E ARTICOLARE. PER PROFESSIONISTI SANITARI, PAZIENTI E CITTADINI LA FONDAZIONE GIMBE HA REALIZZATO LA VERSIONE ITALIANA DELLE LINEE GUIDA NICE PER LA DIAGNOSI E LA TERAPIA DELLA MALATTIA DI LYME.

La malattia di Lyme è causata da un gruppo specifico di batteri trasmessi all’uomo tramite puntura di una zecca infetta. La malattia determina vari problemi clinici: dal tipico rash cutaneo (eritema migrante) al coinvolgimento sistemico che può causare artriti, problemi neurologici e cardiologici.

La probabilità di essere morsi da zecche infette e contrarre la malattia di Lyme aumenta nelle aree erbose e boschive, ma anche nei parchi e nelle aree verdi urbane. In Italia i dati ufficiali sulla diffusione della malattia di Lyme sono limitati e non recenti: nel 2000 una circolare del Ministero della Salute riporta circa un migliaio di casi nel periodo 1992-1998. Le Regioni con il maggior numero di segnalazioni sono Friuli Venezia Giulia, Liguria, Veneto, Emilia Romagna e la Provincia autonoma di Trento, mentre nelle Regioni centro-meridionali e insulari i casi segnalati sono rari. Recentemente, il Gruppo Italiano di Studio sulla Malattia di Lyme ha stimato che nel nostro Paese si verificano circa 500 nuovi casi ogni anno.

«L’incidenza della malattia di Lyme – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE –  potrebbe essere ampiamente sottostimata, perché la maggior parte delle stime si basa sui casi confermati in laboratorio, senza considerare quelli diagnosticati clinicamente e quelli non diagnosticati: in particolare quelli in cui la malattia si presenta solo con sintomi aspecifici come febbre, sudorazione, malessere generale, astenia, cefalea, difficoltà di concentrazione».

Per aumentare la consapevolezza di medici, professionisti sanitari e pazienti sulla malattia di Lyme, la Fondazione GIMBE ha realizzato la sintesi in lingua italiana delle linee guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE), aggiornate nell’ottobre 2018, che saranno inserite nella sezione “Buone Pratiche” del nuovo Sistema Nazionale Linee Guida gestito dall’Istituto Superiore di Sanità.

Le linee guida NICE forniscono raccomandazioni relative alla diagnosi e alla terapia della malattia di Lyme: dai dati epidemiologici e clinici alla base di un adeguato sospetto clinico alle corrette modalità per la rimozione delle zecche; da un algoritmo per l’utilizzo dei test di laboratorio alla terapia antibiotica a cui la linea guida dedica particolare attenzione. Vengono infatti riportati in maniera molto dettagliata i numerosi schemi di trattamento per adulti e bambini, tenendo conto della assenza/presenza di disturbi focali: dal coinvolgimento dei nervi cranici o del sistema nervoso periferico a quello del sistema nervoso centrale, dall’interessamento articolare a quello cardiaco.

«Le numerose incertezze conseguenti alle limitate evidenze scientifiche – continua il Presidente –determinano spesso paura e frustrazione nelle persone con diagnosi o sospetto di malattia di Lyme. Per tale ragione le linee guida NICE raccomandano di fornire supporto, informazioni da fonti attendibili e una chiara comunicazione sulla diagnosi e sul trattamento, incluse le incertezze relative all’accuratezza dei test diagnostici e all’eventuale persistenza dei sintomi dopo la terapia antibiotica».

In particolare, se sospetto clinico è elevato non bisogna escludere la probabilità di malattia di Lyme sulla base di un’anamnesi negativa per esposizione a punture di zecca, peraltro non sempre visibili, o se i test di laboratorio sono negativi. Inoltre, se i sintomi persistono dopo due cicli completi di antibiotico, non bisogna prescrivere di routine ulteriori cicli.

«Nonostante si tratti di una patologia poco frequente – conclude Cartabellotta – è fondamentale “conoscerla per riconoscerla”, visto che, anche in assenza di conferme di laboratorio, un adeguato sospetto clinico, la rimozione della zecca e l’inizio tempestivo della terapia antibiotica possono prevenire danni rilevanti a livello neurologico, cardiaco e articolare».

Le “Linee guida per la diagnosi e il trattamento della malattia di Lyme” sono disponibili a: www.evidence.it/Lyme.  


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31 ottobre 2018
Manovra 2019: alla Sanità oltre 4,5 miliardi di euro in tre anni, ma solo 1 nel 2019 e niente risorse dedicate al personale

ANALISI GIMBE DELLA LEGGE DI BILANCIO: IN SANITÀ IL GOVERNO SEMBRA CALARE L’ASSO MA 3,5 MILIARDI SARANNO SUL PIATTO SOLO NEL 2020-2021 E CONDIZIONATI DALLE ARDITE PREVISIONI DI CRESCITA. BENE SU BORSE DI STUDIO PER SPECIALISTI E MEDICI DI FAMIGLIA, OLTRE CHE SULLA GOVERNANCE DELLE LISTE DI ATTESA. MA PER FESTEGGIARE DEGNAMENTE I 40 ANNI DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE LA MANOVRA DOVREBBE DESTINARE INTERAMENTE IL MILIARDO GIÀ PREVISTO AI RINNOVI CONTRATTUALI ANTICIPANDO AL 2019 ALMENO 1 MILIARDO PER SDOGANARE I NUOVI LEA, ELIMINARE IL SUPERTICKET ED AVVIARE UN GRADUALE SBLOCCO DEL TURNOVER DEL PERSONALE, A RISCHIO EMORRAGIA CAUSA “QUOTA 100”.

Il testo della Legge di Bilancio 2019 inviato alle Camere per la discussione parlamentare si presenta con buone nuove per la sanità pubblica: aumento del fondo sanitario nazionale di € 3,5 miliardi che si aggiungono al miliardo già stanziato dalla precedente legislatura, fondi dedicati alla governance delle liste di attesa ed alle borse di studio per specializzandi e futuri medici di famiglia, oltre ad un incremento di € 2 miliardi destinati al programma di ristrutturazione edilizia e ammodernamento tecnologico.

«Le nostre stime – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – avevano valutato in circa 4 miliardi di euro il fabbisogno per coprire le inderogabili necessità della sanità pubblica. Secondo il testo della manovra, dunque, i numeri sembrano esserci, visto che l’incremento complessivo del fondo sanitario nazionale nel triennio è di € 4,5 miliardi, oltre alle risorse finalizzate. Tuttavia, nonostante la rilevanza dei bisogni attuali (rinnovi contrattuali, sblocco del turnover, eliminazione superticket, sblocco nuovi LEA), i € 3,5 miliardi che il Governo giallo-verde mette sul piatto della sanità sono utilizzabili solo dal 2020 e inevitabilmente legati alla crescita economica attesa, proprio nel momento in cui l’ISTAT certifica lo stop del PIL nel terzo trimestre del 2018 e la Commissione europea invia un’ulteriore richiesta di chiarimenti sulla manovra 2019».

Al fine di favorire il dibattito parlamentare, oltre che il confronto tra Governo e Regioni, la Fondazione GIMBE ha realizzato un’analisi indipendente delle risorse previste per la sanità nella Legge di Bilancio 2019.

Fabbisogno sanitario nazionale standard 2019-2021. Confermato il miliardo già assegnato per il 2019 dalla precedente legislatura e previsto un aumento di € 2 miliardi nel 2020 e di € 1,5 miliardi nel 2021, per un incremento complessivo di € 4,5 miliardi nel triennio. Le risorse assegnate per il 2020 e per il 2021 sono subordinate alla stipula, entro il 31 gennaio 2019, di una Intesa Stato-Regioni per il Patto per la Salute 2019-2021 che contempli varie “misure di programmazione e di miglioramento della qualità delle cure e dei servizi erogati e di efficientamento dei costi”. «Tutte le misure previste – puntualizza Cartabellotta – sono ampiamente condivisibili, ma la deadline al 31 gennaio è illusoria, visto che la stesura del nuovo Patto per la Salute difficilmente potrà essere avviata prima dell’approvazione della Legge di Bilancio e che i tempi per le consultazioni sono risicati. Ecco perché il Parlamento dovrebbe prorogare la scadenza almeno al 31 marzo».

Oltre all’incremento del fabbisogno sanitario nazionale standard 2019-2021, la Legge di Bilancio prevede risorse finalizzate a specifici obiettivi:

  • Riduzione dei tempi di attesa delle prestazioni sanitarie. Per l’implementazione e l’ammodernamento delle infrastrutture tecnologiche legate ai sistemi di prenotazione elettronica sono stati stanziati nel triennio € 150 milioni, il cui riparto è subordinato a un decreto ministeriale previa Intesa Stato-Regioni. «È positivo – commenta il Presidente – che le risorse siano destinate alle infrastrutture tecnologiche e informatiche per migliorare il processo di governance delle liste d’attese e non all’aumento indiscriminato dell’offerta di prestazioni. Tuttavia è fondamentale che le modalità di riparto tengano conto delle attuali differenze regionali in termini di infrastrutture tecnologiche disponibili».
  • Borse di studio. Per quelle destinate al corso di formazione specifica in Medicina generale stanziati € 10 milioni a decorrere dal 2019 che garantiscono ogni anno circa 300 borse aggiuntive. Per le scuole di specializzazione previsto un graduale incremento di risorse per finanziare circa 2.700 borse di studio: € 22,5 milioni per il 2019, € 45 milioni per il 2020, € 68,4 milioni per il 2021, € 91,8 milioni per il 2022 e € 100 milioni a decorrere dall’anno 2023. «Intervento di grande rilevanza – commenta Cartabellotta – per ridurre gradualmente l’attuale imbuto formativo e ringiovanire il capitale umano; tuttavia, per recuperare preziose risorse, rimane indispensabile prendere atto del fenomeno delle “borse perdute”».
  • Rinnovo contrattuale 2019-2021. Per il personale dipendente e convenzionato gli oneri per i rinnovi contrattuali, nonché quelli derivanti dalla corresponsione dei miglioramenti economici al personale, sono posti a carico dei bilanci regionali. «Traducendo il politichese – puntualizza il Presidente – il personale sanitario rimane tagliato fuori dai fondi stanziati per i rinnovi contrattuali 2019-2021 e in assenza di risorse dedicate le Regioni devono reperirle dal fondo sanitario».
  • Finanziamento dei programmi di edilizia sanitaria. Viene aumentato di € 2 miliardi l’importo destinato al programma pluriennale di interventi in materia di ristrutturazione edilizia e di ammodernamento tecnologico, seppur totalmente “a spese” del Fondo investimenti enti territoriali.

I grandi assenti. Restano fuori dalla manovra alcune indifferibili priorità per evitare il collasso della sanità.

  • Rinnovi contrattuali. Contrariamente a quanto dichiarato dal sottosegretario Garavaglia, nessuna conferma che il miliardo di aumento del fondo sanitario 2019 sarà interamente destinato ai rinnovi contrattuali.
  • Sblocco turnover. Nonostante la verosimile “emorragia” di professionisti dal SSN conseguente all’applicazione della “quota 100”, nessun riferimento alla rimozione del vincolo di spesa.
  • Nuovi LEA. Con i nomenclatori tariffari ancora in “ostaggio” del MEF per mancata copertura finanziaria, i nuovi LEA non sono ancora esigibili sulla maggior parte del territorio nazionale. Le stime oscillano tra € 800 milioni (Ragioneria Generale dello Stato) e € 1.600 milioni (Conferenza Regioni e Province autonome).
  • Residuo pay-back farmaceutico 2013-2016. Parte degli oltre € 900 milioni contabilizzati come entrate nel bilancio dello Stato sono oggetto di contenzioso e potrebbero diventare una voce di passività.

«Considerato che il testo della Legge di Bilancio 2019 – conclude Cartabellotta – approda in Parlamento con un paniere triennale per la sanità più ricco delle aspettative, e in ogni caso legato alle ardite previsioni di crescita, bisogna dare merito alla Ministra Grillo di avere sensibilizzato l’intero Esecutivo sui bisogni della sanità. Tuttavia, alcune lacune che rischiano di peggiorare lo “stato di salute” del SSN non possono essere ulteriormente rinviate: ecco perché è indispensabile destinare interamente ai rinnovi contrattuali il miliardo già previsto dalla precedente legislatura ed anticipare al 2019 almeno un miliardo per sdoganare i nuovi LEA, eliminare il superticket e avviare lo sblocco del turnover».


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22 ottobre 2018
Sani o malati? GIMBE pubblica le Linee Guida per modificare le soglie di malattia

CON L’AVVIO DEL NUOVO SISTEMA NAZIONALE LINEE GUIDA OCCORRE STANDARDIZZARE ANCHE IN ITALIA GLI STRUMENTI PER MODIFICARE I CRITERI DIAGNOSTICI DELLE MALATTIE AL FINE DI PREVENIRE I FENOMENI DI SOVRA-DIAGNOSI E SOVRA-TRATTAMENTO. BISOGNA EVITARE DI ETICHETTARE COME MALATE E QUINDI “CURARE” PERSONE NELLE QUALI GLI EFFETTI AVVERSI SONO MAGGIORI DEI BENEFICI. LA FONDAZIONE GIMBE PUBBLICA LA VERSIONE ITALIANA DELLA CHECK-LIST G-I-N PER GUIDARE LA MODIFICA DELLE SOGLIE DI MALATTIA.

L’estensione delle definizioni di malattia se da un lato può determinare benefici per i pazienti che possono accedere a trattamenti efficaci, dall’altro rappresenta uno dei driver principali della sovra-diagnosi (overdiagnosis), una vera e propria epidemia del 21° secolo che in Italia gode ancora di scarsa attenzione. Infatti, la modifica delle soglie di malattia, insieme alla disponibilità e all’uso esteso e spesso inappropriato di tecnologie diagnostiche sempre più sensibili, finiscono per etichettare come malate persone il cui stadio di malattia è troppo precoce, molto lieve e/o non evolutivo. A livello di popolazione varie sono le condizioni in cui il conseguente sovra-trattamento (overtreatment) può sbilanciare il rapporto benefici/rischi in: ipertensione, embolia polmonare, insufficienza renale cronica, osteoporosi, prediabete, carcinoma della tiroide, disturbo da deficit di attenzione e iperattività, demenza.

«La letteratura scientifica – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – negli ultimi anni ha ampiamente dimostrato che l’estensione delle definizioni di malattia è un fenomeno diffuso in tutte le aree specialistiche, ma che al tempo stesso mancano standard condivisi per identificare e prevenire modifiche inappropriate sono inadeguate». Oggi, infatti, i panel che elaborano linee guida per la pratica clinica modificano le soglie di malattia senza valutare rigorosamente l’impatto sulla loro prevalenza, e soprattutto dei potenziali effetti avversi delle modifiche proposte: infatti, se il beneficio terapeutico assoluto è solitamente proporzionale alla severità della malattia, la probabilità di effetti avversi è generalmente costante e indipendente, in quanto effetto fisso dell’intervento terapeutico. Di conseguenza, nei pazienti con malattia in fase precoce o lieve, gli effetti avversi sono spesso più probabili dei benefici.

«Se il nuovo Sistema Nazionale Linee Guida – continua il Presidente – ha già previsto standard internazionali per produrre linee guida valide e trasparenti, è indispensabile che i panel coinvolti in questo processo dispongano di una guida per modificare le soglie di malattia». Con questo obiettivo la Fondazione GIMBE ha realizzato la versione italiana ufficiale della checklist recentemente pubblicata dal Guidelines International Network (G-I-N) che include 8 item:

  1. Definizione di malattia: quali sono le differenze tra la nuova definizione e quelle precedenti?
  2. Impatto epidemiologico della modifica: in che misura la nuova definizione di malattia modificherà incidenza e/o prevalenza della malattia?
  3. Motivazioni: per quali ragioni viene modificata la definizione di malattia?
  4. Abilità prognostica: in che misura la nuova definizione di malattia, rispetto alla precedente, predice outcome clinicamente rilevanti?
  5. Precisione e accuratezza della definizione di malattia: qual è il grado di ripetibilità, riproducibilità e accuratezza della nuova definizione di malattia?
  6. Benefici: qual è il beneficio incrementale per i pazienti classificati con la nuova definizione di malattia rispetto alla precedente?
  7. Effetti avversi: quali sono gli effetti avversi incrementali per i pazienti classificati con la nuova definizione di malattia rispetto alla precedente?
  8. Benefici e effetti avversi netti: qual è il beneficio e il danno netto per i pazienti classificati con la nuova definizione di malattia rispetto alla precedente?

«Per evitare – conclude Cartabellotta – che i potenziali rischi di sovra-diagnosi e sovra-trattamento danneggino i “nuovi malati” occorre grande cautela nel modificare le soglie di malattia. In particolare, tali modifiche dovrebbero sempre migliorare il profilo rischio/beneficio a livello di popolazione. In tal senso auspichiamo che la checklist venga utilizzata da tutte le società scientifiche italiane impegnate nella produzione di linee guida per la pratica clinica».

Le “Linee guida per modificare le definizioni di malattia: una checklist” sono disponibili a: www.evidence.it/soglie-malattia


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17 ottobre 2018
Professionisti sanitari e industria: sì alla trasparenza, no al complottismo

LA FONDAZIONE GIMBE AUDITA PRESSO LA COMMISSIONE AFFARI SOCIALI DELLA CAMERA DEI DEPUTATI ESPRIME UN GIUDIZIO POSITIVO SUL SUNSHINE ACT NOSTRANO E PROPONE ALCUNI SPUNTI DI MIGLIORAMENTO: ESTENDERE ORGANIZZAZIONI E SOGGETTI CHE OPERANO NEL SETTORE SALUTE, ESCLUDERE LA VIGILANZA SULLE RELAZIONI NON FINANZIARIE E MAGGIORE ATTENZIONE ALLE FALLE PRESENTI NEL SISTEMA NAZIONALE DI EDUCAZIONE CONTINUA IN MEDICINA

Si è tenuta ieri, presso la Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati, l’audizione della Fondazione GIMBE sulla proposta di legge n. 491 “Disposizioni in materia di trasparenza dei rapporti tra le imprese produttrici, i soggetti che operano nel settore della salute e le organizzazioni sanitarie”, già noto come Sunshine Act italiano.

«Il disegno di legge – ha affermato Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – ha un impianto molto solido, ma bisogna evitare di demonizzare i trasferimenti di denaro, che non necessariamente sono correlati a fenomeni corruttivi». In particolare il Presidente si è soffermato sul fatto che il conflitto di interessi conseguente al trasferimento di denaro, per definizione, è una condizione e non un comportamento: in caso di conflitto di interessi, infatti, se la maggior parte dei “percettori” non modificherà i propri comportamenti, una parte metterà in atto comportamenti opportunistici (da lievi a gravi) e solo alcuni si renderanno responsabili di reati e illeciti amministrativi.

Cartabellotta ha poi illustrato la “Tassonomia GIMBE di frodi e abusi in sanità” con 53 tipologie di frodi e abusi classificati in 9 categorie: policy making e governance del sistema sanitario, regolamentazione del sistema sanitario, ricerca biomedica, marketing e promozione di farmaci, dispositivi e altre tecnologie sanitarie, acquisto di beni e servizi, distribuzione e stoccaggio di prodotti, gestione delle risorse finanziarie, gestione delle risorse umane, erogazione dei servizi sanitari. «Dalle nostre analisi preliminari – ha puntualizzato Cartabellotta – il Sunshine Act potrebbe contribuire a prevenire 28 delle 53 tipologie di frodi e abusi, grazie al fatto che prende in considerazione non solo i trasferimenti di valore ai professionisti sanitari, ma anche al personale amministrativo e alle organizzazioni che operano in sanità».

«Purtroppo – ha precisato il Presidente – sia i comportamenti opportunistici più gravi che i reati e gli illeciti amministrativi sono generati da flussi di denaro o altre utilità non tracciabili. Di conseguenza, se da un lato il Sunshine Act è indispensabile per una maggiore trasparenza sui trasferimenti di valore, dall’altro la sua efficacia nel prevenire i fenomeni corruttivi in sanità è molto incerta».

Cartabellotta ha poi presentato in anteprima un’analisi preliminare dei trasferimenti di valore effettuati da 15 aziende farmaceutiche nel 2016, sulla base dei dati resi disponibili grazie al disclosure code di Farmindustria. Dall’analisi è emerso che:

  • Oltre 2/3 dei medici fornisce il consenso a pubblicare i dati personali, a dimostrazione che la cultura della trasparenza è abbastanza diffusa tra i professionisti, mentre 1 medico su 3 antepone la tutela della privacy alla trasparenza.
  • Quasi il 60% dei trasferimenti di valore individuali riguardano attività di formazione (quote di iscrizione e viaggi).
  • Rispetto ai trasferimenti in favore di organizzazioni (enti pubblici, aziende sanitarie, società scientifiche, associazioni di pazienti ed altro), il 58% dell’importo totale dei trasferimenti è in favore di società di servizi che operano nell’ambito dell’Educazione Continua in Medicina (ECM).

Il Presidente infine, sulla base dei dati e delle evidenze riportate, ha presentato alla Commissione proposte di modifiche e integrazioni del testo di legge formulate dalla Fondazione GIMBE:

  • Estendere le finalità della legge, oltre che alla prevenzione dei fenomeni corruttivi, anche a quella dei comportamenti opportunistici.
  • Includere tra gli obiettivi della legge, oltre alla ricerca, anche il sistema nazionale ECM, di fatto non preso in considerazione dal testo attuale.
  • Includere tra le “imprese produttrici” quelle che commercializzano prodotti nutrizionali (latte artificiale, prodotti senza glutine e aproteici, integratori, etc.) e l’industria alimentare, tenendo conto che consistenti evidenze dimostrano rilevanti conseguenze sulla salute pubblica dei conflitti di interesse nella scienza della nutrizione.
  • Includere tra le “organizzazioni” che possono percepire denaro sia i provider accreditati per l’ECM, sia soprattutto le società di servizi, attualmente in pole position per trasferimenti di denaro.
  • Allineare il “Registro pubblico telematico” agli standard degli Open Data, già utilizzati dal Ministero della Salute.
  • Escludere dal testo di legge il monitoraggio delle “relazioni di interesse” che non prevedono transazione finanziarie, che finirebbero per sovraccaricare il “Registro pubblico telematico” con un’enorme mole di dati irrilevanti ai fini della prevenzione di comportamenti opportunistici e illeciti,  alimentando inutilmente la cultura del sospetto.

Il video integrale dell’audizione è disponibile a: www.gimbe.org/audizione_sunshine_act


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8 ottobre 2018
Manovra. Il debito pubblico cresce, ma alla sanit&#224; non spettano nemmeno le briciole

DALL’ANALISI GIMBE DELLA NOTA DI AGGIORNAMENTO DEL DEF 2018 EMERGONO TUTTE LE CONTRADDIZIONI DI UNA MANOVRA CHE PORTA ALLE STELLE IL DEBITO SACRIFICANDO LE TUTELE PUBBLICHE. LA SANITÀ CONTINUA INFATTI A RIMANERE FUORI DALL’AGENDA POLITICA E NONOSTANTE LE DICHIARAZIONI DI INTENTI DEL CONTRATTO DI GOVERNO NESSUN RILANCIO DEL FINANZIAMENTO PUBBLICO, POCHI INTERVENTI REALMENTE INNOVATIVI E DUBBI SULLE REALI COPERTURE. CALA IL SILENZIO SU RINNOVI CONTRATTUALI, SBLOCCO DEI NUOVI LEA ED ELIMINAZIONE DEL SUPERTICKET.

8 ottobre 2018 - Fondazione GIMBE, Bologna

La Nota di aggiornamento al DEF (NaDEF) 2018 conferma tutti gli impegni più “popolari” presi in campagna elettorale da M5S e Lega. Tenendo conto dell’enorme indebitamento, dell’incertezza sulle coperture e della prima “bocciatura” da parte dell’UE, è evidente che per la sanità nella prima Legge di Bilancio giallo-verde il triennio 2019-2021 è buio pesto. Unica ragionevole certezza è che il miliardo aggiuntivo stanziato dal precedente Esecutivo rimarrà indenne, con un finanziamento pubblico per il 2019 di € 114,396 miliardi.

«Dopo quasi un decennio di tagli e definanziamenti destinati al risanamento della finanza pubblica – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – da un Governo che si definisce “del Cambiamento” ci si aspettava che la sanità pubblica fosse rimessa al centro dell’agenda politica, tenendo conto del programma contenuto nel “Contratto”. Invece, nonostante l’aumento del debito pubblico, tutela della salute, ricerca e sviluppo e innovazione non hanno diritto di cittadinanza nella manovra di fine anno».

Alla vigilia della discussione della Legge di Bilancio, al fine di ridurre vane aspettative, la Fondazione GIMBE ha effettuato un’analisi indipendente della NaDEF 2018 relativamente a: 1. Revisione delle stime finanziarie. 2. Problematiche rilevanti identificate.  3. Azioni previste.

  1. Revisione delle stime finanziarie
  • La NaDEF 2018 azzarda una crescita del PIL del 3,1% nel 2019 che schizza al 3,5% nel 2020 per poi tornare al 3,1% nel 2021, ma contiene l’aumento percentuale della spesa sanitaria a 0,8% nel 2019, 1,9% nel 2020 e 2% nel 2021. Questo primo dato certifica che la crescita della spesa sanitaria nel triennio 2019-2021 rimane ben al di sotto di quella stimata per il PIL nominale; inoltre, considerato che l’indice dei prezzi del settore sanitario è superiore all’indice generale dei prezzi al consumo, la restrizione in termini di spesa reale è ancora più marcata.
  • Rispetto al DEF 2018, la NaDEF 2018 aumenta dello 0,1% per anno il rapporto spesa sanitaria/PIL (6,5% nel 2019 e 6,4% nel 2020 e nel 2021), ma non conferma l’attesa inversione di tendenza annunciata dal Premier Conte in occasione del discorso per la fiducia. Parallelamente aumentano le stime della spesa sanitaria rispetto al DEF 2018: € 117,239 miliardi per il 2019 (+ € 857 milioni), € 119,452 per il 2020 (+ € 880 milioni) e € 121,803 per il 2021 (+ € 909 milioni).
  • Rimane poco comprensibile il notevole incremento (+ 2,4%) della spesa sanitaria dal 2017 al 2018 stimato in ben € 2,732 miliardi: dai € 113,6 miliardi già certificati per il 2017 ai € 116,331 stimati per il 2018. Considerato che tutte le Regioni hanno raggiunto un sostanziale pareggio di bilancio, come interpretare gli oltre € 2,9 miliardi di spesa sanitaria previsti nel 2018? È un via libera a spendere in libertà in questi ultimi due mesi? Concretizza una (inverosimile) “iniezione” straordinaria di liquidità di fine anno? Oppure si tratta di una sofisticata mossa contabile, se non di una clamorosa svista?
  1. Problematiche rilevanti identificate. In questa sezione alcune clamorose contraddizioni. Si vuole “migliorare la garanzia dell’erogazione dei LEA in modo uniforme su tutto il territorio nazionale”, ma il Governo ha già confermato il via libera al regionalismo differenziato che aumenterà le diseguaglianze. Si propone di aumentare l'attenzione per la promozione e la prevenzione della salute, senza prevedere azioni correlate né tantomeno risorse. «Infine – commenta il Presidente –  anacronistico affermare che bisogna “prepararsi ai cambiamenti derivanti dal progresso scientifico e dall’innovazione tecnologica”, ovvero si continua ad ignorare il ritardo decennale nell’adozione di tecnologie innovative per trasformare l’assistenza sanitaria».

 

  1. Azioni previste
  • Personale. Confermata la volontà di “completare i processi di assunzione e stabilizzazione del personale” e l’aumento delle borse di studio per medicina generale e specializzazioni. Il costo già stimato dalla Fondazione GIMBE è di € 1,1 miliardi per assumere 20.000 professionisti sanitari, di € 250-300 milioni per le borse di studio di specializzazione e € 40 milioni (già stanziati) per il corso di formazione specifica in medicina generale. Nessun cenno ai rinnovi contrattuali (stima € 1 miliardo).
  • Miglioramento della governance della spesa sanitaria. Azioni limitate a farmaci e dispositivi: risoluzione dei contenziosi sul payback farmaceutico, nuove modalità di calcolo di scostamenti dai vincoli della spesa farmaceutica per acquisti diretti e del tetto della farmaceutica convenzionata 2017-2018, adeguamento per il 2019 dei criteri per la contrattazione del prezzo dei farmaci, specifiche direttive per l’acquisizione delle categorie merceologiche sanitarie. Nessuna stima delle risorse potenzialmente recuperabili da tali azioni.
  • Promozione dell’innovazione e della ricerca. Oltre all’istituzione dell’Anagrafe Nazionale dei Vaccini proposte l’implementazione del Fascicolo Sanitario Elettronico in tutte le Regioni, la connessione dei vari sistemi informativi per tracciare il percorso del paziente e l’estensione della tracciabilità dei medicinali al settore veterinario. Non stimati gli investimenti necessari e le risorse recuperabili.
  • Attuazione, monitoraggio e aggiornamento dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Previste due azioni rilevanti: la definizione degli standard per l’assistenza territoriale e l’avvio del nuovo Piano Nazionale per il Governo delle Liste di Attesa. Nessun cenno allo sblocco dei nomenclatori tariffari dei “nuovi” LEA per i quali manca la copertura finanziaria (stima Ministero € 800 milioni, stima Regioni € 1.600 milioni), né di effettuare un consistente “sfoltimento” delle prestazioni incluse. Subordinata alla “garanzia degli equilibri economico-finanziari del SSN” la revisione della disciplina della compartecipazione alla spesa e delle esenzioni. Nessun cenno all’eliminazione del superticket.
  • Investimenti nel patrimonio edilizio sanitario e ammodernamento tecnologico delle attrezzature. Una cabina di regia definirà le priorità per gli interventi di edilizia sanitaria relative all’adeguamento antisismico (zone I e II), all’osservanza delle norme antincendio e all’adeguato ammodernamento tecnologico. Nessuna stima delle risorse necessarie, né alcun riferimento a quelle della Corte dei Conti che ha stimato in € 32 miliardi il costo per ristrutturazione edilizia e ammodernamento tecnologico.

«La prima cartina al tornasole – conclude Cartabellotta – con cui il “Governo del Cambiamento” poteva dimostrare che il rilancio del SSN è una priorità politica, è già andata in fumo: infatti, senza invertire la tendenza del rapporto spesa sanitaria/PIL è impossibile un consistente rilancio del finanziamento pubblico nel prossimo triennio. Manca un approccio di sistema per salvare il SSN, le azioni innovative e rilevanti previste per la sanità sono poche, e la copertura finanziaria è al momento molto incerta. Infine, il silenzio sul rinnovo dei contratti e sul via libera ai nuovi LEA, lascia ancora più perplessi sulla volontà dell’Esecutivo di rilanciare la sanità pubblica ed aumentare le tutele pubbliche».


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2 ottobre 2018
Manovra 2019: alla Sanit&#224; pubblica servono 4 miliardi

ANALISI GIMBE: PER RINNOVI CONTRATTUALI, SBLOCCO DEL TURNOVER, EROGAZIONE DEI NUOVI LEA, ELIMINAZIONE SUPERTICKET E BORSE DI STUDIO PER SPECIALIZZANDI, IL FONDO SANITARIO NAZIONALE RICHIEDEREBBE COMPLESSIVAMENTE UN AUMENTO DI 4 MILIARDI DI EURO, DI CUI AL MOMENTO È CONFERMATO SOLO IL MILIARDO ASSEGNATO DALLA PRECEDENTE LEGISLATURA. LA NOTA DI AGGIORNAMENTO DEL DEF 2018 E LA LEGGE DI BILANCIO 2019-2021 CRUCIALI PER LE SORTI DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE.

Alla vigilia della discussione sulla Legge di Bilancio 2019 numerose legittime richieste degli stakeholder della sanità rischiano di rimanere disattese. Al momento, infatti, le risorse necessarie sembrano ben lontane da quelle che il nuovo Esecutivo potrà assicurare alla sanità pubblica per la quale, dopo anni di cocenti delusioni, sono progressivamente maturate grandi aspettative visto che il “Contratto per il Governo del Cambiamento” mette nero su bianco il sospirato rilancio del Servizio Sanitario Nazionale (SSN).

«Anche se tutte le istanze di Regioni, professionisti sanitari, organizzazioni civiche e industria – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – mirano a soddisfare inderogabili necessità per il SSN, s’impone una dose di sano realismo perché al momento manca un’adeguata copertura finanziaria. Infatti, nonostante l’ardita scelta del Governo di fissare il deficit al 2,4% del PIL, dall’entusiasmo dei due vice-premier non è “trasudata” alcuna liquidità aggiuntiva per la sanità, per la quale è stata esclusa solo l’ipotesi di nuovi tagli».

Per facilitare il confronto tra Governo e Regioni sulle priorità che possono essere realmente finanziate dalla Legge di Bilancio 2019, la Fondazione GIMBE ha messo ordine tra le cifre in ballo, a volte sovrastimate in maniera opportunistica dai singoli stakeholder, a volte divenute oggetto di strumentalizzazione politica.

Fondo Sanitario Nazionale 2019. Rimane quello fissato dalla Legge di Bilancio 2017 così come rideterminato dal Decreto 5 giugno 2017, ovvero € 114,396 miliardi. In altri termini, l’attuale Governo al momento non ha previsto alcun aumento del fondo sanitario nazionale, visto che il miliardo di euro in più rispetto al 2018 era già stato definito dal precedente Esecutivo.

Priorità per la sanità nella Legge di Bilancio 2019:

  • Rinnovi contrattuali: € 1.000 milioni. Tale stima, riportata nel luglio 2018 dal Presidente della Commissione salute alla Conferenza Stato Regioni Saitta in audizione presso la Commissione Igiene e Sanità, è inclusiva di quanto recentemente stimato dall’ARAN per la dirigenza medica e veterinaria: € 560 milioni, di cui 500 per l'aumento del 3,48% degli stipendi pubblici e 60 per garantire l'indennità di esclusività della massa salariale. Per i fondi contrattuali per il trattamento economico accessorio della dirigenza nel 2019 sono disponibili € 30 milioni, dei € 437 milioni totali stanziati dalla Legge di Bilancio 2018 sino al 2026.
  • Sblocco turnover: € 1.100 milioni. La stima del Presidente Saitta coprirebbe circa 20.000 assunzioni nel SSN, previa rimozione del vincolo di spesa sui valori del 2004 ridotta dell’1,4%.
  • Borse di studio per il corso di formazione specifica in medicina generale: € 40 milioni. Già assegnati dal fondo sanitario, secondo quanto dichiarato dalla Ministra Grillo, per finanziare insieme alle Regioni 840 borse aggiuntive per un totale di 2.093.
  • Borse di studio per le scuole di specializzazione: € 250-300 milioni. Il Presidente Saitta stima 2.600 borse non finanziate rispetto al fabbisogno formativo a un costo medio annuo di circa € 25.000. La stima complessiva non può tuttavia essere precisa, sia per la differente durata delle scuole di specializzazione, sia perché il numero di borse appare sovrastimato anche alla luce del poco noto fenomeno delle “borse perdute” che deve essere necessariamente arginato.
  • Nuovi LEA: € 800 / € 1.600 milioni. La prima stima è della relazione tecnica che ha dato il via libera alla “bollinatura” del testo del DPCM sui nuovi LEA da parte della Ragioneria Generale dello Stato; la seconda è della Conferenza delle Regioni e Province autonome che ritiene insufficiente tale copertura perché contabilizza potenziali risparmi. Nonostante il tema sia un po’ passato di moda, va ribadito che i nomenclatori tariffari rimangono in “ostaggio” del MEF proprio per la mancata copertura finanziaria e, di fatto, i nuovi LEA non sono esigibili sulla maggior parte del territorio nazionale.
  • Eliminazione superticket € 350 milioni: secondo quanto riportato dalla Corte dei Conti nel Rapporto sul Coordinamento della Finanza Pubblica 2018, il superticket nel 2017 ha “pesato” per € 413,7 milioni, da cui sono stati decurtati nella stima i € 60 milioni già stanziati dalla Legge di Bilancio 2018, ma non ancora utilizzati per mancato accordo sulla bozza di decreto da parte della Conferenza delle Regioni e province autonome. Peraltro, la stima potrebbe essere sovrastimata perché alcune Regioni nel corso del 2018 hanno già deliberato la sua eliminazione parziale o totale.
  • Ristrutturazione edilizia e ammodernamento tecnologico: € 32.000 milioni. La stima complessiva è riportata dalla Corte dei Conti nella Deliberazione 9 marzo 2018 “L’attuazione del programma straordinario per la ristrutturazione edilizia l’ammodernamento tecnologico del patrimonio sanitario”.
  • Residuo pay-back farmaceutico 2013-2016: circa € 920 milioni. Tale importo, quasi interamente contabilizzato come entrata nel bilancio dello Stato, è attualmente oggetto di contenzioso e potrebbe, seppur in parte, trasformarsi in una voce di passività per la finanza pubblica.

Escludendo i potenziali effetti del contenzioso sul pay-back, oltre che ristrutturazione edilizia e ammodernamento tecnologico che richiedono un piano pluriennale di investimenti che non possono gravare sul fondo sanitario, e stimando realisticamente in € 1.200 milioni l’impatto dei nuovi LEA per sbloccare i nomenclatori tariffari, la cifra necessaria per il fondo sanitario 2019 raggiunge i € 4 miliardi. «Una simile disponibilità di risorse nel 2019 – commenta il Presidente – è assolutamente irrealistica nonostante l’impegno della Ministra Grillo a reperire altri fondi, la sua determinazione a non farsi “commissariare dal MEF” e la possibilità di recuperare ulteriori risorse dal disinvestimento da sprechi e inefficienze. Infatti la sanità, al momento, non rappresenta affatto una priorità per Di Maio e Salvini».

«Per verificare se il rilancio del SSN è realmente una priorità politica del Governo per il cambiamento – conclude Cartabellotta – due sono le cartine al tornasole: la Legge di Bilancio 2019 dovrà comunque destinare per il triennio 2019-2021 le risorse necessarie alle priorità sopra riportate e alla nota di aggiornamento del DEF 2018 (non ancora pervenuta!) spetterà documentare l’inversione di tendenza del rapporto spesa sanitaria/PIL. Se così non fosse, il 23 dicembre invece di festeggiare il 40° compleanno del SSN, prepariamoci serenamente a intonarne il requiem».


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19 settembre 2018
Sanità, GIMBE analizza le promesse del Governo: intenzioni buone, ma rilancio del Servizio Sanitario Nazionale ancora lontano

IL “CONTRATTO PER IL GOVERNO DEL CAMBIAMENTO” DICHIARA ESPLICITAMENTE LA VOLONTÀ DI TUTELARE IL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE, ESCLUDENDO OGNI FORMA DI PRIVATIZZAZIONE. TUTTAVIA, L’ANALISI INDIPENDENTE DELL’OSSERVATORIO GIMBE IDENTIFICA TRE AZIONI CRUCIALI CHE RESTANO FUORI DAL CONTRATTO: ESPLICITO RILANCIO DEL FINANZIAMENTO PUBBLICO, RIDEFINIZIONE DEL PERIMETRO DEI LEA, RIORDINO DELLA SANITÀ INTEGRATIVA. LA MANCATA STIMA ECONOMICA DELLE PROPOSTE E IL VIA LIBERA AL REGIONALISMO DIFFERENZIATO RAPPRESENTANO ULTERIORI OSTACOLI AL TANTO ATTESO RILANCIO DELLA SANITÀ PUBBLICA.

Il capitolo Sanità del “Contratto per il Governo del Cambiamento” si apre con una rassicurante dichiarazione di intenti che esclude in maniera assoluta ogni forma di privatizzazione del SSN e conferma la volontà di tutelare equità ed universalismo,  princìpi fondanti della L. 833/78: “È prioritario preservare l’attuale modello di gestione del servizio sanitario a finanziamento prevalentemente pubblico e tutelare il principio universalistico su cui si fonda la legge n. 833 del 1978 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale. Tutelare il SSN significa salvaguardare lo stato di salute del Paese, garantire equità nell’accesso alle cure e uniformità dei livelli essenziali di assistenza”.

«Nell’ambito delle attività dell’Osservatorio GIMBE – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – abbiamo condotto un’analisi integrale del “Contratto per il Governo del Cambiamento” per verificare la coerenza delle proposte relative a sanità e ricerca biomedica con i 12 punti del “piano di salvataggio” del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) elaborato dalla Fondazione GIMBE e validato tramite consultazione pubblica».

Nelle 12 tabelle analitiche, per ciascuna proposta identificata, è stato inserito ove opportuno un commento con eventuali note bibliografiche. Successivamente, previa verifica di coerenza e completezza delle proposte per attuare ciascuno dei 12 item del “piano di salvataggio” GIMBE, è stata realizzata una tabella sinottica (allegato) che riporta la valutazione complessiva del “Contratto per il Governo del Cambiamento”. 

«La nostra analisi – puntualizza il Presidente – dimostra che il “Contratto per il Governo del Cambiamento” non getta solide basi per mettere in sicurezza la più grande conquista sociale dei cittadini italiani, già ereditata in “condizioni di salute” non ottimali».  Rispetto alla 4 macro-determinanti della crisi di sostenibilità del SSN identificate dal 3° Rapporto GIMBE (definanziamento, “paniere LEA” troppo ampio, sprechi e inefficienze, espansione della sanità integrativa), il “Contratto per il Governo del Cambiamento” contiene sì un programma molto dettagliato e potenzialmente efficace per ridurre sprechi e inefficienze, ma:

  • non annuncia esplicitamente un aumento nominale del fondo sanitario nazionale, né un’inversione di tendenza del rapporto spesa sanitaria/PIL;
  • non prevede alcuna ridefinizione del perimetro dei LEA, oggi sproporzionati rispetto al finanziamento pubblico ed esigibili su tutto sul territorio nazionale solo sulla carta;
  • non fa alcun cenno all’inderogabile riordino legislativo della sanità integrativa che oggi, con le seducenti promesse del “secondo pilastro”, favorisce derive consumistiche e di privatizzazione.

Inoltre, anche se numerose proposte sono coerenti con gli item del “piano di salvataggio” GIMBE, il “Contratto per il Governo del Cambiamento” non definisce mai l’entità delle risorse necessarie per finanziarle. Infine, il “Contratto per il Governo del Cambiamento” dà il via libera al regionalismo differenziato che rappresenta una reale minaccia all’universalismo del SSN, visto che le autonomie previste in sanità non potranno che amplificare le diseguaglianze regionali.

Nonostante le buone intenzioni del “Contratto per il Governo del Cambiamento” e l’impegno della Ministra Grillo nei primi 100 giorni di mandato, è certo che il rilancio del SSN non rientra al momento tra le priorità dell’Esecutivo, già in difficoltà a soddisfare tutte le promesse elettorali più popolari (flat tax, reddito di cittadinanza, riforma della legge Fornero) nel rispetto del tetto di deficit previsto dal Patto di Stabilità e Crescita europeo. «Considerato che a breve termine mancano le risorse per rifinanziare in maniera consistente il SSN – commenta Cartabellotta – il banco di prova per la sanità non può essere la Legge di Bilancio 2019 che nella migliore delle ipotesi potrà garantire il “consueto” miliardo di euro che negli ultimi anni ha coperto solo il costo dell’inflazione».

«Guardando avanti con un pizzico di ottimismo – conclude il Presidente –  per confermare le buone intenzioni del “Contratto per il Governo del Cambiamento” sul destino della sanità pubblica, il primo segnale concreto dovrebbe arrivare tra pochi giorni con la nota di aggiornamento del DEF 2018. In particolare, si attende quell’inversione di tendenza del rapporto spesa sanitaria/PIL annunciata anche dalle parole del Premier Conte nel discorso per la fiducia. Se così non fosse, le rassicuranti dichiarazioni di intenti con cui si apre il capitolo Sanità nel “Contratto per il Governo del Cambiamento” rimarranno lettera morta, lasciando ancora una volta che sia il futuro a prendersi cura del SSN». 

Il Report “Analisi delle proposte su sanità e ricerca biomedica del “Contratto per il Governo del Cambiamento”” è disponibile all’indirizzo web: www.gimbe.org/contratto-governo.


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7 settembre 2018
Nuove generazioni di ricercatori alla scuola GIMBE

SI CONCLUDE OGGI LA SUMMER SCHOOL GIMBE SULLA METODOLOGIA DEI TRIAL CLINICI, DESTINATA A 30 GIOVANI STUDENTI, MEDICI E FARMACISTI SELEZIONATI CON UN BANDO NAZIONALE E REALIZZATA GRAZIE AL SUPPORTO NON CONDIZIONANTE DI ASSOGENERICI AL PROGRAMMA GIMBE4YOUNG

Volge al termine la seconda edizione della “Summer School on… Metodologia dei Trial Clinici”, realizzata dalla Fondazione GIMBE nell’ambito del programma GIMBE4young, con il sostegno non condizionante di Assogenerici. Obiettivo: preparare le nuove generazioni di ricercatori alle sfide che li attendono per migliorare qualità, etica, rilevanza e integrità della ricerca clinica.

«Nella gerarchia delle evidenze scientifiche – dichiara Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – i trial clinici, in particolare quelli controllati e randomizzati, costituiscono lo standard di riferimento per valutare l’efficacia degli interventi sanitari. Tuttavia la loro qualità è spesso insoddisfacente, determinando inevitabilmente lo spreco di preziose risorse, oltre alla persistenza di numerose aree grigie».

La conferma giunge dalla comunità scientifica internazionale che, con la campagna Lancet REWARD (Reduce research Waste And Reward Diligence), punta a ridurre gli sprechi ed aumentare il value della ricerca biomedica: «Pazienti e professionisti – continua il presidente – vengono raramente coinvolti nella definizione delle priorità, per cui molti trial rispondono a quesiti di ricerca irrilevanti e/o misurano outcome di scarsa rilevanza clinica; senza contare il fatto che oltre la metà dei trial vengono pianificati senza alcun riferimento a evidenze già disponibili, generando inutili duplicazioni». Altri dati inquietanti giungono dagli studi più recenti: più del 50% dei trial pubblicati presentano rilevanti errori metodologici che ne invalidano i risultati; sino al 50% dei trial non vengono mai pubblicati e molti di quelli pubblicati tendono a sovrastimare i benefici e sottostimare i rischi degli interventi sanitari; oltre il 30% dei trial non riporta dettagliatamente le procedure con cui somministrare gli interventi studiati e spesso i risultati dello studio non vengono interpretati alla luce delle evidenze disponibili.

Enrique Häusermann - presidente di Assogenerici - sottolinea: «Per il secondo anno Assogenerici ha scelto di finanziare le borse di studio destinate a giovani medici e farmacisti per la partecipazione alla Summer Schoool GIMBE sulla metodologia dei trial clinici: riteniamo che questi corsi rappresentino, oltre ad una straordinaria opportunità di crescita personale per i giovani, anche un forte e prezioso aiuto per il Servizio Sanitario Nazionale che soffre di gravi problemi di sostenibilità».

«Le aziende di Assogenerici – prosegue Häusermann – non effettuano generalmente studi clinici di base sui farmaci innovativi ma avvertono la necessità di disporre in Italia di un gruppo di giovani esperti che possano dedicarsi ai trial clinici relativi alle bioequivalenze, studi che sono generalmente appannaggio di istituzioni estere. Per questo credo che la partnership con la Fondazione GIMBE serva a costruire anche una maggiore consapevolezza dei professionisti di domani sui temi della ricerca farmacologica, dell’acceso al farmaco e della corretta allocazione delle risorse”.».

Alla Summer School hanno partecipato 30 giovani studenti, medici e farmacisti selezionati con un bando nazionale fra più di 200 candidati, testimonianza indiretta del bisogno formativo sulla metodologia delle sperimentazioni cliniche.

«È per noi motivo di grande soddisfazione – conclude Cartabellotta – avere avuto la possibilità di trasferire a questi giovani le metodologie di pianificazione, conduzione, analisi e reporting dei trial clinici, e permettere loro di sviluppare 4 protocolli di studio: dalla identificazione dei gap di conoscenza, alla elaborazione del quesito di ricerca, alla definizione di tutti i requisiti elementi etici e metodologici richiesti dagli standard internazionali per i trial clinici».

L’impegno della Fondazione GIMBE per indirizzare le nuove generazioni di professionisti verso un modello di pratica clinica basata sulle evidenze, centrata sul paziente, consapevole dei costi e ad elevato value continua con numerose altre iniziative: www.gimbe4young.it


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4 settembre 2018
Lo stato di salute del Servizio Sanitario Nazionale a 40 anni di età: il check-up GIMBE

DALLE ANALISI DELL’OSSERVATORIO GIMBE SULLE CLASSIFICHE INTERNAZIONALI EMERGE CHE NON È PIÙ TEMPO DI ILLUDERSI CON LE PRESTIGIOSE POSIZIONI DELLA SANITÀ ITALIANA CONQUISTATE IN TEMPI REMOTI, OPPURE IN CLASSIFICHE CHE NE SOVRASTIMANO LA QUALITÀ. OGGI IL SISTEMA PIÙ COMPLETO E AGGIORNATO PER VALUTARE LE PERFORMANCE DEI SISTEMI SANITARI È QUELLO DELL’OCSE, DOVE GIMBE, IN OCCASIONE DEI 40 ANNI DEL SSN, HA IDENTIFICATO PUNTI DI FORZA E CRITICITÀ DEL NOSTRO SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE AL FINE DI PREDISPORRE LE AZIONI DI MIGLIORAMENTO.

Le classifiche internazionali che confrontano le performance dei sistemi sanitari mantengono un grande fascino e vengono spesso utilizzate nel dibattito pubblico in maniera opportunistica. Tuttavia, misurare la qualità di un sistema sanitario nelle sue varie dimensioni è molto complesso e, di conseguenza, numerose variabili condizionano tali classifiche: tipologia di sistema sanitario, numero di paesi inclusi, numero e tipologia di indicatori, dimensioni della performance prese in considerazione, fonti dei dati e criticità relative al loro utilizzo e alle tempistiche di aggiornamento.

«Al fine di verificare dove si colloca realmente il SSN nel confronto con gli altri paesi – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – abbiamo innanzitutto condotto una revisione sistematica ed un’analisi metodologica degli strumenti elaborati da otto organizzazioni internazionali per valutare l’affidabilità delle varie “classifiche”, da cui emergono alcune raccomandazioni chiave per il loro utilizzo nel dibattito pubblico e, soprattutto, nelle comunicazioni istituzionali».

  • La classifica dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), pubblicata nel 2000 utilizzando dati del 1997, continua ad essere utilizzata per decantare il 2° posto del nostro SSN, ma oggi riveste solo un valore storico e non dovrebbe più essere citata.
  • La classifica Bloomberg misura esclusivamente l’efficienza dei sistemi sanitari, mettendo in relazione l’aspettativa di vita con la spesa pro-capite, sovrastimando la qualità del nostro SSN (3° posto), sia perché la longevità dipende soprattutto da altre determinanti della salute, sia perché la riduzione della spesa sanitaria ci ha permesso di scalare la classifica.
  • Euro Health Consumer Index, per l’aggiornamento annuale, la valutazione multidimensionale, la considerazione del punto di vista del cittadino-paziente e l’identificazione di specifiche aree di miglioramento, è una classifica molto affidabile: qui il nostro SSN si colloca al 20° posto su 35 paesi europei (nel 2006 era 11° su 26 paesi).
  • Il sistema dell’OCSE è il più completo e aggiornato per valutare le performance e individuare le aree di miglioramento: infatti non elabora alcuna classifica, ma permette di identificare la posizione del nostro SSN rispetto agli altri paesi per 76 indicatori raggruppati in 9 categorie.

«Abbiamo analizzato performance e posizione dell’Italia per tutti gli indicatori OCSE – puntualizza il Presidente – elaborando per ciascuna delle 9 categorie una tabella che riporta per ogni indicatore la posizione in classifica dell’Italia, il dato nazionale e la media OCSE». Dall’analisi GIMBE si riportano di seguito le migliori/peggiori performance del SSN:

Stato di salute. Siamo in 4a posizione per aspettativa di vita alla nascita, ma in fondo alla classifica per mortalità cerebrovascolare (25°) e tumore (26°) e per basso peso alla nascita (29°).

Fattori di rischio. L’Italia conquista la 3a posizione per consumo giornaliero di frutta negli adulti e la 4a per bassa incidenza di sovrappeso o obesità negli adulti, ma emerge in tutta la sua gravità il peggioramento degli stili di vita nelle nuove generazioni: 28° posto per attività fisica moderata/intensa quotidiana negli adolescenti e 30° per percentuale di adolescenti fumatori.

Accesso alle cure. Ai primi posti per tempi di attesa per intervento di cataratta (2°), protesi di ginocchio (3°) e d’anca (4°); al 20° posto per incidenza della spesa sanitaria out-of-pocket sui consumi totali delle famiglie.

Qualità dell’assistenza ed esiti di salute. L’Italia conquista il podio per diversi indicatori: basso numero di ricoveri per diabete negli adulti (1°), bassa percentuale di ritenzione di materiale estraneo durante interventi chirurgici (1°), bassa percentuale di traumi ostetrici (2°), basso numero di ricoveri per asma e broncopneumopatia cronica ostruttiva negli adulti (2°), bassa mortalità a 30 giorni dopo ricovero per infarto del miocardio (2°), bassa percentuale di amputazione degli arti inferiori in pazienti diabetici adulti (3°). Siamo in fondo alla classifica per diverse vaccinazioni in età pediatrica [epatite B (22°), difterite, tetano e pertosse (31°) e morbillo (44°)], per mortalità per carcinoma della mammella e del colon-retto (24°), per prescrizioni di antibiotici (28°) e per leucemia in età pediatrica (32°).

Personale. Il nostro Paese si colloca sotto la media OCSE per la maggior parte degli indicatori, occupando il fondo della classifica per percentuale di medici ≥ 55 anni (30°), per numero di laureati in scienze infermieristiche (31°) e per rapporto medici/infermieri (35°).

Erogazione dell’assistenza. Siamo al 4° posto per disponibilità di apparecchiature per la risonanza magnetica (ma non rendiamo noto il numero di esami effettuati), in fondo alla classifica per tagli cesarei (27°) e per degenza media del ricovero ospedaliero dopo infarto del miocardio (30°).

Farmaceutica. Conquistiamo la 4a posizione per farmacisti occupati, ma occupiamo il fondo alla classifica (26°) per utilizzo di farmaci equivalenti.

Invecchiamento e long-term care. A fronte di posizioni eccellenti per aspetti demografici (2° posto per percentuale di popolazione ≥65 anni e ≥ 80 anni), precipitiamo al 20° posto per aspettativa di vita in buona salute a 65 anni, al 21° per limitazioni nelle attività della vita quotidiana negli adulti ≥65 anni, al 24° posto per la percentuale di adulti di età ≥65 anni che percepiscono uno stato di salute buona o ottima, al 28° per posti letto in strutture per la long term care e al 43° per elevata prevalenza della demenza.

«Le nostre analisi – conclude Cartabellotta – dimostrano che non è più tempo di illudersi utilizzando in maniera opportunistica le prestigiose posizioni del nostro SSN riferite a classifiche obsolete (2° posto OMS), oppure che mettono in relazione l’aspettativa di vita con la spesa sanitaria pro-capite (3° posto Bloomberg). Piuttosto, grazie al completo e aggiornato sistema OCSE, occorre individuare le criticità e predisporre le azioni di miglioramento per allinearsi a standard internazionali».

Il Report “Il Servizio Sanitario Nazionale nelle classifiche internazionali” è disponibile all’indirizzo web: www.gimbe.org/classifiche_SSN


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29 agosto 2018
Malattia di Parkinson: pazienti e familiari al centro di percorsi assistenziali condivisi

NONOSTANTE UN RILEVANTE IMPATTO CLINICO, SOCIALE ED ECONOMICO, PER LA GESTIONE DELLA MALATTIA DI PARKINSON ESISTONO IN ITALIA ANCORA POCHI CENTRI SPECIALIZZATI E LA MAGGIOR PARTE DELLE REGIONI NON DISPONE DI PERCORSI ASSISTENZIALI CONDIVISI BASATI SU LINEE GUIDA AGGIORNATE E DI BUONA QUALITÀ. PER DECISORI, PROFESSIONISTI, PAZIENTI E FAMILIARI LA FONDAZIONE GIMBE HA REALIZZATO LA VERSIONE ITALIANA DELLE LINEE GUIDA NICE PER LA DIAGNOSI E LA TERAPIA DELLA MALATTIA DI PARKINSON.

In Italia sono circa 250.000 i pazienti affetti da malattia di Parkinson, numero destinato ad aumentare in maniera consistente visto che ogni anno si registrano circa 6.000 nuovi casi, con un’incidenza maggiore negli uomini rispetto alle donne. Il 70% dei malati di Parkinson ha più di 65 anni, mentre nel 5% dei casi la malattia insorge prima dei 50 anni. I pazienti con malattia di Parkinson presentano generalmente sintomi motori quali bradicinesia, rigidità, tremore a riposo e instabilità posturale che conducono ad una progressiva disabilità motoria con relativa perdita di indipendenza, isolamento sociale, rischio di cadute e traumi. Talora prevalgono sintomi non motori quali depressione, deficit cognitivi, dell’attenzione, del linguaggio e disturbi delle funzioni autonomiche.

Durante il decorso della malattia il paziente parkinsoniano, oltre al medico di medicina generale, entra in contatto con diversi specialisti (neurologo, neurofisiologo, neuroradiologo, neurochirurgo, geriatra, internista fisiatra, psichiatra, ortopedico, urologo, nutrizionista, genetista), altri professionisti sanitari (infermiere, fisioterapista, logopedista, psicologo, terapista occupazionale) e socio-sanitari (assistenti sociali, volontari) che spesso erogano singole prestazioni sanitarie in maniera autonoma e senza reciproco coordinamento.

«La malattia di Parkinson – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – è una patologia neurodegenerativa dall’impatto socio-sanitario rilevante con ripercussioni sulla qualità di vita di migliaia di famiglie. In Italia la sua gestione, oltre ad essere influenzata dalla mancanza di strategie preventive e di una terapia risolutiva, è condizionata negativamente dal fatto che esistono ancora pochi centri specializzati e la maggior parte delle Regioni non dispone di specifici percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali (PDTA), che dovrebbero sempre essere basati su linee guida recenti di buona qualità metodologica».

Per tale ragione, in attesa dell’aggiornamento delle linee guida nazionali pubblicate nel 2013, la Fondazione GIMBE ha realizzato la versione italiana delle linea guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE), che saranno inserite nella sezione “Buone Pratiche” del nuovo Sistema Nazionale Linee Guida gestito dall’Istituto Superiore di Sanità.

«Le linee guida NICE – continua il Presidente – sottolineano la necessità di coinvolgere paziente, familiari e caregiver in tutte le decisioni terapeutiche e di prendere in considerazione condizioni cliniche, bisogni e circostanze di vita dei pazienti, oltre che obiettivi terapeutici e preferenze sui potenziali benefici ed effetti collaterali dei diversi farmaci».

Particolare attenzione viene dedicata al disturbo del controllo degli impulsi che consiste nell’impossibilità di resistere alla tentazione di eseguire atti dannosi per sé stessi o per altri (gioco d’azzardo e shopping compulsivo, ipersessualità, alimentazione incontrollata), quali effetti collaterali della terapia dopaminergica nel 14-24% dei pazienti. Il disturbo del controllo degli impulsi, difficile da riconoscere soprattutto se i pazienti nascondono i loro comportamenti, può causare stress a pazienti, familiari e caregiver, difficoltà finanziarie, sino a condanne penali.

«Considerato che gli esiti clinici nei pazienti con malattia di Parkinson – conclude Cartabellotta – sono strettamente legati, oltre che all’appropriatezza delle prescrizioni farmacologiche, ad interventi non farmacologici (fisioterapia, terapia occupazionale, terapia cognitivo comportamentale) erogati da una rete multiprofessionale di servizi, auspichiamo che questa linea guida possa rappresentare un riferimento per la costruzione di PDTA regionali e locali».

Le “Linee guida per la diagnosi e il trattamento della malattia di Parkinson” sono disponibili a: www.evidence.it/parkinson.


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6 agosto 2018
Bagarre vaccini: il consenso politico più importante della salute dei bambini?

IL CRESCENTE DISSENSO SUI SOCIAL NEI CONFRONTI DELLA LINEA “MORBIDA” DELLA MINISTRA GRILLO, RIPETUTAMENTE SOLLECITATA AD ABOLIRE L’OBBLIGO VACCINALE, HA SPINTO LE FRANGE ESTREME DELL’ESECUTIVO A TENTARE UNO SCELLERATO “COLPO DI CODA” INCURANTE DELLE CONSEGUENZE PER LA SALUTE DEI BAMBINI. IL SILENZIO DI CONTE E I PROCLAMI DI SALVINI E DI MAIO CONTINUANO AD IGNORARE LA SCIENZA, PER CUI SOLO I TEMPI RISTRETTI PER APPROVARE IL DECRETO MILLEPROROGHE POTRANNO TUTELARE LA SALUTE DEI BAMBINI.

6 agosto 2018 - Fondazione GIMBE, Bologna

Nel Contratto di Governo siglato da Lega e MoVimento 5 Stelle ai vaccini è dedicato un solo paragrafo dal quale emergono tre intenzioni politiche fondamentali:

  • garantire le necessarie coperture vaccinali al fine di tutelare la salute, non solo dei singoli, ma anche della collettività;
  • affrontare la tematica del giusto equilibrio tra il diritto alla salute e quello all’istruzione;
  • tutelare i bambini a potenziale rischio di esclusione sociale.

 

«Nonostante le posizioni individuali dei parlamentari nei confronti della Legge Lorenzin – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – il Contratto di Governo non contiene affatto posizioni anti-vax: sicuramente annuncia un superamento della normativa vigente, ma non garantisce affatto le rivoluzioni disinvolte e immediate richieste da una consistente frangia dell’elettorato, in primis l’abolizione dell’obbligo vaccinale».

Il 25 luglio 2018, nel corso della presentazione delle linee programmatiche del Ministero della Salute alle Commissioni Affari Sociali della Camera e Igiene e Sanità del Senato, il Ministro Giulia Grillo ha interamente riportato quanto previsto dal Contratto di Governo, esplicitando quattro azioni ben precise:

  • Disegno di legge parlamentare per superare la legge Lorenzin
  • Realizzazione dell’anagrafe nazionale vaccini
  • Insediamento di un tavolo di esperti indipendenti per affrontare il fenomeno della diffidenza e del dissenso vaccinale e per aggiornare il Piano nazionale di prevenzione vaccinale.
  • Comunicazione sulla necessità delle vaccinazioni.

 

«Tali affermazioni – commenta il Presidente – se da un lato confermano la volontà del nuovo Esecutivo di affidare al dibattito parlamentare una nuova legge sui vaccini, annunciano interventi che introdurranno elementi di discontinuità rispetto alla legge Lorenzin, ma non sarebbe scientifico affermare che saranno necessariamente peggiorativi. D’altronde, l’approvazione della legge Lorenzin sui vaccini non ha trovato un consenso unanime tra la maggioranza della passata legislatura».

Con l’imminente avvio del nuovo anno scolastico, la Ministra della Salute il 5 luglio ha provato a tamponare il crescente dissenso sui social emanando una circolare per consentire l’ingresso a scuola con un’autocertificazione di avvenuta vaccinazione. «Evidentemente – sostiene Cartabellotta – tale linea è stata ritenuta “troppo morbida” dalle frange più estreme del Parlamento, che il 2 agosto hanno forzato la mano approvando due emendamenti identici che posticipano all’anno scolastico 2019-2020 l'effettuazione delle vaccinazioni obbligatorie come requisito per l'ammissione alle scuole dell'infanzia».

Di conseguenza, l’inizio di agosto è stato ulteriormente infiammato da un forte dissenso del mondo della scienza e dei sostenitori dell’obbligo vaccinale che continuano giustamente a far leva sulle evidenze scientifiche, in particolare sul rischio che le coperture vaccinali, finalmente in rialzo, possano nuovamente precipitare con danni rilevanti per la salute dei bambini, in particolare di quelli più fragili.

«Purtroppo – puntualizza il Presidente – gli strumenti che la politica sta mettendo in campo dimostrano che la scienza non riveste alcun ruolo in queste decisioni. Considerato che il Ministro della Salute non è stato consultato sulle potenziali conseguenze per la salute dei bambini e nonostante il franco dissenso espresso anche da numerosi parlamentari della maggioranza, è evidente che l’unico obiettivo degli emendamenti è quello di tenersi ben stretta una consistente frangia di elettori».

In questo contesto surreale di mancato rispetto dei ruoli istituzionali - oltre che di metafore vergognose sulle pratiche vaccinali che umiliano professionisti sanitari, mamme e bambini – all’assordante silenzio del Premier Conte fanno eco solo i convergenti proclami dei suoi vice: “Educare e non obbligare” (Salvini) e “La scuola non è il luogo per obbligare i bambini a fare i vaccini” (Di Maio).

«Per fortuna – conclude Cartabellotta – il tempo gioca nell’interesse della salute dei bambini italiani: con le imminenti ferie parlamentari il riveduto DL Milleproroghe, in scadenza il 24 settembre, potrebbe non essere approvato prima dell’inizio dell’anno scolastico, vanificando questo scellerato “colpo di coda”. Rimane, in ogni caso, l’amara consapevolezza che la ricerca spasmodica del consenso elettorale, il mancato rispetto dei ruoli istituzionali e il totale disinteresse per dati ed evidenze scientifiche rappresentano una miscela letale per la salute delle persone».


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1 agosto 2018
I “migranti” della salute spostano 4,63 miliardi di euro, ma è un fiume di denaro ancora poco trasparente

DIBATTITO POLITICO E SCENA MEDIATICA DEDICANO SCARSA ATTENZIONE ALLA MOBILITÀ SANITARIA, UN FENOMENO CON ENORMI IMPLICAZIONI ETICHE, SOCIALI ED ECONOMICHE CHE COINVOLGE OGNI ANNO QUASI UN MILIONE DI PAZIENTI, OLTRE AI FAMILIARI. ANALIZZANDO CREDITI, DEBITI E SALDI DELLE REGIONI, LA FONDAZIONE GIMBE PUÒ SOLO DOCUMENTARE CHE IL FIUME DI DENARO SCORRE PREVALENTEMENTE DA SUD A NORD E, CONSIDERATA LA NECESSITÀ DI ANALISI PIÙ DETTAGLIATE, CHIEDE AL MINISTRO GRILLO DI RENDERE DISPONIBILI TUTTI I DATI SULLA MOBILITÀ SANITARIA.

1 agosto 2018 - Fondazione GIMBE, Bologna

I cittadini italiani possono esercitare il diritto di essere assistiti in strutture sanitarie di Regioni differenti da quella di residenza, alimentando il fenomeno della mobilità sanitaria interregionale. Sotto questo “cappello” si collocano la mobilità attiva – che identifica l’indice di attrazione di una Regione tramite prestazioni offerte a cittadini non residenti e rappresenta una voce di credito – e la mobilità passiva – che esprime l’indice di fuga da una Regione con le prestazioni erogate ai cittadini al di fuori della Regione di residenza e rappresenta una voce di debito. Le compensazioni finanziarie tra Regioni vengono regolate secondo un Testo Unico approvato dalla Conferenza Stato-Regioni che ha individuato 7 flussi finanziari: ricoveri ospedalieri e day hospital (differenziati per pubblico e privato), medicina generale, specialistica ambulatoriale, farmaceutica, cure termali, somministrazione diretta di farmaci, trasporti con ambulanza ed elisoccorso.

«Dall’elaborazione del report sulla mobilità sanitaria – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – è emerso che sono pubblicamente disponibili solo i dati economici sulla mobilità sanitaria aggregati in crediti, debiti e relativi saldi, ma non i flussi finanziari integrali che ciascuna Regione invia al Ministero della Salute. Di conseguenza, è impossibile effettuare analisi più dettagliate per chiarire numerosi aspetti della mobilità interregionale in Italia».

Nel 2017 il valore della mobilità sanitaria ammonta a € 4.635,4 milioni, cifra che include anche i conguagli relativi al 2014 (€ 218,9 milioni) e al 2016 (€ 296,3 milioni), importi tuttavia non ancora definitivamente approvati dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.

Mobilità attiva. Le Regioni con maggiori capacità attrattive sono Lombardia (25,2%) ed Emilia Romagna (13,3%), che insieme ricevono oltre 1/3 della mobilità attiva; un ulteriore 27% viene attratto da Veneto (8,7%), Toscana (7,8%), Lazio (7,7%) e Piemonte (4,5%). Il rimanente 33% della mobilità attiva si distribuisce nelle rimanenti 15 Regioni, oltre al Bambin Gesù (€ 195,4 milioni) e all’Associazione dei Cavalieri Italiani del Sovrano Militare Ordine di Malta (€ 43,7 milioni). In generale, esiste una forte capacità attrattiva delle grandi Regioni del Nord, a cui fa da contraltare quella estremamente limitata delle Regioni del Centro-Sud, con la sola eccezione del Lazio.

Mobilità passiva. Le Regioni con maggiore indice di fuga dei propri residenti sono Lazio (13,9%) e Campania (10,1%) che insieme contribuiscono a quasi il 25% della mobilità passiva; un ulteriore 29% riguarda Lombardia (7,7%), Calabria (7,5%), Puglia (7,4%), Sicilia (6,5%) e il 46,8% si distribuisce nelle rimanenti 15 Regioni. Rispetto alla mobilità passiva, se quasi tutte le Regioni meridionali hanno elevati indici di fuga, questi sono rilevanti anche in grandi Regioni del Nord, in particolare in Lombardia, ma anche in Piemonte, Emilia Romagna, Veneto e Toscana, un fenomeno verosimilmente attribuibile a preferenze dei pazienti e agevolato dalla facilità di spostamento tra Regioni limitrofe con elevata qualità dei servizi sanitari.

«Dalla valutazione comparativa dei saldi – puntualizza il Presidente –  emerge che le Regioni con saldo positivo superiore a € 100 milioni sono tutte del Nord, mentre quelle con saldo negativo maggiore di € 100 milioni tutte del Centro-Sud». In particolare:

  • Saldo positivo rilevante (oltre € 100 milioni): Lombardia (€ 808,7 milioni), Emilia Romagna (€ 357,9 milioni), Toscana (€ 148,3 milioni) e Veneto (€ 161,4 milioni)
  • Sostanziale equilibrio:
    • Saldo positivo (< € 20 milioni): Molise, Umbria, Friuli Venezia Giulia,
    • Saldo negativo (< € 6 milioni): Prov. Aut. Bolzano, Valle d'Aosta, Prov. Aut. Trento
  • Saldo negativo moderato (da € 38 milioni a € 72 milioni): Basilicata, Liguria, Piemonte, Marche, Sardegna, Abruzzo
  • Saldo negativo rilevante (oltre € 100 milioni): Puglia (-€ 181 milioni), Sicilia (-€ 239,8 milioni), Lazio (-€ 289,2 milioni), Campania (-€ 302,1 milioni), Calabria (-€ 319,5)

 

«Il report GIMBE propone un nuovo indicatore – precisa Cartabellotta –  il “saldo pro-capite di mobilità sanitaria”, che permette di analizzare e interpretare i saldi in relazione alla popolazione residente determinando una ricomposizione della classifica, da cui emergono due dati molto rilevanti: il Molise sale sul podio insieme a Lombardia ed Emilia Romagna, mentre peggiora ulteriormente la posizione della Calabria, dove ciascun cittadino residente ha un saldo pro-capite negativo di € 163, superiore alla somma del saldo pro-capite positivo di Lombardia ed Emilia Romagna».

«Considerata la complessità del fenomeno della mobilità sanitaria – conclude Cartabellotta – con i dati attualmente disponibili è impossibile effettuare analisi più dettagliate. Ecco perché la Fondazione GIMBE chiede ufficialmente al Ministro della Salute di rendere pubblicamente disponibili tutti i dati sulla mobilità sanitaria che le Regioni trasmettono al Ministero. Questo permetterebbe di analizzare, per ciascuna Regione, la distribuzione delle tipologie di prestazioni erogate in mobilità, la differente capacità di attrazione di strutture pubbliche e private accreditate e la Regione di residenza dei cittadini che scelgono di curarsi lontano da casa, al fine di identificare quali dinamiche regolano le varie tipologie di mobilità regionale, di cui alcune sono “fisiologiche” ed altre francamente “patologiche”».

Il report dell’Osservatorio GIMBE “La mobilità sanitaria interregionale nel 2017” è disponibile a: www.gimbe.org/mobilita_sanitaria2017.


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24 2018
Assistenza a bambini e adolescenti in fine vita: evitare l’accanimento, promuovere la condivisione

L’ASSISTENZA DI FINE VITA, PIUTTOSTO CHE SEGUIRE RIGIDI PROTOCOLLI, DOVREBBE ESSERE BASATA SULLE MIGLIORI EVIDENZE E PERSONALIZZATA SULLE PREFERENZE E I BISOGNI DEL PAZIENTE ELABORANDO IN ANTICIPO PIANI ASSISTENZIALI INDIVIDUALIZZATI. A TAL FINE FONDAZIONE GIMBE E FONDAZIONE ANT HANNO REALIZZATO LA VERSIONE ITALIANA DELLE LINEE GUIDA NICE PER L’ASSISTENZA AL FINE VITA DI NEONATI, BAMBINI E GIOVANI.

24 luglio 2018 - Fondazione GIMBE e Fondazione ANT Italia ONLUS, Bologna

Bambini e giovani possono essere affetti da patologie disabilitanti, che talora si prolungano per molti anni: per questi pazienti l’assistenza di fine vita dovrebbe essere gestita come un processo a lungo termine che inizia al momento della diagnosi (a volte prima della nascita) e rappresenta parte integrante dell’assistenza insieme ai trattamenti attivi per la patologia sottostante.

Nonostante la recente approvazione della “legge sul biotestamento”, In Italia professionisti e organizzazioni sanitarie non dispongono di linee guida recenti e affidabili per la gestione clinico-assistenziale di un momento della vita dove, indipendentemente dal setting assistenziale (ospedale, domicilio, hospice, ecc.), la cura (cure) deve lasciare il posto all’assistenza (care), nel pieno rispetto di scelte condivise con il paziente e con i suoi familiari.

«Spesso, anche a causa di pressanti richieste di familiari e caregiver poco informati – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – l’assistenza alle persone in fine vita, a maggior ragione se in età pediatrica, è caratterizzata da interventi diagnostico-terapeutici inappropriati non condivisi con il paziente, sconfinando nell’accanimento terapeutico che non rispetta preferenze e aspettative della persona, peggiora la qualità di vita e consuma preziose risorse».

«Per bambini o giovani affetti da patologie disabilitanti – continua il Presidente –  è indispensabile sviluppare in anticipo, nel momento più appropriato, un piano per l’assistenza attuale e futura: il piano assistenziale, che può anche essere definito prima della nascita, deve essere condiviso con il paziente e con i suoi genitori o caregiver, prevedendo la designazione di un medico specialista con il ruolo di case manager, oltre alle figure professionali e i servizi da coinvolgere».

Fondazione ANT ha da tempo avviato un servizio gratuito dedicato ai piccoli pazienti malati gestito da medici, infermieri e psicologi specializzati. «Il progetto “Bimbi in ANT” ci permette ogni giorno di essere vicini alle famiglie che si trovano ad affrontare la malattia di un figlio – commenta Raffaella Pannuti, Presidente ANT – perché in momenti così drammatici è fondamentale poter contare su un’assistenza multiprofessionale che permetta al bambino di essere curato tra le pareti di casa, in un’atmosfera il più possibile familiare».

Le linea guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE), disponibili in italiano grazie alla traduzione realizzata congiuntamente da Fondazione GIMBE e Fondazione ANT Italia ONLUS, offrono un approccio sistematico e integrato alla gestione del fine vita di neonati, bambini e giovani: dalla pianificazione dell’assistenza da parte del team multidisciplinare alle componenti del piano assistenziale anticipato, dalle raccomandazioni per erogare varie tipologie di supporto (emotivo, psicologico, pratico e sociale), a quelle per affrontare il fine vita.

«Medici, infermieri, psicologi e tutti i professionisti sanitari che assistono neonati, bambini e giovani in fine vita – concludono Cartabellotta e Pannuti – dovrebbero utilizzare queste linee guida per implementare percorsi assistenziali basati sulle evidenze, condivisi e personalizzati sulle preferenze e aspettative del paziente, tenendo conto anche della sostenibilità del servizio sanitario».

Le “Linee guida per l’assistenza al fine vita di neonati, bambini e giovani con patologie disabilitanti” sono disponibili a: www.evidence.it/finevita-bambini.

 


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18 2018
Paradosso ticket: 2,9 miliardi nel 2017, ma oltre un terzo è pagato per scelta dai cittadini

SOTTO LA LENTE DELL’OSSERVATORIO GIMBE I DATI 2017 SU TICKET PER FARMACI E PRESTAZIONI SPECIALISTICHE. QUASI 50 EURO PRO-CAPITE CON RILEVANTI DIFFERENZE REGIONALI CHE RICHIEDONO LA REVISIONE DEI CRITERI DI COMPARTECIPAZIONE ALLA SPESA, IL SUPERAMENTO DEL SUPERTICKET E CONCRETE POLITICHE PER INCENTIVARE L’USO DEI FARMACI EQUIVALENTI, IL CUI MANCATO UTILIZZO “PESA” SUI TICKET PER OLTRE 1 MILIARDO.

Tutte le Regioni hanno introdotto sistemi di compartecipazione alla spesa sanitaria, con un livello di autonomia tale da generare negli anni una vera e propria “giungla dei ticket”, visto che le differenze regionali riguardano sia le prestazioni su cui vengono applicati (farmaci, prestazioni specialistiche, pronto soccorso, etc.), sia gli importi che i cittadini devono corrispondere, sia le regole per le esenzioni. 

Il 12 luglio 2018, mentre la Corte dei Conti pubblicava il Rapporto 2018 sul coordinamento della finanza pubblica, l’Agenzia Italiana del Farmaco rendeva noto il Rapporto 2017 sull’utilizzo dei farmaci in Italia. Grazie alla disponibilità dei dati definitivi sulla compartecipazione alla spesa dei cittadini nel 2017, l’Osservatorio GIMBE ha realizzato un report che analizza in dettaglio composizione e differenze regionali della compartecipazione alla spesa che nel 2017 sfiora i 2.900 milioni di euro.

«La compartecipazione alla spesa dei cittadini – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – introdotta come moderatore dei consumi si è progressivamente trasformata in un consistente capitolo di entrate per le Regioni, in un periodo caratterizzato dal definanziamento pubblico del SSN». Nel 2017 le Regioni hanno incassato per i ticket quasi € 2.900 milioni che corrispondono ad una quota pro-capite di € 47,6:  in particolare, € 1.549 milioni (€ 25,5 pro-capite) sono relativi ai farmaci e € 1.336,6 milioni (€ 22,1 pro-capite) alle prestazioni di specialistica ambulatoriale, incluse quelle di pronto soccorso.  L’entità della compartecipazione alla spesa nel periodo 2014-2017 si è mantenuto costante ma, se nel 2014 la spesa per farmaci e prestazioni specialistiche erano sovrapponibili, negli anni successivi si è ridotta la spesa per i ticket sulle prestazioni (-7,7%) ed è aumentata quella per i ticket sui farmaci (+7,9%).

«Dalle nostre analisi emergono notevoli differenze regionali – puntualizza il Presidente –  rispetto sia all’importo totale della compartecipazione alla spesa, sia alla ripartizione tra farmaci e prestazioni specialistiche». In particolare, se il range della quota pro-capite totale per i ticket oscilla da € 97,7 in Valle d’Aosta a € 30,4 in Sardegna, per i farmaci varia da € 34,3 in Campania a € 15,6 in Friuli Venezia Giulia, mentre per le prestazioni specialistiche si va da € 66,2 della Valle d’Aosta a € 8,6 della Sicilia.

«Un dato estremamente interessante – precisa Cartabellotta – emerge dallo “spacchettamento” dei ticket sui farmaci, che include la quota fissa per ricetta e la quota differenziale sul prezzo di riferimento pagata dai cittadini che preferiscono il farmaco di marca rispetto all’equivalente». Infatti, nel periodo 2013-2017, a fronte di una riduzione della quota fissa da € 558 milioni a € 498 milioni (-11%), la quota differenziale per acquistare il farmaco di marca è aumentata da € 878 milioni a € 1.050 milioni (+20%).

In dettaglio, dei € 1.549 milioni sborsati dai cittadini per il ticket sui farmaci, meno di un terzo sono relativi alla quota fissa per ricetta (€ 498,4 milioni pari a € 8,2 pro-capite), mentre i rimanenti € 1.049,6 milioni (€ 17,3 pro-capite) sono imputabili alla scarsa diffusione in Italia dei farmaci equivalenti come documentato dall’OCSE che ci colloca al penultimo posto su 27 paesi sia per valore, sia per volume del consumo degli equivalenti. Rispetto alla quota fissa per ricetta, non prevista da Marche, Sardegna e Friuli Venezia Giulia, il range varia da € 18,3 pro-capite della Valle d’Aosta a € 0,5 del Piemonte. La quota differenziale per la scelta del farmaco di marca oscilla invece da € 22,9 pro-capite del Lazio a € 10,5 della Provincia di Bolzano. Interessante rilevare che tutte le Regioni sopra la media nazionale sono del centro-sud: , oltre al già citato Lazio, Sicilia (€ 22,1 pro-capite), Calabria (€ 21,2) Basilicata (€ 21,2), Campania (€ 20,9), Puglia (€ 20,7), Molise (€ 20,3), Abruzzo(€ 19,5), Umbria (€ 19,5) e Marche (€ 18,2).

«Durante la scorsa legislatura – precisa il Presidente – non è stata effettuata la revisione dei criteri di compartecipazione alla spesa prevista dall’art. 8 del Patto per la Salute per evitare uno spostamento verso strutture private a causa di ticket troppo elevati per la specialistica». Solo con la Legge di Bilancio 2018 sono stati stanziati 60 milioni di euro destinati ad avviare una seppur parziale riduzione del superticket per la specialistica ambulatoriale. Tuttavia, lo schema di decreto per il loro riparto non ha ancora acquisito l’intesa della Conferenza Stato-Regioni e, nel frattempo, Emilia Romagna, Lombardia e Abruzzo si sono mosse in autonomia per ridurre il superticket.

«Considerato che la revisione dei criteri di compartecipazione alla spesa – conclude Cartabellotta –  rappresenta una priorità per il nuovo Esecutivo, le nostre analisi dimostrano che le eterogeneità regionali e quelle relative alla tipologia di ticket (farmaci vs prestazioni) richiedono azioni differenti. Innanzitutto, è indispensabile uniformare a livello nazionale i criteri per la compartecipazione alla spesa e le regole per definire le esenzioni; in secondo luogo, anche al fine di ridurre le “fughe” verso il privato per le prestazioni specialistiche, occorre pervenire ad un definitivo superamento del superticket; infine, sono indispensabili azioni concrete per aumentare l’utilizzo dei farmaci equivalenti, visto che la preferenza per i farmaci brand oggi “pesa” per oltre 1/3 della cifra totale sborsata dai cittadini per i ticket e per più di 2/3 della compartecipazione per i farmaci».

Il report dell’Osservatorio GIMBE “Ticket 2017” è disponibile a: www.gimbe.org/ticket2017


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10 2018
Vaccinazione anti-HPV: avanzano le evidenze scientifiche, precipitano le coperture vaccinali

AL RIACCENDERSI DELLE POLEMICHE SULLE VERIFICHE DELL’OBBLIGO VACCINALE, LA FONDAZIONE GIMBE SINTETIZZA LE MIGLIORI EVIDENZE SCIENTIFICHE SUI VACCINI PER IL PAPILLOMAVIRUS E METTE IN LUCE UN INACCETTABILE PARADOSSO. MENTRE LA RICERCA DOCUMENTA UN ECCELLENTE PROFILO DI SICUREZZA DEI VACCINI E PROVE DI EFFICACIA DEFINITIVE PER PREVENIRE I TUMORI HPV-CORRELATI, LE COPERTURE VACCINALI IN ITALIA PRECIPITANO IN MANIERA DISASTROSA.

Il virus del papilloma umano (HPV) è un agente a trasmissione sessuale che causa malattie genitali, anali e orofaringee sia nelle donne che negli uomini. In particolare l’infezione da HPV causa oltre il 90% dei carcinomi della cervice uterina, ma anche il 90% circa dei carcinomi dell’ano, oltre ad una percentuale rilevante di tumori orofaringei, della vulva, della vagina e del pene; inoltre alcuni genotipi del virus causano circa il 90% circa delle verruche anogenitali.

«Se negli ultimi vent’anni  – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – i programmi di screening hanno drasticamente ridotto l’incidenza del carcinoma della cervice uterina, oggi è possibile diminuirla ulteriormente grazie ad una strategia preventiva non utilizzabile per nessun altro tumore, ovvero la vaccinazione anti-HPV».

In Italia sono disponibili tre vaccini anti-Hpv: il bivalente, che protegge dai tipi 16 e 18, il quadrivalente che amplia la protezione anche contro i tipi 6 e 11 e il 9-valente che oltre ai tipi di HPV del vaccino quadrivalente protegge anche dai tipi 31, 33, 45, 52, e 58. Secondo quanto previsto dal Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale (PNPV) 2017-2019, la vaccinazione anti-HPV – che non rientra tra quelle obbligatorie del “Decreto vaccini” – è offerta gratuitamente a maschi e femmine intorno agli 11-12 anni di età con l’obiettivo di raggiungere una copertura vaccinale del  ciclo completo in almeno il 95% sia delle femmine che dei maschi, seppur in maniera più graduale: almeno il 60% nel 2017, il 75% nel 2018 e il 95% nel 2019.

«La vaccinazione anti-HPV – puntualizza il Presidente – oggi rappresenta un clamoroso esempio di sotto-utilizzo di una prestazione dal value  elevato: infatti, se negli ultimi anni, le prove di efficacia si sono progressivamente consolidate e il monitoraggio degli eventi avversi ha dimostrato che i vaccini anti-HPV hanno un adeguato profilo di sicurezza, la copertura vaccinale in Italia si è progressivamente ridotta, determinando sia un aumento della morbilità per le patologie HPV-correlate, sia  dei costi dell’assistenza».

I dati del Ministero della Salute relativi al 2016 dimostrano che le coperture per la vaccinazione anti-HPV nelle ragazze sono in picchiata: in particolare, a fronte di una copertura intorno al 70% nelle coorti di nascita dal 1997 al 2000, i tassi di copertura vaccinale anti-HPV sono progressivamente diminuiti nelle coorti 2002 (65,4%) e 2003 (62,1%), per poi precipitare al 53% nella coorte 2004. Immancabili, le variabilità regionali: ad esempio nella coorte di nascita 2004 la copertura per ciclo completo oscilla dal 24,8% della provincia di Bolzano al 72,5% della Valle d’Aosta. Inoltre, quasi il 12% delle ragazze ha ricevuto almeno una dose di vaccino ma non ha completato il ciclo, con notevoli variabilità regionali del gap: dallo 0,1% della PA di Trento al 21,4% della Sardegna. Nei maschi, la vaccinazione anti-HPV è ancora un lontano miraggio: relativamente alle coorti di nascita 2003-2004 6 Regioni non rendono disponibili i dati, altre 7 hanno una copertura dello 0% e solo per 8 Regioni sono disponibili i dati di copertura vaccinale: dal 3% della Sardegna al 53% del Veneto.

«Con questi livelli di copertura – puntualizza il Presidente – e con i trend in progressiva diminuzione, i target definiti dal Piano Nazionale appaiono del tutto illusori, a dispetto di evidenze sempre più robuste sull’efficacia dei vaccini anti-HPV, in particolare nel prevenire lesioni pre-cancerose del collo dell’utero nelle adolescenti e nelle giovani donne tra 15 e 26 anni. Tutto ciò configura un caso paradigmatico di analfabetismo funzionale: mentre si diffondono innumerevoli terapie inefficaci e inappropriate per i tumori, utilizziamo sempre meno l’unico vaccino disponibile per la loro prevenzione».

Il Position Statement GIMBE sintetizza le migliori evidenze scientifiche sull’efficacia della vaccinazione anti-HPV per tutte le patologie HPV-correlate e in particolare per i tumori del collo dell’utero; dettaglia gli aspetti relativi alla somministrazione (indicazioni, fasce di età, timing, sottogruppi specifici); descrive le evidenze sulla immunogenicità del vaccino; riporta i dati sugli effetti avversi sia internazionali, sia raccolti dal sistema nazionale di vaccinovigilanza. Infine analizza in dettaglio i dati sulle coperture vaccinali in Italia e le possibili strategie per aumentarle.

«La vaccinazione anti-HPV – conclude Cartabellotta – rappresenta un emblematico esempio dei gap tra ricerca scientifica e sanità pubblica: infatti, nonostante il consolidamento progressivo delle prove di efficacia e del profilo di sicurezza dei vaccini anti-HPV, la copertura vaccinale diminuisce, testimoniando che il processo di trasferimento delle migliori evidenze alla pratica clinica, all’organizzazione dei servizi sanitari, alle decisioni professionali e alle scelte di cittadini e pazienti è un percorso a ostacoli, spesso imprevedibile e non sempre adeguatamente gestito a livello istituzionale».

Il Position Statement GIMBE “Vaccinazione anti-HPV: prove di efficacia, profilo di sicurezza e coperture vaccinali” è disponibile a: www.evidence.it/HPV


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4 2018
Liste di attesa: trasparenza delle regioni tra luci e ombre

MENTRE LA NEO-MINISTRA GIULIA GRILLO PORTA ALLA RIBALTA LA SPINOSA QUESTIONE DELLE LISTE D’ATTESA CHIEDENDO ALLE REGIONI INFORMAZIONI DETTAGLIATE, LA FONDAZIONE GIMBE RENDE NOTI I RISULTATI PRELIMINARI DEL MONITORAGGIO INDIPENDENTE SULLA RENDICONTAZIONE PUBBLICA DEI TEMPI DI ATTESA DA PARTE DI REGIONI E PROVINCE AUTONOME CHE FOTOGRAFA UN’ITALIA A MACCHIA DI LEOPARDO. SUL PODIO BASILICATA, EMILIA ROMAGNA E LAZIO SEGUITE DA VALLE D’AOSTA E PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO. MAGLIA NERA PER CAMPANIA, MOLISE E TOSCANA.

Il Piano Nazionale di Governo delle Liste d'attesa (PNGLA) 2010-2012, approvato con l’Intesa Stato-Regioni del 28 ottobre 2010, ha definito 58 prestazioni tra visite specialistiche, esami diagnostici e interventi chirurgici per cui ASL ed ospedali devono garantire i tempi massimi di attesa. A seguito del recepimento del PNGLA, a Regioni e Province Autonome spettava di pubblicare il loro Piano regionale di governo delle liste d’attesa ed, entro 60 giorni, ogni Azienda sanitaria era tenuta ad adottare il proprio programma attuativo, garantendone adeguata diffusione ai cittadini.

«Le analisi dell’Osservatorio GIMBE – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – dimostrano che, a parte la rilevazione effettuata da Agenas nel 2010, non è disponibile alcun monitoraggio nazionale aggiornato sui recepimenti regionali del PNGLA e sulla redazione dei piani aziendali, né tantomeno sulla rendicontazione pubblica dei tempi di attesa, oggetto solo di indagini a campione effettuati da varie organizzazioni: CREA Sanità, Censis, Cittadinanzattiva, Eurispes. Per tale ragione abbiamo deciso di finanziare con la borsa di studio “Gioacchino Cartabellotta” lo studio “Governance delle liste d’attesa: analisi recepimenti regionali del PNGLA e valutazione dei piani attuativi aziendali».

Lo scorso 14 giugno, in vista della predisposizione del nuovo PNGLA, la neo Ministra Giulia Grillo ha inviato a Regioni e Province autonome una circolare mirata a raccogliere informazioni capillari sulle modalità di gestione delle liste di attesa e dell’attività libero-professionale intramuraria. «Considerato l’interesse del nuovo Esecutivo per la spinosa questione dei tempi di attesa – puntualizza il Presidente –  la Fondazione GIMBE ha deciso di rendere noti i risultati preliminari del monitoraggio indipendente sugli adempimenti di Regioni e Province autonome». Preme sottolineare chetali informazioni, secondo quanto previsto dal cosiddetto “decreto trasparenza” (Dlgs 14 marzo 2013, n. 33), dovrebbero essere rese pubblicamente disponibili a tutti i cittadini con l'obiettivo di favorire il controllo diffuso sull'operato delle Istituzioni e sull'utilizzo delle risorse pubbliche.

In questa prima fase dello studio, la ricerca dei documenti è stata effettuata sia tramite la consultazione diretta dei siti web istituzionali di Regioni e Province autonome sia tramite ricerche Google utilizzando varie parole chiave: “liste di attesa”, “liste d’attesa”, “tempi di attesa”, “tempi d’attesa”.

Piani Regionali. Tutte le Regioni e Province autonome rendono disponibili sia le delibere di recepimento del PNGLA 2010-2012 sia i Piani Regionali per il governo delle liste di attesa. Dopo la pubblicazione della prima versione, tali piani sono stati variamente aggiornati e/o integrati dal dal 2010 al 2018.

Rendicontazione pubblica dei tempi di attesa. Dai siti istituzionali emerge un quadro molto eterogeneo:

  • Campania, Molise e Toscana non rendono disponibile alcun report.
  • Calabria, Lombardia e Umbria rimandano ai siti web delle aziende sanitarie, senza effettuare alcuna aggregazione dei dati a livello regionale.
  • 9 Regioni e una Provincia autonoma rendono disponibile solo l’archivio storico sui tempi di attesa con range temporali e frequenza degli aggiornamenti molto variabili: Provincia autonoma di Trento dal 2013 al 2017, Abruzzo dal 2013 al 2014, Friuli-Venezia Giulia dal 2009 al 2014, Liguria dal 2017 a marzo 2018, Marche da settembre 2014 a maggio 2018, Piemonte dal 2009 al 2017, Puglia da aprile 2012 a ottobre 2017, Sardegna da ottobre 2014 ad aprile 2018, Sicilia solo ottobre 2013, Veneto da gennaio 2017 ad aprile 2018.
  • Solo 5 Regioni offrono sistemi avanzati di rendicontazione pubblica sui tempi di attesa:
    • La Provincia autonoma di Bolzano riporta per le 58 prestazioni i tempi di attesa nelle aziende sanitarie riferiti ad un preciso giorno di riferimento del mese precedente (30 maggio 2018).
    • La Valle d'Aosta riporta i tempi di attesa nelle aziende sanitarie per oltre 100 prestazioni riferite al mese precedente (giugno 2018).
    • L’Emilia-Romagna, tramite un portale ad hoc, permette di conoscere per 50 prestazioni il numero e la percentuale di prenotazioni erogate dalle aziende sanitarie entro i tempi massimi previsti. I report sono elaborati a cadenza settimanale dal gennaio 2016 e sono disponibili anche report storici dal gennaio 2015. Il sistema permette anche di confrontare le performance per singola prestazione tra differenti aziende sanitarie.
    • Il portale della Regione Lazio offre per 44 prestazioni le stesse modalità di rendicontazione dell’Emilia Romagna, ma non permette di confrontare le performance per singola prestazione tra differenti aziende sanitarie. I dati sono elaborati a cadenza settimanale a partire dal 21 maggio 2018, ma non è disponibile alcun archivio storico.
    • La Basilicata, tramite un portale ad hoc, permette di conoscere in tempo reale i tempi di attesa per le prestazioni erogate da ciascuna azienda sanitaria e di consultare l’archivio storico 2014-2018 dei tempi medi di attesa per tutte le prestazioni in tutte le strutture sanitarie. Non consente, invece, di confrontare in tempo reale i tempi di attesa per singola prestazione tra differenti strutture.

 

I risultati preliminari dello studio GIMBE dimostrano pertanto che la trasparenza sui tempi di attesa, di fatto prevista per legge, rimane in larga parte disattesa da Regioni e Province autonome: accanto ad alcuni sistemi avanzati di rendicontazione che permettono di conoscere in tempo reale i tempi di attesa per ciascuna prestazione in tutte le aziende sanitarie, vi sono addirittura Regioni che non rendono disponibile alcun dato, nonostante qualcuna sia in pole position nella “classifica” degli adempimenti LEA.

«Al fine di contrastare questo inaccettabile livello di mancata trasparenza – conclude Cartabellotta – la Fondazione GIMBE auspica che il nuovo Piano Nazionale per il Governo delle Liste di Attesa definisca criteri univoci per rendicontare pubblicamente i tempi di attesa, per consentire ai cittadini di partecipare attivamente al miglioramento dei servizi sanitari e per fornire a Istituzioni e ricercatori una base univoca di dati per confrontare le performance regionali, anche ai fini di un inserimento di tale indicatore nel monitoraggio degli adempimenti LEA».


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19 giugno 2018
Medicina basata sulle evidenze: nelle università italiane la formazione è solo sulla carta

PRESENTATI A OXFORD I RISULTATI DELLO STUDIO CONDOTTO DALLA FONDAZIONE GIMBE IN COLLABORAZIONE CON IL SEGRETARIATO ITALIANO STUDENTI IN MEDICINA. NONOSTANTE L’INSEGNAMENTO DELL’EVIDENCE-BASED MEDICINE SIA PREVISTO DAL CORE CURRICULUM DELLA CONFERENZA DEI PRESIDENTI DEI CORSI DI LAUREA DI MEDICINA E CHIRURGIA, DI FATTO È ANCORA POCO DIFFUSO, OLTRE CHE PREVALEMENTE ESPRESSIONE DI INIZIATIVE LOCALI PIUTTOSTO CHE DELL’INTRODUZIONE SISTEMATICA NELLA FORMAZIONE UNIVERSITARIA DEL MEDICO.

Sul palcoscenico di Evidence Live 2018 – evento internazionale che raduna a Oxford i massimi esperti nella produzione, sintesi e trasferimento delle evidenze scientifiche – è stata presentata oggi la ricerca condotta in collaborazione con il Segretariato Italiano Studenti in Medicina (SISM) e finanziata dalla Fondazione GIMBE con la borsa di studio “Gioacchino Cartabellotta”.

«Negli ultimi 25 anni le Scuole di Medicina di tutto il mondo – ha esordito Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – hanno integrato nei curricula formativi l’Evidence-based Medicine (EBM) core curriculum, set standardizzato di conoscenze e competenze che permette al medico di essere indipendente nella ricerca, valutazione critica e applicazione delle migliori evidenze. Considerato che la loro integrazione nella pratica clinica migliora la qualità dell’assistenza e riduce gli sprechi conseguenti al sovra- e sotto-utilizzo di farmaci, test diagnostici, interventi chirurgici e altri interventi sanitari abbiamo finanziato questo studio per valutare il grado di penetrazione dell’EBM nella formazione universitaria del medico in Italia, dove non esistono dati sistematici in merito».

L’analisi ha riguardato 43 Corsi di Laurea (CdL) in Medicina e Chirurgia attivati in 37 Atenei, previa esclusione di quelli esclusivamente in lingua inglese (n.1) e quelli dove non è presente una sede SISM (n.3). Per identificare i contenuti EBM è stata è stata condotta una ricerca ad elevata sensibilità su vari documenti:

  • Core curriculum della Conferenza Permanente dei Presidenti dei CdL Magistrale di Medicina e Chirurgia
  • Core curriculum di Ateneo
  • Scheda Unica Annuale (SUA)
  • Programmi dei corsi con elevata probabilità di contenuti EBM: Igiene e Medicina Preventiva/Sanità Pubblica, Statistica Medica, Epidemiologia, Metodologia Clinica

Dalle analisi effettuate risulta che:

  • Il core curriculum della Conferenza Permanente dei Presidenti dei CdL include tutte le componenti dell’EBM core curriculum, seppur non strutturati secondo standard internazionali. Infatti, la sezione 2 (Metodologie e Scienze Precliniche) riporta tra gli obiettivi formativi la capacità di valutare efficacia e appropriatezza degli interventi sanitari secondo i criteri dell’EBM e di applicare l’EBM per la soluzione di problemi clinici attraverso la formulazione dei quesiti clinici, la ricerca e la valutazione critica delle evidenze.
  • I core curriculum di Ateneo sono stati esclusi dall’analisi, in quanto identificati solo per 4 corsi di laurea.
  • L’analisi delle SUA dimostra che solo il 19% dei CdL (8/43) prevedono insegnamenti specifici sull’EBM con variabile presenza delle parole chiave: media 3,9 (± DS 2,7), range 1-11. In particolare il 58% delle SUA riporta 1-3 parole chiave, il 30% 4-6 e il 12% 9-11.
  • Su 128 programmi dei singoli corsi analizzati, solo 47 (37%) contengono parole chiave: 17 di Metodologia Clinica, 11 di Igiene e Medicina Preventiva/Sanità Pubblica, 10 di Statistica Medica/Epidemiologia e 7 insegnamenti erano specificamente denominati “Evidence-based Medicine”. I corsi sono distribuiti in meno del 50% dei CdL (21/43) con una prevalenza molto variabile: 8 corsi in 2 CdL, 3 corsi in 4 CdL, 2 corsi in 4 CdL  e 1 corso in 11 CdL.

«Lo studio GIMBE-SISM – conclude Cartabellotta – dimostra che nonostante l’EBM sia formalmente prevista dal core curriculum della Conferenza Permanente dei Presidenti dei Corsi di Laurea, solo il 18% delle SUA e il 37% dei programmi analizzati, distribuiti in meno del 50% dei CdL, riportano contenuti relativi all’EBM. Per la loro frequenza e distribuzione, gli 8 insegnamenti identificati nelle SUA e i 47 programmi sembrano risultare più da iniziative locali che dall’introduzione sistematica dell’EBM core curriculum nella formazione universitaria del medico».


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11 giugno 2018
Spesa sanitaria delle famiglie a 40 miliardi: il dato è reale, ma le previsioni catastrofiche del Censis sono un falso allarme

LA SOFISTICATA CAMPAGNA DI PERSUASIONE SOCIALE DI RBM SALUTE, SOSTENUTA DA UN DISCUTIBILE STUDIO DEL CENSIS, CONTINUA A SEMINARE IL PANICO NELLA POPOLAZIONE E A “PROCURARE ALLARME” NELLE ISTITUZIONI CON L’OBIETTIVO DI LEGITTIMARE UNA OPPORTUNISTICA SOLUZIONE GIÀ DEFINITA: POTENZIARE IL “SECONDO PILASTRO” GESTITO DALL’INTERMEDIAZIONE ASSICURATIVO-FINANZIARIA, PROPRIO NEL MOMENTO IN CUI IL GOVERNO DEL CAMBIAMENTO DICHIARA DI VOLER RILANCIARE IL FINANZIAMENTO PUBBLICO.

Puntuale come un orologio svizzero anche nel 2018 con il Welfare Day il rapporto RBM Salute-Censis ripropone dati sempre più catastrofici. Nell’impossibilità di aumentare i 12 milioni di italiani che rinunciano alle cure e il 25% della popolazione che subisce danni economici per pagare le spese sanitarie, quest’anno è allarme indebitamento: nell'ultimo anno 7 milioni di italiani “si sarebbero indebitati” per pagare le spese per la salute e 2,8 milioni “avrebbero dovuto usare” il ricavato della vendita di una casa o svincolare risparmi.

«Il sodalizio RBM Salute-Censis – afferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – si configura come un collaudato team di pallavolo: il prestigioso istituto di ricerca alza la palla, producendo ogni anno dati sempre più allarmanti e la compagnia assicurativa schiaccia sempre nella stessa direzione: la necessità di un “secondo pilastro” intermediato da fondi e assicurazioni è ormai inderogabile per ridurre la spesa delle famiglie e garantire la sostenibilità del servizio sanitario nazionale».

Gli inquietanti dati del Censis anche quest’anno proiettano su oltre 60 milioni di persone i risultati di un’indagine commissionata da RBM Salute e realizzata tramite un questionario strutturato somministrato ad un campione rappresentativo di 1.000 adulti maggiorenni residenti in Italia. Numerose le criticità metodologiche: innanzitutto, non si conoscono le domande del questionario; in secondo luogo, le tecniche per selezionare gli intervistati non permettono di escludere un “campionamento di convenienza”; ancora, non vengono riportati margini di variabilità sulle stime ottenute; infine, il margine di errore del ± 3,1%, riferito all’intero campione, risulta di gran lunga più elevato per ciascuno dei sottogruppi ottenuti all’interno delle variabili di stratificazione (classe di età, genere, area geografica di residenza, ampiezza demografica del comune di residenza). Lo scorso anno, per le stesse ragioni, puntualizza il Presidente «il Ministero della Salute, con il comunicato stampa n. 75 del 31 luglio, aveva smentito i dati del Censis sulla rinuncia alle cure, sottolineando i limiti dello studio – identici a quelli del 2018 – che riportava risultati di gran lunga più catastrofici di quelli dell’ISTAT e dell’indagine europea sul reddito e le condizioni di vita delle famiglie».

Rispetto all’entità della spesa sanitaria out-of-pocket, dato di partenza di questa raffinata strategia di marketing, precisa Cartabellotta, «il 3° Rapporto GIMBE conferma sì che la spesa delle famiglie nel 2016 sfiora i € 40 miliardi, ma non rileva nessun allarme sul suo incremento, che rimane stabile intorno al 18% sia nel periodo della crisi (2009-2016) sia nel periodo pre-crisi (2000-2008)». Inoltre, l’analisi dettagliata della spesa out-of-pocket permette di mitigare ampiamente l’entità del fenomeno perché dei € 40 miliardi:

  • € 3.362 milioni vengono “restituiti” dallo Stato sotto forma di detrazioni fiscali
  • € 1.310 milioni sono relativi all’acquisto di farmaci di fascia A, virtualmente a carico del SSN, ma che i cittadini acquistano in autonomia per loro volontà
  • € 1,5 miliardi sono destinati alla compartecipazione della spesa per i farmaci, ma di questi € 1 miliardo viene sborsato per acquistare farmaci brand al posto degli equivalenti
  • € 5.900 milioni sono destinati a prodotti omeopatici, erboristici, integratori, nutrizionali, parafarmaci, etc., voce di spesa peraltro esclusa dai nuovi conti della sanità dell’ISTAT
  • € 5.215 milioni vengono spesi per farmaci di fascia C e di automedicazione, buona parte dei quali sono di efficacia non dimostrata
  • € 11.000 milioni (che includono € 1.300 milioni di ticket) sono destinati a visite specialistiche ed esami diagnostici di laboratorio e strumentali, di cui una variabile percentuale del 30-50% secondo stime internazionali è inappropriata
  • € 8.500 milioni vanno per le cure odontoiatriche (mai incluse nei livelli essenziali di assistenza)
  • € 5.255 milioni per l’assistenza ospedaliera, di cui oltre € 3.000 milioni per la long-term-care
  • € 1.000 milioni per protesi e ausili

«Lo “spacchettamento” della spesa delle famiglie – precisa Cartabellotta – confuta di fatto l’ipotesi che gli esborsi dei cittadini siano destinati esclusivamente a fronteggiare le minori tutele pubbliche: infatti, almeno il 40% non viene speso per beni e servizi indispensabili a migliorare lo stato di salute, bensì soddisfa bisogni indotti dal benessere e dalla medicalizzazione della società e condizionati da consumismo, pseudo-diagnosi e preferenze individuali». La controprova viene fornita dal fatto che nelle diverse Regioni la spesa out-of-pocket è proporzionale al reddito pro-capite e alla qualità dell’offerta pubblica: in altre parole, le famiglie spendono di più nelle Regioni del nord dove l’offerta dei servizi sanitari pubblici è adeguata, mentre quelle del sud si attestano tutte sotto la media, nonostante una qualità peggiore dei servizi.

Infine, la strategia di persuasione collettiva che punta dritta al “secondo pilastro” prova a sensibilizzare il nuovo Esecutivo “personalizzando” i risultati dell’indagine Censis, da cui emergerebbe un “maggior rancore degli elettori di 5 Stelle e Lega nei confronti della sanità”, considerata il “cantiere con cui gli italiani metteranno alla prova il passaggio dal rancore alla speranza del cambiamento”. Peccato (per loro) che il contratto del Governo del cambiamento afferma senza indugi che “È prioritario preservare l’attuale modello di gestione del servizio sanitario a finanziamento prevalentemente pubblico e tutelare il principio universalistico su cui si fonda la legge n. 833 del 1978 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale”, per cui la vera “prova di esame”, conclude Cartabellotta, «non è affatto rappresentata dall’espansione del secondo pilastro, quanto invece dal rilancio del finanziamento pubblico, peraltro annunciato anche dal Premier Conte nel discorso per la fiducia al Senato».

Se così non fosse, il Governo del cambiamento, oltre ai propri “rancorosi elettori”, avrà tradito anche il contratto che oggi riguarda tutto l’intero popolo italiano.


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5 giugno 2018
3° Rapporto GIMBE. Nuovo Esecutivo di fronte a un bivio per la sanità pubblica: rilanciare o smantellare?

DEFINANZIAMENTO PROGRESSIVO, TROPPE PRESTAZIONI NEI NUOVI LEA, SPRECHI E INEFFICIENZE ED ESPANSIONE DELL’INTERMEDIAZIONE ASSICURATIVA RAPPRESENTANO UNA MISCELA LETALE PER LA SANITÀ PUBBLICA. LA FONDAZIONE GIMBE ANALIZZA LO STATO DI SALUTE DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE, NE RIVALUTA LA PROGNOSI AL 2025 E PROPONE UN PRECISO “PIANO TERAPEUTICO”. PROGRAMMA E AZIONI DEL NUOVO ESECUTIVO DETERMINANTI PER IL FUTURO DELLA SANITÀ PUBBLICA E PER GARANTIRE IL DIRITTO ALLA TUTELA DELLA SALUTE.

La Fondazione GIMBE ha presentato oggi presso la Sala Capitolare del Senato della Repubblica il 3° Rapporto sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale: «La Fondazione GIMBE – esordisce il Presidente Nino Cartabellotta – ribadisce che non esiste alcun disegno occulto di smantellamento e privatizzazione del Servizio Sanitario Nazionale, ma continua a mancare un piano preciso di salvataggio. Nella consapevolezza che la sanità rappresenta sia un considerevole capitolo di spesa pubblica da ottimizzare, sia una leva di sviluppo economico da sostenere, il Rapporto valuta con una prospettiva di medio termine il tema della sostenibilità del SSN, ripartendo dal suo obiettivo primario: promuovere, mantenere e recuperare la salute delle persone».

Il Rapporto si apre con i risultati di una revisione sistematica delle “classifiche” internazionali che valutano le performance dei sistemi sanitari. «Occorre fermare le strumentalizzazioni nel dibattito pubblico e nelle comunicazioni istituzionali – puntualizza il Presidente – che decantano prestigiose posizioni del nostro SSN in classifiche ormai obsolete (2° posto nella classifica OMS del 2000 con dati 1997), oppure che mettono in relazione l’aspettativa di vita con la spesa sanitaria pro-capite (3° posto nella classifica Bloomberg) per cui meno spendiamo più scaliamo la classifica, visto che la longevità dipende soprattutto da altre ragioni». Il sistema più completo e aggiornato per individuare le aree di miglioramento è quello dell’OCSE, che non stila tuttavia nessuna classifica: al fine di condividere le criticità e valutare le azioni necessarie per allinearsi a standard internazionali, il Rapporto ha analizzato 194 indicatori riportando per 151 di essi la posizione in classifica del nostro SSN, il dato nazionale e la media OCSE.

Il Rapporto analizza poi la spesa sanitaria 2016 che, secondo le stime effettuate, ammonta a € 157,613 miliardi di cui: € 112,182 miliardi di spesa pubblica; € 45,431 miliardi di spesa privata di cui € 5,601 miliardi di spesa intermediata (€ 3,831 miliardi da fondi sanitari, € 0,593 miliardi da polizze individuali, € 1,177 miliardi da altri enti) e € 39,830 miliardi di spesa a carico delle famiglie (out-of-pocket). «Al di là di rivalutare cifre assolute e composizione percentuale della spesa sanitaria- spiega Cartabellotta - la vera sfida è identificare il ritorno in termini di salute delle risorse investite (value for money): le nostre stime preliminari dimostrano che il 19% della spesa pubblica, almeno il 40% di quella out-of-pocket ed il 50% di quella intermediata non producono alcun ritorno in termini di salute».

La terza sezione approfondisce le macro-determinanti della crisi di sostenibilità del SSN.

  • Definanziamento pubblico. Nel periodo 2013-2018 a fronte di quasi € 7 miliardi di aumento nominale del finanziamento, ne sono “sopravvissuti” meno di € 6; nel periodo 2015-2018 l’attuazione degli obiettivi di finanza pubblica ha sottratto, rispetto ai livelli programmati, € 12,11 miliardi. «Con tale definanziamento progressivo – precisa Cartabellotta – l’Italia continua inesorabilmente a perdere terreno nel confronto con gli altri paesi, con una % di PIL e una spesa pro-capite inferiori alla media OCSE e che si avvicinano sempre di più ai paesi dell’Europa Orientale». Nessuna luce in fondo al tunnel visto che il DEF 2018, a fronte di una prevista crescita annua del PIL nominale del 3% nel triennio 2018-2020, riduce il rapporto spesa sanitaria/PIL dal 6,6% del 2018 al 6,4% del 2019, al 6,3% nel 2020 e 2021.
  • Sostenibilità ed esigibilità dei nuovi LEA. Il Rapporto analizza le criticità metodologiche per definire e aggiornare gli elenchi delle prestazioni e quelle che condizionano erogazione ed  esigibilità dei nuovi LEA in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale: «Nell’impossibilità di aumentare il finanziamento pubblico – sottolinea il Presidente –  è indispensabile rivalutare complessivamente tutte le prestazioni inserite nei LEA  al fine di attuare un “consistente sfoltimento” e mettere fine all’inaccettabile paradosso per cui in Italia convivono il “paniere LEA” più ricco (sulla carta) ed un finanziamento pubblico tra i più bassi d’Europa».
  • Spechi e inefficienze. Vengono aggiornate le stime sull’impatto degli sprechi sulla spesa sanitaria pubblica 2017: € 21,59 miliardi erosi da sovra-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci o inappropriate (€ 6,48 mld), frodi e abusi (€ 4,75 mld), acquisti a costi eccessivi (€ 2,16 mld), sottoutilizzo di servizi e prestazioni efficaci e appropriate (€ 3,24 mld), complessità amministrative (€ 2,37 mld), inadeguato coordinamento dell’assistenza (€ 2,59 mld). Rispetto alle stime 2016, si riconosce un recupero complessivo di oltre € 1,3 miliardi, grazie ai numerosi interventi messi in atto.
  • Espansione del secondo pilastro. «La proposta di affidarsi al “secondo pilastro” per garantire la sostenibilità del SSN – spiega il Presidente – si è progressivamente affermata per l’interazione di vari fattori: in particolare, nelle crepe di una normativa frammentata e incompleta che ha permesso alla sanità integrativa di diventare sostitutiva si è insinuata una raffinata strategia di marketing  alimentata da catastrofici, ma inverosimili, risultati sulla rinuncia alle cure». Il Rapporto analizza in dettaglio il complesso ecosistema dei “terzi paganti” in sanità, le coperture offerte, l’impatto di fondi sanitari e polizze assicurative sulla spesa sanitaria e tutti i potenziali “effetti collaterali” del secondo pilastro: dai rischi per la sostenibilità a quelli di privatizzazione, dall’aumento delle diseguaglianze all’incremento della spesa sanitaria, dal sovra-utilizzo di prestazioni sanitarie alla frammentazione dei percorsi assistenziali.

Rispetto alla rivalutazione della “prognosi” del SSN al 2025 secondo le stime del Rapporto GIMBE il fabbisogno del SSN sarà di € 220 miliardi: un incremento stimato della spesa sanitaria totale nel periodo 2017-2025 di € 27 miliardi (€ 9 miliardi pubblica e € 18 miliardi privata) permetterebbe di raggiungere nel 2025 una cifra di poco superiore ai € 184 miliardi. A questi si aggiungerebbero circa € 15 miliardi dal recupero graduale di risorse dal disinvestimento da sprechi e inefficienze (per complessivi € 70 miliardi complessivi nel periodo 2017-2025).  «Nonostante la stima della spesa totale sia conservativa - precisa Cartabellotta - e il disinvestimento estremamente impegnativo, per raggiungere il fabbisogno stimato mancherebbero comunque ancora € 20,5 miliardi, una cifra che impone scelte politiche ben precise». In altri termini secondo il Presidente «visto che la soluzione non è sicuramente rappresentata dal “secondo pilastro”, senza un consistente rilancio del finanziamento pubblico sarà impossibile mantenere un servizio sanitario pubblico equo e universalistico».

Il Rapporto si chiude con il “piano di salvataggio” del SSN elaborato dalla Fondazione GIMBE: «Visto che le azioni del prossimo Esecutivo saranno cruciali per il futuro del SSN – conclude Cartabellotta –  i 12 punti programmatici del “piano di salvataggio” costituiranno il riferimento dell’Osservatorio GIMBE per monitorare il programma di Governo per la sanità perché il diritto alla tutela della salute degli italiani è oggi più che mai condizionato da scelte politiche. Se si intende realmente preservare la più grande conquista dei cittadini italiani, oltre ad aumentare il ritorno in termini di salute del denaro investito in sanità, è indispensabile invertire la rotta sul finanziamento pubblico. In alternativa, occorrerà governare adeguatamente la transizione ad un sistema misto, al fine di evitare una lenta involuzione del SSN che finirebbe per creare una sanità a doppio binario, sgretolando i princìpi di universalismo ed equità che da 40 anni costituiscono il DNA del nostro Servizio Sanitario Nazionale».

La versione integrale del 3° Rapporto GIMBE è disponibile all’indirizzo web: www.rapportogimbe.it

 

3° RAPPORTO GIMBE SULLA SOSTENIBILITÀ DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE.
Executive Summary

 

Il Rapporto si apre con il CAPITOLO 1 dedicato ai benchmark internazionali del nostro Servizio Sanitario Nazionale (SSN): la revisione sistematica e l’analisi metodologica degli strumenti elaborati da diverse organizzazioni per confrontare la performance dei sistemi sanitari hanno permesso di trarre alcune raccomandazioni chiave per l’utilizzo dei risultati di queste classifiche nel dibattito pubblico e, in particolare, nelle comunicazioni istituzionali. In particolare, il sistema più completo e aggiornato per la valutazione delle performance e l’individuazione delle aree di miglioramento è quello dell’OCSE, che non stila alcuna classifica ma permette solo di valutare la posizione dell’Italia rispetto ad altri paesi e alla media OSCE. Per tale ragione, la Fondazione GIMBE ha analizzato 194 indicatori riportando per 151 di essi la posizione in classifica del nostro SSN, il dato nazionale e la media OCSE, con l’obiettivo di condividere le criticità e valutare le azioni necessarie per allinearsi a standard internazionali. Dalla revisione emergono due raccomandazioni chiave: la classifica dell’OMS del 2000, che collocava l’Italia al 2° posto dopo la Francia, ha un mero valore storico e non dovrebbe più essere citata; la classifica Bloomberg, che posizione l’Italia al 3° posto, valuta solo l’efficienza del SSN sovrastimandone di conseguenza la qualità.

Il CAPITOLO 2 è dedicato alla spesa sanitaria 2016, ultimo anno per il quale sono disponibili tutti i consuntivi relativi alla spesa pubblica e privata. Secondo le stime effettuate dal Rapporto la spesa sanitaria 2016 ammonta a € 157,613 miliardi di cui: € 112,182 miliardi di spesa pubblica; € 45,431 miliardi di spesa privata di cui € 5,601 miliardi di spesa intermediata (€ 3,831 miliardi da fondi sanitari, € 0,593 miliardi da polizze individuali, € 1,177 miliardi da altri enti) e € 39,830 miliardi di spesa a carico delle famiglie (out-of-pocket). In altri termini, nel 2016 il 28,8% della spesa sanitaria è privata e di questa quasil’88% è sostenuta direttamente dalle famiglie.

Per la spesa pubblica si è fatto riferimento al nuovo sistema dei conti della sanità ISTAT-SHA, allineato alle regole contabili dal sistema europeo dei conti. Secondo i dati ISTAT-SHA, l’assistenza sanitaria per cura e riabilitazione assorbe € 82,032 miliardi, i prodotti farmaceutici e altri apparecchi terapeutici € 31,106 miliardi, la long-term care € 15.067 miliardi, i servizi ausiliari € 12,342 miliardi, i servizi per la prevenzione delle malattie € 6,057 miliardi, mentre € 2,896 miliardi sono destinati a governance e amministrazione del SSN. Considerato che il sistema ISTAT-SHA presenta ancora alcuni limiti, in relazione a specifici obiettivi di analisi il Rapporto integra altre fonti, segnalando le eventuali discrepanze. In particolare, per valutare i trend 2000-2016 sono stati utilizzati i dati della Ragioneria Generale dello Stato che dimostrano la progressiva riduzione della spesa sanitaria: a fronte di un tasso di crescita medio annuo del 7,4% nel periodo 2001-2005, il tasso nel quinquennio 2006-2010 scende al 3,1%, quindi diventa negativo nel periodo 2011-2016 (-0,1%). Questa sensibile riduzione della spesa sanitaria ha permesso di ridurre il gap con i valori del finanziamento corrente del SSN, determinando negli ultimi tre anni un sostanziale allineamento e, di fatto, il pareggio di bilancio. Tuttavia, il contenimento complessivo della spesa sanitaria nel periodo 2000-2016 non riflette trend omogenei tra i differenti aggregati di spesa, determinando una significativa ricomposizione della loro incidenza rispetto alla spesa sanitaria totale: da segnalare che per i redditi da lavoro dipendente l’incidenza è scesa dal 39,8% del 2000 al 31% del 2016.

Considerato che le stime sulla spesa sanitaria privata (che include quella sostenuta dalle famiglie e quella intermediata da “terzi paganti”) effettuate da diverse Istituzioni e organizzazioni riportano rilevanti differenze, il Rapporto analizza le discordanze e ove possibile ne identifica le motivazioni. Per stimare la spesa out-of-pocket si è fatto riferimento al dato ISTAT-SHA integrato con alcune voci di spesa escluse, per un totale di € 39,8 miliardi, comprensivi di € 2,9 miliardi di ticket. Tuttavia, a fronte dell’entità della spesa delle famiglie, di fatto “alleggerita” da € 3,4 miliardi di rimborsi IRPEF, il Rapporto dimostra che almeno il 40% di tale spesa non compensa le minori tutele conseguenti al ridotto finanziamento pubblico, ma consegue a fenomeni di consumismo sanitario o a scelte individuali. Inoltre nel medio periodo non si registra alcun allarme sull’incremento della spesa delle famiglie, che nel periodo 2009-2016 ha subìto lo stesso incremento percentuale rispetto al periodo 2000-2008 (18% circa). Ancora più complessa l’analisi della spesa privata intermediata per variabili e criticità che condizionano la tracciabilità dei flussi economici. Seppure con i limiti relativi ad affidabilità di fonti e dati e alla possibile sovrapposizione di alcune cifre, per l’anno 2016 si stima una spesa intermediata di € 5,6 miliardi (12,3% della spesa privata), sostenuta da varie tipologie di “terzi paganti: € 3.830,8 milioni da fondi sanitari e polizze collettive, € 593 milioni da polizze assicurative individuali, € 576 milioni da istituzioni senza scopo di lucro e € 601 milioni da imprese.

Il CAPITOLO 3 è dedicato alle macro-determinanti della crisi di sostenibilità del SSN: definanziamento pubblico, sostenibilità ed esigibilità dei nuovi LEA, sprechi e inefficienze ed espansione incontrollata del “secondo pilastro”.

Definanziamento pubblico. Sintetizzando l’enorme quantità di numeri tra finanziamenti programmati dai Documenti di Economia e Finanza (DEF), fondi assegnati dalle Leggi di Bilancio, tagli e contributi alla finanza pubblica a carico delle Regioni, emergono poche inquietanti certezze sulle risorse destinate al SSN. Nel periodo 2013-2018 il finanziamento nominale è aumentato di quasi € 7 mld, dai € 107,01 mld del 2013 ai € 114 mld del 2018, di cui sono “sopravvissuti” nei fatti solo € 5,968 mld; nel periodo 2015-2018 l’attuazione degli obiettivi di finanza pubblica ha determinato, rispetto ai livelli programmati, una riduzione cumulativa del finanziamento del SSN di € 12,11 mld; il DEF 2018, a fronte di una prevista crescita annua del PIL nominale del 3% nel triennio 2018-2020, riduce progressivamente il rapporto spesa sanitaria/PIL dal 6,6% del 2018 al 6,4% del 2019, al 6,3% nel 2020 e 2021. A seguito del costante definanziamento, le analisi effettuate sul database OECD Health Statistics dimostrano che la spesa sanitaria in Italia continua inesorabilmente a perdere terreno con progressivo avvicinamento ai livelli di spesa dei paesi dell’Europa Orientale. La regressione riguarda anzitutto la percentuale del PIL destinato alla spesa sanitaria totale, che nel 2016 è di poco inferiore alla media OCSE (8,9% vs 9%) e in Europa vede l’Italia fanalino di coda insieme al Portogallo tra i paesi dell’Europa occidentale. L’arretramento è attestato tuttavia soprattutto perla spesa pro-capite totale, inferiore alla media OCSE ($ 3.391 vs $ 3.978), che colloca l’Italia in prima posizione tra i paesi più poveri dell’Europa: Spagna, Slovenia, Portogallo, Repubblica Ceca, Grecia, Slovacchia, Ungheria, Estonia, Polonia e Lettonia.

Sostenibilità ed esigibilità dei nuovi LEA. A 14 mesi dal grande traguardo politico raggiunto con la pubblicazione del decreto sui “nuovi LEA” il Rapporto GIMBE analizza le criticità metodologiche per definire e aggiornare gli elenchi delle prestazioni, quelle relative al monitoraggio dei LEA e quelle che condizionano l’erogazione e l’esigibilità dei nuovi LEA in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale: dai recepimenti regionali dei nuovi LEA, al ritardo nella pubblicazione dei nomenclatori tariffari, dall’individuazione di limiti e modalità di erogazione delle prestazioni, agli aggiornamenti degli elenchi delle prestazioni. Il Rapporto sottolinea inoltre l’inderogabile necessità di rivalutare complessivamente tutte le prestazioni inserite nei LEA, facendo esplicito riferimento a un metodo rigoroso basato sulle evidenze e sul value al fine di effettuare un “consistente sfoltimento”, mettendo fine all’inaccettabile paradosso per cui in Italia convivono il “paniere LEA” più ricco (almeno sulla carta) ed un finanziamento pubblico tra i più bassi d’Europa.

Sprechi e inefficienze. Per l’anno 2017 sul consuntivo di € 113,599 miliardi di spesa sanitaria pubblica la stima di sprechi e inefficienze è di € 21,59 miliardi, con un margine di variabilità (±20%) e un range variabile tra € 17,27 e € 25,91 miliardi. L’impatto complessivo degli sprechi è stato ridotto di 1 punto percentuale (dal 20% delle stime OCSE al 19%) con un recupero stimato di oltre € 1,3 miliardi nel 2017. Per ciascuna delle categorie di sprechi viene riportata una “carta di identità” che include definizione, determinanti, tassonomia, esempi, normative e iniziative nazionali ed internazionali, oltre che le stime delle risorse erose dagli sprechi: sovra-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci o inappropriate (€ 6,48 mld), frodi e abusi (€ 4,75 mld), acquisti a costi eccessivi (€ 2,16 mld), sottoutilizzo di servizi e prestazioni efficaci e appropriate (€ 3,24 mld), complessità amministrative (€2,37 mld), inadeguato coordinamento dell’assistenza (€ 2,59 mld).

Espansione del secondo pilastro. Le restrizioni finanziarie imposte alla sanità pubblica hanno indebolito il sistema di offerta di servizi e prestazioni sanitarie, aggravato le difficoltà di accesso alle cure e ampliato le diseguaglianze. In questo contesto, l’aumento della spesa out-of-pocket e la rinuncia a prestazioni sanitarie si sono accompagnati alla crescita di forme alternative di copertura sanitaria. Di conseguenza, l’idea di affidarsi al “secondo pilastro” per garantire la sostenibilità del SSN si è progressivamente affermata per l’interazione di alcuni fattori: dalla complessità della terminologia alla frammentazione della normativa, dalla scarsa trasparenza alla carenza di sistemi di controllo. In questo contesto si è progressivamente fatta largo una raffinata strategia di marketing basata su un assioma correlato a criticità solo in apparenza correlate (riduzione del finanziamento pubblico, aumento della spesa out-of-pocket, difficoltà di accesso ai servizi sanitari e rinuncia alle cure) alimentate dai risultati di studi discutibili finanziati proprio da compagnie assicurative. Il Rapporto analizza in dettaglio il complesso ecosistema dei “terzi paganti” in sanità, le tipologie di coperture offerte, l’impatto analitico di fondi sanitari e polizze assicurative sulla spesa sanitaria e tutti i potenziali “effetti collaterali” del secondo pilastro, troppo spesso sottovalutati sull’onda di un entusiasmo collettivo: dai rischi per la sostenibilità a quelli di privatizzazione, dall’aumento delle diseguaglianze all’incremento della spesa sanitaria, dal sovra-utilizzo di prestazioni sanitarie alla frammentazione dei percorsi assistenziali.

Il CAPITOLO 4 riporta la rivalutazione delle prognosi del SSN al 2025, effettuata ispirandosi alla teoria dei “cunei di stabilizzazione” che risponde alla necessità di un piano d’intervento multifattoriale per garantire la sostenibilità del SSN. Accanto alla rivalutazione della stima del fabbisogno al 2025, sono state aggiornate tutte le stime relative al finanziamento pubblico (al ribasso), alla spesa privata (al rialzo) e al disinvestimento da sprechi e inefficienze. Il fabbisogno al 2025 è stato stimato, in maniera estremamente conservativa, in € 220 miliardi, tenendo conto di vari fattori: entità del sotto-finanziamento del SSN, benchmark con i paesi dell’Europa occidentale, sottostima dell’impatto economico dei nuovi LEA, evidenza di inadempimenti LEA in varie Regioni, inderogabile necessità di rilancio delle politiche per il personale sanitario, immissione sul mercato di costosissime innovazioni farmacologiche, necessità di ammodernamento tecnologico, invecchiamento della popolazione, rinuncia a prestazioni sanitarie (dati ISTAT). Tale stima esclude espressamente le risorse da destinare al piano straordinario di investimenti per l’edilizia sanitaria e i bisogni socio-sanitari che ammonterebbero ad oltre € 17 miliardi. L’incremento della spesa sanitaria totale nel periodo 2017-2025 è stato stimato in € 27 miliardi (€ 9 miliardi di spesa pubblica e € 18 miliardi di spesa privata), che permetterebbero di raggiungere nel 2025 una cifra di poco superiore ai € 184 miliardi, ben lontana dal fabbisogno stimato. Il potenziale recupero di risorse dal disinvestimento da sprechi e inefficienze nel periodo 2017-2025 è stato stimato in oltre € 70 miliardi, recuperabili non solo tramite azioni puntuali di spending review, ma attraverso interventi strutturali e organizzativi e, soprattutto, disegnando e attuando un piano nazionale di prevenzione e riduzione degli sprechi. Nonostante la stima di € 220 miliardi sia conservativa e il disinvestimento di € 70 miliardi estremamente impegnativo, per raggiungere il fabbisogno stimato per il 2025 mancherebbero comunque ancora € 20,5 miliardi, una cifra di un’entità tale da richiedere scelte politiche ben precise. In altre parole, le valutazioni del presente Rapporto dimostrano che il disinvestimento da sprechi e inefficienze è condicio sine qua non per salvare il SSN e che al tempo stesso che la soluzione non è rappresentata sicuramente dal “secondo pilastro”: di conseguenza, in assenza di un consistente rilancio del finanziamento pubblico, sarà impossibile mantenere un servizio sanitario pubblico equo e universalistico. Visto che le azioni del prossimo Esecutivo saranno cruciali per il futuro del SSN, il Paese si trova davanti ad un bivio: se si intende realmente preservare la più grande conquista dei cittadini italiani, come da ogni parte dichiarato a parole, accanto a tutti gli interventi necessari per aumentare il value for money del denaro investito in sanità, è indispensabile invertire la rotta sul finanziamento pubblico. In alternativa, occorrerà governare adeguatamente la transizione a un sistema misto, al fine di evitare una lenta involuzione del SSN che finirebbe per creare una sanità a doppio binario, sgretolando i princìpi di universalismo ed equità che ne costituiscono il DNA.

Il CAPITOLO 5 è dedicato alla pars costruens, ovvero al “piano di salvataggio” del SSN elaborato dalla Fondazione GIMBE e utilizzato come strumento di partenza per il fact checking dei programmi elettorali in occasione delle ultime consultazioni politiche e già sottoposto a consultazione pubblica:

1. Salute al centro di tutte le decisioni politiche non solo sanitarie, ma anche industriali, ambientali, sociali, economiche e fiscali

2. Certezze sulle risorse per la sanità: stop alle periodiche revisioni al ribasso e rilancio del finanziamento pubblico

3. Maggiori capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni nel pieno rispetto delle loro autonomie

4. Costruire un servizio socio-sanitario nazionale, perché i bisogni sociali sono strettamente correlati a quelli sanitari

5. Ridisegnare il perimetro dei LEA secondo evidenze scientifiche e princìpi di costo- efficacia e rivalutare la detraibilità delle spese mediche secondo gli stessi criteri

6. Eliminare il superticket e definire criteri nazionali di compartecipazione alla spesa sanitaria equi e omogenei

7. Piano nazionale contro gli sprechi in sanità per recuperare almeno 1 dei 2 euro sprecati ogni 10 spesi

8. Riordino legislativo della sanità integrativa per evitare derive consumistiche e di privatizzazione

9. Sana integrazione pubblico-privato e libera professione regolamentata secondo i reali bisogni di salute delle persone

10. Rilanciare le politiche per il personale e programmare adeguatamente il fabbisogno di medici, specialisti e altri professionisti sanitari

11. Finanziare ricerca clinica e organizzativa: almeno l’1% del fondo sanitario nazionale per rispondere a quesiti rilevanti per il SSN

12. Programma nazionale d’informazione scientifica a cittadini e pazienti per debellare le fake-news, ridurre il consumismo sanitario e promuovere decisioni realmente informate.

I 12 punti programmatici del “piano di salvataggio”, che verranno sottoposti a continua rivalutazione attraverso periodiche consultazioni pubbliche, costituiranno il riferimento per l’Osservatorio GIMBE, sia in caso di effettiva “partenza” dell’attuale legislatura per monitorare il programma di Governo per la sanità, sia in caso di ritorno alle urne per un nuovo fact checking dei programmi elettorale.

La versione integrale del 3° Rapporto GIMBE è disponibile all’indirizzo web: www.rapportogimbe.it


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23 aprile 2018
Farmacia dei servizi: grande opportunità per la sostenibilità del SSN a rischio di stallo

LA FARMACIA DEI SERVIZI PUÒ OFFRIRE UN CONTRIBUTO RILEVANTE ALLA SOSTENIBILITÀ DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE: PER DIMOSTRARNE L’EFFICACIA IN TERMINI SANITARI ED ECONOMICI LA LEGGE DI BILANCIO 2018 HA ASSEGNATO 36 MILIONI DI EURO PER AVVIARE UNA SPERIMENTAZIONE GRADUALE IN 9 REGIONI. MA QUELLE ESCLUSE NON CI STANNO E L’AMBIZIOSO PROGETTO RISCHIA DI RIMANERE AL PALO.

In occasione della kermesse di Cosmofarma (Bologna, 21-22 aprile 2018), Federfarma e Farma7 hanno dato vita a un costruttivo dibattito sul rinnovato ruolo delle farmacie, quali presidi strategici del SSN. Al centro della scena la bozza di decreto attuativo della legge 205/2017 che ha individuato 9 Regioni dove avviare la sperimentazione della farmacia dei servizi: Piemonte, Lazio, Puglia per il 2018 a cui si aggiungeranno Lombardia, Emilia Romagna e Sicilia nel 2019 e Veneto, Umbria e Campania nel 2020. Regioni scelte dal Ministero della Salute, previa consultazione di Federfarma e della Federazione Ordini Farmacisti Italiani, tenendo conto di criteri di rappresentatività geografica e di esperienze già avviate. Per il progetto pilota la Legge di Bilancio 2018 ha stanziato € 6 milioni per il 2018, € 12 milioni per il 2019 e € 18 milioni per il 2020, a valere sulle quote vincolate agli obiettivi di Piano sanitario Nazionale.

Nell’intervento di apertura, Nino Cartabellotta – Presidente della Fondazione GIMBE – dopo aver condiviso le determinanti che oggi condizionano la crisi di sostenibilità del SSN, ha analizzato le grandi opportunità della farmacia dei servizi e le possibili criticità delle condizioni poste dalle Regioni sullo schema di decreto.

«Il contributo della farmacia dei servizi alla sostenibilità del SSN – ha puntualizzato il Presidente – consiste nella possibilità di ridurre sprechi e inefficienze grazie ai nuovi servizi: migliorare il sottoutilizzo di prestazioni sanitarie efficaci e appropriate, in particolare favorendo l’aderenza terapeutica nei pazienti cronici e gli interventi di prevenzione, ridurre le complessità amministrative, grazie alle facilitazioni per la prenotazione di prestazioni di specialistica ambulatoriale, ritiro referti e pagamento ticket, e al miglioramento del coordinamento dell’assistenza tra vari setting assistenziali, in particolare tra ospedale e cure primarie».

Queste attività, inizialmente definite dal DLgs 153 del 3 ottobre 2009, sono state ampiamente riprese nel “Documento integrativo dell’atto di indirizzo per il rinnovo della convenzione nazionale con le farmacie pubbliche e private” del marzo 2017, che identifica tra i nuovi ruoli della farmacia il contributo all’informazione, ai sistemi di verifica, allo sviluppo delle reti e ai programmi di prevenzione.

«Indubbiamente  – ha puntualizzato Cartabellotta  – il successo della farmacia dei servizi richiede una profonda revisione del ruolo del farmacista, che da semplice dispensatore di prodotti deve trasformarsi in un protagonista attivo della rete di servizi sanitari, sacrificando in parte l’anima commerciale e sviluppando nuove competenze che gli permettano di erogare adeguatamente le prestazioni richieste».

L’avvio della sperimentazione, tuttavia, sembra non essere immediata viste le 3 condizioni poste all’unanimità dalla Commissione Salute delle Regioni nella riunione del 18 aprile 2018:

  • La richiesta di assegnare i € 36 milioni previsti dalla legge di Bilancio nel triennio 2018-2020 alle 9 Regioni individuate sulla base del criterio della quota capitaria di accesso, indipendentemente dall’anno previsto per l’avvio delle attività, secondo Cartabellotta «stravolge il principio della bozza di DM: risorse non più destinate ad una sperimentazione graduale, ma mera spartizione di fondi tra le 9 Regioni identificate».
  • La materiale erogazione dovrà seguire il cronoprogramma delle attività sperimentali di ogni Regione, nel rispetto dello stanziamento previsto dalla norma,  «una condizione di fatto superflua - secondo il Presidente - visto che gli anni di erogazione dei fondi sono già stabiliti dalla Legge di Bilancio 2018».
  • Infine la richiesta che, oltre a quanto previsto dalla legge, analoga quota capitaria di accesso sia resa disponibile, a valere sulle risorse per gli obiettivi di piano, anche alle altre Regioni a statuto ordinario che vogliano avviare nel triennio iniziative analoghe. In contrasto con le posizioni di alcuni relatori, Cartabellotta ha dichiarato che «Le Regioni non incluse nella sperimentazione possono sicuramente attingere alle risorse già assegnate sottraendole ad altri obiettivi di piano, ma è impossibile reperire ulteriori finanziamenti prima della Legge di Bilancio 2019, come invece sembra richiedere questa terza condizione. In ogni caso, bisognerebbe riscrivere per la terza volta lo schema di DM e aggiustare le norme in materia previste dalla Legge di Bilancio 2018, che non rappresenta né un’urgenza per le funzioni dell’attuale esecutivo, né verosimilmente una priorità immediata per il nuovo Governo».

«La Legge di Bilancio 2018 – ha concluso  Cartabellotta  – ha assegnato € 36 milioni nel triennio 2018-2020 per realizzare una sperimentazione e la bozza di DM ha identificato 9 Regioni e subordinato alle “ricadute in termini sanitari ed economici” l’eventuale estensione su scala nazionale. Condizionare l’avvio della sperimentazione al coinvolgimento di tutte le Regioni, se politicamente desiderabile e socialmente equo, rischia di generare inaccettabili ritardi, se non di arenare, una sperimentazione che può dimostrare definitivamente il contributo della farmacia dei servizi alla sostenibilità del SSN».


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16 aprile 2018
Diete, cibi e integratori: troppe credenze, poche evidenze

SCARSA QUALITÀ DELLA RICERCA, MITI E PRESUNZIONI SENZA BASI SCIENTIFICHE ED ENORMI INTERESSI ECONOMICI ALIMENTANO LA DISINFORMAZIONE E FAVORISCONO IL PROLIFERARE DI FAKE NEWS IN UN AMBITO DI ESTREMA RILEVANZA PER LA SALUTE PUBBLICA. PER FARE CHIAREZZA IL POSITION STATEMENT GIMBE ANALIZZA LE CRITICITÀ DELLA RICERCA NELLA SCIENZA DELLA NUTRIZIONE, SINTETIZZA LE MIGLIORI EVIDENZE SU DIETE, CIBI E INTEGRATORI E LANCIA LE SFIDE PER MIGLIORARE COMUNICAZIONE PUBBLICA E QUALITÀ E INTEGRITÀ DELLA RICERCA.

Con l’imminente “prova costume” la primavera è la stagione migliore per promuovere best seller e articoli su diete e integratori con titoli sensazionalistici che annunciano soluzioni miracolose per dimagrire e “nuovi” risultati della “ricerca” che stravolgono anche le più robuste evidenze scientifiche. Dal canto suo l’industria alimentare non esita a promuovere prodotti poco salutari, utilizza campagne pubblicitarie ingannevoli e si rivolge a target particolarmente a rischio come i bambini. Infine, questione meno evidente per un pubblico già sedotto da ammalianti sirene, la scienza della nutrizione è ben lungi dall’essere ineccepibile, in quanto distorta da errori metodologici e conflitti di interesse.

«Considerato che tutti questi fattori alimentano la disinformazione su un tema estremamente rilevante per la salute pubblica – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – abbiamo realizzato il Position Statement su alimenti, diete e integratori con tre obiettivi: identificare le criticità della scienza della nutrizione, sintetizzare le migliori evidenze scientifiche su diete, cibi e integratori e identificare le sfide future per la scienza della nutrizione al fine di migliorare sia la comunicazione pubblica, che la qualità e l’integrità della ricerca».

Numerosi fattori minano la credibilità della scienza della nutrizione: l’insistere sull’approccio riduzionista vincente nell’era delle malattie carenziali, ma oggi inefficace per prevenire le malattie croniche; i conflitti di interesse finanziari e non finanziari; l’inadeguata qualità di revisioni sistematiche e linee guida; infine le criticità metodologiche della ricerca che determinano risultati  del tutto implausibili, “troppo belli per essere veri”: «È tempo di mettere un freno – puntualizza il Presidente – agli innumerevoli studi di associazione sui singoli nutrienti continuamente sfornati dai ricercatori: se presi alla lettera basterebbe aumentare l’apporto di nutrienti protettivi in 2 porzioni/die per eradicare il cancro a livello mondiale!».

Sui regimi dietetici finalizzati alla riduzione di peso le evidenze scientifiche sono inequivocabili: a fronte di infuocati dibattiti sull’efficacia delle varie diete e di slogan pubblicitari che promettono miracoli, la ricerca dimostra che qualsiasi dieta bilanciata a ridotto contenuto di carboidrati o di grassi fa dimagrire, ma non è possibile raccomandarne nessuna in particolare, viste le esigue differenze tra i vari regimi dietetici. Inoltre, in termini di riduzione del peso e del suo mantenimento, le evidenze dimostrano il valore aggiunto della terapia cognitivo-comportamentale e dell’esercizio fisico.

Nella sezione dedicata ai singoli cibi e nutrienti emerge il numero esiguo di studi controllati su esiti clinici, che forniscono adeguate prove di efficacia solo per la dieta mediterranea; la maggior parte delle evidenze deriva infatti da studi osservazionali e da trial controllati su parametri fisiologici, quali pressione arteriosa, iperlipidemia, glicemia, resistenza all’insulina, frequenza cardiaca, infiammazione sistemica. «Sulla base delle migliori evidenze disponibili – precisa Cartabellotta – è possibile raccomandare solo una dieta ricca di frutta, verdura, cereali integrali, legumi, pesce, nocciole/noci e latticini, oltre a cibi contenenti grassi monoinsaturi, polinsaturi e omega-3. Da evitare invece carni lavorate e bevande dolcificate, oltre a cibi ricchi di sodio, amido, zuccheri raffinati, grassi insaturi, colesterolo animale».

Impietosa la valutazione dell’efficacia degli integratori alimentari: nonostante la progressiva espansione del mercato, gli studi controllati su integratori di vitamine e minerali non dimostrano evidenti benefici per la prevenzione di patologie cardiovascolari e neoplasie, evidenziando addirittura maggiori rischi per alcuni micronutrienti. Di conseguenza, precisa il Presidente «l’utilizzo di integratori multivitaminici e multimineralici non è raccomandato per la popolazione generale e nemmeno in gravidanza; al contrario, è di provata efficacia l’assunzione mirata di specifici integratori in alcune fasi della vita (gravidanza, neonati, ultracinquantenni) e in sottogruppi a rischio nei quali il fabbisogno nutrizionale non può essere soddisfatto con la sola dieta».

Il Position Statement GIMBE chiarisce infine perché nel campo dell’alimentazione bufale e fake news fioriscono continuamente e sono difficili da prevenire ed estirpare. «In questo settore – conclude Cartabellotta – esiste una dinamica interpretativa della scienza più unica che rara: da un lato l’esposizione quotidiana al cibo determina un senso di familiarità diffusa e superficiale, dall’altro i comportamenti alimentari sono influenzati da abitudini personali, familiari, culturali e religiose. Di conseguenza si generano continuamente credenze basate su congetture, aneddoti e intuizioni piuttosto che su evidenze scientifiche, peraltro poco robuste e influenzate da conflitti di interesse che, condizionando l’integrità della ricerca, minano la fiducia dei cittadini nei confronti del metodo scientifico».

Il Position Statement GIMBE “Alimenti, diete e integratori: la scienza della nutrizione tra miti, presunzioni ed evidenze” è disponibile a: www.evidence.it/diete-integratori.


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22 marzo 2018
Trial Clinici: nuove generazioni di ricercatori alla scuola GIMBE

AL VIA LA SELEZIONE NAZIONALE PER LA SECONDA EDIZIONE DELLA SUMMER SCHOOL SULLA METODOLOGIA DEI TRIAL CLINICI, DESTINATA A 30 GIOVANI STUDENTI, MEDICI E FARMACISTI E REALIZZATA GRAZIE AD UNA EROGAZIONE NON CONDIZIONANTE DI ASSOGENERICI AL PROGRAMMA GIMBE4YOUNG

Dopo il grande successo della prima edizione, nell’ambito del programma GIMBE4young, la Fondazione GIMBE lancia il secondo bando nazionale per la partecipazione alla “Summer School on... Metodologia dei trial clinici” (Loiano, 3-7 settembre 2018), corso residenziale finalizzato a preparare le nuove generazioni di ricercatori alle sfide che li attendono per migliorare qualità, etica, rilevanza e integrità della ricerca clinica.

«Nella gerarchia delle evidenze scientifiche – dichiara Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – i trial clinici, in particolare quelli controllati e randomizzati, costituiscono lo standard di riferimento per valutare l’efficacia degli interventi sanitari. Tuttavia la loro qualità è spesso insoddisfacente: determinando la persistenza di numerose aree grigie, oltre che lo spreco di preziose risorse».

La campagna internazionale Lancet-REWARD (Reduce research Waste And Reward Diligence), promossa in Italia dalla Fondazione GIMBE e già integrata nei programmi di ricerca istituzionale del Ministero della Salute, punta proprio a ridurre gli sprechi ed aumentare il value della ricerca biomedica: «Pazienti e professionisti – continua il presidente – vengono raramente coinvolti nella definizione delle priorità: per questo molti trial rispondono a quesiti di ricerca irrilevanti e/o misurano outcome di scarsa rilevanza clinica, e oltre la metà delle sperimentazioni cliniche vengono pianificate senza alcun riferimento a evidenze già disponibili, generando evitabili duplicazioni». I dati dimostrano che più del 50% dei trial pubblicati presentano rilevanti errori metodologici che ne invalidano i risultati; sino al 50% dei trial non vengono mai pubblicati e molti di quelli pubblicati tendono a sovrastimare i benefici e sottostimare i rischi degli interventi sanitari; oltre il 30% dei trial non riporta dettagliatamente le procedure con cui somministrare gli interventi studiati e spesso i risultati dello studio non vengono interpretati alla luce delle evidenze disponibili.

«Lo scorso anno Assogenerici ha scelto di sostenere la Summer School del programma GIMBE4young – dichiara Enrique Häusermann, presidente di Assogenerici – convinti dell’importanza dell’attività formativa svolta dalla Fondazione GIMBE e dell’urgenza, da essa sottolineata, di riportare il tema della salute al centro dell’agenda politica nazionale. A maggior ragione confermiamo questo impegno anche per il 2018, convinti che la prossima Legislatura sarà determinante per il destino della Sanità pubblica. Alla pari di GIMBE, le aziende del comparto degli equivalenti sono convinte che la stella polare per chiunque abbia a cuore le sorti del SSN deve essere il ricorso “appropriato” agli interventi sanitari, poiché questa è l’unica strategia capace di creare un sistema economicamente sostenibile di garanzia delle cure».

«È in quest’ottica - conclude Häusermann - che i corsi indirizzati ai giovani professionisti in formazione e orientati a  garantire  una maggior consapevolezza anche sul tema dell’accesso al farmaco e della corretta allocazione delle risorse, rappresentano un investimento sul futuro di un SSN rafforzato e coerente con la sua missione di origine ».

Considerato che le metodologie di pianificazione, conduzione, analisi e reporting dei trial clinici non costituiscono ancora parte integrante dei percorsi universitari e specialistici, la Fondazione GIMBE lancia un bando nazionale per selezionare 30 giovani studenti, medici e farmacisti, al fine di colmare questo gap formativo.

La scadenza del bando è fissata al 21 maggio 2018.

Per ulteriori informazioni e invio candidature: www.gimbe4young.it/trial

 


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13 marzo 2018
Sostenibilità della sanità pubblica: una nuova generazione di decisori alla scuola GIMBE

Diversi fattori oggi minano la sostenibilità di tutti i sistemi sanitari: il progressivo invecchiamento delle popolazioni, il costo crescente delle innovazioni, in particolare quelle farmacologiche, il costante aumento della domanda di servizi e prestazioni da parte di cittadini e pazienti. Tuttavia, il problema della sostenibilità non è di natura squisitamente finanziaria, perché un’aumentata disponibilità di risorse non permette comunque di risolvere cinque criticità ampiamente documentate: estrema variabilità nell’utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie, effetti avversi dell’eccesso di medicalizzazione, le diseguaglianze conseguenti al sotto-utilizzo  di servizi e prestazioni sanitarie dall’elevato value, incapacità di attuare efficaci strategie di prevenzione, sprechi che si annidano a tutti i livelli.

«Per affrontare queste sfide – afferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – numerosi sono gli interventi normativi messi in campo negli ultimi anni. In particolare, il DM 70/2015 ovvero il “Regolamento sugli standard qualitativi, tecnologici, strutturali e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera” ha avviato il processo di qualificazione e riorganizzazione della rete ospedaliera che, insieme a quella delle cure primarie, costituisce la fondamentale linea di programmazione sanitaria per la sostenibilità del SSN».

Il DM 70/2015 promuove standard organizzativi secondo il modello di clinical governance, i cui strumenti utilizzati con un approccio di sistema contribuiscono ad erogare un’assistenza basata sulle evidenze, ad elevato value, sostenibile e centrata sui bisogni della persona: l’utilizzo integrato di strumenti di gestione del rischio clinico, evidence-based medicine, percorsi assistenziali, health technology assessment, valutazione e miglioramento continuo delle attività cliniche (audit clinico, misurazione della performance clinica, degli esiti e della qualità percepita), documentazione sanitaria, comunicazione, informazione e partecipazione del cittadino/paziente, formazione continua del personale, team work e il team training sono dunque gli ingredienti fondamentali per la sostenibilità della sanità pubblica.
«Considerato che nei programmi di formazione universitaria e specialistica – precisa Cartabellotta –questi strumenti vengono raramente trasferiti in maniera sistematica, GIMBE punta a trasmettere queste competenze alle nuove generazioni di decisori della sanità, al fine di garantire continuità assistenziale tra ospedale e territorio, migliorare l’appropriatezza organizzativa, ridurre gli sprechi ed aumentare la soddisfazione dei pazienti».

Con questi obiettivi, nell’ambito del programma GIMBE4young, la Fondazione GIMBE ha lanciato un bando nazionale per l’erogazione di 25 borse di studio che consentiranno a  25 specializzandi in Igiene e Medicina Preventiva di partecipare alla prima edizione del corso avanzato “Metodi e strumenti di Clinical Governance per la sostenibilità del SSN” che si terrà a Bologna da giugno 2018 a gennaio 2019.

AL VIA IL BANDO NAZIONALE PER 25 BORSE DI STUDIO DESTINATE A SPECIALIZZANDI IN IGIENE E MEDICINA PREVENTIVA PER LA PARTECIPAZIONE AL CORSO AVANZATO SU “METODI E STRUMENTI DI CLINICAL GOVERNANCE PER LA SOSTENIBILITÀ DEL SERVIZIO SANITARIO”, REALIZZATO GRAZIE A UNA EROGAZIONE LIBERALE E NON CONDIZIONANTE DI MSD AL PROGRAMMA GIMBE4YOUNG

L’iniziativa verrà realizzata grazie al sostegno non condizionante di MSD al programma GIMBE4young: «Ogni azienda - sottolinea Nicoletta Luppi, Presidente e Amministratore Delegato di MSD – secondo un principio di sussidiarietà orizzontale deve occuparsi del bene pubblico e, poiché la formazione dei giovani è uno dei beni più importanti del nostro Paese, ci teniamo a fare la nostra parte ed essere vicini a GIMBE». «Con questo supporto – precisa Goffredo Freddi, Direttore Policy & Communication di MSD – MSD intende fornire il suo contributo per frenare la fuga dei cervelli e trattenere i giovani talenti che possono dare un brillante futuro al nostro Paese».

Le candidature possono essere inviate online entro il 23 aprile 2018.

Tutte le informazioni sul bando sono disponibili a: www.gimbe4young.it/CG


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7 marzo 2018
A Elena Cattaneo il premio Evidence 2018

LA FONDAZIONE GIMBE HA ASSEGNATO IL RICONOSCIMENTO PER IL CONTINUO IMPEGNO DELLA PROFESSORESSA NEL SOSTENERE L’INDEROGABILE NECESSITÀ DI UN "SISTEMA RICERCA ITALIA", ADEGUATAMENTE FINANZIATO, GESTITO IN MANIERA TRASPARENTE E BASATO SULLA MERITOCRAZIA.

La Fondazione GIMBE, in occasione Conferenza Nazionale, assegna ogni anno il Premio Evidence a una personalità del mondo scientifico o sanitario che si è distinta per la pubblicazione di rilevanti evidenze scientifiche, per l’integrazione delle migliori evidenze nelle decisioni professionali, manageriali o di politica sanitaria, per l’insegnamento dell'Evidence-based Practice.

Il Premio Evidence 2018 è stato conferito a Elena Cattaneo - professoressa presso l’Università degli Studi di Milano e Senatrice a vita - per il «suo continuo impegno a sostenere l’inderogabile necessità di un “Sistema Ricerca Italia”, adeguatamente finanziato, gestito in maniera trasparente e basato sulla meritocrazia».

«Oltre a riconoscere la rilevante attività scientifica di Elena Cattaneo che ha posto pietre miliari nel settore delle cellule staminali e delle malattie neurodegenerative – ha affermato Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – abbiamo premiato la sua continua opera di sensibilizzazione pubblica sulla necessità di contrastare l’analfabetismo scientifico e la sua ferma convinzione che per tutelare la salute delle persone bisogna educare la politica alla scienza». Tra le motivazioni anche la determinazione di Elena Cattaneo nella vicenda Stamina - da lei definito “il più ciclopico deragliamento della storia della medicina” – e il coraggioso tributo a Giulio Regeni in cui la Senatrice ha sottolineato che «non ci può essere alcun limite alla libertà degli studiosi di studiare, né alcun timore nel perseguire la conoscenza».

Sulla mancanza di una strategia organica d'investimento di medio-lungo periodo e della volontà politica di strutturarla prescindendo da interessi contingenti, pronti a mutare all'alternarsi dei Governi, la professoressa ha spesso puntato il dito verso la cronica incapacità di amministrare la ricerca. «Condividiamo la visione illuminata di Elena Cattaneo – ha puntualizzato Cartabellotta – che chiede di passare dalla politica del tesoretto discrezionale a quella dell'investimento continuativo nel tempo, trasparente, aperto e competitivo e alle procedure di assegnazione al di sopra di ogni sospetto».

Metodo e moralità, ecco gli ingredienti per fare funzionare un “Sistema Ricerca Italia”: «Il metodo – ha affermato Elena Cattaneo – garantisce l’uguaglianza dei ricercatori per un accesso competitivo alle risorse pubbliche. È solo da una sana competizione tra tutte le idee che possono venire i maggiori benefici della ricerca per i cittadini. In Italia, purtroppo, questo metodo è troppo frammentato: pochi finanziamenti per la ricerca biomedica erogati tramite numerosi canali non coordinati e con procedure di valutazioni differenti».

La Senatrice ha ricordato che «qualunque scienziato o membro di un’Istituzione chiamato a gestire finanziamenti pubblici deve attenersi a un inderogabile principio di moralità da intendersi come garanzia dell’uso corretto, efficiente e verificabile delle risorse pubbliche, seguendo procedure che non sono da inventare, ma da mutuare da esperienze internazionali. Solo così sarà possibile riavvicinare i cittadini alla scienza, evitando che bufale e fake news continuino a dilagare indisturbate».

«Per raggiungere questo obiettivo – ha concluso Elena Cattaneo – non è più accettabile che un singolo euro pubblico venga assegnato senza un bando competitivo: per questo è indifferibile l’istituzione di un’Agenzia pubblica per la ricerca, al fine di attuare meccanismi idonei a selezionare i progetti migliori».


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2 marzo 2018
Sanità pubblica: prossima legislatura, ultima chiamata

ALLA 13a CONFERENZA NAZIONALE GIMBE RIFLETTORI PUNTATI SUL GRANDE ASSENTE DEL DIBATTITO PRE-ELETTORALE: LA TUTELA DI UN SERVIZIO SANITARIO PUBBLICO EQUO E UNIVERSALISTICO. SEGNALI DI INVOLUZIONE SEMPRE PIÙ EVIDENTI DIMOSTRANO CHE NON POTRÀ ESSERE IL FUTURO A PRENDERSI CURA DEL SSN: ECCO PERCHÉ LA FONDAZIONE GIMBE HA PRESENTATO UN “PIANO DI SALVATAGGIO” IN 12 PUNTI, SULLA CUI ATTUAZIONE VIGILERÀ CON IL PROPRIO OSSERVATORIO

Al cospetto di oltre 600 partecipanti del mondo della sanità e della ricerca biomedica, giunti a Bologna da tutto il territorio nazionale, Nino Cartabellotta – Presidente della Fondazione GIMBE – ha fatto il punto sullo “stato di salute” del nostro servizio sanitario nazionale (SSN) e sull’indifferibile necessità di rimettere la salute dei cittadini al centro dell’agenda politica.

Secondo le stime della Fondazione GIMBE nel 2025 serviranno almeno € 210 miliardi per mantenere il SSN, pari ad una spesa pro-capite di € 3.500; stime estremamente prudenziali perché si tratta di una cifra inferiore alla media OCSE del 2013. Rispetto ai € 150 miliardi di spesa del 2016, stando alle previsioni attuali d’incremento di spesa pubblica e di spesa privata e al potenziale recupero da sprechi e inefficienze, rimane indispensabile un forte rilancio del finanziamento pubblico per raggiungere la cifra stimata.

«Questi dati – ha esordito Cartabellotta – seppure non devono essere letti come la conseguenza di un piano occulto di smantellamento e privatizzazione del SSN, testimoniano indubbiamente l’assenza di un preciso programma politico per il suo salvataggio, confermata anche dalla recente analisi dei programmi elettorali condotta dalla Fondazione GIMBE».

Impressionante la quantità di numeri snocciolati dal Presidente: dal definanziamento pubblico alle diseguaglianze regionali, dalla composizione della spesa privata alla mobilità sanitaria, dai ticket alle addizionali regionali IRPEF, dalla spesa per il personale agli sprechi, che restituiscono un quadro allarmante in cui il nostro SSN si sta inesorabilmente disgregando sotto gli occhi di tutti.  

«Davanti a tinte così fosche per il futuro della sanità pubblica – ha puntualizzato Cartabellotta – dal nostro monitoraggio dei programmi elettorali emerge che nessun partito ha predisposto un piano per tutelare il SSN intervenendo sulle principali determinanti della crisi di sostenibilità: definanziamento, “paniere” LEA troppo ampio, sprechi e inefficienze, deregulation della sanità integrativa, diseguaglianze regionali e locali. Considerato che non potrà essere il futuro a prendersi cura del SSN, la Fondazione GIMBE ha dunque messo nero su bianco un dettagliato “piano di salvataggio”, la cui attuazione sarà strettamente monitorata dal nostro Osservatorio».

Ecco i 12 punti del “piano di salvataggio” proposto dalla Fondazione GIMBE:

  1. Salute al centro di tutte le decisioni politiche non solo sanitarie, ma anche industriali, ambientali, sociali, economiche e fiscali
  2. Certezze sulle risorse per la sanità: stop alle periodiche revisioni al ribasso e rilancio del finanziamento pubblico
  3. Maggiori capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni nel pieno rispetto delle loro autonomie
  4. Costruire un servizio socio-sanitario nazionale, perché i bisogni sociali sono strettamente correlati a quelli sanitari
  5. Ridisegnare il perimetro dei LEA secondo evidenze scientifiche e princìpi di costo-efficacia e rivalutare la detraibilità delle spese mediche secondo gli stessi criteri
  6. Eliminare il superticket e definire criteri nazionali di compartecipazione alla spesa sanitaria equi e omogenei
  7. Piano nazionale contro gli sprechi in sanità per recuperare almeno 1 dei 2 euro sprecati ogni 10 spesi
  8. Riordino legislativo della sanità integrativa per evitare derive consumistiche e di privatizzazione
  9. Sana integrazione pubblico-privato e libera professione regolamentata secondo i reali bisogni di salute delle persone
  10. Rilanciare le politiche per il personale e programmare adeguatamente il fabbisogno di medici, specialisti e altri professionisti sanitari
  11. Finanziare ricerca clinica e organizzativa: almeno l’1% del fondo sanitario nazionale per rispondere a quesiti rilevanti per il SSN
  12. Programma nazionale d’informazione scientifica a cittadini e pazienti per debellare le fake-news, ridurre il consumismo sanitario e promuovere decisioni realmente informate

«Senza l’attuazione di un “piano di salvataggio” di tale portata – ha concluso il Presidente – la progressiva e silente trasformazione (già in atto) di un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico verso un sistema misto sarà inesorabile, consegnando alla storia la più grande conquista sociale dei cittadini italiani. Ma se anche questo fosse il destino della sanità pubblica, il prossimo esecutivo non potrà esimersi dall’avviare una rigorosa governance della fase di privatizzazione, al fine di proteggere le fasce più deboli della popolazione e ridurre le diseguaglianze».

 


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23 febbraio 2018
Elezioni 2018: per sanità e ricerca comunque vada non sarà un successo

L’OSSERVATORIO GIMBE PUBBLICA I RISULTATI DEFINITIVI DEL FACT CHECKING SUI PROGRAMMI ELETTORALI, CONFERMANDO CHE NESSUNA FORZA POLITICA HA ELABORATO UN “PIANO DI SALVATAGGIO” DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE. I PARTITI HANNO UN’ATTENZIONE MOLTO VARIEGATA PER SANITÀ E RICERCA: NUMEROSE PROPOSTE VALIDE MA FRAMMENTATE, ALCUNE NON SOSTENIBILI, ALTRE POCO ATTUABILI, NON SOSTENIBILI O SUPERFLUE. GRANDI ASSENTI LA VALUTAZIONE DELL’IMPATTO ECONOMICO DELLE PROPOSTE E UNA VISIONE DI SISTEMA.

A 10 giorni dalle consultazioni politiche, la Fondazione GIMBE rende noti i risultati del monitoraggio indipendente delle proposte su sanità e ricerca biomedica di tutti i programmi elettorali. «Come già annunciato – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – l’analisi è stata condotta esclusivamente sui programmi ufficiali dei partiti, escludendo tutti i materiali divulgativi e le dichiarazioni rilasciate a mezzo stampa, radio, TV, social media». Ecco la sintesi delle principali proposte classificate secondo le azioni del “piano di salvataggio del SSN” elaborato della Fondazione GIMBE:

  1. Salute al centro di tutte le decisioni politiche. Il M5S propone interventi precisi su varie determinanti della salute: ambiente, alimentazione, politiche del farmaco, azzardo. Civica Popolare punta a migliorare condizioni naturali, ambientali, climatiche e abitative, oltre che vita lavorativa, economica e sociale. Proposte di incentivi per la prevenzione (Fratelli d’Italia) e per l’adozione di sani stili di vita (10 Volte Meglio). Liberi e Uguali e Siamo puntano a ridurre i fattori di rischio nell’ambiente di vita e di lavoro. 10 Volte Meglio e Stato Moderno Solidale promuovono energia pulita e lotta all’inquinamento.
  2. Certezze sulle risorse per la sanità. 10 Volte Meglio, + Europa, Popolo della Famiglia, Partito Democratico propongono un rilancio del finanziamento pubblico senza definirne l’entità. Liberi e Uguali, accanto ad un investimento di € 5 miliardi in 5 anni per rinnovamento tecnologico ed edilizia sanitaria, propone di riallineare progressivamente la spesa sanitaria pubblica alla media dei paesi dell’Europa occidentale: ma servono quasi € 90 miliardi per colmare il gap. Sinistra Rivoluzionaria vuole il “raddoppio immediato dei fondi destinati alla sanità”, ovvero € 114 miliardi subito sul piatto.
  3. Maggiori capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni nel rispetto delle autonomie. Noi con L’Italia, Partito Democratico, Partito Repubblicano Italiano-ALA e Potere al Popolo riportano solo generiche dichiarazioni per garantire i LEA su tutto il territorio nazionale. Bisogna mettere mano alla Costituzione per le proposte di +Europa (modifica della ripartizione di competenze tra Stato e Regioni), 10 Volte Meglio (revisione dell’articolo 117) e Partito Comunista (rimozione del Titolo V). + Europa propone anche di rivedere le regole su monitoraggio dei LEA e commissariamento delle Regioni. In controtendenza Forza Italia che vuole rafforzare le autonomie regionali e locali.
  4. Costruire un servizio socio-sanitario nazionale. Generiche dichiarazioni di intenti su aiuti ad anziani e disabili da Fronte Friulano, Il Popolo della Famiglia, Italia Europa Insieme e sul potenziamento dei servizi socio-sanitari dalla Lega. Ricco il programma di 10 Volte Meglio: domotica per anziani e disabili, aumento RSA, potenziamento geriatria, nuovi curricula per caregiver, promozione attività fisica e prevenzione per i disabili. Liberi e Uguali e Potere al Popolo mirano a implementare il Piano Nazionale per la non autosufficienza con l’assistenza domiciliare integrata, su cui punta anche Civica Popolare che vuole riconoscere contributi previdenziali per l’attività familiare di assistenza agli anziani, in linea con Fratelli d’Italia. Proposte d’inclusione per le persone con disabilità e i soggetti fragili da Liberi e Uguali e Potere al Popolo. Numeri solo dal Partito Democratico (€ 2 miliardi per indennità di accompagnamento) e da Fratelli d’Italia (improbabile “raddoppio” dell’assegno di invalidità che richiede oltre € 18 miliardi).
  5. Ridisegnare il perimetro dei LEA. Nessun partito affronta l’inderogabile delisting delle prestazioni incluse nei LEA: ovvio che annunciare la riduzione delle prestazioni rischia di ridurre i consensi.
  6. Eliminare il superticket e revisione normativa su ticket. Civica Popolare e Liberi e Uguali puntano ad abolire il superticket e a rivedere l’intera normativa della compartecipazione alla spesa; M5S propone di eliminare il ticket sui farmaci; Partito Comunista, Per una Sinistra Rivoluzionaria e Potere al Popolo vogliono sopprimere ogni forma di compartecipazione. Nessuna forza politica identifica come recuperare le risorse necessarie.
  7. Riduzione degli sprechi. Nessuna proposta per ridurre il sovra-utilizzo di interventi sanitari inefficaci e inappropriati. Solo il M5S propone azioni per recuperare risorse erose da fenomeni corruttivi e illeciti. Per contrastare gli sprechi da acquisti a costi eccessivi Popolo della Famiglia, Lega e M5S propongono l’applicazione dei costi standard; il Partito Democratico una nuova governance del farmaco e dei dispositivi medici tramite un ripensamento dei tetti di spesa. Numerose proposte per implementare il sotto-utilizzo di interventi sanitari efficaci e appropriati: politiche di prevenzione (Liberi e Uguali, Partito Repubblicano-ALA, Partito Valore Umano) per le quali il Partito Democratico propone sistemi premiali per le Regioni più attive, screening oncologici e nelle patologie croniche (10 Volte Meglio), promozione dei farmaci generici (Liberi e Uguali), salute mentale e della donna (10 Volte Meglio, Liberi e Uguali), assistenza ai malati terminali (Il Popolo della Famiglia). Rispetto all’incandescente dibattito mediatico sui vaccini solo due proposte nei programmi ufficiali: il Partito Democratico prevede di attuare il Piano di Prevenzione Vaccinale, il Popolo della Famiglia propone l’abrogazione dell’obbligo vaccinale. Per ridurre gli sprechi da complessità amministrative tutte le proposte si concentrano sull’informatizzazione del SSN: +Europa, Liberi e Uguali, M5S e Partito Democratico vogliono implementare fascicolo sanitario elettronico, ricette digitali, dematerializzazione di referti e cartelle cliniche, fatturazioni elettroniche, prenotazioni e pagamenti online, anagrafi vaccinali. Sull’inadeguato coordinamento dell’assistenza in pole-position la gestione delle liste d’attesa: 10 Volte Meglio e Partito Democratico puntano ad esportare l’esperienza dell’Emilia Romagna, Civica Popolare vuole inserire tra i criteri di valutazione dei direttori generali il rispetto dei tempi di attesa massimi, M5S fa leva sulla trasparenza, Potere al Popolo punta sulla regolamentazione dell’intramoenia. Rispetto all’integrazione tra ospedale e cure primarie molto ricco il programma della Lega. +Europa mira a spostare le risorse dalle cure per acuti a cronicità e disabilità. Partito Comunista e Potere al Popolo dicono stop a ridimensionamento e chiusura degli ospedali, in contrasto con il DM 70/2015 i cui obiettivi sono anche di tutelare la salute dei cittadini.
  8. Riordino legislativo della sanità integrativa. Liberi e Uguali propone “un freno alla diffusione delle polizze sanitarie nei contratti integrativi, attraverso regole più precise e/o evitando di sostenerla con la fiscalità generale”; 10 Volte Meglio suggerisce una generica regolamentazione dei € 35 miliardi di spesa privata e del secondo pilastro. Per il resto, silenzio tombale su una rilevante priorità politica.
  9. Integrazione pubblico-privato e regolamentazione libera professione. Proposte divergenti e talora poco fattibili. 10 Volte Meglio propone una “strategia di integrazione-collaborazione pubblico-privato” e sul “potenziamento dei controlli”, seppure con un improbabile allineamento retributivo degli operatori sanitari dei due comparti. Forza Italia punta su libertà di scelta e “incentivazione della competizione pubblico-privato”, antitesi della “sana integrazione” proposta da GIMBE. M5S vuole rivedere i meccanismi di accreditamento delle strutture private e quelli dell’intramoenia. Il Partito Comunista propone di vietare il doppio esercizio in strutture private e pubbliche e di abolire progressivamente le cliniche private. Per una Sinistra rivoluzionaria propone di abolire ogni finanziamento alla sanità privata e l’attività a privata all’interno delle strutture pubbliche. Potere al Popolo chiede l’uscita del privato dal business dell'assistenza sanitaria.
  10. Politiche per il personale e fabbisogno dei professionisti. Numerose proposte per la programmazione del fabbisogno (10 Volte Meglio, Lega, M5S) e su assunzioni, stabilizzazione di precari e sblocco del turnover (10 Volte Meglio, Forza Italia, Siamo, Liberi e Uguali, Partito Comunista, Potere al Popolo). Rinnovo contrattuale nelle proposte di Partito Comunista e 10 Volte Meglio. Perplessità sulle proposte del M5S su formazione specialistica del medico che nulla aggiungono a quanto già previsto dalle normative vigenti.
  11. Ricerca clinica e organizzativa. In pole position +Europa, anche se alcune proposte non riguardano solo la ricerca biomedica: 3% del PIL alla ricerca, istituzione di un’agenzia per la ricerca, bando PRIN annuale di importo ≥ al 2017, rimozione ostacoli alla ricerca scientifica su malattie rare, procreazione mediamente assistita, embrioni, biotecnologie, allineamento normativa nazionale alle direttive europee sulla sperimentazione animale. Le proposte del Partito Democratico (Technopole 2.0, credito di imposta strutturale per attività di ricerca e sviluppo), di indubbio valore per l’attrazione di fondi privati e lo sviluppo economico, hanno un ritorno incerto per la sanità pubblica.
  12. Informazione scientifica a cittadini e pazienti. Proposte solo da 10 Volte Meglio: riferimento alle evidenze scientifiche, partecipazione della popolazione alla formulazione delle politiche, lotta alla vaccine hesitancy, campagne d’informazione sulla corretta alimentazione.

«Considerato che la prossima legislatura – conclude Cartabellotta – sarà determinante per il destino della sanità pubblica, dal nostro monitoraggio emerge un quadro poco rassicurante. Per una variabile combinazione di ideologie partitiche, scarsa attenzione per la sanità e limitata di visione di sistema, nessuna forza politica è riuscita ad elaborare un “piano di salvataggio” per la sanità pubblica finalizzato a garantire a tutti i cittadini il diritto costituzionale alla tutela del nostro bene più prezioso: la salute».

Il report “Elezioni 2018: monitoraggio indipendente dei programmi elettorali su sanità e ricerca biomedica” è disponibile a: www.gimbe.org/elezioni2018


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15 febbraio 2018
Elezioni 2018: la tutela della salute continuerà a non essere uguale per tutti

PROSEGUE IL FACT CHECKING DELL’OSSERVATORIO GIMBE SULLE PROPOSTE ELETTORALI RELATIVE ALLA SANITÀ: AL DI LÀ DI GENERICHE DICHIARAZIONI DI INTENTI NESSUN PARTITO HA UN PROGRAMMA CHIARO PER RIDURRE LE DISEGUAGLIANZE REGIONALI E LOCALI CHE OGGI LEGANO IL DIRITTO ALLA TUTELA DELLA SALUTE AL CAP DI RESIDENZA, COME DIMOSTRANO I NUMERI RIPORTATI DA GIMBE

Dal punto di vista etico, sociale ed economico è inaccettabile che il diritto costituzionale alla tutela della salute, affidato ad una leale quanto utopistica collaborazione tra Stato e Regioni, sia condizionato da politiche sanitarie regionali e decisioni locali che generano diseguaglianze nell’offerta di servizi e prestazioni sanitarie, alimentano sprechi e inefficienze ed influenzano gli esiti di salute della popolazione.

«Un variegato elenco di variabilità regionali –  afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – dimostra che l’universalismo, fondamento del nostro SSN, si sta inesorabilmente disgregando sotto gli occhi di tutti, anche di una politica miope che non intende restituire agli Italiani un diritto fondamentale sancito dalla Costituzione. Ecco perché il periodo pre-elettorale è il momento giusto per condividere con i cittadini alcuni numeri inquietanti, che testimoniano come il diritto alla tutela della salute sia ormai legata al CAP di residenza da cui dipendono anche forti differenze nei “prelievi” dalle tasche dei cittadini (ticket, addizionali IRPEF)».

  • Mortalità evitabile. Nel Rapporto “Mortalità Evitabile (con intelligenza)” 2018, il Trentino Alto Adige conquista la prima posizione tra le Regioni sia per uomini che donne, mentre la Campania resta inchiodata sul fondo di entrambe le classifiche con Napoli ultima tra le province: sia per gli uomini (30 giorni pro-capite perduti, rispetto ai 18,4 di Rimini in prima posizione) che per le donne (18 giorni pro-capite perduti, rispetto ai 10,4 di Treviso in prima posizione).
  • Adempimenti livelli essenziali di assistenza (LEA). L’ultimo report del Ministero della Salute, relativo al 2015, dimostra che il punteggio massimo della Toscana (212) è esattamente il doppio di quello minimo della Campania (106). Ciò significa che a parità di risorse assegnate dallo Stato l’esigibilità dei LEA da parte dei cittadini campani è pari al 50% di quelli toscani. 
  • Programma Nazionale Esiti (PNE). Le performance ospedaliere documentate dal PNE 2017 sono un variopinto patchwork di cui è possibile cogliere anche le sfumature, perché oltre alle variabilità tra Regioni rileva quelle tra singoli ospedali. Ad esempio, la percentuale di parto cesareo primario, a fronte di una media nazionale del 24,5%, varia dal 6% al 92%; quella di interventi chirurgici entro 48 ore nei pazienti ultrasessantacinquenni con frattura di femore varia dal 3% al 97% (media nazionale 58%); la mortalità a 30 giorni dal ricovero per infarto acuto del miocardio oscilla da 0% al 21% (media nazionale 8,6%); gli interventi di colecistectomia laparoscopica con degenza post-operatoria inferiore ai 3 giorni, a fronte di una media nazionale del 72,7%, hanno un range tra i vari ospedali che varia addirittura da 0% a 100%.
  • Mobilità sanitaria. Nel 2016 vale ben € 4,16 miliardi “spostati” prevalentemente da Sud a Nord. In pole position per mobilità attiva la Lombardia con € 937,8 milioni, fanalino di coda per mobilità passiva il Lazio con -€ 542,2 milioni. Il saldo della mobilità vede sempre la Lombardia in testa con un “utile” di € 597,6 milioni e fanalino di coda la Campania con un “passivo” di € 282,5 milioni.
  • Spesa farmaceutica. Secondo il Rapporto OSMED 2016, pubblicato dall’Agenzia Italiana del Farmaco, la spesa convenzionata lorda pro-capite per i farmaci rimborsati dal SSN oscilla da € 128,77 della PA di Bolzano ai € 219,18 della Campania (media nazionale € 175,25). Quella per i farmaci acquistati dalle strutture sanitarie pubbliche da € 145,32 della Valle D’Aosta a € 240,64 della Campania (media nazionale € 195,84). La percentuale della spesa per i farmaci equivalenti, tra quelli a brevetto scaduto, varia dal 10,2% della PA di Trento al 3,9% della Calabria (media nazionale 6,2%)
  • Ticket. Le regole applicate da ciascuna Regione hanno generato una giungla inestricabile, con differenze degli importi da corrispondere per farmaci e prestazioni e delle regole per le esenzioni. Dai ticket sanitari nel 2016 le Regioni hanno incassato € 2,86 miliardi, corrispondenti a una quota pro-capite di € 47 con notevoli variabilità regionali. Per i farmaci la quota oscilla da € 33,6 della Campania a € 15 del Friuli Venezia Giulia, a fronte di una media nazionale di € 24. Per le prestazioni sanitarie, di specialistica ambulatoriale e pronto soccorso, dai € 131 della Valle D’Aosta ai € 16,7 della Campania (media nazionale € 23).
  • Addizionali regionali IRPEF. Per l’anno 2017 quelle minime oscillano dallo 0,70% del Friuli Venezia Giulia al 2,03% della Campania, mentre le addizionali massime dal 1,23% di PA di Bolzano, PA di Trento, Sardegna, Valle d'Aosta, Veneto e Friuli Venezia Giulia al 3,33% di Lazio e Campania.

Dal monitoraggio dell’Osservatorio GIMBE emerge che numerosi programmi elettorali dichiarano la volontà di risolvere le diseguaglianze regionali, richiamando l’articolo 32 della Costituzione e i princìpi di universalismo ed equità; tuttavia, le proposte concrete per garantire un accesso uniforme ai LEA da parte di tutti i cittadini sono veramente irrisorie. Non mancano addirittura programmi che, al contrario, puntano su un “rafforzamento delle autonomie locali” e su “maggiori autonomie delle Regioni”. Incomprensibili, infine, le dichiarazioni pubbliche di voler rimettere mano al Titolo V, in assenza di esplicite proposte in tal senso nel programma elettorale.

«Il prossimo esecutivo – conclude Cartabellotta – senza necessariamente mettere in campo improbabili riforme costituzionali, ha il dovere etico di trovare soluzioni tecniche per potenziare le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sui 21 sistemi sanitari regionali, nel pieno rispetto delle loro autonomie. Dal monitoraggio più analitico degli adempimenti LEA ad un ripensamento dei Piani di rientro, dal collegamento tra criteri di riparto e sistemi premianti alla diffusione delle best practice regionali, dalla idoneità della Conferenza Stato-Regioni come strumento di raccordo tra Stato ed enti territoriali alla gestione della “questione meridionale”».


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8 febbraio 2018
Elezioni 2018: per la sanità poche idee e ben confuse

DAL PRIMO FACT CHECKING DEI PROGRAMMI ELETTORALI CONDOTTO DALL’OSSERVATORIO GIMBE EMERGE UN QUADRO SCONFORTANTE, MA COERENTE CON L’ASSENZA DAL DIBATTITO PRE-ELETTORALE. NESSUNA FORZA POLITICA PREVEDE UN VERO PIANO DI SALVATAGGIO DELLA SANITÀ PUBBLICA. TROPPE PROPOSTE FRAMMENTATE A CACCIA DI CONSENSI E POCA ATTENZIONE ALLA SOSTENIBILITÀ ECONOMICA. NON MANCANO INTENZIONI NOCIVE E PROPOSTE GROTTESCHE PER LA SANITÀ PUBBLICA.

Gli evidenti segni di involuzione della sanità pubblica, confermate dalle stime del 2° Rapporto GIMBE sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), lasciano intuire che la prossima legislatura sarà determinante per il destino del SSN. Per questo, in occasione delle imminenti consultazioni elettorali, tutte le forze politiche devono essere consapevoli che è indispensabile rimettere la sanità al centro dall’agenda di Governo perché il diritto costituzionale alla tutela della salute non può essere ostaggio di ideologie partitiche.

«A 5 anni dal lancio del programma #salviamoSSN – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – abbiamo esortato tutte le forze politiche a mettere nero su bianco proposte convergenti per la sanità pubblica ed avviato il monitoraggio comparativo dei programmi elettorali, nella ferma convinzione che se è vero che non esiste un piano occulto di smantellamento e privatizzazione del SSN, è altrettanto certo che continua a mancare un preciso programma politico per il suo salvataggio».

Dal monitoraggio iniziale da parte dell’Osservatorio GIMBE emergono i primi dati, tanto significativi quanto inquietanti:

  • Quasi tutte le forze politiche affermano che la salute è un diritto fondamentale da tutelare, ma poche prendono atto della crisi di sostenibilità del SSN, che continua ad essere semplicisticamente osannato come uno dei migliori al mondo.
  • Quasi nessuno si sbilancia sulla necessità di rilanciare il finanziamento pubblico della sanità.
  • Pochi programmi enfatizzano il concetto di salvaguardare la “salute in tutte le politiche”, in particolare quelle ambientali e alimentari.
  • La sostenibilità economica delle proposte è un optional, visto che solo in rarissimi casi vengono dettagliate le relative modalità di finanziamento.
  • Nella maggior parte dei programmi echeggia la volontà di risolvere le diseguaglianze regionali, ma emergono poche strategie concrete su come garantire l’accesso uniforme ai LEA da parte di tutti i cittadini.
  • Numerosissime proposte non tengono conto delle attuali distribuzioni di responsabilità e poteri tra Stato e Regioni, rischiando di rimanere così lettera morta.
  • Nessun programma fa esplicito riferimento alla sostenibilità dei nuovi LEA, né tanto meno alla necessità – visto l’imponente definanziamento pubblico del SSN –- di ridisegnarne il perimetro attraverso un consistente sfoltimento basato sulle evidenze scientifiche. Evidentemente annunciare la riduzione delle prestazioni rimane politicamente scomodo.
  • Alcuni programmi puntano, giustamente, a prevenire comportamenti opportunistici e conflitti di interesse che, tuttavia, non configurando reato o illecito amministrativo rimangono difficilmente “governabili”.
  • Poche le proposte concrete sull’assistenza socio-sanitaria e, soprattutto, sulla non autosufficienza.
  • La programmazione del fabbisogno di medici e altri professionisti della salute è, di fatto, presa in considerazione solo da due programmi elettorali.
  • Pochi programmi identificano la riduzione degli sprechi e il riordino normativo della sanità integrativa tra le azioni prioritarie per garantire la sostenibilità del SSN.
  • Tra le proposte più gettonate: compartecipazione alla spesa (eliminazione superticket, rimodulazione/eliminazione ticket), riduzione delle liste d’attesa, nuova governance del farmaco, informatizzazione, assunzione del personale, eliminazione del precariato. Inoltre, troppi programmi sono farciti di proposte di piccolo cabotaggio, facendo sorgere il ragionevole sospetto di puntare solo a raccogliere consensi.
  • Numerosi programmi contengono proposte potenzialmente “tossiche” che minano i princìpi di universalismo ed equità del SSN: dalla “incentivazione alla competizione pubblico-privato” alla “difesa dei piccoli presidi ospedalieri”, dal “rafforzamento delle autonomie locali” alle maggiori autonomie delle Regioni.
  • Non mancano infine proposte bizzarre che sconfinano nel grottesco: da chi promette “un milione di posti di lavoro in sanità e assistenza sociale e domiciliare” a chi il “raddoppio immediato dei fondi destinati alla sanità” o la “nazionalizzazione sotto controllo dei lavoratori dell’industria farmaceutica”; da chi invoca “l’abolizione di ogni finanziamento alla sanità privata” sino addirittura a “l’uscita del privato dalla sanità”.

Da questo primo carotaggio sui programmi elettorali emerge che nessun partito intende rimettere la sanità al centro dell’agenda politica, visto che non si intravede alcun “piano di salvataggio” del SSN coerente con le principali determinanti della crisi di sostenibilità: definanziamento, “paniere” LEA troppo ampio, sprechi e inefficienze, deregulation della sanità integrativa, diseguaglianze regionali e locali.

«Al di là delle dichiarazioni di intenti – conclude Cartabellotta – dalla nostra analisi emerge per l’elettore un amletico dubbio: coloro che aspirano a governare il nostro Paese hanno una conoscenza davvero così limitata dello “stato di salute” della sanità pubblica? Oppure ne hanno piena consapevolezza, ma preferiscono utilizzare armi di distrazioni di massa sperando che sia il futuro a prendersi cura del SSN?».


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29 gennaio 2018
Tutela della salute, stop alle contrapposizioni: alla sanità servono più stato e più regioni

UNA RINNOVATA GOVERNANCE DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE NON PUÒ CONTINUARE AD AVVITARSI SULLA CONTRAPPOSIZIONE TRA CENTRALISMO E REGIONALISMO SCARICANDO SUI CITTADINI IL CONFLITTO ISTITUZIONALE TRA POLI SEMPRE PIÙ INDEBOLITI. SERVE UN NUOVO PATTO TRA GOVERNO E REGIONI CHE ABBIA REALMENTE AL CENTRO LA SALUTE DELLE PERSONE.

La Winter School 2018 di Motore Sanità (Como, 24-26 gennaio) ha offerto il palcoscenico ad un costruttivo dibattito su un tema di estrema rilevanza sociale, etica, politica ed economica, ovvero la riorganizzazione del servizio sanitario nazionale tra centralismo e regionalismo, in un contesto caratterizzato da un cocktail potenzialmente letale per la sanità pubblica:  imponente definanziamento pubblico contestuale alla revisione “al rialzo” dei nuovi LEA, boom della spesa privata complice una sanità integrativa ipotrofica e poco regolamentata, sprechi e consumismo sanitario alimentato da aspettative irrealistiche di cittadini e pazienti scarsamente alfabetizzati.

«Dal un punto di vista etico, sociale ed economico ha affermato Nino Cartabellotta – Presidente della Fondazione GIMBE e coordinatore della sessione insieme ad Angelo Lino del Favero, Direttore Generale dell’Istituto Superiore di Sanità – è inaccettabile che il diritto costituzionale alla tutela della salute, affidato ad una leale quanto utopistica collaborazione tra Stato e Regioni, sia condizionato da politiche sanitarie regionali e decisioni locali che generano diseguaglianze nell’offerta di servizi e prestazioni sanitarie, alimentano sprechi e inefficienze e, soprattutto, influenzano gli esiti di salute della popolazione».

Cartabellotta ha snocciolato un inquietante elenco di variabilità regionali dimostrando che l’universalismo, pilastro fondante del nostro servizio sanitario nazionale, si sta inesorabilmente disgregando: dagli adempimenti dei livelli essenziali di assistenza alle performance ospedaliere secondo il programma nazionale esiti, dalla dimensione delle aziende sanitarie alla capacità di integrazione pubblico-privato, dal variegato contributo dei fondi sanitari integrativi a quello delle polizze assicurative, dalla disponibilità di farmaci innovativi all’uso di farmaci equivalenti, dalla governance della libera professione e delle liste di attesa alla giungla dei ticket, dalle eccellenze ospedaliere del Nord alla desertificazione dei servizi territoriali nel Sud, dalla mobilità sanitaria alle diseguaglianze sugli stili di vita, dai requisiti minimi di accreditamento delle strutture sanitarie allo sviluppo delle reti per patologia.

«Siamo di fronte a 21 sistemi sanitari regionali – ha puntualizzato il Presidente  – liberi di declinare in maniera eterogenea l’offerta di servizi e prestazioni davanti ad uno Stato che si limita ad assegnare le risorse e verifica l’adempimento dei LEA con una “griglia” capace di catturare solo macro-diseguaglianze. E i Piani di rientro per le Regioni inadempienti, guidati più da esigenze finanziarie che dalla necessità di riorganizzare i servizi, hanno scaricato sui cittadini servizi sanitari peggiori con nefaste conseguenze sull’aspettativa di vita, addizionali IRPEF più elevate per risanare i conti regionali  e necessità di curarsi altrove».

Nel 2016 la mobilità sanitaria ha spostato oltre 4,15 miliardi di euro, prevalentemente dal Sud al Nord: ma se le spese sono a carico del SSN, i costi che i cittadini devono sostenere per viaggi, disagi e quelli indiretti per il Paese sono enormemente più elevati. Senza contare che la mobilità sanitaria non traccia la mancata esigibilità dei LEA territoriali e soprattutto socio-sanitari, diritti che appartengono alla vita quotidiana e non alla occasionalità di un intervento chirurgico.

Il Prof. Renato Balduzzi – membro del Consiglio Superiore della Magistratura e già Ministro della Salute – nella sua lectio magistralis ha sapientemente smontato la teoria che vede le diseguaglianze regionali esclusivamente figlie della Riforma del Titolo V del 2001 , dichiarando con fermezza che oggi «il servizio sanitario nazionale ha bisogno di più Stato e di più Regioni». Dopo la bocciatura del referendum costituzionale, nessun passo in avanti è stato fatto per migliorare la governance di 21 differenti sistemi sanitari, anzi si sono moltiplicate le richieste di maggiore autonomia da parte delle Regioni che, a giudizio di Balduzzi «difficilmente potranno essere legittimate dalla Corte Costituzionale».

Dal palco numerosi direttori generali di aziende sanitarie, rappresentanti del mondo professionale e cittadini hanno convenuto sulla necessità di soluzioni politiche e organizzative per rendere più omogenea l’esigibilità dei livelli essenziali di assistenza su tutto il territorio nazionale, valorizzando le migliori esperienze regionali, in particolare le reti per patologie e i sistemi informativi in grado di valutare in tempo reale i bisogni di salute della popolazione.

«Una rinnovata governance del servizio sanitario nazionale – ha concluso Cartabellotta – non può continuare ad avvitarsi sulla contrapposizione tra centralismo e regionalismo scaricando sui cittadini il conflitto istituzionale tra poli sempre più indeboliti. Ecco perché il prossimo esecutivo, senza necessariamente passare attraverso riforme costituzionali, ha il dovere etico di trovare soluzioni tecniche per potenziare le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sui 21 sistemi sanitari regionali, nel pieno rispetto delle loro autonomie: dal monitoraggio più analitico degli adempimenti LEA ad una riforma dei Piani di rientro, dalla revisione dei criteri di riparto collegati a sistemi premianti a cascata alla diffusione virtuosa delle best practice regionali, dalla idoneità della Conferenza Stato-Regioni come strumento di raccordo tra Stato ed enti territoriali alla gestione della “questione meridionale”».


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17 gennaio 2018
Ospedale, non sempre il posto migliore dove curarsi

CON L’EPIDEMIA INFLUENZALE TORNA ALLA RIBALTA LA SPINOSA QUESTIONE DEL SOVRAFFOLAMENTO DEL PRONTO SOCCORSO E DEI RICOVERI OSPEDALIERI INAPPROPRIATI. DAL POSITION STATEMENT DELLA FONDAZIONE GIMBE LE MIGLIORI EVIDENZE SCIENTIFICHE SULLE ALTERNATIVE PER GESTIRE MALATTIE ACUTE A BASSO RISCHIO FUORI DALL’OSPEDALE IN MANIERA EFFICACE, SICURA E A COSTI MINORI

In Italia, in particolare nelle Regioni del Centro-Sud, la mancanza di un’adeguata rete di servizi sul territorio e una cultura centrata sull’ospedale portano molti cittadini a recarsi in ospedale anche per condizioni acute non gravi, aumentando il numero di accessi inappropriati e contribuendo al collasso dei pronto soccorso, come sta accadendo proprio in questi giorni in occasione del picco dell’epidemia influenzale. La stessa riorganizzazione della rete ospedaliera, secondo le regole definite dal DM 70/2015, sta avvenendo in maniera molto disomogenea e frammentata, perché in alcune aree del paese esiste una vera e propria desertificazione nell’offerta di servizi territoriali: strutture intermedie, assistenza domiciliare, lungodegenza e riabilitazione, hospice.

«Una moderna assistenza sanitaria – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – dovrebbe essere riorganizzata secondo il principio dell’intensità di cura, offrendo una rete integrata di servizi costruita sui reali bisogni del paziente. In altre parole, per migliorare l’appropriatezza organizzativa, il paziente deve essere assistito “nel posto giusto” per risolvere in maniera efficace e sicura i suoi problemi di salute, ma al tempo stesso il sistema sanitario deve investire la “giusta” quantità di risorse economiche».

«Oggi numerose patologie acute a basso rischio – continua il Presidente – continuano ad essere gestite in ospedale, a dispetto dei progressi in ambito biotecnologico e di modelli innovativi di erogazione dell’assistenza che stanno modificando i percorsi diagnostico-terapeutici. Considerato che la letteratura sulle strategie alternative all’ospedalizzazione è molto frammentata e gli studi si limitano a singole patologie, abbiamo analizzato tutte le revisioni sistematiche rilevanti per fornire a decisori, professionisti e pazienti una mappa aggiornata delle evidenze scientifiche, riportando i risultati in termini di mortalità, morbilità, esperienza di pazienti e caregiver e costi».

Secondo le evidenze sintetizzate nel Position Statement GIMBE per varie patologie acute a basso rischio, convenzionalmente trattate in ospedale, l’assistenza può essere erogata in maniera altrettanto efficace e sicura in setting meno costosi con un impatto favorevole, o invariato, sulla soddisfazione dei pazienti. In particolare:

  • La gestione ambulatoriale, più o meno intensiva, dopo avvio del percorso in ospedale non presenta differenze statisticamente significative in termini di mortalità, morbilità e soddisfazione del paziente per embolia polmonare, trombosi venosa profonda, polmonite, pneumotorace, diverticolite, colica renale.
  • Per le unità di diagnosi rapida, finalizzate ad effettuare rapidamente la diagnosi di alcune malattie (es. neoplasie, anemia di origine sconosciuta) evidenze più limitate dimostrano una riduzione della mortalità e un’elevata soddisfazione dei pazienti.
  • Per l’ospedale a domicilio, in cui l’assistenza ospedaliera viene erogata a livello domiciliare, numerose condizioni acute (riacutizzazione di scompenso cardiaco e BPCO, polmonite, urosepsi, cellulite, embolia polmonare, fibrillazione atriale, asma) presentano mortalità, morbilità e soddisfazione di pazienti e caregiver migliori o uguali.
  • Nelle unità di osservazione breve intensiva (OBI), dove il paziente viene gestito in spazi dedicati generalmente all’interno del dipartimento di emergenza, nessuna differenza di mortalità per dolore toracico, asma, BPCO, pielonefrite, a fronte di una riduzione della durata della degenza e un’aumentata soddisfazione del paziente.
  • I dati relativi ai costi sono eterogenei ma, quando valutati, hanno rilevato un risparmio nella quasi totalità dei casi, per tutte le strategie alternative al ricovero ospedaliero.

«Auspichiamo – conclude Cartabellotta – che le politiche sanitarie tengano in considerazione le raccomandazioni del Position Statement GIMBE, sia per l’aggiornamento periodico degli elenchi dei DRG inappropriati in regime di ricovero ordinario, sia per guidare la riorganizzazione dei servizi sanitari regionali, sia per avviare studi finalizzati a monitorare efficacia e sicurezza delle strategie alternative al ricovero nelle patologie dove mancano robuste evidenze».

Il Position Statement “Modelli organizzativi alternativi al ricovero ospedaliero per i pazienti con malattie acute” è disponibile a: www.evidence.it/alternative-ricovero.


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9 gennaio 2018
Elezioni 2018: la salute delle persone al centro dei programmi politici

IL DIRITTO COSTITUZIONALE ALLA TUTELA DELLA SALUTE NON PUÒ ESSERE CONDIZIONATO DA IDEOLOGIE PARTITICHE, MA DEVE ESSERE GARANTITO A TUTTE LE PERSONE SIA PER IL LORO BENESSERE, SIA PER LA RIPRESA ECONOMICA DEL PAESE. TUTTI I PROGRAMMI DELLE FORZE POLITICHE PROTAGONISTE DELLE IMMINENTI CONSULTAZIONI ELETTORALI SOTTO LA LENTE DELL’OSSERVATORIO GIMBE PER UN’ANALISI DELLE PROPOSTE RELATIVE A SANITÀ, WELFARE E RICERCA. I RISULTATI SARANNO RESI PUBBLICI ALLA VIGILIA DELLE ELEZIONI IN OCCASIONE DELLA 13a CONFERENZA NAZIONALE GIMBE.

Lo scioglimento delle Camere da parte del Presidente Mattarella ha segnato la fine della XVII legislatura, che per la sanità è stata caratterizzata da un insolito paradosso. Da un lato, un’intensa attività legislativa e programmatoria ha posto numerose pietre miliari: dal decreto sui nuovi LEA alla legge sulla responsabilità professionale, dal decreto sull’obbligo vaccinale all’albo nazionale per i direttori generali, dal patto per la sanità digitale ai fondi per i farmaci innovativi, dal Piano Nazionale della Cronicità a quelli della Prevenzione e della Prevenzione vaccinale, dagli standard ospedalieri al decreto sui piani di rientro degli ospedali, dal biotestamento all’approvazione al fotofinish del DDL Lorenzin. Dall’altro, la legislatura è trascorsa sotto il segno di un imponente definanziamento che, oltre a determinare una progressiva retrocessione rispetto ad altri paesi Europei, sta mettendo seriamente a rischio l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza, ma soprattutto testimonia uno scollamento tra le esigenze di finanza pubblica e la programmazione sanitaria. Inoltre, dopo la bocciatura del referendum costituzionale, nessun passo in avanti è stato fatto per migliorare la governance di 21 differenti sistemi sanitari, anzi si sono moltiplicate le richieste di maggiore autonomia da parte delle Regioni.

«L’entusiasmo per i numerosi traguardi raggiunti – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – rischia di appannare i sempre più evidenti segnali d’involuzione della sanità pubblica e del sistema di welfare, in particolare in alcune aree del Paese e per le fasce socio-economiche più deboli. Considerato che la prossima legislatura sarà determinante per il destino del servizio sanitario nazionale, tutte le forze politiche devono essere consapevoli che estromettere la sanità dall’agenda di Governo non compromette solo la salute, ma soprattutto la dignità e la capacità dei cittadini di realizzare ambizioni e obiettivi che la stessa politica dovrebbe identificare come il ritorno degli investimenti in sanità».

Ecco perché, a 5 anni dal lancio del programma #salviamoSSN, la Fondazione GIMBE esorta tutte le forze politiche impegnate nelle imminenti consultazioni elettorali a mettere nero su bianco proposte convergenti per la sanità pubblica «perché – precisa Cartabellotta – se è vero che non esiste un piano occulto di smantellamento e privatizzazione del SSN, è certo che non esiste un preciso programma politico per il suo salvataggio».

Dal Rapporto GIMBE sulla sostenibilità del SSN e dalla successiva consultazione pubblica, ecco alcune proposte utili a tutte le forze politiche perché, indipendentemente dall’esito delle consultazioni, il prossimo esecutivo  ha il dovere di avviare un concreto “piano di salvataggio” del SSN:

  • mettere sempre la salute al centro di tutte le decisioni politiche (health in all policies)
  • offrire ragionevoli certezze sulle risorse destinate alla sanità, mettendo fine alle periodiche revisioni al ribasso e rilanciando in maniera graduale e costante il finanziamento pubblico
  • rimodulare il perimetro dei LEA al fine di garantire a tutte le persone servizi e prestazioni sanitarie ad elevato value, destinare quelle dal basso value alla spesa privata e impedire l’erogazione di prestazioni dal value negativo
  • ridefinire i criteri di compartecipazione alla spesa sanitaria e gli oneri detraibili a fini IRPEF, tenendo conto del value delle prestazioni sanitarie
  • avviare un piano nazionale di prevenzione e riduzione degli sprechi, per disinvestire e riallocare almeno 1 dei 2 euro sprecati ogni 10 spesi
  • attuare un riordino legislativo della sanità integrativa
  • potenziare le capacità di indirizzo e verifica del Ministero della Salute sulle Regioni
  • rilanciare le politiche per il personale: rinnovi contrattuali, assunzioni, stabilizzazioni
  • destinare almeno l’1% del fondo sanitario nazionale alla ricerca comparativa indipendente

In assenza di un programma politico di tale portata, la progressiva e silente trasformazione (già in atto) di un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico verso un sistema misto sarà inesorabile, consegnando alla storia la più grande conquista sociale dei cittadini italiani. «Ma se anche questo fosse il destino già segnato per il SSN – continua il Presidente – il prossimo esecutivo non potrà esimersi dall’avviare una rigorosa governance della fase di privatizzazione, al fine di proteggere le fasce più deboli della popolazione e ridurre le diseguaglianze».

«Come Fondazione GIMBE – conclude Cartabellotta – abbiamo il mandato etico di analizzare in maniera indipendente le criticità del servizio sanitario e di proporre soluzioni per la sua sostenibilità: ecco perché nell’ambito delle attività dell’Osservatorio GIMBE, i programmi elettorali di tutte le forze politiche saranno oggetto di analisi comparativa sulle proposte relative a sanità, welfare e ricerca, perché riteniamo che il nostro slogan “salute prima di tutto, sanità per tutti” sia condicio sine qua non, oltre che per il benessere delle persone, anche per la ripresa economica del Paese».

I risultati del monitoraggio saranno resi pubblici il 2 marzo 2018 a Bologna, in occasione della 13a Conferenza Nazionale GIMBE.


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18 dicembre 2017
Endometriosi: un rebus diagnostico dall’enorme impatto clinico, sociale ed economico

RITARDO NELLA DIAGNOSI, INFORMAZIONI TERAPEUTICHE NON SEMPRE ADEGUATE E ASSISTENZA FRAMMENTATA PER UNA MALATTIA SPESSO INVALIDANTE CHE INTERESSA IN ITALIA CIRCA 3 MILIONI DI DONNE E GENERA RILEVANTI COSTI SANITARI E SOCIALI. LA FONDAZIONE GIMBE PUBBLICA LA SINTESI ITALIANA DELLE LINEE GUIDA DEL NATIONAL INSTITUTE FOR HEALTH AND CARE EXCELLENCE PER GUIDARE LA PRATICA CLINICA, RIORGANIZZARE I PERCORSI DIAGNOSTICO-TERAPEUTICI-ASSISTENZIALI E INFORMARE CORRETTAMENTE LE DONNE

Anche se l’assenza di un registro nazionale per l’endometriosi non permette stime precise, in Italia le donne affette da questa patologia potrebbero raggiungere i 3 milioni, circa il 10% di quelle in età fertile. L’endometriosi si manifesta con dolore pelvico, mestruazioni molto dolorose, disturbi gastrointestinali o urinari durante il ciclo mestruale e riduzione della fertilità: infatti, circa il 30-40% di donne affette da endometriosi è sterile. L’assistenza alle donne con endometriosi è molto frammentata: in assenza di percorsi multidisciplinari standardizzati in grado di integrare cure primarie e assistenza specialistica, la variabilità degli approcci diagnostico-terapeutici non garantisce esiti ottimali e genera sprechi da sovra e sotto-utilizzo di test diagnostici e trattamenti.

Recentemente, i nuovi livelli essenziali di assistenza hanno inserito l’endometriosi nell’elenco delle patologie croniche e invalidanti: questo garantisce alle donne con gli stadi più avanzati di malattia l’esenzione per alcune prestazioni diagnostiche, mentre le terapie efficaci per ridurre la sintomatologia dolorosa (trattamenti ormonali, analgesici) rimangono a carico delle pazienti.

«Troppe donne – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – rimangono ancora senza diagnosi per molti anni, con peggioramento della qualità di vita, progressione della malattia e peregrinazioni tra consulti specialistici e indagini diagnostiche non sempre appropriate. Ecco perché la prima grande sfida è diagnosticare una malattia spesso non “sospettata”, identificando precocemente segni e sintomi sin dai primi consulti, in particolare nelle adolescenti».

Le linee guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE) – disponibili in italiano grazie alla traduzione della Fondazione GIMBE – forniscono raccomandazioni cliniche sia per la diagnosi, sia per il trattamento dell’endometriosi: dai segni e sintomi che generano il sospetto di malattia ai criteri di appropriatezza di test diagnostici (ecografia, risonanza magnetica, laparoscopia), dalle consulenze specialistiche ai trattamenti (analgesici, terapia ormonale, chirurgia).

L’endometriosi è una malattia dove i dati clinici sono molto più rilevanti e significativi dei risultati dei test diagnostici: ad esempio, anche la risonanza magnetica è spesso negativa ed è raccomandata solo per valutare l’estensione dell’endometriosi profonda dell’intestino; analogamente il marker CA-125 è poco accurato per i numerosi risultati falsi positivi e falsi negativi.

«Le donne con diagnosi di endometriosi – continua il Presidente – spesso non ricevono informazioni adeguate sulla loro malattia, mentre per loro è fondamentale conoscere l’impatto clinico, sessuale, psicologico e sociale della malattia, al fine di effettuare scelte terapeutiche informate. Di conseguenza, la seconda grande sfida per i medici è quella di fornire informazioni personalizzate sulla base di aspettative e preferenze individuali e flessibili al tempo stesso».

Le linee guida NICE definiscono anche precisi requisiti tecnologici e professionali per l’erogazione dei percorsi diagnostico-terapeutici, sottolineando la necessità di offrire cure integrate e coordinate sotto il segno dell’approccio multiprofessionale e multidisciplinare: dal medico di medicina generale ai consultori, dai servizi di ginecologia sino ai centri specializzati per l’endometriosi, in Italia purtroppo ancora un lontano miraggio.

«L’approccio diagnostico-terapeutico dell’endometriosi – conclude Cartabellotta – presenta ampi margini di miglioramento: in particolare, riconoscere la presentazione clinica ai fini di una diagnosi precoce, informare adeguatamente le donne sulle possibili opzioni terapeutiche e costruire una rete integrata di servizi rappresentano obiettivi irrinunciabili per migliorare gli esiti clinici e il benessere delle donne, oltre che per ridurre i costi diretti e indiretti della malattia».

Le “Linee guida per la diagnosi e il trattamento dell’endometriosi” sono disponibili a: www.evidence.it/endometriosi


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30 novembre 2017
Sanità pubblica sull'orlo del baratro: fuori le proposte politiche per salvare il SSN

DAL PALCO DEL FORUM RISK MANAGEMENT DI FIRENZE, LA FONDAZIONE GIMBE ANALIZZA L’IMPONENTE DEFINANZIAMENTO DEL LUSTRO 2014-2018, METTE IN FILA LE CRITICITÀ CHE STANNO AFFONDANDO LA SANITÀ PUBBLICA E RICHIAMA TUTTE LE FORZE POLITICHE A INSERIRE NEI PROGRAMMI ELETTORALI PROPOSTE CONCRETE SU SANITÀ, WELFARE E RICERCA PERCHÉ LA PROSSIMA LEGISLATURA È DAVVERO L’ULTIMA SPIAGGIA PER SALVARE IL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE

30 novembre 2017 - Fondazione GIMBE, Bologna

Nell’ambito della 12a edizione del Forum Risk Management, Nino Cartabellotta – Presidente della Fondazione GIMBE – ha aperto la sessione “Crisi dell’universalismo e sostenibilità del sistema sanitario nazionale: i cambiamenti e le riforme possibili”, insieme a Federico Spandonaro  (Università Tor Vergata) e Federico Lega (Università Bocconi).

Durissimi i toni sulla Legge di Bilancio 2018: «Nessuno si aspettava miracoli per la sanità, ma il rinnovo di contratti e convenzioni e l’eliminazione del superticket rappresentavano il segnale minimo che la sanità, seppur ai margini, ha ancora diritto di cittadinanza nell’agenda politica». Invece, l’ultimo atto prima dello scioglimento delle Camere chiude un annus horribilis, in cui la sanità ha collezionato solo “segni meno”: dal DEF che ha previsto una riduzione del rapporto tra spesa sanitaria e PIL dal 6,7% del 2017 al 6,4% nel 2019 al DM 5 giugno 2017 che ha ridotto il fabbisogno sanitario nazionale di € 423 milioni per il 2017 e di € 604 milioni per l’anno 2018 e successivi; dalla nota di aggiornamento al DEF che nel 2020 fa precipitare al 6,3% il rapporto tra spesa sanitaria e PIL alla Legge di Bilancio 2018 che il Governo ha varato senza alcuna misura rilevante per la sanità e, verosimilmente, con € 300 milioni in meno perché l’ennesimo contributo delle Regioni alla finanza pubblica finirà per gravare sulle spalle del SSN.

«Volge al termine l’era in cui il Ministro Lorenzin ha combattuto con grande entusiasmo per il SSN – ha sottolineato il Presidente – ma a dispetto della  sua determinazione i numeri documentano senza appello che per la sanità pubblica la legislatura ha portato con sé un definanziamento senza precedenti. Questo dimostra che l’impegno del Ministro della Salute non basta quando la programmazione sanitaria è subordinata a quella finanziaria e le Regioni non remano sempre in maniera sincrona». Ripercorrendo l’enorme mole di numeri di 5 anni di legislatura tra finanziamenti programmati dai DEF, fondi assegnati dalle Leggi di Bilancio, tagli e contributi alla finanza pubblica a carico delle Regioni, Cartabellotta ha ribadito poche inquietanti certezze per il futuro del SSN:

  • Il finanziamento pubblico formalmente è aumentato di quasi € 7 miliardi: dai 107,01 miliardi del 2013 ai 114 del 2018, ma quelli sopravvissuti sono  5,968 che rischiano di scendere a 5,668.
  • Nel periodo 2015-2018 l’attuazione degli obiettivi di finanza pubblica ha determinato, rispetto ai livelli programmati, una riduzione cumulativa del finanziamento del SSN di € 11,54 miliardi.
  • La spesa sanitaria dal 2010 al 2016 è diminuita in media dello 0,1% annuo.
  • L’anno 2018 è l’esempio perfetto per comprendere il concetto di definanziamento progressivo: la spesa sanitaria stimata per il 2018 dal DEF 2014 in € 121,3 miliardi precipita a € 117,7 miliardi nel DEF 2015 per poi essere ulteriormente ridotta a € 116,2 miliardi nel DEF 2016 e a € 115,1 miliardi nel DEF 2017; il finanziamento nominale per il 2018 dai € 115 miliardi fissati dall’Intesa 11 febbraio 2016 viene ridotto a € 114 miliardi dalla Legge di Bilancio 2017 ai € 113,39 miliardi dal DM 5 giugno 2017 e rischia di lasciare per strada altri € 300 milioni con la Legge di Bilancio 2018.
  • Le previsioni a medio termine non lasciano intravedere alcuna luce alla fine del tunnel: infatti, la nota di aggiornamento del DEF 2017, nonostante certifichi una crescita del PIL del 1,5% per gli anni 2017-2019, riduce progressivamente il rapporto tra spesa sanitaria e PIL dal 6,6% del 2017 al 6,5% del 2018, al 6,4% nel 2019, sino al 6,3% nel 2020.

«Considerato che la prossima legislatura è l’ultima spiaggia per salvare il SSN – ha precisato Cartabellotta – la Fondazione GIMBE esorta tutte le forze politiche a mettere nero su bianco proposte concrete per la sanità pubblica, perché se è vero che non esiste un piano esplicito di smantellamento e privatizzazione del SSN, è altrettanto certo che manca un piano esplicito per il suo salvataggio». Come già riportato nel 2° Rapporto GIMBE sulla sostenibilità del SSN, questo piano deve prevedere alcune azioni fondamentali:

  • offrire ragionevoli certezze sulle risorse destinate alla sanità, mettendo fine alle annuali revisioni al ribasso rispetto alle previsioni e soprattutto con un graduale rilancio del finanziamento pubblico;
  • rimodulare i LEA sotto il segno del value, per garantire a tutti i cittadini servizi e prestazioni sanitarie ad elevato value, destinando quelle dal basso value alla spesa privata e impedendo l’erogazione di prestazioni dal value negativo;
  • ridefinire i criteri di compartecipazione alla spesa sanitaria e gli oneri detraibili a fini IRPEF, tenendo conto anche del value delle prestazioni sanitarie;
  • attuare un riordino legislativo della sanità integrativa;
  • avviare un piano nazionale di prevenzione e riduzione degli sprechi, al fine di disinvestire e riallocare almeno 1 dei 2 euro sprecati ogni 10 spesi;
  • mettere sempre la salute al centro di tutte le decisioni (health in all policies).

«Se la Fondazione GIMBE – conclude Cartabellotta – ha il mandato istituzionale ed etico di analizzare le criticità del SSN e proporre soluzioni per la sua sostenibilità, deve necessariamente passare al setaccio posizioni e intenzioni di tutte le forze politiche. Ecco perché nell’ambito delle attività dell’Osservatorio GIMBE per la sostenibilità del SSN, tutti i programmi elettorali saranno oggetto di analisi scrupolosa rispetto alle proposte relative a sanità, welfare e ricerca, perché, indipendentemente dalle ideologie partitiche, il diritto costituzionale alla tutela della salute deve essere garantito a tutti cittadini ed è condicio sine-qua-non, oltre che per il benessere delle persone, anche per la ripresa economica del Paese».


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20 novembre 2017
Cannabis per il dolore cronico: tante speranze, poche evidenze

CON IL DDL S.2947 IN DIRITTURA DI ARRIVO, LA FONDAZIONE GIMBE RACCOGLIE E SINTETIZZA LE EVIDENZE SCIENTIFICHE SU BENEFICI E RISCHI DELLA CANNABIS, IDENTIFICA LE AREE PER LA RICERCA FUTURA E INVITA A NON ALIMENTARE IN MANIERA IRREALISTICA LE ASPETTATIVE DEI PAZIENTI. OGGI SOLO LIMITATE EVIDENZE DIMOSTRANO CHE LA CANNABIS RIDUCE IL DOLORE NEUROPATICO, MA SU ALTRI TIPI DI DOLORE PROVE DI EFFICACIA INSUFFICIENTI. POCHE CERTEZZE ANCHE SUI RISCHI: VEROSIMILE AUMENTO DI EFFETTI AVVERSI SU FUNZIONI COGNITIVE, SALUTE MENTALE E RISCHIO DI INCIDENTI, MA EVIDENZE INSUFFICIENTI SUL RISCHIO CARDIOVASCOLARE E DI TUMORI.

Dal 14 dicembre 2016 è disponibile in Italia, per la prescrizione di preparazioni magistrali, la cannabis FM2 prodotta dallo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze e contenente tetraidrocannabinolo (THC) e cannabidiolo (CBD). Lo scorso 22 febbraio il Ministero della Salute ha emanato una circolare con le informazioni necessarie a medici e farmacisti per la preparazione e l’utilizzo della cannabis FM2. Tra le indicazioni, “l’analgesia in patologie che implicano spasticità associata a dolore (sclerosi multipla, lesioni del midollo spinale) resistente alle terapie convenzionali” e “l’analgesia nel dolore cronico (con particolare riferimento al dolore neurogeno) in cui il trattamento con antinfiammatori non steroidei o con farmaci cortisonici o oppioidi si sia rivelato inefficace”. La circolare sottolinea che “la cannabis […] è un trattamento sintomatico di supporto a quelli standard, quando questi non hanno prodotto gli effetti desiderati o hanno provocato effetti secondari non tollerabili o necessitano di incrementi posologici che potrebbero determinare effetti collaterali”.

«Diverse motivazioni – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – ci hanno indotto a realizzare il Position Statement “Uso terapeutico della cannabis nel dolore cronico: efficacia ed effetti avversi”. Innanzitutto, il dolore cronico è l’indicazione che dal punto di vista epidemiologico ha il maggior impatto sulle necessità terapeutiche e, di conseguenza, sulla produzione di cannabis; in secondo luogo, i medici saranno sempre più spesso chiamati a discutere di benefici e rischi della cannabis con i loro pazienti, tenuti a rilasciare un consenso informato scritto; infine, le evidenze scientifiche sono estremamente frammentate e non disponiamo di una mappa delle conoscenze per guidare decisioni dei medici e scelte dei pazienti, orientare la conduzione di ulteriori studi e fornire alle Istituzioni elementi oggettivi per stimare il fabbisogno nazionale di cannabis».

A seguito di un rigoroso processo di ricerca e selezione della letteratura, che ha incluso 13 revisioni sistematiche e 62 studi, il Position Statement GIMBE ha concluso che negli adulti con dolore cronico le evidenze sui potenziali benefici e rischi della cannabis terapeutica sono ancora esigue.

«Limitate evidenze scientifiche – puntualizza il Presidente – dimostrano che i preparati a base di cannabis con contenuto standardizzato di THC-CBD possono alleviare il dolore neuropatico, ma le prove di efficacia sono insufficienti nei pazienti con altri tipi di dolore. Peraltro, la maggior parte degli studi sono di piccole dimensioni, spesso con rilevanti limiti metodologici e non conosciamo gli effetti a lungo termine perché la durata del follow-up è limitata».

Rispetto ai rischi, nei pazienti con dolore cronico la cannabis si associa al rischio di eventi avversi a breve termine: sia frequenti e lievi (es. vertigini, senso di stordimento), sia rari e severi (es. tentato suicidio, paranoia, agitazione). Tuttavia, le evidenze sui rischi della cannabis derivano soprattutto da studi condotti nella popolazione generale. Nei giovani adulti il fumo occasionale di cannabis non influenza negativamente la funzionalità polmonare sino a 20 anni di follow-up ma le evidenze sono insufficienti sul rischio di eventi cardiovascolari e di tumori. Meglio documentati, invece, i rischi per la salute mentale: l’uso di cannabis si associa allo sviluppo di sintomi psicotici e di esacerbazioni di sintomi maniacali nel disturbo bipolare; l’intossicazione acuta aumenta il rischio di incidenti con veicoli a motore e  l’utilizzo a lungo termine influenza negativamente le funzioni cognitive e si associa con una grave forma di vomito ciclico.  

«È una grande conquista sociale – conclude Cartabellotta – che l’iter del DdL S.2947 sia in dirittura di arrivo con l’obiettivo di disciplinare l’utilizzo della cannabis per uso terapeutico. Tuttavia, considerato che gli oneri della cannabis ad uso terapeutico saranno a carico del Servizio Sanitario Nazionale, non si può ignorare che nei pazienti con dolore cronico non esistono dati definitivi sulla sua efficacia  e che le informazioni sui potenziali rischi sono ancora limitate. Ecco perché, al fine di utilizzare meglio il denaro pubblico, è indispensabile sia non alimentare aspettative irrealistiche nei pazienti, sia condurre ulteriori studi nelle aree suggerite dal Position Statement GIMBE».

Il Position Statement GIMBE “Uso terapeutico della cannabis nel dolore cronico: efficacia ed effetti avversi” è disponibile a: www.evidence.it/cannabis.


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8 novembre 2017
Niente risorse alla Sanità nella Legge di Bilancio 2018: al Parlamento l’ultima occasione per rilanciare il Servizio Sanitario

IN OCCASIONE DELL’AUDIZIONE PRESSO LA 12A COMMISSIONE IGIENE E SANITÀ DEL SENATO, LA FONDAZIONE GIMBE HA IMPIETOSAMENTE SNOCCIOLATO I NUMERI DEL DEFINANZIAMENTO DELLA SANITÀ PUBBLICA, FATTO LUCE SU RESPONSABILITÀ DI GOVERNO E REGIONI PER I RINNOVI DI CONTRATTI E CONVENZIONI, FORMULATO UNA CORAGGIOSA PROPOSTA PER L’ELIMINAZIONE DEL SUPERTICKET E “LASCIATO UNA TRACCIA” PER IL RIORDINO NORMATIVO DELLA SANITÀ INTEGRATIVA.

8 novembre 2017 - Fondazione GIMBE, Bologna

Si è svolta ieri l’audizione della Fondazione GIMBE presso la 12a Commissione Igiene e Sanità del Senato della Repubblica, in vista dell’esame del Disegno di Legge di Bilancio 2018. Tenendo conto che il testo inviato al Parlamento - ad eccezione di € 21,5 milioni “assegnati” dall’art. 18 - non prevede alcuna misura per la sanità, il Presidente Nino Cartabellotta è intervenuto per rilevare l’inaccettabile entità del definanziamento pubblico, fare chiarezza sugli impegni di Stato e Regioni sulle risorse destinate ai rinnovi di contratti e convenzioni del personale sanitario, proporre l’eliminazione del superticket attraverso la rimodulazione delle detrazioni IRPEF per le spese mediche e “lasciare una traccia” per il prossimo esecutivo sull’inderogabile necessità di un riordino normativo della sanità integrativa.

Definanziamento. I dati riportati dal Presidente hanno documentato che nel periodo 2015-2018 l’attuazione degli obiettivi di finanza pubblica ha determinato una riduzione cumulativa del finanziamento del SSN di € 11,537 miliardi rispetto ai livelli programmati dai Documenti di Economia e Finanza (DEF). Cartabellotta ha riportato l’esempio paradigmatico del 2018, per il quale la spesa sanitaria stimata dal DEF 2014 in € 121,3 miliardi è precipitata a € 117,7 miliardi nel DEF 2015 per poi essere ulteriormente ridotta a € 116,2 miliardi nel DEF 2016 e a € 115,1 nel DEF 2017. Il finanziamento nominale per il 2018, invece, dai € 115 miliardi fissati dell’Intesa 11 febbraio 2016, è stato ridotto a € 114 dalla Legge di Bilancio 2017 ai € 113,39 dal DM 5 giugno 2017 sulla rideterminazione del fabbisogno del SSN e rischia di lasciare per strada altri 300 milioni con la Legge di Bilancio 2018. «Peraltro– ha precisato Cartabellotta – le previsioni a medio termine non lasciano intravedere alcun rilancio del finanziamento pubblico: infatti, se la nota di aggiornamento del DEF 2017 da un lato certifica la crescita del PIL del 1,5% per gli anni 2017-2019, dall’altro riduce progressivamente il rapporto tra spesa sanitaria e PIL dal 6,6% del 2017 al 6,5% del 2018, al 6,4% nel 2019 e addirittura al 6,3% nel 2020».

Rinnovo contratti e convenzioni. Il Presidente ha fatto chiarezza su posizioni e responsabilità di Governo e Regioni che hanno infiammato le legittime richieste sindacali in un momento storico per il rinnovo di contratti e convenzioni. Vero è che la Legge di Bilancio 2017 ha formalmente vincolato (comma 412) le somme per i rinnovi di contratti e convenzioni, ma oltre a non averle quantificate, non le ha nemmeno incluse nel comma 393 che ha vincolato un miliardo di euro a farmaci oncologici innovativi, farmaci innovativi, vaccini, assunzioni e stabilizzazioni. «Purtroppo – ha spiegato Cartabellotta – solo alcune Regioni hanno effettuato l’accantonamento previsto e oggi, di fatto, mancano all’appello sia le risorse assegnate dalla Legge di Bilancio 2017 per i rinnovi contrattuali relativi agli anni 2016 e 2017, sia quelle che la nuova Legge di Bilancio dovrebbe destinare alla quota 2018, sostanzialmente erose dal contributo di cui si sono fatte carico le Regioni a statuto ordinario: € 423 milioni nel 2017 e € 604 nel 2018». Secondo le stime riportate dal Presidente, sono necessari € 802 milioni per il rinnovo del contratto del personale dipendente relativo al triennio 2016-2018, oltre ai fondi necessari per il rinnovo del personale in regime di convenzione, il cui metodo di calcolo non è riportato dal DPCM 27 febbraio 2017.

Eliminazione superticket. Cartabellotta ha illustrato i dettagli della proposta già annunciata dalla Fondazione GIMBE per eliminare l’iniquo balzello tramite una rimodulazione delle detrazioni IRPEF per le spese mediche. «La proposta GIMBE – ha precisato Cartabellotta –  permetterebbe di recuperare circa un miliardo di euro, garantendo al tempo stesso maggiore equità sociale grazie ad una redistribuzione delle agevolazioni fiscali in relazione al reddito, trasformando la frammentata governance regionale di superticket mal disegnati in minori agevolazioni fiscali gestite a livello nazionale e favorendo l’emersione del sommerso».

Riordino sanità integrativa. In presenza di un definanziamento pubblico di tale portata, per arginare il continuo aumento della spesa out-of-pocket, che oggi ha raggiunto il 90% della spesa privata e contenere l’espansione selvaggia del mercato assicurativo, il Presidente ha suggerito due azioni integrate: ridefinire il perimetro dei LEA attraverso quel delisting programmato e mai attuato e destinare le risorse della sanità integrativa esclusivamente a prestazioni extra-LEA. Tuttavia, per non compromettere il modello universalistico, Cartabellotta ha indicato come indifferibile un riordino della normativa, oggi estremamente frammentata e iniqua. «Con la presente audizione – ha precisato Cartabellotta – intendiamo lasciare una “traccia ufficiale” per la prossima legislatura sulla necessità di un testo unico per tutte le forme di sanità integrativa al fine di pervenire a un impianto regolatorio capace di assicurare una governance nazionale, di garantire a tutti gli operatori del settore le condizioni per una sana competizione, ma soprattutto di tutelare i cittadini, evitando derive consumistiche e di privatizzazione».

«Nel 2013 – conclude Cartabellotta – la Fondazione GIMBE ha lanciato la campagna #salviamoSSN nella consapevolezza che il servizio sanitario nazionale rappresenta la più grande conquista sociale dei cittadini italiani. Constatare in questo scorcio di fine legislatura che sanità e welfare non rappresentano  una priorità politica è motivo di grande delusione, ma al tempo stesso un grande stimolo per continuare la nostra battaglia perché la salute sia al centro di tutte le politiche e si possano degnamente festeggiare i 40 anni del servizio sanitario nazionale».


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2 novembre 2017
Ecosistema delle Evidenze Scientifiche: il rivoluzionario approccio della Fondazione GIMBE

LA FONDAZIONE GIMBE HA RIUNITO IN ITALIA I MASSIMI ESPERTI MONDIALI E PRESENTATO UN APPROCCIO INNOVATIVO PER LA PRODUZIONE, SINTESI E TRASFERIMENTO DELLE EVIDENZE SCIENTIFICHE: PRODURRE MENO PUBBLICAZIONI E PIÙ EVIDENZE SCIENTIFICHE DI ELEVATA QUALITÀ, RENDERE PIÙ EFFICIENTE LA PRODUZIONE DI REVISIONI SISTEMATICHE E DI LINEE GUIDA, MIGLIORARE IL TRASFERIMENTO DELLE EVIDENZE AL FINE DI MIGLIORARE GLI ESITI DI SALUTE E RIDURRE GLI SPRECHI DA SOVRA- E SOTTO-UTILIZZO DI PRESTAZIONI

2 novembre 2017 - Fondazione GIMBE, Bologna

L’incantevole cornice di Taormina ha ospitato l’ottava edizione della International Conference for Evidence-based Health Care Teachers and Developers, organizzata dalla Fondazione GIMBE che ha messo a confronto oltre 150 tra i massimi esperti mondiali da 24 paesi di tutti i continenti sull’innovativo concetto di “ecosistema delle evidenze scientifiche”.

«25 anni dopo la nascita dell’Evidence-based Medicine (EBM) – afferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – le continue critiche nei confronti del movimento testimoniano il prezzo del successo dell’EBM, spesso manipolata e sfruttata per obiettivi meno nobili con conseguente perdita della sua reputazione».

Fortunatamente il dibattito oggi si orienta verso le reali problematiche che condizionano produzione, sintesi e trasferimento delle evidenze alla pratica dei singoli professionisti sanitari e alle decisioni relative a gruppi di pazienti o intere popolazioni.

«Accanto alla inutile e costosa duplicazione di studi sia primari che secondari (revisioni sistematiche, linee guida) – puntualizza il Presidente – persistono ampie zone grigie (assenza di evidenze) che impediscono di formulare raccomandazioni a favore o contro un intervento sanitario. Al tempo stesso, consistenti gap tra ricerca e pratica determinano esiti di salute sub-ottimali e sprechi da sovra- e sotto-utilizzo di farmaci, dispositivi, test diagnostici e altri interventi sanitari».

L’approccio proposto dalla Fondazione GIMBE è quello dell’ecosistema delle evidenze scientifiche:  «Analogamente a quanto accade negli ecosistemi naturali – spiega Cartabellotta – l’ecosistema delle evidenze è influenzato dagli esseri viventi, ovvero gli innumerevoli stakeholders che popolano il mondo della sanità e della ricerca con le loro competizioni, collaborazioni e conflitti di interesse, dall’ambiente, ovvero le determinanti sociali, culturali economiche e politiche che caratterizzano i vari contesti e dalla componente non vivente, ovvero le evidenze scientifiche attraverso i processi di produzione, sintesi e loro integrazione nelle decisioni professionali, manageriali e di politica sanitaria, oltre che nelle scelte di cittadini e pazienti».

Per ciascuno dei processi di generazione, sintesi e implementazione delle evidenze scientifiche la Fondazione GIMBE ha analizzato punti di forza e di debolezza, elaborando specifiche proposte di fronte alla platea di esperti riuniti a Taormina. La rivoluzionaria proposta della Fondazione GIMBE invita a passare dall’ approccio unidirezionale a quello bidirezionale, dove la sintesi delle evidenze, attraverso le revisioni sistematiche, deve sempre informare la decisione di condurre nuovi studi primari, oltre che interpretarli alla luce delle conoscenze già disponibili. Ma ancor di più, il trasferimento delle evidenze deve sempre informare la loro produzione e sintesi, attraverso virtuosi programmi di ricerca e sviluppo.

«Per la Fondazione GIMBE – conclude Cartabellotta - è motivo di enorme soddisfazione avere condiviso con i massimi esperti la nostra proposta: in un momento storico caratterizzato dalla crisi di sostenibilità di tutti i sistemi sanitari, è tempo di finanziare la ricerca comparativa indipendente in grado di fornire adeguate evidenze e di smetterla di rimborsare, con il denaro pubblico, interventi sanitari di efficacia non documentata.».

Il report integrale della conferenza è disponibile a: www.ebhc.org


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25 ottobre 2017
Legge di Bilancio 2018: per la sanità solo briciole e rischio nuovi tagli?

IN OCCASIONE DEL 6° HEALTHCARE SUMMIT LA FONDAZIONE GIMBE RIASSUME I DATI SUL DEFINANZIAMENTO DEL SSN E PUNTA IL DITO SULLA BOZZA DI LEGGE DI BILANCIO 2018 ALLA VIGILIA DELLA DISCUSSIONE PARLAMENTARE. SE L’UNICA RAGIONEVOLE CERTEZZA È LA SANATORIA DEL PAYBACK FARMACEUTICO, CALA IL SILENZIO SU RINNOVO DI CONTRATTI E CONVENZIONI E SULL’ELIMINAZIONE DEL SUPERTICKET E SI INTRAVEDE TRA LE RIGHE UN’AMARA CILIEGINA:  L’ULTERIORE RIDUZIONE DI 300 MILIONI DEL FINANZIAMENTO 2018.

25 ottobre 2017 - Fondazione GIMBE, Bologna

I dati analizzati dall’Osservatorio GIMBE sulla sostenibilità del SSN e riportati oggi dal presidente Nino Cartabellotta – in occasione del 6° Healthcare Summit organizzato dal Sole24Ore – confermano impietosamente che il salvadanaio della sanità pubblica in questi anni è stato oggetto di continui saccheggi per esigenze di finanza pubblica:

  • Dicembre 2016: la Legge di Bilancio 2017 definisce il fabbisogno sanitario nazionale standard: € 113 miliardi per il 2017, € 114 per il 2018 e € 115 per il 2019.
  • Aprile 2017: il Documento di Economica e Finanza (DEF) 2017 prevede che il rapporto tra spesa sanitaria e PIL diminuirà dal 6,7% del 2017 al 6,5% nel 2018 e al 6,4% nel 2019.
  • Giugno 2017: il decreto “Rideterminazione del livello del fabbisogno sanitario nazionale” riduce il finanziamento di € 423 milioni per il 2017 e di € 604 per il 2018.
  • Luglio 2017: secondo la “Relazione sulla gestione Finanziaria delle Regioni, esercizio 2015” della Corte dei Conti nel periodo 2015-2018 l’attuazione degli obiettivi di finanza pubblica ha determinato una riduzione cumulativa del finanziamento del SSN di € 10,51 miliardi, rispetto ai livelli programmati.
  • Luglio 2017: il 4° Rapporto sul monitoraggio della spesa sanitaria pubblicato dalla Ragioneria Generale dello Stato attesta che dal 2001 al 2005 la spesa sanitaria è cresciuta al ritmo del 7,5% annuo, dal 2006 al 2010 del 3,1% e dal 2010 al 2016 è diminuita in media dello 0,1% annuo.
  • Settembre 2017: la nota di aggiornamento al DEF 2017 non prevede alcuna variazione assoluta della spesa sanitaria pubblica, stimando € 114,138 miliardi per il 2017, € 115,068 nel 2018, € 116,105 nel 2019 e € 118,570 nel 2020. Tuttavia, pur certificando una crescita del PIL del 1,5% per gli anni 2017-2019, il rapporto tra spesa sanitaria e PIL si riduce dal 6,6% del 2017 al 6,4% nel 2019 e nel 2020 precipita addirittura al 6,3%.

«A seguito del costante e imponente definanziamento – precisa Cartabellotta – in Italia la spesa sanitaria continua inesorabilmente a perdere terreno, sia in rapporto al PIL sia, soprattutto, come spesa pro-capite: siamo sotto la media OCSE e in Europa ben 14 paesi investono più dell’Italia. Tra i paesi del G7 siamo fanalino di coda per spesa totale e per spesa pubblica, ma secondi per spesa out-of-pocket, segnale inequivocabile che la politica ha scaricato sui cittadini una consistente quota di spesa pubblica, senza rinforzare la spesa intermediata».

In questo scenario desolante nessuno si aspettava miracoli per la sanità dalla Legge di Bilancio: tuttavia, garantire le risorse per il rinnovo di contratti e convenzioni – oltre che per lo sblocco del turnover – rappresentava il segnale minimo sia per confermare che i LEA non sono “autoeroganti”, sia per dare un simbolico riconoscimento a tutti i professionisti della sanità che in questi anni hanno sostenuto un SSN pesantemente definanziato. Al tempo stesso, l’eliminazione del superticket sembrava un intervento di equità sociale irrinunciabile.

«Purtroppo – puntualizza Cartabellotta – la bozza della Legge di Bilancio 2018 sbarca in Parlamento con un solo punto fermo: la sanatoria del payback farmaceutico pregresso. Nessun cenno sul rinnovo di contratti e convenzioni, sullo sblocco del turnover, sul sistema a “piramide” per l’assunzione di giovani ricercatori, sull’abrogazione del superticket, sugli investimenti per l’edilizia sanitaria e, addirittura, con il rischio concreto di una ulteriore riduzione di € 300 milioni del fondo sanitario del 2018».

Infatti, la Legge di Bilancio attribuisce per il 2018 alle Regioni a statuto ordinario un contributo di € 2,2 miliardi destinato alla riduzione del debito, cifra che confluirà nel “concorso alla finanza pubblica delle Regioni a statuto ordinario, per il settore non sanitario” che ammonta a quasi € 2,6 miliardi. Per raggiungere tale importo, € 94,1 milioni saranno erosi alle risorse per l’edilizia sanitaria e € 300 milioni “in ambiti di spesa e per importi proposti, nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza”.

«Purtroppo la storia recente – ricorda il Presidente – ci ha insegnato che quando le Regioni sono state chiamate a recuperare risorse in ambiti di spesa e per importi proposti nel rispetto dei LEA, il conto finale lo ha sempre pagato la sanità. E nel 2018, con un finanziamento pubblico già stato decurtato di € 604 milioni, un taglio di € 300 milioni determinerebbe un azzeramento quasi totale del miliardo di aumento che si continua a sbandierare».

«Alla politica e al confronto parlamentare – conclude Cartabellotta – il compito di recuperare quelle briciole che potrebbero restituire un po’ di dignità alla più grande conquista sociale del popolo italiano. Certo è che nel testo della Legge di Bilancio che sbarca in Parlamento questo obiettivo è talmente sbiadito da apparire come un lontano miraggio, se non come una vera e propria mission impossible».


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17 ottobre 2017
Farmaci innovativi: metodo AIFA rigoroso, ma serve più trasparenza

LA FONDAZIONE GIMBE HA EFFETTUATO UN’ANALISI INDIPENDENTE DELLE NUOVE REGOLE AIFA E MONITORATO LA LORO APPLICAZIONE CHE PERMETTE AI FARMACI INNNOVATIVI “PROMOSSI” DI ACCEDERE AL MILIARDO DI EURO ASSEGNATO DALLA LEGGE DI BILANCIO 2017. CONSIDERATO CHE A FRONTE DI CRITERI INECCEPIBILI LA LORO APPLICAZIONE NON È VERIFICABILE, GIMBE CHIEDE DI RENDERE PUBBLICO IL PROCESSO DI VALUTAZIONE A BENEFICIO DI AZIENDE FARMACEUTICHE, DECISORI, PROFESSIONISTI SANITARI, PAZIENTI E CONTRIBUENTI TUTTI, MA SOPRATTUTTO DELLA STESSA AIFA

La Legge di Bilancio 2017 ha stanziato € 500 milioni/anno sia per i farmaci innovativi, sia per i farmaci oncologici innovativi, subordinando l’erogazione di tali risorse agli elenchi pubblicati periodicamente dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), sulla base di nuove regole stabilite dalla stessa Agenzia, pubblicate il 31 marzo 2017 (determina 519/2017) e poi aggiornate il 19 settembre (determina 1535/2017). La determina AIFA per la valutazione dell’innovatività dei medicinali prevede un approccio multidimensionale che tiene conto di tre parametri: bisogno terapeutico, valore terapeutico aggiunto e qualità delle evidenze scientifiche. Ai primi due parametri può essere assegnata una valutazione massima, importante, moderata, scarsa, assente, mentre la qualità delle evidenze viene classificata, in accordo con il metodo GRADE, in alta, moderata, bassa e molto bassa.

«Il modello proposto dall’AIFA – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – ha basi scientifiche e metodologiche ineccepibili perché vincola l’assegnazione dell’innovatività di un farmaco, e i relativi fondi, a tre elementi fondamentali: la disponibilità di terapie già esistenti, l’entità del beneficio clinico rispetto alle alternative eventualmente disponibili e la qualità delle evidenze scientifiche, utilizzando il metodo GRADE, standard internazionale di riferimento per la prima volta citato in un documento normativo italiano».

Al termine del processo di valutazione, la Commissione Tecnico Scientifica (CTS) dell’AIFA descrive in una breve relazione le valutazioni su ciascuna delle tre variabili considerate e riporta l’esito finale: innovatività (il farmaco accede ai fondi previsti dalla Legge di Bilancio 2017), innovatività condizionata (il farmaco viene inserito nei prontuari regionali, ma non accede ai fondi) e innovatività non riconosciuta. Secondo quanto riportato dalla determina AIFA “L’esito finale e la relativa valutazione della CTS vengono rese pubbliche sul portale dell’AIFA contestualmente alla pubblicazione della determinazione di rimborsabilità e prezzo”.

«A seguito delle richieste pervenute da società scientifiche, associazioni di pazienti e industria farmaceutica – puntualizza il Presidente – nell’ambito delle attività del nostro Osservatorio per la sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale, abbiamo effettuato una valutazione indipendente della determina AIFA, oltre che monitorato la sua applicazione rispetto al riconoscimento dell’innovatività e al conseguente accesso ai fondi per l’innovazione».

Rispetto alla valutazione metodologica, la Fondazione GIMBE ha rilevato nella determina AIFA alcune criticità e formulato costruttive proposte per la prossima revisione del documento. Non è stato invece possibile effettuare il monitoraggio analitico dell’applicazione dei criteri di valutazione perché – contrariamente a quanto affermato dalla stessa determina – non è disponibile alcuna documentazione che permetta di verificare l’applicazione del metodo multidimensionale per valutare l’innovatività dei farmaci che accedono al fondo per l’innovazione.

«Senza un report trasparente e completo – precisa Cartabellotta – è impossibile risalire alle motivazioni con cui l’AIFA, previa valutazione di bisogno terapeutico, valore terapeutico aggiunto e qualità delle evidenze scientifiche, rispetto all’ultimo elenco pre-determina del 21 dicembre 2016 non ha confermato l’innovatività a 8 farmaci, ha confermato l’innovatività a 14 farmaci, ha assegnato l’innovatività a 4 nuovi farmaci».

Considerato che la determina per l’assegnazione dell’innovatività ha basi scientifiche e metodologiche ineccepibili, la Fondazione GIMBE chiede all’AIFA di rendere pubblico il metodo con cui viene applicata, documentando il “peso” assegnato alle tre variabili (bisogno terapeutico, valore terapeutico aggiunto, qualità delle prove) che determinano l’esito finale della valutazione (innovatività, innovatività condizionata, innovatività non riconosciuta).

«Auspichiamo che l’AIFA accolga la nostra richiesta – conclude Cartabellotta – quale elemento indispensabile di trasparenza a beneficio di aziende farmaceutiche, decisori, professionisti sanitari, pazienti e contribuenti tutti, ma soprattutto di se stessa. Infatti, considerato che in tutti i processi decisionali sui farmaci l’AIFA mantiene sia la funzione di agenzia regolatoria, sia quella di health technology assessment, solo processi decisionali espliciti e trasparenti possono spazzare via qualsiasi dubbio su questa “insolita” doppia veste di un ente che gestisce ogni anno quasi € 30 miliardi di spesa pubblica».

Il Position Statement “Determina AIFA per la classificazione dei farmaci innovativi: analisi metodologica e monitoraggio dell’applicazione” è disponibile a: www.evidence.it/farmaci-innovativi


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9 ottobre 2017
Come abolire il superticket a costo zero

L’ELIMINAZIONE DELL’INIQUO BALZELLO STA ANIMANDO IL DIBATTITO PRE-ELETTORALE, MA NON CI SONO SOLUZIONI CONCRETE ALL’ORIZZONTE. LA FONDAZIONE GIMBE PASSA DALLE PAROLE AI FATTI: LA COPERTURA SI PUÒ TROVARE RIMODULANDO LE ALTRETTANTO INIQUE DETRAZIONI FISCALI IRPEF PER LE SPESE SANITARIE. A FRONTE DI UN PICCOLO SACRIFICIO DEI PIÙ ABBIENTI, LA PROPOSTA GARANTISCE EQUITÀ SOCIALE, GOVERNANCE NAZIONALE E PUÒ FAVORIRE UN’ULTERIORE EMERSIONE DEL SOMMERSO.

Alla vigilia della discussione parlamentare sulla Legge di Bilancio 2018, nella risoluzione sulla nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza 2017, la maggioranza ha chiesto al Governo di "rivedere gradualmente il meccanismo del cosiddetto superticket al fine di contenere i costi per gli assistiti che si rivolgono al sistema pubblico". Torna dunque attuale una questione mai risolta, nonostante il Patto per la Salute 2014-2016 avesse previsto un riordino del sistema di compartecipazione alla spesa, poi timidamente rilanciato − senza esito − nella primavera scorsa dal Ministro Lorenzin e dalle Regioni.

Il vero problema è rappresentato dalle risorse necessarie per eliminare il superticket, cifra impossibile da determinare con precisione, con stime che variano tra € 500 e € 1.000 milioni. Considerato che il decreto sulla rideterminazione del fabbisogno sanitario nazionale ha eroso al SSN € 604 milioni nel 2018 e vista l’inderogabile necessità di garantire il rinnovo di contratti e convenzioni, la priorità assoluta della Legge di Bilancio è riportare il finanziamento agli “originali” 114 miliardi, sperando di recuperare anche le risorse per consentire lo sblocco del turnover. Ecco perché, nonostante le aperture del Ministro Padoan sulla sanità, reperire in Legge di Bilancio le risorse per eliminare, seppur gradualmente, il superticket appare al momento una mission impossible a mero rischio di strumentalizzazione nel dibattito pre-elettorale.

«Il superticket è una tassa estremamente iniqua, afferma Nino Cartabellotta – Presidente della Fondazione GIMBE – perché proporzionalmente pesa di più sui redditi più bassi, è fonte di diseguaglianze in quanto applicata in maniera diversa dalle Regioni e, determinando per molte prestazioni uno spostamento verso il più concorrenziale mercato privato , si traduce anche in uno svantaggio per le casse della sanità pubblica. Peraltro, se il superticket nasce come “tassa provvisoria” con la finanziaria del 2011, negli anni si è trasformato per le Regioni in una “boccata d’ossigeno” strutturale nel clima di generale definanziamento della sanità pubblica».

«Mentre tutti si concentrano sul ticket – continua il Presidente – nessuno ha mai rilevato che il sistema che regola le detrazioni IRPEF per le spese sanitarie è altrettanto iniquo perché da un lato offre le medesime agevolazioni fiscali a tutti i cittadini, indipendentemente dalla fascia di reddito, dall’altro permette di portare in detrazione servizi e prestazioni assolutamente futili, di cui prodotti omeopatici e cure termali rappresentano i casi più emblematici».

Oggi tutti i contribuenti possono detrarre dall’IRPEF il 19% delle spese sanitarie sostenute per la parte eccedente una franchigia di € 129,11, che non viene applicata solo per alcune spese sostenute da persone con disabilità. Secondo i dati dell’Agenzia delle Entrate sull’anno fiscale 2015 i contribuenti hanno portato in detrazione € 16,705 miliardi di spese mediche, con un minor gettito fiscale pari a € 3,174 miliardi.

«Le analisi della Fondazione GIMBE – precisa Cartabellotta – documentano l’iniquità di questa agevolazione fiscale: infatti, a fronte di un rapporto spesa sanitaria media/reddito medio pari al 4,69%, il range oscilla dallo 0,5% (per la fascia di reddito oltre € 300.000) al 137% (per la fascia di reddito sino a € 1.000), senza considerare i contribuenti a reddito negativo, confermando l’enorme impatto della spesa sanitaria privata sulle fasce di reddito più basse».

Senza per ora volere entrare nel merito delle prestazioni ammesse alla detrazione, la Fondazione GIMBE propone due ipotesi di riduzione proporzionale della detraibilità IRPEF per spese mediche, entrambe in grado di recuperare con ampio margine le risorse per eliminare il superticket. La prima, più semplice, prevede la rimodulazione della percentuale di detraibilità in base alla fascia di reddito, permettendo un recupero di € 915,934 milioni; la seconda, più raffinata, aggancia la riduzione proporzionale al rapporto “spesa sanitaria media”/”reddito medio”, generando  un recupero di € 1.023,941 milioni. Tenendo conto che le stime riguardano l’anno fiscale 2015 e che l’eventuale rimodulazione andrebbe a regime con l’anno fiscale 2018, le cifre previsionali, visto il trend in continuo aumento delle spese mediche portate in detrazione, sarebbero molto più elevate.

La proposta GIMBE, oltre a recuperare le risorse per l’abolizione del superticket, lascia intravedere ulteriori benefici: innanzitutto, una maggiore equità sociale grazie ad una redistribuzione delle agevolazioni fiscali in relazione al reddito; in secondo luogo, trasforma la frammentata governance regionale di superticket mal disegnati in minori agevolazioni fiscali gestite a livello nazionale; infine, se tarata sul rapporto spesa sanitaria media/ reddito medio, potrebbe favorire l’emersione del sommerso perché, a parità di reddito, è interesse del contribuente disporre di tutti i documenti fiscali per “conquistare” lo scaglione superiore di detraibilità.

«Siamo pronti a portare in audizione parlamentare i dettagli della nostra proposta – conclude Cartabellotta – perché rendere più equo il sistema delle detrazioni fiscali per le spese sanitarie, a fronte di un piccolo sacrificio dei più abbienti, recuperando le risorse per eliminare il superticket, rappresenta una soluzione coraggiosa che dovrebbe incontrare il favore di tutte le forze politiche alla fine di questa legislatura».


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2 ottobre 2017
Il luogo di residenza condiziona la salute delle persone: alla Sanità serve una nuova governance

L’UNIVERSALISMO DEL NOSTRO SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE È SOLO UN’ETICHETTA SBIADITA: I DATI DIMOSTRANO IMPIETOSAMENTE CHE IL DIRITTO COSTITUZIONALE ALLA TUTELA DELLA SALUTE È MINATO DA POLITICHE REGIONALI E DECISIONI LOCALI CHE DETERMINANO GRAVI DISEGUAGLIANZE NELL’OFFERTA DI SERVIZI E PRESTAZIONI SANITARIE, GENERANO SPRECHI E INEFFICIENZE E INFLUENZANO GLI ESITI DI SALUTE

2 ottobre 2017 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il 2° Forum della sostenibilità e opportunità nel settore salute (Firenze, 29-30 settembre) è stato aperto da un costruttivo dibattito su un tema di estrema rilevanza sociale, etica, politica ed economica: la governance del sistema sanitario fra Stato e Regioni, in un contesto generale caratterizzato – come già rilevato dal 2° Rapporto GIMBE – da un cocktail potenzialmente letale per la sostenibilità del servizio sanitario: revisione “al rialzo” dei nuovi LEA incurante dell’imponente definanziamento della sanità pubblica, boom della spesa privata complice una sanità integrativa ipotrofica e poco regolamentata, sprechi e inefficienze, consumismo sanitario alimentato da aspettative irrealistiche di cittadini e pazienti scarsamente alfabetizzati.

«Dal un punto di vista etico, sociale ed economico ha affermato Nino Cartabellotta – Presidente della Fondazione GIMBE e coordinatore della sessione – è inaccettabile che il diritto costituzionale alla tutela della salute, utopisticamente affidato a una leale collaborazione tra Stato e Regioni, sia condizionato dal CAP di residenza del cittadino, a causa di decisioni regionali e locali che, oltre a generare diseguaglianze nell’offerta di servizi e prestazioni, influenzano anche gli esiti di salute».

«L’universalismo – continua il Presidente – è un pilastro fondante e irrinunciabile del nostro servizio sanitario nazionale, ma oggi rischia di rimanere una mera illusione collettiva, perché nei fatti il nostro sistema di welfare si sta inesorabilmente disgregando». In tal senso, i dati documentano un inquietante elenco di variabilità regionali: dagli adempimenti dei LEA alle performance ospedaliere documentate dal programma nazionale esiti, dalla dimensione delle aziende sanitarie alla capacità di integrazione pubblico-privato, dal variegato contributo di fondi integrativi e assicurazioni alla disponibilità di farmaci innovativi, dalla governance della libera professione e delle liste di attesa alla giungla dei ticket, dalle eccellenze ospedaliere del Nord alla desertificazione dei servizi territoriali nel Sud.

Sulla stessa linea Walter Ricciardi, Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità: «Non possiamo accettare che in alcune Regioni i cittadini dispongano di una sanità con standard di eccellenza a costi relativamente contenuti per il Paese, mentre altre Regioni sprecano il denaro pubblico senza offrire alle persone nemmeno i servizi essenziali. Ecco perché il prossimo esecutivo dovrà necessariamente affrontare questa criticità sociale ed economica, magari riproponendo al Parlamento una riforma costituzionale limitata alla sanità, oltre che rilanciare il finanziamento pubblico e mettere la salute delle persone al centro di tutte le decisioni politiche».

«L’ossimoro “welfare selettivo” – ha affermato Luigi d’Ambrosio Lettieri, membro della Commissione Igiene e Sanità del Senato – disegna una prospettiva su cui la politica ha il dovere di aprire un confronto maturo e responsabile per offrire alle persone maggiori garanzie sul diritto costituzionale alla tutela della salute. Dobbiamo farlo tenendo presenti anche le indicazioni che provengono dalle indagini condotte dalle commissioni parlamentari di Senato e Camera e dal 2° rapporto GIMBE sulla sostenibilità del SSN».

«Nelle Regioni che non adempiono ai LEA – afferma Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale dei diritti del malato – i cittadini pagano addizionali IRPEF più elevate e devono andare a curarsi altrove: la confusione delle persone sul proprio (costituzionale) diritto alla salute è ormai inaccettabile». «La carenza di comunicazione istituzionale su questo tema è impressionante – incalza Rosanna Massarenti, direttore di Altroconsumo – Sul decreto appropriatezza ad esempio i cittadini ci hanno chiesto disorientati: perché non ho più diritto alle prestazioni che prima mi venivano concesse? ».

«Cartina al tornasole di queste disuguaglianze – ha puntualizzato Cartabellotta – è la mobilità sanitaria che nel 2016 ha spostato oltre 4,15 miliardi di euro, prevalentemente dal Sud al Nord. Vero è che sono a carico del SSN, ma i costi che i cittadini devono sostenere per viaggi, disagi e quelli indiretti per il Paese sono enormemente più elevati. Senza contare che la mobilità sanitaria non traccia la mancata esigibilità dei LEA territoriali e soprattutto socio-sanitari, diritti che appartengono alla vita quotidiana, in particolare delle fasce socio-economiche più deboli, e non alla occasionalità di un intervento chirurgico».

«Il diritto costituzionale alla tutela della salute – ha concluso Cartabellotta – non può essere condizionato da ideologie partitiche, ma è un diritto civile che la politica deve garantire a tutti cittadini/elettori. Ecco perché la Fondazione GIMBE effettuerà un monitoraggio di tutti i programmi elettorali rispetto alle proposte relative a sanità, welfare e ricerca, incluse quelle finalizzate a potenziare le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sui 21 sistemi sanitari regionali, nel pieno rispetto delle loro autonomie».


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25 settembre 2017
Aggiornamento DEF 2017: il PIL cresce, ma per la Sanità pubblica sempre meno risorse

NONOSTANTE LA CRESCITA DEL PIL LA NOTA DI AGGIORNAMENTO DEL DOCUMENTO DI ECONOMIA E FINANZA 2017 CONFERMA IL PROGRESSIVO DEFINANZIAMENTO DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE: NEL 2020 I FONDI DESTINATI ALLA SANITÀ VENGONO ULTERIORMENTE RIDOTTI AL 6,3% DEL PIL, BEN AL DI SOTTO DELLA SOGLIA DI ALLARME FISSATA DALL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITÀ. IL RISCHIO CONCRETO È DI RIDURRE, OLTRE LA QUALITÀ DELL’ASSISTENZA E L’ACCESSO ALLE CURE, ANCHE L’ASPETTATIVA DI VITA DELLE PERSONE.

25 settembre 2017 - Fondazione GIMBE, Bologna

Sabato scorso il Consiglio dei Ministri ha approvato la nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (DEF) 2017, certificando per l’anno in corso una crescita del PIL del 1,5% e confermando la stessa previsione per il 2018 e il 2019. Un dato previsionale di estrema rilevanza per il Paese, visto che nel DEF approvato ad aprile la crescita stimata del PIL era del 1,1% nel 2017 e del 1% nel 2018 e nel 2019.

In termini finanziari per la sanità pubblica, l’aggiornamento del DEF 2017 non prevede alcuna variazione, stimando € 114,138 miliardi di spesa pubblica per il 2017, € 115,068 miliardi nel 2018, € 116,105 nel 2019 e € 118,570 nel 2020. Cifre assolute che corrispondono a una crescita percentuale di 1,4% nel 2017, 0,8% nel 2018, 0,9% nel 2019 e 2,1% nel 2020

«Sulle cifre assolute, soprattutto a medio termine – puntualizza Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – è meglio non farsi illusioni, perché negli ultimi anni la sanità ha sempre ricevuto molto meno di quanto previsto dal DEF. Un gap enorme tra i livelli di finanziamento programmati e quelli effettivamente erogati, recentemente messo nero su bianco anche dalla Corte dei Conti».

Infatti, secondo la “Relazione sulla gestione Finanziaria delle Regioni, esercizio 2015”, nel periodo 2015-2018 l’attuazione degli obiettivi di finanza pubblica ha determinato una riduzione cumulativa del finanziamento del SSN di € 10,51 miliardi, rispetto ai livelli programmati. Cifra che non include l’ulteriore decurtazione del finanziamento di € 423 milioni per il 2017 e di € 604 milioni per il 2018, prevista dal decreto “Rideterminazione del livello del fabbisogno sanitario nazionale”.

«Il dato più inquietante – continua il Presidente – è che secondo la nota di aggiornamento del DEF il rapporto tra spesa sanitaria e PIL dal 6,6% del 2017 si ridurrà al 6,4% nel 2019 per precipitare al 6,3% nel 2020, percentuali mai raggiunte in passato. Come dobbiamo prepararci a scendere ben oltre la temuta soglia di allarme del 6,5% fissata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, al di sotto della quale, oltre la qualità dell’assistenza e l’accesso alle cure, si riduce anche l’aspettativa di vita delle persone?».

Nel Piano nazionale di riforme per la sanità la nota di aggiornamento del DEF 2017 cita per l’ennesima volta l’attuazione del Patto per la salute e del Patto per la sanità digitale da realizzarsi entro il 2017. «Anacronistico – continua il Presidente– il riferimento al Patto per la Salute 2014-2016 e al Patto per la sanità digitale, ormai al palo da tempo, e del tutto utopistica la previsione  che tutte le misure mai realizzate in tre anni possano essere attuato in soli tre mesi a fine legislatura e in pieno clima pre-elettorale».

«La nota di aggiornamento del DEF – conclude Cartabellotta –  conferma in maniera inequivocabile che alla documentata ripresa dell’economia non conseguirà un incremento proporzionale del finanziamento pubblico del SSN. In altri termini, se inizialmente il progressivo definanziamento della sanità pubblica era una inevitabile conseguenza della crisi economica, oggi rappresenta una costante irreversibile».

Questo trend conferma l’inaccettabile paradosso generato da una programmazione sanitaria sganciata da quella finanziaria: sulla carta i cittadini italiani dispongono di un “paniere” di livelli essenziali di assistenza tra i più ricchi d’Europa, ma al tempo stesso la nostra sanità è agli ultimi posti per finanziamento pubblico. Ecco perché, come più volte ribadito dalla Fondazione GIMBE, i nuovi LEA da grande traguardo politico rischiano di trasformarsi in illusione collettiva con gravi effetti collaterali per la popolazione: allungamento delle liste d’attesa, aumento della spesa out-of-pocket, sino alla rinuncia alle cure.


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11 settembre 2017
Salute prima di tutto, Sanità per tutti: legge di bilancio e programmi politici sotto la lente GIMBE

IN QUESTO SCORCIO DI FINE LEGISLATURA, LA FONDAZIONE GIMBE TIRA LE SOMME SULL’INESORABILE DEFINANZIAMENTO DELLA SANITÀ E CHIEDE AL GOVERNO DI CONFERMARE NELLA LEGGE DI BILANCIO LE RISORSE PER IL PERSONALE SANITARIO. AL TEMPO STESSO, ANNUNCIA CHE I PROGRAMMI DI TUTTE LE FORZE POLITICHE PER LE PROSSIME CONSULTAZIONI SARANNO “SORVEGLIATI SPECIALI” DELL’OSSERVATORIO GIMBE RISPETTO ALLE PROPOSTE SU SANITÀ E WELFARE.

Riparte domani l’attività parlamentare che, per quanto concerne la sanità, tenterà di portare a termine diverse incompiute (legge sul fine vita e DDL Lorenzin su tutti), oltre che licenziare una Legge di Bilancio che, rispetto allo scorso anno, non sembra prevedere alcun dibattito mediatico sulle cifre destinate alla sanità.

«Tirando le somme di questa legislatura – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – nonostante l’impegno del Ministro Lorenzin, i dati confermano impietosamente che dal 2010 il finanziamento del SSN è stato oggetto di continui saccheggi per esigenze di finanza pubblica, nonostante la pillola sia spesso stata addolcita sostituendo l’impopolare termine “tagli” con quello di “rideterminazione del finanziamento”». Parlano chiaro i dati raccolti dall’Osservatorio GIMBE sulla sostenibilità del SSN:

  • Dicembre 2016: la Legge di Bilancio 2017 definisce il finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard: € 113 miliardi per il 2017, € 114 per il 2018 e € 115 per il 2019.
  • Aprile 2017: il Documento di Economica e Finanza (DEF) 2017 prevede che il rapporto tra spesa sanitaria e PIL diminuirà dal 6,7% del 2017 al 6,5% nel 2018, per poi precipitare al 6,4% nel 2019, lasciando intendere che l’eventuale ripresa del PIL non avrà ricadute positive sul finanziamento pubblico del SSN.
  • Giugno 2017: il decreto “Rideterminazione del livello del fabbisogno sanitario nazionale” riduce di € 423 milioni per il 2017 e di € 604 per il 2018 il finanziamento a cui concorre lo Stato.
  • Luglio 2017: la “Relazione sulla gestione Finanziaria delle Regioni, esercizio 2015” della Corte dei Conti quantifica che nel periodo 2015-2018 l’attuazione degli obiettivi di finanza pubblica ha determinato una riduzione cumulativa del finanziamento del SSN di € 10,51 miliardi, rispetto ai livelli programmati.
  • Luglio 2017: il 4° Rapporto sul monitoraggio della spesa sanitaria pubblicato dalla Ragioneria Generale dello Stato attesta che dal 2001 al 2005 la spesa sanitaria è cresciuta al ritmo del 7,5% annuo, dal 2006 al 2010 del 3,1% e dal 2010 al 2016 è diminuita mediamente dello 0,1% annuo.


«Onde evitare qualsiasi strumentalizzazione politica di questi dati – puntualizza il Presidente – è tuttavia indispensabile precisare che, rispetto ad altri capitoli di spesa pubblica, la sanità è stata paradossalmente graziata. Qualsiasi valutazione sul definanziamento della sanità va inserita nel contesto di un Paese impoverito, con una ripresa economica stagnante e con un debito pubblico e un livello di corruzione molto elevati.». Secondo la relazione della Corte dei Conti sopra citata, infatti, la spesa per consumi delle pubbliche amministrazioni nel periodo 2011-2015 riporta il segno positivo solo per la sanità (+ 0,13%); per tutte le altre funzioni viene registrata una riduzione: servizi generali (-11,01%), protezione sociale (-10,57%), istruzione (-2,64%), difesa (-0,28%), ordine pubblico e sicurezza (-2,79%), protezione ambiente (-6,72%), abitazioni e assetto del territorio (-0,49%).

«Anche se nella Legge di Bilancio 2018 i giochi per la sanità sono già fatti – precisa Cartabellotta – al Governo rimane un’ultima occasione per dimostrare che crede realmente nella sanità pubblica, come affermato pubblicamente dal Premier Gentiloni, in particolare nei suoi professionisti che in questi anni difficili hanno sostenuto in prima persona un SSN pesantemente definanziato dalla politica». Ecco perché la Fondazione GIMBE chiede al Governo di inserire nella Legge di Bilancio 2018 poche ma indispensabili risorse per la sanità: quelle per il rinnovo di contratti e convenzioni e per lo sblocco del turnover che, dopo il decreto 5 giugno 2017, sembrano non avere più la necessaria copertura finanziaria.

Con il 2° Rapporto sulla sostenibilità del SSN la Fondazione GIMBE ha ribadito con fermezza che mettere in discussione la sanità pubblica significa compromettere non solo la salute, ma soprattutto la dignità delle persone e la loro capacità di realizzare ambizioni e obiettivi che, in ultima analisi, dovrebbero essere viste dalla politica come il vero ritorno degli investimenti in sanità, volando alto nel pensiero politico, nell’idea di welfare e nella (ri)programmazione socio-sanitaria.

«Se la Fondazione GIMBE – conclude Cartabellotta – come organizzazione indipendente ha il mandato etico di analizzare le criticità del SSN e proporre soluzioni per la sostenibilità, approssimandosi il periodo pre-elettorale deve anche analizzare le intenzioni di tutte le forze politiche. Ecco perché nell’ambito delle attività dell’Osservatorio GIMBE per la sostenibilità del SSN, tutti i programmi elettorali saranno oggetto di analisi scrupolosa rispetto alle proposte relative a sanità e welfare, perché “salute prima di tutto e sanità per tutti” è condicio sine-qua-non, oltre che per il benessere delle persone, anche per la ripresa economica del Paese».


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8 settembre 2017
Nuove generazioni di ricercatori alla scuola GIMBE

SI CONCLUDE OGGI LA SUMMER SCHOOL GIMBE SULLA METODOLOGIA DEI TRIAL CLINICI, DESTINATA A 30 GIOVANI STUDENTI, MEDICI E FARMACISTI SELEZIONATI CON UN BANDO NAZIONALE E REALIZZATA GRAZIE AL SUPPORTO NON CONDIZIONANTE DI ASSOGENERICI AL PROGRAMMA GIMBE4YOUNG.

Volge al termine la prima edizione della “Summer School on… Metodologia dei Trial Clinici”, realizzata dalla Fondazione GIMBE nell’ambito del programma GIMBE4young, con il sostegno non condizionante di Assogenerici. Obiettivo: preparare le nuove generazioni di ricercatori alle sfide che li attendono per migliorare qualità, etica, rilevanza e integrità della ricerca clinica.

«Nella gerarchia delle evidenze scientifiche – dichiara Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – i trial clinici, in particolare quelli controllati e randomizzati, costituiscono lo standard di riferimento per valutare l’efficacia degli interventi sanitari. Tuttavia la loro qualità è spesso insoddisfacente, determinando inevitabilmente lo spreco di preziose risorse, oltre alla persistenza di numerose aree grigie».

La conferma giunge dalla comunità scientifica internazionale che, con la campagna Lancet REWARD (Reduce research Waste And Reward Diligence), punta a ridurre gli sprechi ed aumentare il value della ricerca biomedica: «Pazienti e professionisti – continua il presidente – vengono raramente coinvolti nella definizione delle priorità, per cui molti trial rispondono a quesiti di ricerca irrilevanti e/o misurano outcome di scarsa rilevanza clinica; senza contare il fatto che oltre la metà dei trial vengono pianificati senza alcun riferimento a evidenze già disponibili, generando inutili duplicazioni». Altri dati inquietanti giungono dagli studi più recenti: più del 50% dei trial pubblicati presentano rilevanti errori metodologici che ne invalidano i risultati; sino al 50% dei trial non vengono mai pubblicati e molti di quelli pubblicati tendono a sovrastimare i benefici e sottostimare i rischi degli interventi sanitari; oltre il 30% dei trial non riporta dettagliatamente le procedure con cui somministrare gli interventi studiati e spesso i risultati dello studio non vengono interpretati alla luce delle evidenze disponibili.

Enrique Häusermann - presidente di Assogenerici - sottolinea: «Credo sia arrivato il momento di cogliere l’opportunità che deriva dalla crisi proprio per riappropriarci dei valori che caratterizzano il nostro sistema sanitario universalistico.  Per questo, in un momento in cui la sostenibilità del SSN è messa gravemente a rischio anche dall’apparente incapacità del sistema di trovare al proprio interno le giuste risposte, i corsi di alta formazione destinati a studenti e giovani professionisti rappresentano un investimento di valore sul futuro di una SSN rinvigorito e coerente con la mission ad esso affidata».

«Da questa convinzione – prosegue Häusermann – nasce la scelta di Assogenerici di sostenere l’iniziativa della Summer School del programma GIMBE4young: l’auspicio è che questa partnership con la Fondazione GIMBE tracci la rotta verso una maggior consapevolezza dei professionisti di domani sui temi della ricerca farmacologica, dell’accesso al farmaco e sulla corretta allocazione e gestione delle risorse».

Alla Summer School hanno partecipato 30 giovani studenti, medici e farmacisti selezionati con un bando nazionale fra più di 200 candidati, testimonianza indiretta del bisogno formativo sulla metodologia delle sperimentazioni cliniche.

«È per noi motivo di grande soddisfazione – conclude Cartabellotta –avere avuto la possibilità di trasferire a questi giovani le metodologie di pianificazione, conduzione, analisi e reporting dei trial clinici, e permettere loro  di sviluppare 4 protocolli di studio: dalla identificazione dei gap di conoscenza, alla elaborazione del quesito di ricerca, alla definizione di tutti i requisiti elementi etici e metodologici richiesti dagli standard internazionali per i trial clinici».

L’impegno della Fondazione GIMBE per indirizzare le nuove generazioni di professionisti verso un modello di pratica clinica basata sulle evidenze, centrata sul paziente, consapevole dei costi e ad elevato value continua con numerose altre iniziative: www.gimbe4young.it


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4 settembre 2017
Politrauma: senza reti, linee guida e responsabilità si muore

SECONDO LA TASK FORCE DEL MINISTERO DELLA SALUTE ALL’OSPEDALE LORETO MARE VIGE UN CLIMA DI MANCATA RESPONSABILIZZAZIONE ORGANIZZATIVA E PROFESSIONALE, LA RETE PER IL TRAUMA È INESISTENTE E MANCANO PERCORSI STANDARDIZZATI BASATI SU LINEE GUIDA. LA FONDAZIONE GIMBE, AL FINE DI SENSIBILIZZARE DECISORI, PROFESSIONISTI E CITTADINI, RENDE DISPONIBILE LA SINTESI ITALIANA DELLE LINEE GUIDA DEL NICE PER LA VALUTAZIONE IMMEDIATA DEL PAZIENTE TRAUMATIZZATO E IL TRATTAMENTO DELL’EMORRAGIA ATTIVA.

Se da un lato è noto che le gravi lesioni riportate dai pazienti traumatizzati si associano ad una elevata probabilità di morte e disabilità, dall’altro è inaccettabile che nel nostro Paese un ragazzo di 23 anni muoia per l’inosservanza delle procedure cliniche e organizzative. Infatti, stando a quanto riportato dai maggiori quotidiani, il rapporto preliminare della task force del Ministero della Salute - senza entrare nel merito del percorso assistenziale erogato, oggetto dell’indagine giudiziaria - è al tempo stesso impietoso e agghiacciante: gli ispettori hanno percepito “un clima sovente di tipo conflittuale e tendente a volte a una marcata deresponsabilizzazione” e rilevato sia “problematiche di natura organizzativa”, sia “ricorso a prassi non codificate e non supportate da indicazioni provenienti da linee guida regionali o nazionali”.

«L’assistenza ottimale per i pazienti politraumatizzati – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – richiede innanzitutto una organizzazione in rete di strutture ospedaliere e territoriali con vari livelli di responsabilità: trauma center, dipartimenti di emergenza base, di I e di II livello, unità operative trauma, oltre alla rete del 118; in secondo luogo, ciascuno dei nodi della rete deve disporre di adeguati requisiti strutturali, tecnologici, organizzativi e professionali; infine, è cruciale l’utilizzo di percorsi assistenziali condivisi e basati su linee guida di buona qualità, al fine di standardizzare i processi di cura e definire “chi fa che cosa”, determinanti indispensabile degli esiti di salute».
In tal senso, le leggi certo non mancano: infatti, il DM 70/2015 sulla riorganizzazione degli ospedali da oltre due anni ha fornito alle Regioni le indicazioni per organizzare ben 10 reti per patologia, al fine di definire per ciascun ospedale all’interno della rete precise responsabilità cliniche e organizzative. Invece, come riportato dalla stampa, la task force ha rilevato che manca “l’atto di programmazione delle nuove reti ospedaliere” che “con ogni tempestività dovrà essere adottato in conformità agli standard nazionali”.

«Purtroppo – denuncia il Presidente – esiste un’inaccettabile variabilità regionale, sia rispetto al numero di reti attivate, sia sugli standard di qualità dei vari ospedali in rete, compromettendo inevitabilmente efficacia e sicurezza dei percorsi di cura, in particolare nelle patologie tempo-dipendenti come il politrauma, dove ogni minuto è prezioso per la vita del paziente. In tal senso, la situazione rilevata all’ospedale Loreto Mare non rappresenta certo un caso isolato».

Con l’obiettivo di fornire una solida base scientifica all’organizzazione delle reti trauma, la Fondazione GIMBE rende disponibile la versione italiana delle linee guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE), che forniscono raccomandazioni cliniche per la valutazione iniziale del paziente traumatizzato in ospedale (dalla diagnostica per immagini per l’emorragia maggiore e per il trauma toracico alla TAC total body per lesioni multiple) e per il trattamento dell’emorragia (dalle medicazioni, lacci e immobilizzatori pelvici alla somministrazione di emocomponenti, dalla rianimazione volemica alla chirurgia di contenimento del danno ed alla radiologia interventistica).

Le raccomandazioni del NICE sottolineano tre aspetti cruciali nella gestione del paziente politraumatizzato: innanzitutto, la necessità di protocolli per l’emorragia maggiore che rappresenta la principale causa di mortalità, al fine di somministrare in maniera rapida e uniforme gli emocomponenti; in secondo luogo, l’importanza di garantire uniformità dell’assistenza per tutti i pazienti e tra tutti gli operatori, oltre che continuità H24 e 7 giorni su 7; infine, il ruolo dei servizi di radiologia interventistica come parte integrante del controllo delle emorragie di alcune particolari lesioni, come il trauma pelvico.

«L’ennesima tragedia sul campo – conclude Cartabellotta – conferma che il rinnovato interesse per le linee guida non può opportunisticamente essere ricondotto solo a mere esigenze di tutela medico-legale, ma deve innanzi tutto rappresentare la base scientifica per applicare politiche sanitarie condivise tra politica, management, professionisti sanitari e cittadini/pazienti con l’obiettivo di riorganizzare i percorsi assistenziali in maniera efficace ed efficiente, con il fine ultimo di migliorare gli esiti di salute e ottimizzare l’utilizzo delle risorse».

Le “Linee guida per la valutazione e il trattamento iniziale dei pazienti con trauma maggiore” sono disponibili a: www.evidence.it/trauma


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18 2017
Mal di schiena: troppi test diagnostici e farmaci

DIAGNOSI E TERAPIA DI LOMBALGIA E SCIATALGIA SONO CONDIZIONATE PIÙ DA PRATICHE CONSOLIDATE E RICHIESTE DEI PAZIENTI CHE DALLE EVIDENZE SCIENTIFICHE, CON CONSEGUENTI SPRECHI DA SOVRA-UTILIZZO E SOTTO-UTILIZZO. LA FONDAZIONE GIMBE PUBBLICA LA SINTESI ITALIANA DELLE LINEE GUIDA DEL NICE PER ORIENTARE I COMPORTAMENTI PROFESSIONALI, RIORGANIZZARE I PERCORSI ASSISTENZIALI LOCALI E INFORMARE ADEGUATAMENTE I PAZIENTI.

Consistenti evidenze scientifiche documentano che nei pazienti con lombalgia e/o sciatalgia alcuni trattamenti come l’esercizio fisico, la terapia manuale e la psicoterapia vengono ampiamente sotto-utilizzati, mentre vengono inappropriatamente prescritti farmaci analgesici e, soprattutto, una valanga di test diagnostici quali TAC e risonanze magnetiche che allungano le liste d’attesa. Per tale ragione, l’Osservatorio GIMBE per la sostenibilità del SSN ha già eletto i test di imaging nel mal di schiena a “sorvegliato speciale” per stimare sprechi diretti e indiretti conseguenti al loro sovra-utilizzo.

«In assenza dei cosiddetti “segni di allarme” – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – e prima di 4-6 settimane dall’insorgenza del dolore, tutte le linee guida internazionali concordano nel giudicare inappropriate TAC e risonanze magnetiche nei pazienti con lombosciatalgia, sia perché non modificano le scelte terapeutiche, sia perché il frequente riscontro di anomalie non correlate con il mal di schiena attivano una cascata di prestazioni sanitarie inutili (consulti specialistici, esami e trattamenti invasivi) che aumentano i  rischi per i pazienti e consumano preziose risorse».

Le linee guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE), disponibili in italiano grazie alla traduzione della Fondazione GIMBE, forniscono raccomandazioni cliniche sia per la valutazione diagnostica dei pazienti con lombalgia e/o sciatalgia, sia per la terapia: da quella conservativa (programmi di esercizio fisico, terapia manuale, psicoterapia con approccio cognitivo-comportamentale, farmaci), a quella chirurgica.

«Le linea guida NICE – continua il Presidente – raccomandano innanzitutto di effettuare un’adeguata valutazione clinica e , in assenza di sospetto di gravi patologie (neoplasie, infezioni, traumi, spondiloartriti), di non richiedere TAC e risonanze magnetiche, informando sempre il paziente sul fatto che questi test diagnostici, oltre a non essere necessari, presentano rischi conseguenti all’identificazione di lesioni anatomiche asintomatiche non correlate con i sintomi della lombalgia e/o sciatalgia».

Le linee guida puntano sull’utilizzo di strumenti validati di stratificazione del rischio per facilitare il processo decisionale condiviso con i pazienti:  per quelli con lombalgia e/o sciatalgia che potrebbero migliorare rapidamente è infatti sufficiente rassicurarli, consigliare loro di mantenersi in attività e fornire indicazioni per il self management, mentre per i pazienti a rischio più elevato di esito sfavorevole è raccomandato un supporto complesso ed intensivo (es. programmi di esercizio e/o terapia manuale o approccio psicologico). Inequivocabilmente da evitare in ogni caso l’agopuntura e il paracetamolo in monoterapia.

«Le linee guida NICE– conclude Cartabellotta – documentano che nella valutazione e il trattamento della lombalgia e/o sciatalgia la pratica professionale e le scelte dei pazienti non riflettono le migliori evidenze scientifiche: alcune prestazioni sanitarie risultano sovra-utilizzate, mentre altre sotto-utilizzate. Di conseguenza, rispetto a quanto oggi dimostra la ricerca, l’assistenza erogata ai pazienti presenta notevoli margini di miglioramento dell’appropriatezza con risvolti favorevoli sia sugli esiti clinici, sia sull’utilizzo delle risorse».

Le “Linee guida per la valutazione e il trattamento di lombalgia e sciatalgia” sono disponibili a: www.evidence.it/lombalgia


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3 2017
53 tipologie di frodi e abusi in sanità sottraggono oltre 5 miliardi di euro alla nostra salute

DAL 2° RAPPORTO GIMBE SULLA SOSTENIBILITÀ DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE UNA CLASSIFICAZIONE ANALITICA DI FRODI E ABUSI IN SANITÀ CHE PROSCIUGANO UN FIUME DI DENARO PUBBLICO. 53 FENOMENI CORRUTTIVI E/O COMPORTAMENTI OPPORTUNISTICI CONDIZIONATI DA CONFLITTI DI INTERESSE CHE NON SEMPRE CONFIGURANO VERI E PROPRI ILLECITI. ACCANTO ALL’IMPEGNO DELLE ISTITUZIONI SU NORMATIVA E STRUMENTI NECESSARIO ACCRESCERE LA CONSAPEVOLEZZA PUBBLICA PER UNA NUOVA STAGIONE ETICA DELLA SANITÀ ITALIANA

Il 2° Rapporto GIMBE sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale – presentato il 6 giugno presso la Biblioteca del Senato “Giovanni Spadolini” - ha stimato per il 2016 un impatto di € 22,51 miliardi di sprechi sulla spesa sanitaria pubblica classificabili in sei categorie: sovra-utilizzo di servizi e prestazioni inefficaci e inappropriate, frodi e abusi, acquisti a costi eccessivi, sotto-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie efficaci e appropriate, complessità amministrative, inadeguato coordinamento dell’assistenza.

Sulle stime relative agli sprechi non sono mancate le critiche, nonostante l’accurata descrizione della metodologia e il riferimento esplicito al report OCSE Tackling Wasteful Spending on Health che nel gennaio 2017 ha confermato che circa 1/5 della spesa sanitaria apporta un contributo minimo o nullo al miglioramento della salute delle persone.

«Il motivo principale di stupore – esordisce Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – è costituito dall’inverosimile convivenza di oltre 20 miliardi di sprechi con un finanziamento pubblico tra i più bassi d’Europa e, tutto sommato, servizi sanitari di livello elevato. Eppure, da una lettura attenta del Rapporto GIMBE si evince che gli sprechi si annidano nell’erogazione di beni e servizi e nella pianificazione e organizzazione dell’assistenza sanitaria, mentre la scure del finanziamento pubblico si è abbattuta principalmente sul personale che tra blocco delle assunzioni e mancato rinnovo di contratti e convenzioni dal 2009 rappresenta una voce di spesa stabile per il SSN».

«La categoria di sprechi “Frodi e abusi” – spiega il Presidente – secondo le nostre stime erode circa € 4,95 miliardi (range da € 3,96 a € 5.94) tramite fenomeni corruttivi e/o comportamenti opportunistici condizionati da conflitti di interesse, che non configurano necessariamente reato o illecito amministrativo, ovvero non sempre sono condotte perseguibili per legge. Di conseguenza, abbiamo deciso di “esplodere” in maniera analitica questa categoria per diffondere a tutti i livelli la consapevolezza che alcuni comportamenti non possono essere più accettati solo perché “così fan tutti”».

Partendo dalle iniziative istituzionali realizzate dall’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (Agenas) e dall’Autorità Nazionale Anti Corruzione (ANAC), la “Tassonomia GIMBE di frodi e abusi in sanità”, integrando fonti bibliografiche internazionali, casistiche giurisprudenziali, fatti e fenomeni nazionali, ha  identificato ben 53 tipologie di frodi e abusi organizzati in 9 categorie: policy making e governance del sistema sanitario, regolamentazione del sistema sanitario, ricerca biomedica, marketing e promozione di farmaci, dispositivi e altre tecnologie sanitarie, acquisto di beni e servizi, distribuzione e stoccaggio di prodotti, gestione delle risorse finanziarie, gestione delle risorse umane, erogazione dei servizi sanitari.

«Scorrendo l’elenco dei singoli fenomeni – aggiunge Cartabellotta – risulta evidente che da un lato tutti gli attori del sistema sanitario sono coinvolti (politica,  management, professionisti sanitari, cittadini e pazienti), dall’altro che è difficile, se non impossibile, introdurre misure preventive per molti abusi che non rappresentano reati o illeciti amministrativi, ma sono di fatto alimentati da conflitti di interesse e/o scarsa etica professionale».

Il 2° Rapporto GIMBE ha enfatizzato il notevole impegno di Agenas e ANAC che nel corso di questi hanno messo in campo diverse misure di prevenzione: dal Protocollo d’Intesa ANAC-Agenas al Protocollo d’Intesa Ministero della Salute-ANAC, dal Piano Nazionale Anticorruzione del 2012 poi aggiornato nel 2015 e nel 2016 e gli specifici approfondimenti, tra cui le “Linee guida per l'adozione dei codici di comportamento negli enti del SSN” e la “Modulistica standard per la dichiarazione pubblica di interessi da parte dei professionisti del SSN”, strumenti fondamentali che se uniformemente adottati potrebbero ridurre una quota consistente di abusi non conseguenti a reati o illeciti amministrativi.

«L’Osservatorio GIMBE per la sostenibilità del SSN – conclude Cartabellotta – ha identificato nel monitoraggio analitico di frodi e abusi una priorità per il biennio 2017-2018: in un momento particolarmente critico per la sostenibilità del servizio sanitario questo tipo di sprechi non è più tollerabile non solo per ragioni economiche, ma soprattutto etiche. Ecco perché chiediamo a tutti di contribuire attivamente attraverso la consultazione pubblica del Rapporto GIMBE aperta sino al 30 settembre».

La tassonomia GIMBE “Frodi e abusi in sanità” è disponibile all’indirizzo web: www.rapportogimbe.it/tassonomia_frodi_abusi


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22 giugno 2017
Linee Guida e Responsabilità Professionale: lo studio GIMBE approda ad Oxford

Unica voce italiana al prestigioso evento “Evidence Live” lo studio che ha valutato le Linee Guida prodotte in Italia dalle Società Scientifiche. Dai dati emerge un paradosso che a breve termine condizionerà inevitabilmente l’applicazione della nuova legge sulla Responsabilità Professionale: oggi le Linee Guida potenzialmente utilizzabili sono un numero esiguo e concentrate in pochissime aree clinico-assistenziali.

Sul palcoscenico di Evidence Live – evento internazionale che raduna a Oxford i massimi esperti nella produzione, sintesi e trasferimento delle evidenze scientifiche – è stata presentata ieri la ricerca finanziata dalla Fondazione GIMBE con la borsa di studio “Gioacchino Cartabellotta” e condotta sotto l’egida dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e del Guidelines International Network (G-I-N), rete internazionale di organizzazioni che producono linee guida in oltre 40 paesi.

«Nel marzo 2016, durante la discussione parlamentare della legge sulla responsabilità professionale – ha esordito Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – abbiamo finanziato lo studio “Linee guida per la pratica clinica in Italia: qualità metodologica e gestione dei conflitti di interesse”, con l’obiettivo  di fornire alle Istituzioni un quadro oggettivo sul numero delle linee guida prodotte in Italia e sulla loro qualità, valutata in base all’aderenza agli standard G-I-N su metodologie di produzione e governance dei conflitti di interesse».

Cartabellotta ha presentato i risultati della prima fase dello studio che ha valutato esclusivamente le linee guida prodotte dalle società scientifiche italiane. Delle 403 società identificate, quasi l’80% (n. 322) sono state escluse per varie ragioni: mancanza di sito web (n. 6), assenza di pagina web dedicata alle linee guida (n. 289), pagina linee guida ad accesso riservato (n. 14), link ad altri produttori internazionali (n. 13). Dei 712 documenti complessivamente censiti, solo 359 (50,4%) sono stati identificati come linee guida: il resto erano file non accessibili (n. 9), altri documenti (n. 71) e linee guida di altri produttori internazionali (n. 273). La valutazione finale ha incluso solo 75/359 (21%) linee guida pubblicate nel 2015 e nel 2016. La qualità metodologica valutata attraverso l’aderenza agli standard del G-I-N è risultata complessivamente accettabile, ad eccezione della disclosure sui conflitti di interesse, riportata solo nel 17% dei casi. Da rilevare che 42/75 linee guida incluse nella valutazione finale sono state prodotte da 2 sole società scientifiche: 33 dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) e 9 dalla Società Italiana di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare (SICVE), società che dispongono di un proprio manuale metodologico a riprova del fatto che a metodi rigorosi conseguono risultati eccellenti.

«La legge sulla responsabilità professionale – ha puntualizzato il Presidente – ha affidato un ruolo cruciale alle linee guida, ma dallo studio GIMBE emerge un paradosso che a breve termine ne condizionerà inevitabilmente l’applicazione: le linee guida prodotte dalle società scientifiche italiane potenzialmente utilizzabili sono oggi un numero esiguo e si concentrano in pochissime aree clinico-assistenziali».

Da questo punto di vista è fondamentale che la legge abbia affidato la governance nazionale del processo di produzione di linee guida all’ISS, a cui spetta il compito di definire le priorità, evitare duplicazioni, favorire la produzione di linee guida multiprofessionali-multidisciplinari, standardizzare i criteri di qualità metodologica e definire le modalità di gestione dei conflitti di interesse.

«Anche se le recenti novità normative e giurisprudenziali –  ha concluso Cartabellotta –  hanno rivitalizzato l’interesse per le linee guida in Italia, è indispensabile evitare un loro impiego rigido e strumentale esclusivamente a fini di tutela medico-legale, ma piuttosto utilizzarle sia come base scientifica per lo sviluppo dei percorsi assistenziali, sia come raccomandazioni per supportare decisioni cliniche da condividere sempre con il paziente».

La versione italiana dello studio GIMBE è disponibile a: www.gimbe.org/studio-linee-guida      


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6 giugno 2017
2&#176; Rapporto GIMBE: Servizio Sanitario in prognosi riservata. Entro il 2025 saremo orfani della sanit&#224; pubblica?

ANCHE SE NON ESISTE UN DISEGNO OCCULTO DI SMANTELLAMENTO E PRIVATIZZAZIONE DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE, CONTINUA A MANCARE UN PROGRAMMA POLITICO DI MEDIO-LUNGO TERMINE PER SALVAGUARDARLO. LA FONDAZIONE GIMBE HA ELABORATO UN DETTAGLIATO “PIANO DI SALVATAGGIO” CHE, OLTRE AL NECESSARIO MA POCO PROBABILE RILANCIO DEL FINANZIAMENTO PUBBLICO, PREVEDE UNA RIDEFINIZIONE DEL PERIMETRO DEI LEA, UN PIANO NAZIONALE DI DISINVESTIMENTO DAGLI SPRECHI E UNA RIFORMA DELLA SANITÀ INTEGRATIVA.

6 giugno 2017 - Fondazione GIMBE, Roma

La Fondazione GIMBE ha presentato oggi alle Istituzioni presso la Biblioteca del Senato “Giovanni Spadolini” il 2° Rapporto sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale: «La Fondazione GIMBE – esordisce il Presidente Nino Cartabellotta – ribadisce quanto già affermato con la pubblicazione del precedente Rapporto: non esiste alcun disegno occulto di smantellamento e privatizzazione del Servizio Sanitario Nazionale, ma continua a mancare un piano preciso di salvataggio, condizionato dalla limitata capacità della politica di guardare a medio-lungo termine. Nella consapevolezza che la sanità rappresenta sia un considerevole capitolo di spesa pubblica da ottimizzare, sia una leva di sviluppo economico da sostenere, il Rapporto valuta invece con una prospettiva decennale il tema della sostenibilità del SSN, ripartendo dal suo obiettivo primario: promuovere, mantenere e recuperare la salute delle persone».

Il Rapporto analizza in maniera dettagliata le quattro criticità che condizionano la sostenibilità del SSN, formulando specifiche proposte con il “Piano di salvataggio” del SSN:

Finanziamento pubblico. La spesa sanitaria in Italia continua inesorabilmente a perdere terreno, sia considerando la % del PIL sia soprattutto la spesa pro-capite, inferiore alla media OCSE ($ 3.245 vs $ 3.976), che posiziona l’Italia prima tra i paesi poveri dell’Europa. «L’entità del definanziamento pubblico – precisa Cartabellotta – emerge in maniera ancora più evidente confrontando la crescita percentuale della spesa pubblica nel 2009-2015, dove l’Italia si attesta ultima, con un misero +2,9% (rispetto al 20% della media OCSE), precedendo solo Spagna, Portogallo e Grecia, paesi in cui si è verificata addirittura una riduzione percentuale». Purtroppo, il Documento di Economia e Finanza (DEF) 2017 conferma che, se nel 2010-2015 la sanità si è fatta pesantemente carico della crisi economica del Paese, una eventuale ripresa del PIL nei prossimi anni non avrà un corrispondente positivo impatto sul finanziamento pubblico del SSN, perché il DEF 2017 ne ha ridotto in maniera rilevante la percentuale da destinare alla sanità.

Nuovi LEA. Il Rapporto esamina in maniera analitica le criticità applicative dei nuovi LEA, un “paniere” di prestazioni estremamente ricco, ma che deve fare i conti con il pesante definanziamento pubblico. «Il vero problema – puntualizza il Presidente – è che il DPCM sui nuovi LEA non rende esplicita né la metodologia per inserire le prestazioni nei LEA, né quella per “sfoltirli”. In assenza di metodo si concretizzano situazioni paradossali, dove con il denaro pubblico vengono al tempo stesso rimborsate prestazioni futili o addirittura dal rapporto rischio-beneficio sfavorevole, mentre prestazioni indispensabili non vengono garantite».

Sanità integrativa. Dei quasi € 35 miliardi di spesa privata, l’88% in Italia è a carico dei cittadini, con una spesa pro-capite annua di oltre € 500. «Le varie forme di sanità integrativa – precisa Cartabellotta – “intermediano” infatti solo il 12,8% della spesa privata, collocando l’Italia agli ultimi posti dei paesi dell’OCSE. Peraltro, la frammentazione legislativa ha generato un paradosso inaccettabile: se i fondi sanitari integrativi non possono coprire prestazioni essenziali, molte di queste oggi vengono sostenute dalle assicurazioni private, che si stanno insinuando tra incertezze delle Istituzioni e minori tutele della sanità pubblica, rischiando di trasformare silenziosamente, ma inesorabilmente, il modello di un SSN pubblico, equo e universalistico in un sistema misto».

Spechi e inefficienze. Il Rapporto aggiorna le stime sull’impatto degli sprechi sulla spesa sanitaria pubblica 2016: € 22,51 miliardi erosi da sovra-utilizzo, frodi e abusi, acquisti a costi eccessivi, sotto-utilizzo, complessità amministrative, inadeguato coordinamento dell’assistenza. «Quest’anno – aggiunge il Presidente – abbiamo elaborato “carte di identità” per ciascuna delle sei categorie e, sulla base delle iniziative rilevanti realizzate dall’Agenas e dall’Autorità Nazionale Anti Corruzione, abbiamo sviluppato la tassonomia GIMBE di frodi e abusi in sanità, integrando fonti bibliografiche internazionali, casistiche giurisprudenziali, fatti e fenomeni nazionali».

Agnès Couffinhal – senior economist dell’OCSE – ha confermato le stime GIMBE sugli sprechi, presentando per la prima volta in Italia il report Tackling Wasteful Spending on Health: «Le evidenze sugli sprechi nei sistemi sanitari – ha precisato la curatrice del report – sono inequivocabili: non è più tempo di disquisire sulla loro esistenza, ma bisogna agire senza indugi. Considerato che circa 1/5 della spesa sanitaria apporta un contributo minimo o nullo al miglioramento della salute delle persone, tutti gli stakeholder sono chiamati a collaborare per tagliare gli sprechi con precisione chirurgica»

«Secondo le nostre stime, che restano estremamente conservative – conclude Cartabellotta – nel 2025 il fabbisogno del SSN sarà di € 210 miliardi, cifra che può essere raggiunta solo con l’apporto costante di tre “cunei di stabilizzazione”: piano nazionale di disinvestimento da sprechi e inefficienze, incremento della quota intermediata della spesa privata e, ovviamente, adeguata ripresa del finanziamento pubblico. In assenza di un programma di tale portata, la lenta trasformazione verso un sistema sanitario misto sarà inesorabile, consegnando definitivamente alla storia il nostro tanto invidiato sistema di welfare. Ma, se anche questa sarà la strada, la politica non potrà esimersi dal giocare un ruolo attivo, avviando una rigorosa governance della delicata fase di transizione con il fine di proteggere le fasce più deboli e di ridurre al minimo le diseguaglianze».

La versione integrale del 2° Rapporto GIMBE è disponibile per la consultazione pubblica all’indirizzo web: www.gimbe/rapporto2017

 

Rapporto GIMBE: il “Piano di salvataggio” del Servizio Sanitario Nazionale

  • Offrire ragionevoli certezze sulle risorse destinate al SSN, mettendo fine alle annuali revisioni al ribasso rispetto alle previsioni e soprattutto con un graduale rilancio del finanziamento pubblico.
  • Rimodulare i LEA sotto il segno del value, per garantire a tutti i cittadini servizi e prestazioni sanitarie ad elevato value, destinando quelle dal basso value alla spesa privata e impedendo l’erogazione di prestazioni dal value negativo.
  • Ridefinire i criteri della compartecipazione alla spesa sanitaria e le detrazioni per spese sanitarie a fini IRPEF, tenendo conto anche del value delle prestazioni sanitarie.
  • Attuare al più presto un riordino legislativo della sanità integrativa.
  • Avviare un piano nazionale di prevenzione e riduzione degli sprechi, al fine di disinvestire e riallocare almeno 1 dei 2 euro sprecati ogni 10 spesi.
  • Mettere sempre la salute al centro di tutte le decisioni (health in all policies), in particolare di quelle che coinvolgono lo sviluppo economico del Paese, per evitare che domani la sanità paghi “con gli interessi” quello che oggi appare una grande conquista.

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29 maggio 2017
Omeopatia: basta bugie, è solo un costoso placebo

LA LIBERTÀ DI CURA ESISTE SOLO QUANDO SI È CORRETTAMENTE INFORMATI: LA FONDAZIONE GIMBE AFFERMA SENZA INDUGI CHE I PRODOTTI OMEOPATICI NON SONO EFFICACI PER CURARE NESSUNA MALATTIA E, COME TALI, NON SONO INTEGRATIVI NÉ TANTO MENO ALTERNATIVI AI TRATTAMENTI DI PROVATA EFFICACIA. I MEDICI CHE LI PRESCRIVONO ILLUDONO I LORO PAZIENTI, GRAZIE AL COMPLICE SILENZIO-ASSENSO DI ORDINI PROFESSIONALI E ISTITUZIONI

29 maggio 2017- Fondazione GIMBE, Bologna

Nel 2015 il National Health Medical Research Council australiano ha pubblicato una revisione sistematica indipendente dal verdetto impietoso: non esiste alcuna patologia in cui sia provata l'efficacia dell'omeopatia. Di conseguenza “non dovrebbe essere utilizzata per trattare malattie croniche, severe o che potrebbero diventare tali e le persone che scelgono l’omeopatia mettono a rischio la loro salute se rifiutano o ritardano terapie per le quali esistono adeguate evidenze di efficacia e sicurezza”. Eppure, come fieramente sbandierato dai produttori lo scorso 10 aprile, in occasione della giornata mondiale dell’omeopatia, “sono 8 milioni gli italiani che usano l'omeopatia almeno una volta all'anno. E tra di loro vi sono anche molti bambini, visto che quasi un pediatra su tre ha prescritto prodotti omeopatici almeno una volta”.

«Legittimare l’efficacia dei prodotti omeopatici – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – puntando sul fatto che una parte della popolazione li utilizza rappresenta una strategia di persuasione pubblica basata su teorie di marketing e non sul metodo scientifico. Analogamente a quanto accade per i medicinali, infatti, anche i prodotti omeopatici devono essere sottoposti a rigorose sperimentazioni cliniche che, senza se e senza ma, non ne hanno mostrato efficacia alcuna. Tanto che negli USA, perfettamente in linea con le evidenze scientifiche, nel novembre 2016 la Federal Trade Commission – agenzia di tutela dei consumatori – ha imposto di indicare sulle confezioni di prodotti omeopatici che non esiste alcuna prova della loro efficacia».

Nel nostro Paese, fatta eccezione per illustri scienziati come Silvio Garattini o autorevoli giornalisti come Piero Angela che hanno sempre espresso pubblicamente il loro scetticismo nei confronti dell’omeopatia, le Istituzioni pubbliche e la Federazione Nazionale dell’Ordine dei Medici e Odontoiatri (FNOMCeO) non hanno mai osato prendere rigorose posizioni in merito: solo Walter Ricciardi - Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità - ha espresso le sue perplessità in merito agli ambulatori di omeopatia in Toscana a carico del SSN. Più recentemente, il Comitato Nazionale per la Bioetica ha pubblicato la “Dichiarazione sull’etichettatura dei preparati omeopatici e sulla trasparenza dell’informazione”, chiedendo che il termine “medicinale” sia sostituito dal termine “preparato” e che la frase “Medicinale omeopatico senza indicazioni terapeutiche approvate” sia modificata in “Preparato omeopatico di efficacia non convalidata scientificamente e senza indicazioni terapeutiche approvate”. L’unico ad astenersi dal sottoscrivere tale dichiarazione, necessaria per garantire la debita trasparenza, è stato proprio il rappresentante della FNOMCeO.

«I cittadini – continua Cartabellotta – devono sapere inoltre che i prodotti omeopatici presenti sul mercato non sono stati approvati da nessuna autorità regolatoria: finora era infatti sufficiente una semplice notifica al Ministero della Salute».

Ora finalmente, secondo la direttiva 2001/83/CE recepita con il DL 24 aprile 2006 n.219, le aziende produttrici che entro il 30 giugno 2017 non avranno presentato all'AIFA la documentazione necessaria per ottenere l'Autorizzazione all'Immissione in Commercio dei loro prodotti dovranno ritirarli dal mercato entro la fine di giugno del 2018. La data di scadenza era già stata fissata al 30 giugno 2015, ma le aziende hanno chiesto e ottenuto una prima proroga: approssimandosi ora la nuova scadenza, Omeoimprese ha richiesto – senza successo – una ulteriore proroga, nonostante si tratti di una procedura semplificata che non richiede alcuna dimostrazione di efficacia, ma solo della loro sicurezza.

«È infine paradossale rilevare che i prodotti omeopatici, – conclude il Presidente – sebbene interamente a carico del cittadino, godono dei medesimi benefici di detraibilità fiscale alle altre spese sanitarie: ciò significa che un mercato dei prodotti omeopatici di € 255 milioni nel 2016 secondo i dati di Federfarma, genera potenziali detrazioni per oltre € 40 milioni, di fatto pagati della comunità, che vanno a sommarsi alle detrazioni per le visite dei medici omeopati».


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22 maggio 2017
Troppi esami preoperatori: una routine rischiosa e costosa

INGIUSTIFICATI TIMORI MEDICO-LEGALI, ABITUDINI CONSOLIDATE E LIMITATA CONDIVISIONE DEI RISCHI CON I PAZIENTI DETERMINANO UN ECCESSO DI ESAMI PRIMA DI UN INTERVENTO CHIRURGICO PROGRAMMATO, QUASI TUTTI INAPPROPRIATI NELLE CATEGORIE DI PAZIENTI A BASSO RISCHIO. LA FONDAZIONE GIMBE PUBBLICA LA SINTESI ITALIANA DELLE LINEE GUIDA NICE AL FINE DI GUIDARE I COMPORTAMENTI PROFESSIONALI, RIORGANIZZARE I PERCORSI LOCALI E INFORMARE I PAZIENTI SU QUALI ESAMI SONO REALMENTE APPROPRIATI.

22 maggio 2017- Fondazione GIMBE, Bologna

Consistenti evidenze scientifiche internazionali e nazionali documentano che negli interventi chirurgici programmati e non urgenti viene prescritto un eccesso di esami preoperatori per diverse ragioni: timori medico-legali non giustificati dalle evidenze disponibili, routine professionali consolidate e resistenti al cambiamento, limitata condivisione dei rischi operatori con i pazienti. Per tale ragione l’Osservatorio GIMBE per la sostenibilità del SSN ha identificato i test preoperatori nella chirurgia di elezione un “sorvegliato speciale” per stimare sprechi diretti e indiretti conseguenti al loro sovra-utilizzo.

«L’utilizzo routinario – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – di test preoperatori da sottoporre a chirurgia elettiva non incide sulla gestione chirurgica e il riscontro di risultati falsamente positivi genera un ulteriore sovra-utilizzo di prestazioni, quali terapie inappropriate, consulti specialistici ed esami invasivi che possono determinare danni ai pazienti. Inoltre, i conseguenti sprechi non sono dovuti solo all’eccesso di esami, ma anche ai ritardi generati nel processo chirurgico».

La linee guida del NICE, disponibili in italiano grazie alla traduzione della Fondazione GIMBE, prendendo in considerazione lo stato fisico del paziente secondo le classi di rischio ASA (American Society of Anesthesiologists) e la complessità dell’intervento chirurgico (minore, intermedia, maggiore), forniscono le raccomandazioni per i test diagnostici con un pratico schema che utilizza i colori del semaforo: rosso (non di routine), giallo (raccomandato in casi particolari), verde (sempre raccomandato).

«Le linea guida NICE – continua il Presidente – raccomanda di includere i risultati di tutti i test pre-operatori effettuati dal medico di famiglia quando si richiede un consulto chirurgico, oltre che considerare tutti i farmaci assunti dal paziente prima di effettuare qualsiasi test pre-operatorio, al fine di evitare inutili duplicazioni di esami, in particolare quelli eseguiti per specifiche comorbidità o terapie assunte dal paziente».

Altro aspetto rilevante su cui si sofferma la linea guida NICE è la necessità di accertare lo stato di gravidanza, visti i rischi per la madre e per il feto determinato dagli anestetici e dalla procedura chirurgica, associati ad un aumentato rischio di aborto spontaneo: infatti, il 5,8% delle gravide ha un aborto spontaneo dopo un intervento chirurgico e la percentuale sale al 10,5% se l’intervento viene effettuato durante il primo trimestre. Paradossalmente, nella chirurgia elettiva il sovra-utilizzo dei test di routine convive con il sotto utilizzo di procedure standardizzate per accertare lo status di gravidanza, incluso il test nei casi dubbi.

«L’articolo 5 – conclude Cartabellotta – della legge 24/2017 sul rischio clinico fa riferimento alla tutela medico-legale del professionista che si attiene a “linee guida elaborate da elaborate da enti e istituzioni pubblici e privati nonché dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie e, in assenza di queste, da buona pratiche clinico-assistenziali”. In attesa del rilancio del Sistema Nazionale Linee Guida, riteniamo che le raccomandazioni del NICE prodotte con metodologia estremamente rigorosa rappresentino un riferimento, oltre che per guidare i comportamenti professionali e per informare correttamente i pazienti, anche per la tutela medico-legale».

Le “Linee guida per la richiesta appropriata dei test pre-operatori nella chirurgia elettiva” sono disponibili a: www.evidence.it/test-preoperatori


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3 maggio 2017
Bufale di stato: inaccettabile e pericolosa disinformazione sulla diagnosi precoce dei tumori

MENTRE LA PRESIDENTE DELLA CAMERA BOLDRINI SOSTIENE UNA CAMPAGNA ISTITUZIONALE CONTRO LE BUFALE SUL WEB, LA TELEVISIONE DI STATO ANNUNCIA FALSI MIRACOLI: LA POSSIBILITÀ DI DIAGNOSTICARE I TUMORI CON UN SEMPLICE PRELIEVO DI SANGUE. LA FONDAZIONE GIMBE SMENTISCE CATEGORICAMENTE LA NOTIZIA E CHIEDE ALLE ISTITUZIONI UNA RIGOROSA GOVERNANCE DELLE INFORMAZIONI SULLA SALUTE TRASMESSE DAL SERVIZIO PUBBLICO

Milioni di Italiani in questi giorni si stanno chiedendo dove effettuare il tanto semplice quanto miracoloso esame del sangue che permette di sapere se il nostro corpo sta per essere (o è già stato) invaso dalla malattia più temuta, il cancro. Dopo l’ampio spazio su vari quotidiani, anche il (dis)servizio pubblico di Porta a Porta ha permesso alla dottoressa Patrizia Paterlini-Bréchot – docente di biologia cellulare e molecolare all'Università di Paris-Descartes – di presentare il suo libro “Uccidere il cancro”: il cavallo di battaglia (o forse la gallina dalle uova d’oro?) della ricercatrice tanto al centro dell’attenzione mediatica è il cosiddetto test ISET®, che sarebbe in grado di diagnosticare il tumore con diversi anni di anticipo, alla modica cifra di 486 euro, ovviamente (e giustamente!) non rimborsati dal servizio sanitario nazionale.

«E’ inaccettabile – accusa Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – che la televisione di Stato permetta a ricercatori in palese conflitto di interessi di diffondere informazioni sulla salute delle persone non ancora validate dalla comunità scientifica e che al momento non hanno nessuna applicazione reale nella pratica clinica e nella sanità pubblica».

Il livello di validazione del test ISET® – già brevettato dalla dott.ssa Paterlini e altri ricercatori e di proprietà della società Rarecells – dal punto di vista scientifico è infatti assolutamente preliminare, come dimostra anche l’ultimo studio pubblicato a gennaio (Plos ONE 2017;12: e0169427). In altri termini, come ha già rilevato ieri Carmine Pinto – Presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) – non conosciamo affatto la capacità del test ISET® di predire i tumori, semplicemente perché non è ancora stato valutato in rigorosi studi clinici sull’uomo.

«Tutte le scoperte scientifiche – precisa Cartabellotta – siano esse diagnostiche o terapeutiche devono attraversare un lungo cammino di validazione attraverso diverse tipologie di studi: dalla ricerca di base in vitro e sugli animali a quella preliminare sull’uomo, sino a rigorose sperimentazioni cliniche che devono essere replicate in diverse popolazioni prima di legittimare l’accuratezza di un test diagnostico o l’efficacia di un trattamento».

Il sito web dell’azienda Rarecells riporta che “la tecnologia ISET® è stata validata da oltre 50 studi scientifici indipendenti realizzati su oltre 2.000 pazienti affetti da differenti tipologie di tumore (cancro ai polmoni, cancro del seno, cancro della prostata, cancro del fegato, cancro del rene, melanoma cutaneo ed uveale, cancro del pancreas, sarcomi, etc…) e più di 600 soggetti sani”. Tuttavia, i suddetti studi - disponibili a www.rarecells.com/iset-publication.html - sono sì sostenuti da avvincenti ipotesi scientifiche e promettenti risultati preliminari, ma non legittimano alcuna raccomandazione per la pratica clinica, né tantomeno informazioni da diffondere alla popolazione, a dispetto di quanto affermato in maniera molto convincente sul sito web www.isetbyrarecells.com/it. A riprova di questo, il test ISET® non è citato, né tantomeno raccomandato, da nessuna linea guida nazionale o internazionale sulla diagnosi di alcun tumore.

«Oggi le aspettative della popolazione nei confronti di una medicina mitica e una sanità infallibile – precisa Cartabellotta – hanno raggiunto livelli inaccettabili e pericolosi in conseguenza di vari fattori: facilità di accesso tramite internet a informazioni scientificamente non validate, assenza di un programma istituzionale di informazione sanitaria per cittadini e pazienti, progressiva medicalizzazione della società».

Se anche la televisione di Stato, sostenuta dai contribuenti, alimenta la disinformazione scientifica illudendo cittadini e pazienti, le Istituzioni preposte a vigilare sulla salute delle persone devono intervenire in maniera sistematica e senza indugi! Il servizio pubblico di informazione non deve e non può in nessun modo alimentare false aspettative: la scienza non può essere oggetto di falsi proclami, né di legittimazioni di pratiche e test non validati, perché rischiano di danneggiare la salute delle persone e compromettere la sostenibilità del servizio sanitario nazionale.

«La battaglia contro il cancro – conclude Cartabellotta – si vince gradualmente grazie al lavoro di tanti ricercatori che ogni giorno fanno un passo in avanti, legittimando e confermando le loro scoperte secondo le regole della comunità scientifica. Enfatizzare risultati preliminari della ricerca attraverso il sensazionalismo offerto dal cortocircuito mediatico non è etico e non è scientifico, né per i ricercatori, né per i giornalisti».


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19 aprile 2017
DEF 2017: Profondo rosso per la sanità pubblica

IL DOCUMENTO DI ECONOMIA E FINANZA 2017 CONFERMA IL PROGRESSIVO DEFINANZIAMENTO DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE: NEL 2019 IL NOSTRO PAESE DESTINERÀ ALLA SANITÀ SOLO IL 6,4% DEL PIL, SFORANDO LA SOGLIA DI ALLARME FISSATA DALL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITÀ. IL RISCHIO CONCRETO È DI RIDURRE, OLTRE LA QUALITÀ DELL’ASSISTENZA E L’ACCESSO ALLE CURE, ANCHE L’ASPETTATIVA DI VITA DELLE PERSONE.

19 aprile 2016 - Fondazione GIMBE, Bologna

Prende oggi il via in Commissione Igiene e Sanità del Senato l'esame del Documento di Economia e Finanza (DEF) 2017, secondo il quale nel triennio 2018-2020 il PIL nominale dovrebbe crescere in media del 2,9% per anno, mentre l’incremento della spesa sanitaria dovrebbe attestarsi su tasso medio annuo dell’1,3%. In termini finanziari per la sanità pubblica significherebbe passare dai € 114,138 miliardi stimati per il 2017 a € 115,068 miliardi nel 2018, a € 116,105 nel 2019 e € 118,570 nel 2020.

«Sulle cifre assolute – puntualizza Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – è meglio non farsi troppe illusioni, perché negli ultimi anni la sanità ha sempre ricevuto molto meno di quanto previsto dal DEF. Clamoroso l’esempio del 2016: i € 117,6 miliardi stimati dal DEF 2013 si sono ridotti a € 116,1 con il DEF 2014, quindi a € 113,4 con il DEF 2015, per arrivare con la Legge di Stabilità 2016 a un finanziamento reale di € 111 miliardi, comprensivi di € 800 milioni da destinare ai nuovi LEA».

Se le stime del DEF 2017 su aumento del PIL e spesa sanitaria fossero corrette - al di là delle rassicurazioni dall’inconfondibile sapore pre-elettorale - esiste una sola chiave di lettura: crescendo meno del PIL nominale, la spesa sanitaria non coprirà nemmeno l'aumento dei prezzi. In altre parole, nel prossimo triennio la sanità pubblica potrà disporre delle stesse risorse in termini di potere di acquisto solo se la ripresa economica del Paese sarà in linea con previsioni più che ottimistiche, visto che la crescita stimata del PIL è del 2,2% nel 2017 e del 2,9% nel 2018 e nel 2019.

«Il dato più preoccupante per la salute delle persone – continua il Presidente – è che secondo il DEF 2017 il rapporto tra spesa sanitaria e PIL diminuirà dal 6,7% del 2017 al 6,5% nel 2018 per precipitare al 6,4% dal 2019, una percentuale mai raggiunta in passato. Varcheremo dunque la temuta soglia di allarme fissata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, secondo cui sotto il 6,5%, oltre la qualità dell’assistenza e l’accesso alle cure, si riduce anche l’aspettativa di vita delle persone».

Peraltro nel confronto con gli altri Paesi, i dati OCSE 2016 dimostrano che in Italia la sanità continua inesorabilmente a perdere terreno: la spesa totale pro-capite è inferiore alla media OCSE (3.272 vs 3.814 dollari), in Europa siamo primi solo tra i paesi (poveri) che spendono meno (Spagna, Slovenia, Portogallo, Repubblica Ceca, Grecia, Slovacchia, Ungheria, Estonia e Lettonia), mentre tra i paesi (ricchi) del G7 siamo fanalino di coda per spesa totale e per spesa pubblica, ma secondi per spesa a carico dei cittadini.

«Anche per questo dato – precisa Cartabellotta –la chiave di lettura non può che essere univoca: negli ultimi 10 anni la politica si è progressivamente sbarazzata di una consistente quota della spesa pubblica destinata alla sanità senza essere capace di rinforzare la spesa privata intermediata, con la conseguenza che la spesa a carico dei cittadini nel 2016 ha sfiorato i € 35 miliardi».

«Il DEF 2017 – conclude Cartabellotta – conferma ulteriormente le perplessità già espresse dalla Fondazione GIMBE sulla sostenibilità dei nuovi LEA, che da grande traguardo politico rischiano di trasformarsi in illusione collettiva con gravi effetti collaterali: allungamento delle liste d’attesa, aumento della spesa out-of-pocket, sino alla rinuncia alle cure. Infatti, la necessità di estendere oltre ogni limite il consenso ha generato un inaccettabile paradosso figlio di contraddizioni politiche e di una programmazione sanitaria sganciata da quella finanziaria: sulla carta oggi i cittadini dispongono del “paniere LEA” più ricco d’Europa, ma al tempo stesso il DEF 2017 conferma che la sanità italiana è agli ultimi posti per la spesa pubblica».


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11 aprile 2017
Diagnosi precoce dei tumori: tempestività prima di tutto

IL POSITION STATEMENT DELLA FONDAZIONE GIMBE PROPONE UN MODELLO ORGANIZZATIVO TEMPO-DIPENDENTE PER LA DIAGNOSI PRECOCE DEI TUMORI E FORNISCE RACCOMANDAZIONI CLINICHE BASATE SULLE EVIDENZE PER AUMENTARE NEI PAZIENTI LA CONSAPEVOLEZZA DEI SINTOMI, PER MIGLIORARE LE CAPACITÀ DIAGNOSTICHE DEI MEDICI E PER DEFINIRE CRITERI DI APPROPRIATEZZA E TEMPISTICHE PER INDAGINI DIAGNOSTICHE E CONSULTI SPECIALISTICI

L’impatto delle neoplasie sui sistemi sanitari è enorme: ogni anno nel mondo i tumori causano 8,8 milioni di morti, ovvero 1 decesso su 6 consegue a patologie neoplastiche. In Italia nel 2016 sono stati diagnosticati oltre 365.000 nuovi casi di tumori maligni e i pazienti oncologici in vita erano oltre 3,1 milioni. I dati ISTAT indicano che, dopo le malattie cardiovascolari (36,8%), i tumori sono la seconda causa di morte (29,6%), con oltre 177.000 decessi su quasi 600.000 del 2014.

Dal punto di vista delle politiche sanitarie e della conseguente organizzazione dei servizi, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità il gold standard è rappresentato da una strategia di comprehensive cancer control, costituita da vari interventi sanitari: prevenzione primaria, screening e diagnosi precoce, trattamento, cure palliative e assistenza ai sopravviventi.

«Sfortunatamente, anche nei paesi con sistemi sanitari all’avanguardia – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – la diagnosi di tumore è spesso tardiva e l’impossibilità di fornire trattamenti adeguati condanna molte persone a inutili sofferenze e a morte prematura. Tuttavia, per una diagnosi precoce non serve sottoporsi periodicamente a check-up indifferenziati o prescrivere in maniera indiscriminata test diagnostici alla ricerca di tutti i tumori: al contrario le scelte devono essere sempre guidate da sintomi e segni di cui il paziente deve essere consapevole e che il medico deve riconoscere tempestivamente».

«Anche se spesso utilizzati come sinonimi – puntualizza il Presidente – screening e diagnosi precoce sono due strategie del tutto differenti: lo screening mira infatti ad identificare tumori o lesioni pre-cancerose nella popolazione asintomatica per ridurre la mortalità tumore-specifica, e la sua efficacia è strettamente correlata all’aderenza della popolazione target ai programmi di screening organizzato per il tumore della mammella, della cervice uterina e del colon-retto, inclusi nei livelli essenziali di assistenza. La diagnosi precoce, invece, consiste nell’identificazione tempestiva di una neoplasia in persone che presentano già segni o sintomi al fine di iniziare la terapia prima possibile, aumentando la sopravvivenza e migliorando la qualità di vita».

Considerato che ridurre i ritardi nel percorso diagnostico-terapeutico determina un significativo miglioramento degli esiti e che esiste un’estrema variabilità nella richiesta di test e consulti specialistici, la Fondazione GIMBE ha elaborato il position statement “La diagnosi precoce dei tumori” destinato non solo a medici e organizzazioni sanitarie, ma anche a cittadini e pazienti. Tra le linee guida disponibili in letteratura, sono state tradotte e adattate le raccomandazioni cliniche del National Institute for Health and Care Excellence (NICE): oltre che per il rigore metodologico e il recente aggiornamento, la linea guida è stata selezionata perché è l’unica che utilizza evidenze prodotte nei setting di cure primarie, dove generalmente inizia il processo di diagnosi dei tumori visto che le persone fanno riferimento in prima istanza al medico di famiglia.

Il position statement GIMBE ha tre obiettivi sinergici: innanzitutto, fornire ai medici raccomandazioni basate sulle evidenze finalizzate alla diagnosi precoce dei tumori maligni; in secondo luogo, definire i criteri di appropriatezza per test diagnostici e consulti specialistici; infine, aumentare nei pazienti la consapevolezza dei sintomi, aiutandoli a riconoscere quelli suggestivi di neoplasia.

«Per massimizzare l’efficacia delle terapie ed evitare di perdere pazienti al follow-up – conclude Cartabellotta – dal riconoscimento dei sintomi all’inizio della terapia non dovrebbero trascorrere più di 90 giorni. Anche se questo target temporale può variare nei diversi setting regionali e locali e tra differenti tipi di neoplasie, la diagnosi precoce dei tumori è un processo tempo-dipendente e il successo dei modelli organizzativi dipende dalla consapevolezza dei pazienti sui sintomi, dalla capacità del medico di riconoscere le presentazioni cliniche e da tempi di attesa garantiti per test diagnostici e consulti specialistici».

Il position statement GIMBE “La diagnosi precoce dei tumori” è disponibile a: www.evidence.it/diagnosi-precoce-tumori


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3 aprile 2017
Nuovi LEA: ai pazienti servono tempi certi per la reale fruibilità delle prestazioni

Dall’analisi del DPCM e dei relativi allegati l’Osservatorio GIMBE rileva numerose falle che dilatano i tempi di accesso alle principali novità introdotte dai nuovi LEA: i nomenclatori della specialistica e della protesica sono sprovvisti di tariffari, reti e registri regionali delle malattie rare non sono ancora disponibili, per la definizione di criteri uniformi per l’erogazione delle prestazioni si dovranno attendere specifiche Intese Stato-Regioni, manca del tutto un metodo esplicito per l’aggiornamento delle prestazioni

Il Ministro Lorenzin ha definito il 18 marzo 2017 una data “storica per la sanità italiana”, salutando la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del DPCM sui nuovi livelli essenziali di assistenza (LEA) come l’occasione concreta di “creare un servizio sanitario nazionale sempre al passo con le innovazioni tecnologiche e scientifiche e con le esigenze dei cittadini”.

«La pubblicazione dei nuovi LEA in Gazzetta Ufficiale – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – conclude un iter atteso da quasi 10 anni: grande merito al Ministro Lorenzin per aver raggiunto un successo politico mancato dai suoi predecessori Turco e Balduzzi. Tuttavia, sfumata l’onda di entusiasmo mediatico, è doveroso rilevare che l’accessibilità alla maggior parte delle prestazioni incluse nei nuovi LEA è ancora un lontano miraggio per cittadini e pazienti, senza necessariamente voler entrare nel merito della copertura finanziaria».

Nell’ambito delle attività dell’Osservatorio per la sostenibilità del SSN, la Fondazione GIMBE ha effettuato un’analisi scrupolosa del DPCM e dei relativi allegati: in particolare i commi 1-5 dell’articolo 64 (Norme finali e transitorie) fanno emergere un DPCM “orfano” di indispensabili documentazioni tecniche che rimanda ad ulteriori atti legislativi dalle tempistiche in parte ignote e imprevedibili, in parte note ma difficilmente applicabili in tutte le Regioni secondo le scadenze previste.

  • Nomenclatori specialistica ambulatoriale e protesica. Il cavallo di battaglia dei nuovi LEA risulta visibilmente “azzoppato” perché i nomenclatori sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale senza le corrispondenti tariffe. Infatti, a ragion veduta, il DPCM non utilizza mai il termine “nomenclatori tariffari” e i commi 2 e 3 dell’art. 64 precisano che l'entrata in vigore dei nomenclatori dell'assistenza specialistica e protesica è subordinata all'operatività dei provvedimenti che fisseranno le tariffe massime delle prestazioni, ovvero un “decreto del Ministro della Salute di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, sentita l’Agenzia per i servizi sanitari regionali, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome”. La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dei nomenclatori “orfani di tariffe” configura un paradosso normativo ratificato dal comma 5 dell’art. 64: infatti, se vero è che il DPCM sui nuovi LEA sostituisce integralmente il precedente DPCM 29 novembre 2001,di fatto i nomenclatori tariffari in vigore saranno abrogati solo quando sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto di cui sopra. «Considerato che sono ancora in atto le consultazioni con varie categorie di stakeholder per la definizione delle tariffe delle prestazioni – precisa Cartabellotta – i tempi necessari per l’entrata in vigore dei nuovi nomenclatori della specialistica ambulatoriale e della protesica sono totalmente imprevedibili».
  • Malattie rare. Il DPCM ha ampliato l’elenco inserendo oltre 110 nuove entità tra singole malattie rare e gruppi di malattie; tuttavia il comma 4 dell’art. 64, precisa che le disposizioni in merito entreranno in vigore 180 giorni dopo la data di pubblicazione del DPCM. «A Regioni e Provincie autonome –chiede il Presidente – basteranno sei mesi per adeguare le reti regionali per le malattie rare con l’individuazione dei relativi presidi e registri regionali? Ma soprattutto, quali azioni sono previste per tutelare i pazienti con malattie rare nelle regioni inadempienti?».
  • Modalità di erogazione delle prestazioni. La definizione di criteri uniformi per l’individuazione di limiti e modalità di erogazione delle prestazioni è rinviata a successivi accordi sanciti dalla Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e Province autonome, su proposta del Ministro della Salute. «Traducendo l’ineccepibile politichese con cui è redatto il comma 1 dell’art. 64 – sottolinea Cartabellotta – la standardizzazione su tutto il territorio nazionale dei criteri di erogazione delle prestazioni dei nuovi LEA (dispositivi monouso, assistenza protesica, assistenza ambulatoriale, percorsi assistenziali integrati, etc.) viene ancora una volta rimandata ad atti successivi le cui tempistiche non sono definite dal DPCM».
  • Commissione nazionale per l’aggiornamento dei LEA e la promozione dell’appropriatezza nel Servizio sanitario nazionale. Insediata l'11 ottobre 2016 con il compito di garantire il costante aggiornamento dei LEA attraverso una procedura semplificata e rapida, la Commissione avrebbe dovuto formulare, entro il 28 febbraio 2017, una prima proposta di revisione da formalizzare entro il 15 marzo: entrambe le scadenze non sono state rispettate. «Abbiamo ripetutamente rilevato – precisa Cartabellotta – anche in sedi istituzionali che l’assenza di una metodologia esplicita per l’inserimento/esclusione delle prestazioni dei LEA rappresenta il tallone d’Achille del DPCM: infatti, tale carenza rende estremamente complesso effettuare l’aggiornamento annuale delle prestazioni in un contesto caratterizzato da risorse limitate, continuo turnover tecnologico e necessità di mantenere ampio consenso professionale e sociale ».

«Considerato lo straordinario traguardo politico ottenuto con la pubblicazione dei nuovi LEA – conclude Cartabellotta – la Fondazione GIMBE chiede a Governo e Regioni di definire una precisa tabella di marcia per fornire certezze a cittadini e pazienti sulla reale fruibilità dei nuovi LEA in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale. Infatti, rimandando ad atti successivi numerosi aspetti applicativi, il DPCM li affida ad una tanto leale quanto utopistica collaborazione Stato-Regioni: secondo la storia recente, infatti, quando si entra nel merito delle risorse in sanità, assistiamo impotenti ad un acceso conflitto istituzionale che si ripercuote, oltre che su aziende e professionisti sanitari, su cittadini, pazienti e famiglie, soprattutto sulle categorie economicamente e socialmente più deboli».


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21 marzo 2017
Trial clinici: GIMBE alleva le nuove generazioni di ricercatori

COMUNICATO STAMPA

TRIAL CLINICI: GIMBE ALLEVA LE NUOVE GENERAZIONI DI RICERCATORI

AL VIA A SETTEMBRE LA SUMMER SCHOOL GIMBE SULLA METODOLOGIA DEI TRIAL CLINICI, DESTINATA A 30 GIOVANI STUDENTI, MEDICI E FARMACISTI SELEZIONATI CON UN BANDO NAZIONALE E REALIZZATA GRAZIE AD UNA EROGAZIONE LIBERALE E NON CONDIZIONANTE DI ASSOGENERICI AL PROGRAMMA GIMBE4YOUNG

21 marzo 2017 - Fondazione GIMBE, Bologna

Nell’ambito del programma GIMBE4young, la Fondazione GIMBE lancia la prima edizione della summer school sulla metodologia dei trial clinici (Bologna, 4-8 settembre 2017), per preparare le nuove generazioni di ricercatori alle sfide che li attendono per migliorare qualità, etica, rilevanza e integrità della ricerca clinica.

«Nella gerarchia delle evidenze scientifiche – dichiara Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – i trial clinici, in particolare quelli controllati e randomizzati, costituiscono lo standard di riferimento per valutare l’efficacia degli interventi sanitari. Tuttavia la loro qualità è spesso insoddisfacente: questo determina inevitabilmente lo spreco di preziose risorse, oltre alla persistenza di numerose aree grigie».

La conferma giunge dalla comunità scientifica internazionale che, con la campagna Lancet REWARD (Reduce research Waste And Reward Diligence), punta a ridurre gli sprechi ed aumentare il value della ricerca biomedica: «Pazienti e professionisti – continua il Presidente – vengono raramente coinvolti nella definizione delle priorità, per cui molti trial rispondono a quesiti di ricerca irrilevanti e/o misurano outcome di scarsa rilevanza clinica; senza contare il fatto che oltre la metà dei trial vengono pianificati senza alcun riferimento a evidenze già disponibili, generando evitabili duplicazioni». I dati dimostrano che più del 50% dei trial pubblicati presentano rilevanti errori metodologici che ne invalidano i risultati; sino al 50% dei trial non vengono mai pubblicati e molti di quelli pubblicati tendono a sovrastimare i benefici e sottostimare i rischi degli interventi sanitari; oltre il 30% dei trial non riporta dettagliatamente le procedure con cui somministrare gli interventi studiati e spesso i risultati dello studio non vengono interpretati alla luce delle evidenze disponibili.

Enrique Häusermann - presidente di Assogenerici - sottolinea: «Sono convinto dell’assoluta importanza dell’attività di formazione svolta da istituzioni come la Fondazione GIMBE, che da anni si batte per riportare la sanità pubblica al centro dell’agenda politica. In un momento in cui la sostenibilità del SSN è messa gravemente a rischio dalla scarsità dei finanziamenti, dalla sfida dei nuovi LEA, dall’apparente incapacità del sistema di trovare al proprio interno le risposte giuste  a sprechi e inefficienze, la formazione dei giovani professionisti rappresenta un investimento di valore sul futuro di un SSN rinvigorito e coerente con la propria mission».

«Per questo Assogenerici – prosegue Häusermann – ha scelto di sostenere concretamente il programma GIMBE4Young, convinti che da questa partnership possa essere tracciata la rotta verso una maggior consapevolezza da parte dei professionisti sanitari sulla corretta allocazione e gestione delle risorse».

«Considerato che le metodologie di pianificazione, conduzione, analisi e reporting dei trial clinici non costituiscono ancora parte integrante dei percorsi universitari e specialistici – conclude Cartabellotta – la Fondazione GIMBE lancia un bando nazionale per selezionare 30 giovani studenti, medici e farmacisti, al fine di colmare questo gap formativo».

La scadenza del bando è fissata al 31 maggio 2017.

Per ulteriori informazioni e invio candidature: www.gimbe4young.it/summerschool

 


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14 marzo 2017
LEA: L’Eterna Attesa dei Livelli Essenziali di Assistenza

LA LENTE DELL’OSSERVATORIO GIMBE METTE A FUOCO TRE CRITICITÀ RELATIVE AI LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA: MANCATA PUBBLICAZIONE IN GAZZETTA UFFICIALE DEL DPCM SUI “NUOVI LEA”, INACCETTABILE RITARDO DELLA PUBBLICAZIONE DEL REPORT 2014 SULL’ADEMPIMENTO AL MANTENIMENTO DELL’EROGAZIONE DEI LEA, SCOMPARSA DALLA SCENA DEL NUOVO SISTEMA DI GARANZIA PER IL MONITORAGGIO DELL’ASSISTENZA SANITARIA

14 marzo 2017 - Fondazione GIMBE, Bologna

Nell’ambito della campagna #salviamoSSN, nel settembre 2016 la Fondazione GIMBE ha istituito l’Osservatorio per la sostenibilità del SSN per un monitoraggio continuo e indipendente di responsabilità e azioni di tutti gli stakeholder, con il fine ultimo di ottenere il massimo ritorno in termini di salute del denaro pubblico investito in sanità.

«Dall’analisi delle attività istituzionali relative ai livelli essenziali di assistenza – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – emergono tre rilevanti criticità: la mancata pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del DPCM sui “nuovi LEA”, l’inaccettabile ritardo del report “Adempimento mantenimento dell’erogazione dei LEA attraverso gli indicatori della griglia LEA” relativo al 2014 e il silenzio assordante calato sul nuovo sistema di garanzia per il monitoraggio dell’assistenza sanitaria».

Fatta eccezione per il tardivo invio alle Camere, l’iter burocratico del DPCM sui “nuovi LEA” non ha subìto particolari ritardi dopo la bollinatura della Ragioneria Generale dello Stato: accordo in Conferenza Stato-Regioni il 7 luglio 2016, invio al MEF il 14 luglio e conferma vaglio il 29 luglio; 9 novembre invio alle Camere per esame nelle commissioni parlamentari che hanno rilasciato il loro parere il 14 dicembre; firma del Premier Gentiloni il 12 gennaio 2017 e registrazione alla Corte dei Conti il 3 febbraio. «Considerato che il Ministro aveva presentato alle Regioni la documentazione sui “nuovi LEA” nel lontano 4 febbraio 2015 – precisa Cartabellotta – dopo oltre due anni la mancata pubblicazione in Gazzetta Ufficiale non è più da imputare a ritardi istituzionali quanto a carenze tecniche: infatti i nuovi nomenclatori tariffari (specialistica ambulatoriale e protesica) non sono ancora disponibili. Peraltro, secondo le scadenze definite il 21 gennaio 2017 dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, la Commissione LEA avrebbe dovuto formulare entro il 28 febbraio la proposta di aggiornamento per l'anno 2017 ed entro il 15 marzo, ovvero domani, adottare il relativo provvedimento, che paradossalmente non è ancora legge dello Stato».

Il report sull’adempimento mantenimento dell’erogazione dei LEA attraverso gli indicatori della griglia LEA – strumento principale per il monitoraggio e la verifica dell’effettiva erogazione delle prestazioni – viene pubblicato annualmente dal Ministero della Salute per documentare l’adempimento delle Regioni ai LEA e identificare quelle rinviate al Piano di Rientro. L’Osservatorio GIMBE rileva l’inaccettabile ritardo nella pubblicazione degli ultimi due adempimenti. «Solo ieri, 13 marzo, sono state pubblicate le performance regionali sui LEA relative al 2014 – precisa il Presidente – con un report datato giugno 2016; mentre per quelle relative al 2013 il report datato luglio 2015 è stato reso pubblico il successivo 12 novembre».

Rispetto al Nuovo Sistema di Garanzia per il monitoraggio dell’assistenza sanitaria la “Direttiva generale 2016 per l’attività amministrativa e la gestione del Ministero della Salute” sanciva che «in accordo con quanto riportato nel Patto per la Salute 2014-2016, si prevede di aggiornare il sistema di garanzia per il monitoraggio dell’assistenza sanitaria, definendo un’adeguata e condivisa metodologia. L’obiettivo è quello di ottenere un sistema unico di monitoraggio, incentivazione e valutazione della garanzia di erogazione dei LEA rivolto a tutte le Regioni e le Provincie autonome». Le stesse parole sono integralmente riportate nell’ “Atto di indirizzo 2017 del Ministero della Salute”, ma del Nuovo Sistema di Garanzia a oggi è nota solo l’architettura, da cui emerge che i tre livelli (prevenzione, assistenza distrettuale e assistenza ospedaliera) dovrebbero essere monitorati attraverso un set multidimensionale di indicatori: efficacia e appropriatezza clinica, efficienza e appropriatezza organizzativa, sicurezza, equità sociale. «Per quale ragione – chiede Cartabellotta – si sono completamente perse le tracce di questo importante strumento che rappresenta il tanto atteso superamento della griglia LEA?».

«Considerato che i LEA rappresentano le fondamenta della sanità pubblica – conclude Cartabellotta –chiediamo a Governo e Regioni una roadmap definitiva e credibile rispetto alle criticità rilevate dall’Osservatorio GIMBE. Se sbandierare ripetutamente la conquista dei “nuovi LEA” torna particolarmente utile a fini elettorali durante un “Governo di circostanza”, gli aspetti tecnici irrisolti fanno slittare continuamente in avanti le scadenze definite, tanto da attribuire all’acronimo LEA un diverso e inquietante significato… L’Eterna Attesa».


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7 marzo 2017
Responsabilità professionale: con le Linee guida delle Società Scientifiche si parte dall’anno zero

ALL’INDOMANI DELL’APPROVAZIONE DELLA LEGGE SULLA RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE, LA FONDAZIONE GIMBE HA PRESENTATO ALLE ISTITUZIONI UNO STUDIO CHE HA VALUTATO LE LINEE GUIDA PRODOTTE DALLE SOCIETÀ SCIENTIFICHE ITALIANE. I RISULTATI DIMOSTRANO CHE URGE UN CAMBIO DI ROTTA NEL PROCESSO DI PRODUZIONE DELLE LINEE GUIDA SOTTO LA REGIA NAZIONALE DELL’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ

7 marzo 2017 - Fondazione GIMBE, Bologna

Dopo l’approvazione della legge sulla responsabilità professionale, dal “tempestivo palcoscenico” della 12a Conferenza Nazionale GIMBE sono stati presentati i risultati preliminari della ricerca finanziata con la borsa di studio “Gioacchino Cartabellotta”: lo studio, affidato dalla Fondazione ad Antonio Simone Laganà dell’Università degli Studi di Messina, è stato condotto sotto l’egida dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e del Guideline International Network (G-I-N), rete internazionale di 107 organizzazioni che producono linee guida in 46 paesi.

«Abbiamo deciso di promuovere e finanziare lo studio “Linee guida per la pratica clinica in Italia: qualità metodologica e gestione dei conflitti di interesse” - ha esordito Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – per fornire alle Istituzioni un quadro oggettivo sul numero delle linee guida prodotte in Italia da società scientifiche, istituzioni nazionali e regionali e organizzazioni private e sulla loro qualità, verificando l’aderenza agli standard G-I-N sulle metodologie di produzione e sulla governance dei conflitti di interesse».

Laganà ha presentato metodi e risultati dello studio che in questa prima fase ha valutato, esclusivamente attraverso il web, le linee guida prodotte dalle società scientifiche. Delle 403 società identificate, quasi l’80% (n. 322) non erano eleggibili per varie ragioni: mancanza di sito web (n. 6), assenza di pagina web dedicata alle linee guida (n. 289), pagina delle linee guida ad accesso riservato (n. 14), link ad altri produttori internazionali (n. 13). Dei 712 documenti censiti, 359 (50,4%) sono stati identificati come vere e proprie linee guida: gli altri erano file non accessibili (n. 9), altri documenti (n. 71) e linee guida di altri produttori (n. 273). Delle 359 linee guida identificate, solo 75 (21%) sono state incluse nella valutazione finale, in quanto pubblicate negli ultimi due anni, tempo limite di sopravvivenza delle linee guida. La loro qualità metodologica valutata con i criteri G-I-N è risultata complessivamente accettabile, ad eccezione della disclosure sui conflitti di interesse presente solo nel solo il 17% dei casi. Da rilevare infine che 42/75 linee guida incluse nella valutazione finale sono state prodotte da 2 sole società scientifiche che dispongono di un manuale metodologico, a riprova del fatto che le poche società che seguono metodi adeguati producono risultati eccellenti.

«I prossimi step dello studio – ha spiegato il Presidente – prevedono la valutazione di linee guida prodotte da istituzioni nazionali e regionali e altre organizzazioni private, l’analisi per sottogruppi (istituzionali vs società scientifiche, FISM vs no-FISM, società scientifiche mediche vs chirurgiche) e l’invio di una comunicazione a tutti i presidenti delle società scientifiche per validare i risultati relativi alle LG identificate e suggerire di rendere libero l’accesso alla pagina delle linee guida».

Se la legge sulla responsabilità professionale affida dunque un ruolo cruciale alle linee guida, oggi quelle prodotte dalle società scientifiche potenzialmente utilizzabili sono un numero esiguo e riguardano poche aree clinico-assistenziali. Inoltre, i risultati dello studio dimostrano che i criteri previsti dal comma 2 dell’art. 5 sono necessari per “accreditare” i produttori, ma non sufficienti a garantire la produzione di linee guida di buona qualità.

«Considerato che le linee guida si apprestano a diventare uno strumento di riferimento per valutare la responsabilità professionale – ha concluso Cartabellotta –  è indifferibile un cambio di rotta sul processo di produzione. In particolare, serve una governance nazionale dell’Istituto Superiore di Sanità per definire le priorità, evitare duplicazioni, favorire la produzione di linee guida multiprofessionali-multidisciplinari, standardizzare i criteri di qualità metodologica e definire le modalità di gestione dei conflitti di interesse. In ogni caso, è indispensabile preservare il ruolo principale delle linee guida, ovvero raccomandazioni a supporto delle decisioni cliniche, evitando un loro utilizzo rigido e strumentale esclusivamente a fini medico-legali».

La presentazione dello studio GIMBE è disponibile a: www.gimbe.org/studio-linee-guida


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3 marzo 2017
La sanità pubblica sta affondando: le responsabilità sono di tutti, ma serve un programma politico

DEFINANZIAMENTO PUBBLICO, CAOS SANITÀ INTEGRATIVA, SPRECHI E DUBBI SULLA SOSTENIBILITÀ DEI NUOVI LEA: LA FONDAZIONE GIMBE CHIAMA A RACCOLTA LA POLITICA, PERCHÉ SENZA UN PRECISO PIANO DI SALVATAGGIO I CITTADINI ITALIANI RISCHIANO DI PERDERE LA LORO PIÙ GRANDE CONQUISTA SOCIALE

3 marzo 2017 - Fondazione GIMBE, Bologna

Si è appena conclusa la sessione inaugurale della 12a Conferenza Nazionale GIMBE dedicata alla “Sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale” dove, di fronte a oltre 600 partecipanti, il Presidente Nino Cartabellotta ha esordito affermando che «non esiste alcun piano occulto di smantellamento del servizio sanitario nazionale, ma nemmeno un programma esplicito per difendere un modello equo e universalistico di sanità pubblica da consegnare alle future generazioni».

Quattro le criticità di sistema identificate dalla Fondazione GIMBE, che richiedono un programma politico ben preciso finalizzato a salvare il Servizio Sanitario Nazionale: «Il finanziamento pubblico del SSN – ha dichiarato il Presidente – tra tagli e mancati aumenti dal 2010 ha lasciato per strada oltre € 35 miliardi, facendo retrocedere l’Italia sempre più nel confronto con i paesi dell’OCSE, quelli europei e del G7, tra i quali siamo fanalino di coda per spesa totale e per spesa pubblica, ma secondi per spesa a carico dei cittadini».

Rispetto alla sanità integrativa la Fondazione GIMBE ritiene indispensabile un riordino complessivo della normativa: «Il modello “a tre pilastri” – ha puntualizzato Cartabellotta – oggi mostra tutti i suoi limiti: avendo puntato tutto sul primo pilastro (finanziamento pubblico non più sufficiente a erogare i LEA), non siamo riusciti infatti ad espandere adeguatamente il secondo (fondi integrativi, limitati a coprire solo prestazioni non essenziali) e non riusciamo a contenere il terzo (assicurazioni private che scorrazzano senza regole)».

Dai dati della Fondazione GIMBE emerge poi che una quota consistente di denaro pubblico continua ad alimentare sprechi intollerabili: € 24,73 miliardi/anno erosi da sovra-utilizzo, frodi e abusi, acquisti a costi eccessivi, sotto-utilizzo, complessità amministrative, inadeguato coordinamento dell’assistenza. «A fronte dei numerosi scettici che da anni mettono in discussione le nostre stime – ha commentato con grande soddisfazione il Presidente – il rapporto OCSE del gennaio 2017 ha confermato che in sanità 2 euro su 10 vengono sprecati. Le responsabilità ricadono su tutti gli stakeholders, che devono impegnarsi a recuperarli con numerose strategie già descritte dal Rapporto GIMBE sulla sostenibilità del SSN 2016-2015».

Infine da Cartabellotta una considerazione sui nuovi LEA: «Questo grande traguardo politico rischia di trasformarsi in un’illusione collettiva con gravi effetti collaterali: allungamento delle liste d’attesa, aumento della spesa out-of-pocket, sino alla rinuncia alle cure. Infatti, la necessità politica di estendere al massimo il consenso sociale e professionale ha generato un inaccettabile paradosso: siamo il Paese con il “paniere LEA” più ampio d’Europa, ma al tempo stesso fanalino di coda per la spesa pubblica».

Su dati e proposte riportati dal Presidente ha preso il via un animato dibattito tra i componenti di un equilibrato panel politico in rappresentanza della Camera, del Senato e della Conferenza delle Regioni e Province autonome. Sul finanziamento pubblico per la sanità, che secondo le stime della Fondazione aumenterà di € 15 miliardi entro il 2025, Emilia Grazia De Biasi - presidente della 12a Commissione Igiene e Sanità, Senato della Repubblica – ha affermato che il tema prima che finanziario è politico e che il dato può variare in relazione alle priorità: «Dobbiamo decidere se intendiamo investire o meno in politiche pubbliche in sanità. Lo spreco risiede nella mancanza di legalità, nelle spese per macchinari obsoleti e inutili, nella differenza tra il Nord e il Sud del Paese». Mario Marazziti - presidente della XII Commissione Affari Sociali, Camera dei Deputati – ha puntualizzato la necessità di lavorare sul personale e garantirne la stabilizzazione, oltre che di passare da un modello ospedalocentrico a uno territoriale per garantire la continuità socio-sanitaria. D’accordo con le stime della Fondazione anche il Sen. Luigi D’Ambrosio Lettieri (Gruppo Conservatori e Riformisti) secondo cui «serve un’etica della responsabilità per il servizio sanitario pubblico. Al contrario del PIL, infatti, la spesa crescerà: per questo è indispensabile aumentare gli aspetti di governance». Secondo il Movimento 5 Stelle, rappresentato dall’On.le Giulia Grillo «Le stime dipendono dai fattori della spesa pubblica, dalle tecnologie mediche e sanitarie, oltre che dalle scelte politiche non solo sulla sanità, ma sulla salute e sul welfare in generale. L’equità di accesso alla salute è un indice di qualità e dipende anche dalla visione politica che abbiamo». L’On.le Giovanni Monchiero (Civici e Innovatori), confermando la validità tecnica delle stime della Fondazione, ha ribadito che molto è legato all’andamento del PIL nei prossimi mesi; sulla stessa linea l’On.le Donata Lenzi (Partito Democratico), che ha aggiunto l’importanza della capacità del Paese di crescere e la necessità di migliorare il rapporto dialettico con le Regioni. Sergio Venturi, Assessore alla Sanità dell’Emilia Romagna, intervenuto in rappresentanza della Conferenza delle Regioni e Province autonome, ha ribadito che le differenze regionali nell’erogazione dei LEA non sono più accettabili, concordando che le responsabilità ricadano di fatto su tutti gli stakeholders.

Ancora più accesa la discussione sul riordino della sanità integrativa, proposto dalla Fondazione GIMBE al fine di ridurre la spesa out-of-pocket ed evitare che l’intermediazione assicurativa mini le basi del SSN. «In Italia assistiamo ad un’anomala situazione – ha affermato Cartabellotta – in cui i fondi integrativi non possono espandersi, in quanto destinati a coprire solo prestazioni non essenziali, mentre le assicurazioni private possono scorrazzare senza regole». Tutti d’accordo sulla necessità di un riordino della materia: tuttavia Marazziti ha puntualizzato l’esigenza di ravvivare i fondi integrativi, non solo con fatti tecnici ma con una nuova visione/modello, mentre secondo De Biasi occorre modificare alcuni meccanismi di pagamento, affermando che « non può essere certo la carta di credito decidere in sanità». Contrari a un’espansione del campo di azione della sanità integrativa Lenzi, Monchiero e Grillo, secondo i quali le prestazioni essenziali devono continuare ad essere garantita esclusivamente dai  LEA, mentre Lenzi ha puntualizzato la necessità di governare adeguatamente il conflitto di interessi di assicurazioni private che non possono essere erogatori di prestazioni sanitarie.


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3 marzo 2017
Per salvare la sanità pubblica la Fondazione GIMBE punta sulla formazione dei giovani talenti

IN OCCASIONE DELLA 12a CONFERENZA NAZIONALE, LA FONDAZIONE GIMBE LANCIA LE NUOVE OPPORTUNITÀ DEL PROGRAMMA GIMBE4YOUNG: I GIOVANI PROFESSIONISTI SANITARI DEVONO CRESCERE CON LA CONSAPEVOLEZZA CHE IN SANITÀ LE RISORSE NON SONO ILLIMITATE E CHE LE SCELTE PROFESSIONALI DEVONO ESSERE SEMPRE BASATE SULLE MIGLIORI EVIDENZE TENENDO CONTO DELLE PREFERENZE E ASPETTATIVE DEL PAZIENTE

3 marzo 2017 - Fondazione GIMBE, Bologna

Le migliori evidenze scientifiche dovrebbero guidare tutte le decisioni che riguardano la salute delle persone: di conseguenza, nessun professionista sanitario può fare a meno di strumenti e competenze per ricercare e valutare criticamente la letteratura scientifica.

«Dalle attività di monitoraggio indipendente del nostro osservatorio – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – emerge che, ad eccezione di lodevoli eccezioni, metodi e strumenti dell’Evidence-based Practice non sono stati introdotti in maniera sistematica nella formazione universitaria del medico e delle professioni sanitarie. Per tale ragione la Fondazione GIMBE ha deciso di assegnare al Segretariato Italiano Studenti in Medicina la borsa di studio Gioacchino Cartabellotta per condurre uno studio ad hoc, finalizzato  a valutare l’insegnamento dell’Evidence-based Medicine nei Corsi di Laurea in Medicina, attraverso un’analisi sistematica dei programmi formativi e survey strutturate con gli studenti».

Considerato che i giovani professionisti sanitari italiani si trovano in un allarmante e ormai incolmabile ritardo rispetto ai colleghi europei, in occasione della 12a Conferenza Nazionale la Fondazione GIMBE ha lanciato una serie di iniziative che consolidano l’impegno nella formazione delle nuove generazioni di professionisti sanitari, perché la sostenibilità del servizio sanitario nazionale passa anche dalla capacità di essere indipendenti nella gestione delle evidenze scientifiche riducendo gli sprechi dovuti al sovra/sottoutilizzo di farmaci, test diagnostici e altri interventi sanitari. In occasione della Conferenza è stato consegnato l’EBP core curriculum europeo a 30 laureati e specializzandi under 32, selezionati tra oltre 300 candidati per partecipare al corso di formazione Evidence-based Practice grazie alle borse di studio che la Fondazione GIMBE ha erogato per il quarto anno consecutivo.

Con il programma GIMBE4young la Fondazione ha costruito un ponte tra due temi sempre all’ordine del giorno ma raramente messi in relazione: la formazione dei giovani e la sostenibilità del SSN. Da quest’anno, grazie alla partnership sottoscritta con il Segretariato Italiano Studenti in Medicina (SISM), il Segretariato Italiano Giovani Medici (SIGM) e Federspecializzandi, i giovani studenti e professionisti potranno accedere gratuitamente ai corsi GIMBE, partecipare ad un incontro annuale dedicato ed essere coinvolti nelle attività di ricerca della Fondazione.

Il ventaglio delle opportunità offerte  da GIMBE ai giovani professionisti sanitari si amplia ulteriormente: grazie alla disponibilità di EBSCO Health , studenti di medicina e delle professioni sanitarie potranno accedere gratuitamente alle risorse DynaMed Plus, banca dati di informazioni cliniche evidence-based. Inoltre, grazie al sostegno incondizionato di Assogenerici, a settembre prenderà il via la Summer School GIMBE sulla metodologia dei trial clinici, destinata a 30 giovani medici selezionati con un bando nazionale.

«Con il programma GIMBE4young – conclude Cartabellotta – intendiamo colmare i gap tra l’attuale formazione di base e specialistica e le competenze richieste dal servizio sanitario nazionale, dove un adeguato trasferimento delle evidenze alla pratica clinica è indispensabile per acquisire un sano scetticismo sull’efficacia degli interventi sanitari, troppo spesso introdotti sul mercato sulla base di pubblicazioni scientifiche discutibili spesso condizionate da interessi commerciali, e non di evidenze scientifiche valide, rilevanti e applicabili».

Per maggiori informazioni e partecipare alla selezione per le borse di studio: www.gimbe4young.it    


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2 marzo 2017
12a Conferenza Nazionale GIMBE: per una Sanità al centro dell’agenda politica

DOMANI 3 MARZO BOLOGNA CAPITALE DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE: LA FONDAZIONE GIMBE OSPITERÀ RAPPRESENTANTI DELLA POLITICA, DI AZIENDE SANITARIE, PROFESSIONISTI E CITTADINI PER UN CONFRONTO ATTIVO SULLA VOLONTÀ E LE STRATEGIE PER DIFENDERE UN MODELLO EQUO E UNIVERSALISTICO DI SANITÀ PUBBLICA DA CONSEGNARE ALLE FUTURE GENERAZIONI

2 marzo 2017 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il 2017 si annuncia come un anno pieno di incognite per la Sanità: dalla durata della legislatura alla scadenza del Patto per la Salute 2014-2016, dal rinnovo di contratti e convenzioni alla possibilità di applicare i nuovi livelli essenziali di assistenza con le risorse disponibili. Ecco perché, a quattro anni dal lancio della campagna #salviamoSSN, la 12a Conferenza Nazionale GIMBE ospiterà un propositivo confronto tra politica, management, professionisti sanitari, pazienti e cittadini sulle misure già avviate dalle Istituzioni a tutela della sanità pubblica e sul contributo richiesto a tutti gli attori del sistema per la sopravvivenza di questa irrinunciabile conquista sociale.

Nella sessione “Sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale”, la lettura inaugurale del Presidente Nino Cartabellotta punterà l’attenzione sull’inderogabile necessità di rimettere al centro dell’agenda politica la sanità pubblica, dando il via a un dibattito tra gli esponenti delle principali forze politiche impegnati in sanità: Emilia Grazia De Biasi (presidente 12a Commissione Igiene e Sanità, Senato della Repubblica), Mario Marazziti (presidente XII Commissione Affari Sociali, Camera dei Deputati), Laura Bianconi (NCD), Luigi D’Ambrosio Lettieri (Gruppo Conservatori e Riformisti), Giulia Grillo (M5S), Donata Lenzi (PD), Giovanni Monchiero (Civici e Innovatori), Maria Rizzotti (Forza Italia-Il Popolo della Libertà), Sergio Venturi (Assessore alla Sanità dell’Emilia Romagna, in rappresentanza della Conferenza delle Regioni e Province autonome).

A seguire, dopo la presentazione dei risultati dello studio GIMBE che ha valutato qualità metodologica e gestione dei conflitti di interesse delle linee guida prodotte dalle società scientifiche italiane, la parola ai protagonisti istituzionali del futuro nazionale delle linee guida per la pratica clinica:  Federico Gelli (relatore della legge sulla responsabilità professionale), Walter Ricciardi (presidente dell’Istituto Superiore di Sanità) e Franco Vimercati (presidente della Federazione delle Società Medico Scientifiche Italiane).

Immancabili gli appuntamenti con il Laboratorio Italia, dedicato ai progetti di eccellenza realizzati dalle organizzazioni sanitarie italiane, e la sessione GIMBE4young, vetrina delle numerose opportunità che la Fondazione GIMBE offre ai professionisti sanitari del futuro.

Nel corso dell’evento saranno consegnati il Premio “Salviamo il Nostro SSN” a Piero Angela, per il suo continuo impegno nel diffondere un’informazione scientifica chiara e basata sulle migliori evidenze scientifiche e il “Premio Evidence” ad Aldo Pietro Maggioni, per la sua prestigiosa carriera di ricercatore nell’ambito delle malattie cardiovascolari.

Appuntamento a Bologna, venerdì 3 marzo dalle ore 8.30 presso il Royal Hotel Carlton di via Montebello 8, oppure in streaming sulla pagina Facebook della Fondazione GIMBE a: www.facebook.com/FondazioneGIMBE


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20 febbraio 2017
A Piero Angela il premio “Salviamo il Nostro Servizio Sanitario Nazionale”

IL 3 MARZO, IN OCCASIONE DELLA 12a CONFERENZA NAZIONALE, LA FONDAZIONE GIMBE ASSEGNERÀ IL RICONOSCIMENTO AL GIORNALISTA PER IL SUO CONTINUO IMPEGNO NEL DIFFONDERE UN’INFORMAZIONE SCIENTIFICA CHIARA E BASATA SULLE MIGLIORI EVIDENZE SCIENTIFICHE AL FINE DI DEMOLIRE BUFALE, FALSI MITI, PSEUDOSCIENZE E CONSUMISMO SANITARIO, CONTRIBUENDO ALLA SOSTENIBILITÀ DELLA SANITÀ PUBBLICA

L’Italia è patria dei fenomeni “Vannoni” e “Di Bella”, oltre che di innumerevoli e meno noti sedicenti guaritori che promettono miracolose pozioni per curare le malattie più disparate, senza alcuna base scientifica, lucrando sulla disperazione di pazienti per i quali la ricerca non ha ancora trovato terapie efficaci. Parallelamente assistiamo inermi alla diffusione a macchia d’olio di movimenti anti-vaccinisti, che fanno leva sull’inesistente relazione casuale vaccini-autismo, riferendosi ad uno studio fraudolento ritrattato dalla comunità scientifica e il cui autore è stato radiato dall’ordine dei medici britannico.

«Oggi le aspettative della popolazione nei confronti di una medicina mitica e una sanità infallibile – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – hanno raggiunto livelli inaccettabili per l’interazione di numerosi fattori: facilità di accesso tramite internet a informazioni scientificamente non validate, assenza di un programma istituzionale di informazione sanitaria per cittadini e pazienti, progressiva medicalizzazione della società, grazie anche alle innumerevoli giornate per celebrare singole malattie e alla promozione di prestazioni sanitarie per ottenere e mantenere il consenso politico».

Peraltro, se la spesa a carico dei cittadini per la sanità è in costante aumento, è altrettanto vero che in Italia assistiamo alla continua espansione di mercati (omeopatia, integratori, nutraceutica) per i quali mancano le prove di efficacia se non addirittura esistono  evidenze di peggioramento degli esiti di salute. Inoltre, una delle voci principali di spreco di denaro pubblico è l’imponente sovra-utilizzo di interventi sanitari (test diagnostici, farmaci, visite specialistiche,) determinato certo dalle prescrizioni dei medici, ma anche dalle insistenti richieste dei pazienti, generando inaccettabili paradossi: ad esempio, nonostante tra i paesi dell’OCSE siamo al secondo posto per dotazioni di risonanze magnetiche, abbiamo liste d’attesa sempre più lunghe.

«Per tali ragioni – continua il Presidente – l’alfabetizzazione sanitaria, l’informazione istituzionale della popolazione su benefici e rischi degli interventi sanitari, la conoscenza del metodo scientifico, il coinvolgimento attivo di cittadini e pazienti nella valutazione e organizzazione dei servizi sanitari e il processo decisionale condiviso nella relazione paziente-medico rappresentano oggi strumenti irrinunciabili per aumentare l’appropriatezza della domanda, diminuire il rischio clinico e il contenzioso medico-legale, ridurre gli sprechi e contribuire alla sostenibilità della sanità pubblica».

Considerato il potere dei media nell’influenzare le scelte dei cittadini e il ruolo di una corretta informazione per contribuire alla sostenibilità del SSN, la Fondazione GIMBE assegna per il 2017 il premio “Salviamo il Nostro SSN” a Piero Angela, massima espressione nazionale del giornalismo scientifico, in grado di portare nelle case degli italiani informazioni mediche chiare e basate sulle migliori evidenze.

«Con il premio assegnato a Piero Angela – conclude il Presidente – la Fondazione GIMBE avvia una serie di iniziative per sensibilizzare cittadini e pazienti sull’importanza del metodo scientifico per validare l’efficacia dei trattamenti, sottolineando l’importanza di un giornalismo evidence-based  nel contribuire alla sostenibilità del servizio sanitario nazionale».

La cerimonia di consegna del premio è prevista in occasione della 12a Conferenza Nazionale GIMBE che si terrà a Bologna il prossimo 3 marzo.


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13 febbraio 2017
Linee Guida e responsabilità professionale: attenzione ai pazienti con patologie multiple

CON IL DDL SULLA RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE IN DIRITTURA DI ARRIVO, LA FONDAZIONE GIMBE SOTTOLINEA L’INDEROGABILE NECESSITÀ DI UN APPROCCIO ORIENTATO ALLA MULTIMORBIDITÀ: INFATTI, CONSIDERATO CHE LE PROVE DI EFFICACIA DEI TRATTAMENTI DERIVANO SOPRATTUTTO DA STUDI CONDOTTI SU POPOLAZIONI SELEZIONATE, LE LINEE GUIDA ELABORATE PER SINGOLE PATOLOGIE RISCHIANO DI DIVENTARE UN BOOMERANG, PERCHÉ RACCOMANDANO TERAPIE SPESSO NON INDICATE NEI PAZIENTI CON PATOLOGIE MULTIPLE

Approda oggi per l’approvazione finale alla Camera dei Deputati il DdL n. 2224 e connessi “Disposizioni in materia di responsabilità professionale del personale sanitario”, che all’art. 5 prevede che “Gli esercenti le professioni sanitarie, nell’esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida”.

«Le linee guida – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – forniscono raccomandazioni basate sulle evidenze scientifiche e norme di buona pratica clinica per informare le decisioni di tutti i professionisti sanitari: tuttavia occorre tenere sempre ben presente che non si tratta di protocolli rigorosi da applicare in maniera indiscriminata, ma è necessario considerare sempre le caratteristiche cliniche del paziente individuale, oltre che le sue aspettative e preferenze».

Oggi la maggior parte dei pazienti con una patologia o condizione cronica è affetto da almeno un’ulteriore cronicità: la multimorbidità, di fatto la norma tra gli anziani, riduce la qualità di vita e aumenta mortalità, polifarmacoterapia, reazioni avverse a farmaci e accessi non programmati ai servizi sanitari. I pazienti affetti da patologie multiple rappresentano inoltre un’ardua sfida per i servizi sanitari, perché vengono spesso assistiti in maniera frammentata da vari professionisti attraverso diversi setting (cure primarie, specialistica ambulatoriali, ospedale, domicilio, etc.) con inevitabili problemi di coordinamento e comunicazione.

«Nei soggetti con multimorbidità – continua il Presidente – il bilancio tra rischi e benefici dei trattamenti è spesso incerto, visto che le prove di efficacia derivano per lo più da trial condotti su popolazioni selezionate, che tendono a escludere pazienti con patologie multiple. Di conseguenza, le linee guida elaborate per singole malattie raccomandano test diagnostici e trattamenti potenzialmente non indicati nei pazienti con multimorbidità, aumentando i rischi, peggiorando la qualità di vita e generando ingenti sprechi».

Considerata la necessità di riorganizzare l’assistenza sanitaria per i pazienti con patologie multiple, la Fondazione GIMBE ha realizzato la versione italiana delle linee guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE) per l’identificazione e il trattamento dei pazienti con multimorbidità.

 «È inaccettabile – precisa Cartabellotta – costringere i pazienti con patologie multiple a rimbalzare tra vari specialisti, servizi e setting assistenziali: occorre abbandonare l’approccio basato sulla gestione della singola malattia in favore di quello orientato alla multimorbidità, indipendentemente dalla variabilità dei modelli organizzativi regionali e aziendali per gestire la cronicità».

L’approccio orientato alla multimorbidità richiede innanzitutto di definire le priorità della persona, di valutare l’impatto delle singole patologie, condizioni e terapie e di definire insieme al paziente un piano terapeutico personalizzato, riportando nella documentazione clinica le azioni da intraprendere: dall’individuazione del coordinatore del piano terapeutico all’introduzione, interruzione, sostituzione di farmaci e terapie non farmacologiche, dalla riorganizzazione dei controlli periodici all’identificazione precoce di variazioni dello stato di salute, dal follow-up per rivalutare il piano terapeutico condiviso alla valutazione di altri aspetti rilevanti per il paziente.

«In questo processo – conclude Cartabellotta – è molto importante condividere copia del piano terapeutico con il paziente e, previo consenso, con altri soggetti coinvolti nell’assistenza (professionisti sanitari, familiari, caregiver). Questa raccomandazione diventa fondamentale per la tutela medico-legale, perché alla maggior parte dei pazienti con patologie multiple le linee guida, anche se di elevata qualità, non sono applicabili e rischiano di trasformarsi in un boomerang».

La versione integrale delle linee guida è disponibile a: www.evidence.it/multimorbidita


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7 febbraio 2017
La tutela della salute è un diritto costituzionale e il Servizio Sanitario Nazionale esiste ancora: ecco perchè serve un logo!

LA FONDAZIONE GIMBE HA INOLTRATO ALLA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA E AL MINISTERO DELLA SALUTE FORMALE RICHIESTA DI REALIZZARE UN LOGO PER IL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE, AL FINE DI CONFERMARE A 60 MILIONI DI CITTADINI ITALIANI CHE LA TUTELA DELLA SALUTE RIMANE UN DIRITTO COSTITUZIONALE E DI LEGITTIMARE L’ESISTENZA DEL SSN QUALE PILASTRO UNIVOCO DI CIVILTÀ, DEMOCRAZIA E WELFARE.

Con la riforma costituzionale del 2001 le Regioni, protagoniste dell’organizzazione dei servizi sanitari, hanno contribuito a creare nei cittadini italiani un’asimmetrica percezione del Servizio Sanitario Nazionale: infatti da allora numerose Regioni hanno deciso, giustamente, di identificare il proprio servizio sanitario attraverso un logo, alimentando la percezione dell’esistenza di 21 differenti Servizi Sanitari.

La Fondazione GIMBE, che dal 1996 promuove l’integrazione delle migliori evidenze scientifiche in tutte le decisioni politiche, manageriali, professionali che riguardano la salute delle persone, dal 2013 con la campagna “Salviamo il Nostro Servizio Sanitario Nazionale” è impegnata nella difesa della sanità pubblica: la “Carta GIMBE per la Tutela della Salute”, il “Rapporto sulla sostenibilità del SSN 2016-2015” e il lancio dell’Osservatorio GIMBE testimoniano un impegno continuo per difendere e tramandare alle future generazioni una conquista sociale irrinunciabile per l’eguaglianza e la dignità dei cittadini italiani.

«Dalle nostre analisi – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – è emerso che, il Servizio Sanitario Nazionale a 38 anni dalla sua istituzione non possiede, a differenza di numerosi servizi sanitari regionali, un logo identificativo: questo ridimensiona nella percezione pubblica il ruolo dello Stato nella tutela della salute, oltre che l’esistenza stessa del SSN istituito con la legge 833/78».

«Indipendentemente dall’esito del referendum costituzionale – continua il Presidente – che in caso di vittoria del sì avrebbe dovuto potenziare il ruolo dello Stato sulle Regioni e ridurre le diseguaglianze regionali, la salute delle persone rimane un diritto tutelato dalla nostra Costituzione e il Servizio Sanitario Nazionale esiste ancora, nonostante la crisi di sostenibilità e le autonomie regionali».

Per tali ragioni la Fondazione GIMBE, nell’ambito delle attività di sensibilizzazione istituzionale della campagna #salviamoSSN, ha inoltrato alla Presidenza della Repubblica e al Ministero della Salute formale richiesta di realizzare un logo per il Servizio Sanitario Nazionale, al fine di confermare a 60 milioni di cittadini italiani che la salute rimane un diritto costituzionale tutelato dalla Repubblica e di legittimare l’esistenza del SSN quale pilastro univoco di civiltà, democrazia e welfare.

«Confidiamo – conclude Cartabellotta – nella sensibilità del Presidente Mattarella, garante dei diritti costituzionali e sempre attento al tema dalla salute, e nella tenacia del Ministro Lorenzin, strenuo difensore del SSN in questi anni di tagli e definanziamento, affinché accolgano la proposta della Fondazione GIMBE per creare un logo che diventi simbolo univoco di tutela della salute per tutte le persone che ne hanno diritto».


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24 gennaio 2017
Evidence-based Medicine nella formazione dei giovani medici: siglato il protocollo d’intesa SISM-GIMBE

AL VIA L’ACCORDO TRA IL SEGRETARIATO ITALIANO DEGLI STUDENTI DI MEDICINA E LA FONDAZIONE GIMBE: DAL PROGRAMMA GIMBE4YOUNG UN’AZIONE CONCRETA PER PROMUOVERE L'EVIDENCE-BASED MEDICINE TRA LE NUOVE GENERAZIONI DI MEDICI, CON IL FINE ULTIMO DI CONTRASTARE SOVRA E SOTTO-UTILIZZO DI INTERVENTI SANITARI CHE CONTRIBUISCONO A MINARE LA SOSTENIBILITA DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE.

Segretariato Italiano degli Studenti di Medicina e Fondazione GIMBE

«Le migliori evidenze scientifiche – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – dovrebbero guidare tutte le decisioni che riguardano la salute delle persone: di conseguenza, il medico non può fare a meno di strumenti e competenze per ricercare e valutare criticamente le migliori evidenze scientifiche. Purtroppo, 25 anni dopo la nascita dell’Evidence-based Medicine (EBM), le Istituzioni continuano a trascurare l’inderogabile necessità di fornire alle nuove generazioni di professionisti sanitari strumenti e competenze per essere indipendenti nella gestione delle evidenze scientifiche ed acquisire un sano scetticismo sull’efficacia degli interventi sanitari, troppo spesso introdotti sul mercato sulla base di pubblicazioni scientifiche discutibili spesso condizionate da interessi commerciali, e non di evidenze scientifiche valide, rilevanti e applicabili».

Considerato che, ad eccezione di lodevoli ed isolate eccezioni, metodi e strumenti dell’EBM non sono stati introdotti in maniera sistematica nella formazione universitaria del medico, nell’ambito del programma GIMBE4young la Fondazione GIMBE ha siglato un protocollo d’intesa con il Segretariato Italiano degli Studenti di Medicina (SISM).

«La nascita di questa collaborazione – dichiara Federica Viola, Presidente Nazionale SISM – rappresenta un importante punto di partenza perché ci consente da un lato di formare un elevato numero di studenti di medicina su argomenti e metodi che da futuri medici siamo tenuti a conoscere, e dall'altro perché, uniti da obiettivi comuni, SISM e GIMBE insieme potranno trovare le soluzioni per migliorare la nostra formazione, laddove carente».

Numerose le iniziative previste dall’accordo: organizzazione di eventi in partnership, borse di studio per la partecipazione al corso Evidence-based Practice organizzato nell’ambito del programma GIMBE4young, iscrizioni gratuite ai corsi del programma GIMBE Education, conduzione di uno studio finalizzato a valutare in maniera sistematica la presenza e il reale livello di insegnamento dell’EBM nei programmi formativi delle Facoltà di Medicina italiane.

«L’Evidence-based Medicine – precisa Adolfo Mazzeo, Liaison Officer for Medical Education issues di SISM – è uno di quei concetti che durante il corso di Medicina senti menzionare più e più volte ma di cui, nella migliore delle ipotesi, ti viene fornita solo la definizione. La partnership con la Fondazione GIMBE garantirà a noi studenti di Medicina una formazione a 360 gradi sul mondo della ricerca e su come questa deve essere applicata alla pratica clinica per migliorare la salute dei pazienti, di fatto il nostro fine ultimo, con un’attenzione anche alla gestione delle risorse economiche».

«Alle nuove generazioni di medici – conclude Cartabellotta – deve essere offerta l’opportunità di conoscere e approfondire un modello di pratica clinica e assistenza sanitaria basata sulle evidenze, centrata sul paziente, consapevole dei costi e ad elevato value. È dimostrato che l’utilizzo delle migliori evidenze scientifiche nella pratica clinica migliora la qualità dell’assistenza e riduce gli sprechi conseguenti al sovra- e sottoutilizzo di farmaci, test diagnostici, interventi chirurgici e altri interventi sanitari».

La partnership sarà presentata ufficialmente a Bologna, il prossimo 3 marzo, in occasione della 12a Conferenza GIMBE.


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10 gennaio 2017
In sanità sprecati oltre 2 euro su 10: indispensabile recuperarli

ALLARME LANCIATO ALL’UNISONO DA THE LANCET E OCSE: IL SOVRA-UTILIZZO E IL SOTTO-UTILIZZO DI SERVIZI E INTERVENTI SANITARI  HANNO RAGGIUNTO PROPORZIONI EPIDEMICHE, METTENDO A  RISCHIO LA SOPRAVVIVENZA DEI SISTEMI SANITARI DI TUTTO IL MONDO. LA COMUNITÀ SCIENTIFICA INTERNAZIONALE CONFERMA NUMERI E METODI DEL RAPPORTO GIMBE SULLA SOSTENIBILITÀ DEL NOSTRO SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE

La prestigiosa rivista The Lancet ha lanciato ieri a Londra la serie di articoli Right Care, seguita oggi dalla presentazione del report dell’OCSE Tackling Wasteful Spending on Health. Il messaggio è unanime: i fenomeni di overuse e underuse di servizi e interventi sanitari (farmaci, test diagnostici, procedure chirurgiche, etc.) costituiscono oggi una vera e propria pandemia: oltre a mettere  a rischio la sostenibilità di tutti i sistemi sanitari, sovra- e sotto-utilizzo non riflettono l’etica della medicina e della sanità, in quanto minano la possibilità di una copertura sanitaria equa e sostenibile e del diritto universale all’assistenza sanitaria.

«La serie di The Lancet e il rapporto OCSE – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – sono perfettamente in linea con quanto riportato dal Rapporto sulla sostenibilità del SSN 2016-2025, presentato dalla Fondazione GIMBE lo scorso 7 giugno presso il Senato della Repubblica. Secondo le nostre stime, infatti, in Italia circa € 11 miliardi/anno vengono erosi da sovra- e sotto-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie, a cui si aggiungono oltre € 13 miliardi relativi a frodi e abusi, acquisti a costi eccessivi, complessità amministrative e inadeguato coordinamento dell’assistenza».

Diversi i messaggi chiave lanciati dagli autori della serie di The Lancet: sovra-utilizzo di interventi sanitari di efficacia non dimostrata e sotto-utilizzo di interventi sanitari efficaci convivono in tutti i sistemi sanitari a livello di popolazioni, percorsi assistenziali e singoli pazienti, peggiorando esiti clinici, psicologici e sociali, determinando una impropria allocazione di risorse e generando sprechi evitabili. Gli esempi di sovra-utilizzo riportati sono innumerevoli: TAC e RMN per lombalgia e cefalea, antibiotici per infezioni virali delle vie respiratorie, densitometria ossea, test pre-operatori (ECG, Rx torace, ecostress) in pazienti a basso rischio, antipsicotici negli anziani, nutrizione artificiale in pazienti con demenza in fase avanzata e in pazienti oncologici terminali, catetere vescicale a permanenza, imaging cardiaco in pazienti a basso rischio, screening oncologici di efficacia non documentata (PSA, CA-125), tagli cesarei senza indicazioni cliniche.

«Considerato che la maggior parte degli interventi sanitari si colloca in un’area grigia, dove il profilo rischio/beneficio non è così netto – continua il Presidente – è indispensabile prendere in considerazione le preferenze dei pazienti. Ecco perché è impossibile migliorare l’appropriatezza degli interventi sanitari senza un coinvolgimento di cittadini e pazienti attraverso il processo decisionale condiviso, strategia di efficacia documentata per ridurre sprechi, aspettative irrealistiche di malati e familiari e contenzioso medico-legale».

Alla serie di The Lancet fa eco il rapporto dell’OCSE che denuncia sprechi e inefficienze in tutti i sistemi sanitari: clinici (overuse e underuse), amministrativi e conseguenti a frodi e abusi, in linea con la tassonomia di Don Berwick già ripresa dal Rapporto GIMBE e adattata al contesto italiano. In particolare, visto che la spesa sanitaria ha ripreso a crescere nella maggior parte dei Paesi dell’OCSE, il report rileva che ogni € 10 spesi in sanità sino a 2 vengono sprecati, in quanto non migliorano la salute e il benessere delle persone o addirittura li peggiorano: un’enorme opportunità dunque per recuperare preziose risorse ed aumentare il value for money.

«È fonte di grande soddisfazione – conclude Cartabellotta – constatare che la serie di The Lancet e il report dell’OCSE confermano le basi scientifiche del Rapporto GIMBE sulla sostenibilità del SSN, le cui proposte sono dunque condivise a livello internazionale. In particolare, il processo di disinvestimento e riallocazione suggerito dal nostro Rapporto viene legittimato come strategia irrinunciabile per garantire la sostenibilità di tutti i sistemi sanitari, che richiede una vera e propria “chiamata alle armi” di tutti gli stakeholders del SSN».

La serie “Right Care” è disponibile a: www.thelancet.com/series/right-care
Il report dell’OCSE “Tackling Wasteful Spending on Health” è disponibile a: www.oecd.org/publications/releasing-health-care-system-resources-9789264266414-en.htm


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12 dicembre 2016
L’esercizio fisico nelle malattie croniche: efficace, ma non prescritto dai medici

NEL MIRINO DELLA FONDAZIONE GIMBE L’INACCETTABILE SOTTO-UTILIZZO DI UN INTERVENTO SANITARIO EFFICACE E COSTO-EFFICACE: L’ESERCIZIO FISICO NELLE MALATTIE CRONICHE. NEL POSITION STATEMENT GIMBE PROVE DI EFFICACIA E ISTRUZIONI PRATICHE PER AUMENTARE LA CONSAPEVOLEZZA DI MEDICI E PAZIENTI SU UNA VALIDA OPPORTUNITÀ TERAPEUTICA TROPPO SPESSO TRASCURATA A FAVORE DI FARMACI E INTERVENTI CHIRURGICI.

L’esercizio fisico è un intervento sanitario efficace nel trattamento di numerose patologie croniche e, in termini di riduzione della mortalità, determina benefici simili a quelli ottenuti con interventi farmacologici nella prevenzione secondaria di patologie coronariche, nella riabilitazione post-ictus, nello scompenso cardiaco e nella prevenzione del diabete. Anche in patologie meno severe, come il mal di schiena e l’artrosi, i benefici dell’esercizio fisico sui sintomi e sulla qualità di vita sono molto rilevanti. A dispetto di robuste evidenze scientifiche, nelle malattie croniche l’esercizio fisico rimane ampiamente sotto-utilizzato rispetto a interventi farmacologici o chirurgici.

«Il Position Statement GIMBE – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – ha tre obiettivi fondamentali: sintetizzare le prove di efficacia dell’esercizio fisico su esiti di salute clinicamente rilevanti per 7 patologie croniche, riportare accuratamente effetti avversi e controindicazioni e fornire per ciascuna condizione una guida pratica per realizzare esercizi efficaci».

Le patologie prese in esame sono state selezionate per il loro elevato carico di disabilità e per la disponibilità di prove di efficacia dell’esercizio fisico: artrosi dell’anca e del ginocchio, lombalgia cronica aspecifica, prevenzione delle cadute, broncopneumopatia cronica ostruttiva, sindrome da fatica cronica, diabete di tipo 2, malattia coronarica e scompenso cardiaco. Per ciascuna patologia il Position Statement GIMBE descrive gli aspetti pratici dell’esercizio indispensabili per ottenere i risultati desiderati: razionale, professionisti sanitari, modalità, setting, attrezzatura necessari, procedura, numero, durata e intensità delle sedute, dettagli del programma.

«Le evidenze scientifiche – continua il Presidente - documentano in maniera incontrovertibile che l’esercizio fisico è efficace in numerose patologie croniche. Tuttavia resta un intervento sanitario ampiamente sotto-utilizzato per varie ragioni: limitata conoscenza delle prove di efficacia da parte di medici di famiglia e specialisti, loro mancata sensibilizzazione alla “prescrizione” dell’esercizio fisico, carenza di percorsi multiprofessionali integrati, mancato inserimento nei livelli essenziali di assistenza di numerosi interventi efficaci basati sull’esercizio, scarsa attitudine all’attività fisica dei pazienti, in particolare se sofferenti».

Il Position Statement ribadisce che l’esercizio deve essere personalizzato secondo aspettative e preferenze del singolo paziente, ma se gli interventi basati sull’esercizio vengono erogati con modalità troppo diverse rispetto agli studi clinici (es. intensità inferiore, durata inferiore o con differenti componenti), la loro efficacia può essere compromessa rispetto a quanto documentato in letteratura. In tal senso i medici di famiglia dovrebbero conoscerne le caratteristiche principali, accedere a descrizioni dettagliate e a risorse necessarie alla prescrizione, al fine di discuterne con i pazienti e indirizzarli al professionista appropriato. Indispensabile infine affrontare adeguatamente pregiudizi, paure e motivazioni dei pazienti, in particolare quelli meno predisposti a praticare l’esercizio fisico.

«Le sfide per garantire l’aderenza a programmi di esercizio fisico – conclude Cartabellotta – sono simili, ma molto più ardue di quelle per mantenere la compliance farmacologica: tuttavia, l’entità dei potenziali risultati per i pazienti, oltre che per il servizio sanitario, rendono tali sfide degne di essere affrontate. Peccato che nelle 149 pagine del Piano Nazionale delle Cronicità, già approvato dalla Conferenza Stato-Regioni il 15 settembre 2016, il termine “esercizio fisico” faccia solo una timida comparsa nel capitolo dedicato allo scompenso cardiaco».

Il Position Statement GIMBE “Efficacia dell’esercizio fisico nei pazienti con patologie croniche” è disponibile a: www.gimbe.org/eserciziofisico.


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1 dicembre 2016
Nuovi LEA non sostenibili senza un metodo rigoroso per includere/escludere le prestazioni sanitarie

IN OCCASIONE DELL’AUDIZIONE PRESSO LA 12A COMMISSIONE IGIENE E SANITÀ DEL SENATO LA FONDAZIONE GIMBE HA EVIDENZIATO LUCI E OMBRE DEL NUOVO TESTO DI LEGGE. MANCA UN METODO ESPLICITO E RIGOROSO PER DEFINIRE L’INCLUSIONE/ESCLUSIONE DELLE PRESTAZIONI NEI LEA CHE OGGI COMPRENDONO PRESTAZIONI DAL BASSO VALUE ED ESCLUDONO PRESTAZIONI EFFICACI E COSTO-EFFICACI. DOVE MANCANO LE EVIDENZE, PIUTTOSTO CHE “COMPRARE A SCATOLA CHIUSA”, IL SSN DOVREBBE DESTINARE RISORSE ALLA RICERCA COMPARATIVA INDIPENDENTE

Si è svolta ieri l’audizione della Fondazione GIMBE presso la 12a Commissione Igiene e Sanità del Senato della Repubblica in merito allo “Schema di DPCM recante definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA)”.

La Fondazione GIMBE ha riconosciuto nel nuovo testo numerosi elementi positivi: ridefinizione dell'articolazione dei LEA con maggior dettaglio nella descrizione delle prestazioni; aggiornamento dei nomenclatori delle prestazioni di specialistica ambulatoriale e di assistenza protesica; definizione dettagliata di programmi e prestazioni di assistenza socio-sanitaria; aggiornamento degli elenchi di malattie croniche e malattie rare; ridefinizione dei criteri di appropriatezza per tutti i regimi di ricovero; misure per migliorare l'appropriatezza professionale sulle prestazioni di specialistica ambulatoriale, tra cui l’obbligo per il medico prescrittore di riportare sulla ricetta la diagnosi o il sospetto diagnostico e l’individuazione di criteri di appropriatezza prescrittiva e condizioni di erogabilità per 98 prestazioni.

Tuttavia, non mancano criticità strutturali: «Il nuovo testo – ha affermato Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE  – non conferma in maniera esplicita alcuni importanti princìpi del DPCM 29 novembre 2001, che sostituisce integralmente: la volontà del legislatore di integrare le migliori evidenze scientifiche nelle decisioni di politica sanitaria e di rimborsare con il denaro pubblico solo servizi e prestazioni sanitarie di documentata efficacia e appropriatezza;  la decisione di escludere dai LEA servizi e prestazioni sanitarie inefficaci, inappropriati o dalla costo-efficacia limitata (low value); la possibilità, in assenza di evidenze, di erogare interventi sanitari innovativi solo all’interno di specifici programmi di sperimentazione, in linea con una saggia politica di ricerca & sviluppo».

La Fondazione GIMBE ha rilevato inoltre la mancanza di una esplicita metodologia per inserire le prestazioni nei LEA: «In assenza di un metodo rigoroso per favorire un adeguato trasferimento delle migliori evidenze nella loro definizione e aggiornamento – ha precisato Cartabellotta – i LEA inevitabilmente finiscono per includere prestazioni dal value basso o addirittura negativo (profilo rischio-beneficio sfavorevole), ed escludono alcune prestazioni dall’elevato value».

A dimostrazione del fatto che questa criticità rischia di compromettere la sostenibilità dei nuovi LEA, il Presidente ha riportato l’esempio dell’adroterapia per i tumori pediatrici che, pure in assenza di prove di efficacia, è inclusa nei LEA, mentre resta fuori la telemedicina per il monitoraggio domiciliare dei pazienti con scompenso cardiaco, nonostante sia esplicitamente prevista dal Piano Nazionale della Cronicità, già approvato dalla Conferenza Stato-Regioni. È pertanto è indispensabile che la Commissione LEA standardizzi e renda espliciti i metodi per la formulazione delle annuali proposte di aggiornamento: «Considerato che nel SSN esistono innumerevoli asimmetrie informative che alimentano consumismo sanitario e sprechi – ha puntualizzato il Presidente – è indispensabile un metodo evidence & value-based per aggiornare i LEA, al fine di garantire ai cittadini servizi e prestazioni sanitarie ad elevato value, escludere prestazioni dal basso value ed impedire l’erogazione di prestazioni dal value negativo».

Netta infine la presa di posizione sulla necessità di investimenti dedicati alla ricerca comparativa: «Per numerose prestazioni sanitarie non esistono adeguate prove di efficacia – ha sottolineato Cartabellotta – ma sembra che il SSN preferisca rimanere un "acquirente disinformato" piuttosto che investire in una strategia di ricerca & sviluppo. E’ indispensabile destinare una percentuale (0.5-1%) del Fondo Sanitario Nazionale alla ricerca comparativa indipendente sull’efficacia degli interventi sanitari, al fine di produrre robuste evidenze per informare l'aggiornamento dei LEA e utilizzare al meglio il denaro pubblico».


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29 novembre 2016
Riforme per la sostenibilità del SSN a rischio per fibrillazione da referendum

DALLA SESSIONE INAUGURALE DEL FORUM RISK MANAGEMENT I PRIMI DATI DELL’OSSERVATORIO GIMBE SULLA SOSTENIBILITÀ DEL SSN: FORTI PREOCCUPAZIONI PER IL FUTURO DELLA SANITÀ PUBBLICA, INEVITABILMENTE CONDIZIONATO DA UN’AGENDA DELLE RIFORME A RISCHIO STALLO, DALL’INCERTA COPERTURA FINANZIARIA PER I NUOVI LEA, OLTRE CHE DA EVENTI CONTINGENTI E OPPORTUNISTICI PASSI INDIETRO

29 novembre 2016 - Fondazione GIMBE

L’Osservatorio per la sostenibilità del SSN, lanciato dalla Fondazione GIMBE per un monitoraggio continuo e indipendente di responsabilità e azioni di tutti gli stakeholder del SSN per un buon utilizzo del denaro pubblico e a tutela della salute dei cittadini, vigila ormai da alcuni mesi sulle azioni politiche del nostro Paese: dinamiche ed entità del finanziamento pubblico, identificazione di carenze legislative e normative, criticità e ritardi dei disegni di legge in corso di discussione, applicazione delle leggi vigenti.

Dalla tavola rotonda inaugurale del Forum Risk Management di Firenze Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE, ha espresso grande preoccupazione rispetto al quadro chiaroscurale emerso da questi primi mesi di monitoraggio delle azioni politiche: «L’agenda delle riforme messe in campo in questi anni dal Governo – ha esordito il Presidente – punta a una sana riorganizzazione del SSN finalizzata a ridurre gli sprechi e aumentare il ritorno in termini di salute delle risorse investite: dal rafforzamento delle strategie di prevenzione (Piano Nazionale per la Prevenzione 2014-2018 e Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale 2016-2018) agli interventi del Patto Salute 2014-2016 (nuovi LEA, Piano Nazionale Cronicità, DM 70/2015 per la riorganizzazione delle reti ospedaliere, Patto per la Sanità Digitale e Fascicolo Sanitario Elettronico, Nuovo Sistema di Garanzia per il monitoraggio dell’assistenza sanitaria) a quelli della Legge di Stabilità 2016: piani di rientro delle AO/IRCCS/AOU e delle ASL (dal 2017), insediamento della Commissione Nazionale LEA e Appropriatezza, legge sulla responsabilità professionale».

Tuttavia la pressione per la consultazione referendaria ha inevitabilmente condizionato alcune decisioni d’autunno, determinando rallentamenti e dietrofront che rischiano di compromettere l’enorme lavoro di questi anni.

 

Rispetto alle risorse economiche Cartabellotta ha sottolineato che «se è vero che la Legge di Bilancio prevede € 113 miliardi per il 2017, rispetto all’intesa Stato-Regioni del 11 febbraio 2016 il Governo sta solo “anticipando” un miliardo previsto per il 2018, visto che il comma 392 fissa il FSN a € 114 miliardi nel 2018 e a € 115 miliardi nel 2019. Inoltre più del 50% dei € 2 miliardi aggiuntivi sono destinati a farmaci innovativi e vaccini e, dopo oltre un lustro di blocco delle assunzioni, il fondo vincolato per l’assunzione e stabilizzazione del personale del SSN è irrisorio: € 75 milioni per il 2017 e € 150 milioni dal 2018».

 

Le preoccupazioni non finiscono qui: «Dopo quasi due anni – ha puntualizzato il Presidente – i nuovi LEA non sono ancora legge dello Stato: nel frattempo è maturata la consapevolezza che il loro impatto economico sarà di gran lunga superiore ai previsti € 800 milioni, e che una quota di prestazioni è già stata spostata a carico dei cittadini. Inoltre, è certo che l’addio a Renato Botti – Direttore della Programmazione sanitaria del Ministero della Salute – regista indiscusso dell’agenda delle riforme, comporterà inevitabili rallentamenti nella loro attuazione, oltre che possibili cambi di rotta».

Last not but least, Cartabellotta ha puntato il dito contro due recenti provvedimenti che hanno dato una consistente spallata ad azioni del Governo per “bonificare” la sanità dalla malapolitica, in particolare nelle Regioni del centro-sud da sempre caratterizzate dalla combinazione inadempimento dei LEA + conto economico negativo. Da un lato l’annullamento della norma introdotta dalla Stabilità 2015 che impediva ai Presidenti delle Regioni in Piano di rientro di assumere l’incarico di commissario, dall’altro la sentenza n. 251/2016 della Consulta che, giudicando illegittima la norma della legge Madia sull’istituzione dell’Albo unico dei direttori generali – uno dei cavalli di battaglia del Ministro Lorenzin – tiene ben saldo il legame tra politica e sanità.

«Se è verosimile – ha concluso Cartabellotta – che una vittoria referendaria del SÌ potrebbe ridurre diseguaglianze e iniquità nel nostro SSN, non con il temuto neocentralismo, ma solo aumentando le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sui servizi sanitari regionali, è altrettanto vero che la disordinata incoerenza degli ultimi provvedimenti non ha permesso al Governo di puntare in maniera compatta sulla sanità, tema che sta a cuore a 60 milioni di persone, quale leva per il referendum costituzionale».


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14 novembre 2016
Crisi ricerca biomedica: aumentare il finanziamento pubblico, monitorare l’impatto dei risultati

LA FONDAZIONE GIMBE PASSA AL SETACCIO I FINANZIAMENTI PUBBLICI E PRIVATI PER LA RICERCA BIOMEDICA E PUNTA ALLA CONDIVISIONE ISTITUZIONALE DELLE RACCOMANDAZIONI REWARD PER PREMIARE RILEVANZA E RIGORE DELLA RICERCA, PIUTTOSTO CHE LA QUANTITA’ DI PUBBLICAZIONI. INDISPENSABILE UNA MAGGIORE INTEGRAZIONE TRA RICERCA E SERVIZIO SANITARIO AL FINE DI PRODURRE EVIDENZE SCIENTIFICHE DESTINATE A MIGLIORARE LA SALUTE DELLE PERSONE.

Lo scorso 9 novembre oltre 150 ricercatori, finanziatori pubblici e privati e rappresentanti di enti regolatori, istituzioni di ricerca, comitati etici, editori e associazioni di pazienti hanno partecipato alla Convention Nazionale GIMBE per condividere le raccomandazioni della campagna internazionale Lancet-REWARD -recentemente lanciata in Italia dalla Fondazione GIMBE - finalizzata ad ottenere il massimo ritorno in termini di salute dalle risorse investite nella ricerca biomedica.

La sessione introduttiva è stata dedicata al finanziamento della ricerca biomedica in Italia: nel 2015, a fronte di € 1,5 miliardi investiti dall’industria farmaceutica, i finanziamenti pubblici ammontano a meno di € 500 milioni. In dettaglio, € 161,02 milioni destinati agli IRCCS per la ricerca corrente, € 50 milioni per la ricerca finalizzata (€ 135,39 nel bando 2016 che include due esercizi finanziari), € 24 milioni per la ricerca indipendente AIFA (€ 48,00 nel bando 2016 che include due esercizi finanziari), € 11,40 dalle Regioni per il cofinanziamento dei programmi di rete della ricerca finalizzata. A questi vanno aggiunti € 28,59 milioni del CNR destinati alla ricerca nel settore “scienze biomediche” e le risorse del Programma Ricerca 2015-2020 del MIUR che potrebbe raggiungere € 200 milioni.

«Questi numeri – ha dichiarato Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – dimostrano che l’agenda della ricerca è inevitabilmente condizionata dalle priorità dell’industria farmaceutica, i cui obiettivi non sempre coincidono con quelli del servizio sanitario nazionale. Di conseguenza, molte aree rilevanti per l’assistenza sanitaria (ma di scarso interesse per l’industria) rimangono “orfane” di evidenze scientifiche, anche perché le già scarse risorse pubbliche sono prevalentemente dedicate alla ricerca di base».

Giovanni Leonardi, Direttore generale della Ricerca e dell'Innovazione in Sanità del Ministero della Salute, ha sottolineato che «le Regioni sostengono di non poter destinare risorse del fondo sanitario alla ricerca perché questa non è un LEA: questo è formalmente vero, ma la ricerca è fondamentale perché fornisce le basi scientifiche per le decisioni cliniche e sanitarie. Tuttavia, se vogliamo ottenere maggiori finanziamenti della ricerca è indispensabile migliorare la rendicontazione pubblica dei risultati e l’impatto sul SSN».

Sulla stessa linea il Prof. Silvio Garattini, Direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri: «Se la ricerca risponde a quesiti rilevanti per il servizio sanitario nazionale rappresenta la miglior spending review, perché fornisce le basi scientifiche per decidere su cosa tagliare; invece medici, pazienti e SSN si trovano a decidere esclusivamente su evidenze provenienti da studi promossi dall’industria».

Dopo la lettura magistrale di Sir Iain Chalmers sulla campagna Lancet-REWARD, tre sessioni interattive hanno affrontato le problematiche che generano le 5 categorie di sprechi nella ricerca biomedica: attraverso una survey con televoter, i partecipanti  hanno attribuito uno score di priorità alle raccomandazioni REWARD che la professoressa Maria Paola Landini - neo Direttore Scientifico dell’Istituto Ortopedico Rizzoli - ha di chiarato di volere «introdurre nel piano strategico dell’IRCCS per aumentare la qualità della produzione scientifica».

Dal confronto con i discussant sono emerse numerose criticità (box) che contribuiscono a generare l’inaccettabile paradosso italiano: nel 2015 abbiamo destinato € 111 miliardi alla sanità pubblica e riservato meno di € 500 milioni alla ricerca biomedica, producendo limitate evidenze a supporto dei livelli essenziali di assistenza e contribuendo a rendere il SSN un “acquirente disinformato”.

«In un contesto nazionale caratterizzato da un modesto finanziamento pubblico prevalentemente destinato alla ricerca di base – ha concluso Cartabellotta – è indispensabile una maggiore integrazione tra ricerca e sanità pubblica attraverso due azioni: destinare una “ragionevole percentuale” del Fondo Sanitario Nazionale alla ricerca comparativa indipendente sull’efficacia degli interventi sanitari (non solo farmaci!), al fine di produrre robuste evidenze per utilizzare al meglio il denaro pubblico; avviare un rigoroso monitoraggio dei progetti di ricerca finanziati per valutare il loro impatto sul SSN e sulla salute delle persone».

Il report della Convention GIMBE sulla Ricerca Biomedica è disponibile a: www.gimbe.org/ricerca

 

Ricerca biomedica in Italia: 10 criticità emerse dalla Convention GIMBE

  • I bandi pubblici e i progetti delle Istituzioni di ricerca non sempre tengono in considerazione i bisogni di conoscenza del SSN e non prevedono il coinvolgimento dei pazienti nella definizione delle priorità.
  • I bandi pubblici non richiedono una formale revisione sistematica delle evidenze disponibili per giustificare la reale necessità degli studi proposti.
  • Esistono ampi margini di miglioramento nella pianificazione, conduzione analisi e reporting della ricerca, considerato che la metodologia della ricerca non è mai entrata formalmente nei percorsi formativi universitari e specialistici.
  • Il processo di regolamentazione della ricerca è eccessivamente burocratizzato e la variabilità di giudizio dei comitati etici è condizionata dalla mancanza di standard condivisi per valutare i protocolli.
  • I comitati etici non riescono sempre a proteggere gli interessi dei pazienti perché, inevitabilmente, i proventi degli studi sponsorizzati rappresentano un rilevante “pilastro” di finanziamento della ricerca italiana.
  • Continuano ad essere approvate sperimentazioni cliniche sponsorizzate vs placebo in presenza di trattamenti efficaci e troppi studi di non-inferiorità clinicamente irrilevanti ed eticamente discutibili.
  • I risultati di oltre il 50% delle sperimentazioni cliniche rimangono sconosciuti alla comunità scientifica, provocando una distorsione delle conoscenze e un enorme spreco di risorse.
  • In un numero molto elevato di sperimentazioni cliniche vengono modificati gli outcome definiti nel protocollo, senza lasciare traccia per la comunità scientifica e i pazienti di queste, pur legittime, modifiche.
  • I sistemi premianti per gli enti di ricerca, attualmente legati alla quantità di pubblicazioni e agli indici tradizionali (impact factor), dovrebbero essere rivisti alla luce delle raccomandazioni REWARD che premiano rigore, trasparenza e qualità della ricerca.
  • Il monitoraggio dei progetti di ricerca finanziati con i fondi pubblici è assolutamente inadeguato e, per questo, non conosciamo l’impatto dei loro risultati sul servizio sanitario nazionale.

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3 novembre 2016
Trattamento dei sintomi della menopausa: una scelta informata e consapevole della donna

8 donne su 10 soffrono di sintomi peri-menopausali, tra cui vampate di calore e sudorazioni notturne che persistono per circa 4 anni, influenzando negativamente la qualità di vita, spesso in maniera rilevante. Oggi esiste una grande variabilità nell’offerta di servizi e informazioni per le donne in menopausa e l’utilizzo della terapia ormonale sostitutiva continua ad essere al centro di accesi dibattiti non scevri da pregiudizi e conflitti di interesse. Infatti, nonostante rischi e benefici siano adeguatamente documentati dalle evidenze scientifiche, la percentuale di donne che assume la terapia ormonale sostitutiva è inferiore al 10%.

«La menopausa – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – non è una malattia, ma una condizione fisiologica per la quale non sono generalmente necessari test diagnostici, ma sono disponibili numerose opzioni terapeutiche per il trattamento dei sintomi, spesso proposte in assenza di prove di efficacia e soprattutto senza una chiara condivisione con la donna di rischi e benefici».

Le linee guida NICE - disponibili in italiano grazie alla traduzione della Fondazione GIMBE - sottolineano l’importanza di fornire alle donne informazioni complete e basate sulle evidenze sui vari aspetti della menopausa: stadi e sintomi comuni, cambiamenti dello stile di vita e interventi che possono migliorare il benessere (smettere di fumare, consigli su esercizio fisico e dieta, screening per il tumore della mammella e della cervice uterina), benefici e rischi dei trattamenti ormonali, non ormonali e non farmacologici, contraccezione ed effetti a lungo termine della menopausa, come l’osteoporosi.

«Per il trattamento dei sintomi vasomotori – continua il Presidente – la linea guida raccomanda di non prescrivere di routine psicofarmaci o clonidina, spiegando alla donna che alcune evidenze supportano l’uso di terapie naturali (isoflavoni, estratti di cimicifuga racemosa), ma le preparazioni sono molto variabili e sono state riportate interazioni con altri farmaci. Rispetto all’uso della terapia ormonale sostitutiva la linea guida ne raccomanda la prescrizione solo dopo avere discusso con la donna benefici e rischi sia a breve, sia a lungo termine».

Infatti, se da un lato la terapia ormonale sostitutiva migliora i sintomi vasomotori, urogenitali muscoloscheletrici, depressivi e le difficoltà sessuali e riveste un ruolo importante nella prevenzione dell’osteoporosi, dall’altro si associa a sanguinamenti vaginali, a un aumentato rischio di tromboembolismo venoso e un lieve incremento di ictus (solo per via orale) e di carcinoma della mammella, che tuttavia rientra dopo l’interruzione. Il rischio di malattia coronarica, invece, non si modifica nelle donne trattate.                                

«Questa linea guida – conclude Cartabellotta – oltre a sintetizzare le migliori evidenze scientifiche per guidare le scelte dei medici, rappresentano un’affidabile fonte di informazione per le donne che devono conoscere rischi e benefici delle varie opzioni terapeutiche, così da scegliere consapevolmente un trattamento personalizzato, tenendo conto delle proprio preferenze e aspettative».

Le “Linee guida per la diagnosi e il trattamento della menopausa” sono disponibili a: www.evidence.it/menopausa


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24 ottobre 2016
Farmaci equivalenti: di generico c’è solo la diffidenza

LA FONDAZIONE GIMBE DENUNCIA L’INACCETTABILE SOTTO-UTILIZZO DEI FARMACI EQUIVALENTI IN ITALIA CHE AUMENTA LA SPESA A CARICO DEI CITTADINI, RIDUCE LA COMPLIANCE E PEGGIORA GLI ESITI DI SALUTE NEI PAZIENTI CRONICI. LE CAUSE? PREGIUDIZI INDIVIDUALI, INEVITABILI CONFLITTI DI INTERESSE E UNA NORMATIVA CHE CONSENTE AMPI MARGINI DI DISCREZIONALITÀ. NEL POSITION STATEMENT GIMBE EVIDENZE E STRATEGIE PER CONTRASTARE UN’ANOMALIA TUTTA ITALIANA

In Italia, rispetto agli altri paesi dell’OCSE, i farmaci equivalenti sono largamente sotto-utilizzati: nel 2013 hanno rappresentato il 19% del mercato farmaceutico totale in consumi (media OCSE 48%) e l’11% della spesa (media OCSE 24%). Dal Rapporto OsMed sull’uso dei farmaci in Italia 2015 emerge un paradosso ancora più clamoroso: se i farmaci a brevetto scaduto rappresentano il 21,4% della spesa pubblica, gli equivalenti incidono solo per il 28%; in altre parole il 72% della spesa dei farmaci a brevetto scaduto viene assorbita da farmaci di marca, con notevoli differenze regionali che assegnano al Centro-Sud la consueta maglia nera. A farsi carico della differenza non rimborsata dal SSN sono i cittadini, con una spesa out-of-pocket di oltre € 1 miliardo nel 2015 e di € 437 milioni nei primi 5 mesi del 2016, in aumento del 2,6% rispetto allo stesso periodo del 2015.

«Il fenomeno del sotto-utilizzo dei farmaci equivalenti in Italia – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – non riflette i progressi della ricerca scientifica, che negli anni ha prodotto tre incontrovertibili evidenze: innanzitutto, il farmaco equivalente è altrettanto efficace e sicuro del farmaco di marca; in secondo luogo può contare su robuste evidenze di sperimentazione e utilizzo (almeno 10 anni) del corrispondente farmaco di marca; infine, il sotto-utilizzo degli equivalenti aumenta la spesa out-of-pocket e riduce la compliance terapeutica, in particolare nelle malattie croniche, con ulteriore aumento dei costi per il sistema sanitario».

I dati OsMed mettono in luce una singolare contraddizione: da un lato la riduzione dei consumi di farmaci in classe C con ricetta testimoniano che i cittadini sono in difficoltà a sostenere la spesa dei farmaci a proprio carico; dall’altro, per la prescrizione e l’acquisto di farmaci in classe A, esiste una “resistenza” del sistema ad abbandonare i farmaci di marca in favore degli equivalenti. Diversi studi dimostrano infatti che il prezzo inferiore influenza negativamente la percezione di medici, farmacisti e pazienti che vedono gli equivalenti come un prodotto disponibile sul mercato per mere esigenze di risparmio economico, ma inferiore ai farmaci di marca per qualità, efficacia e sicurezza.

Nella consapevolezza dell’importanza terminologica, il Position Statement GIMBE ribadisce anzitutto la necessità di abbandonare definitivamente il dequalificante aggettivo “generico”, che alimenta l’errata percezione di una minore qualità, efficacia e sicurezza dell’equivalente rispetto al farmaco di marca; il documento analizza poi analogie e differenze tra farmaci equivalenti e farmaci di marca, chiarisce il ruolo delle liste di trasparenza AIFA e illustra con uno pratico schema la complessa normativa sulla prescrizione dei farmaci equivalenti e sull’eventuale sostituzione da parte del farmacista.

«È proprio la normativa sulla prescrizione dei farmaci – continua il Presidente – a ostacolare la diffusione degli equivalenti, perché oltre alla notevole complessità interpretativa e attuativa, prevede l’interazione di tre autonomie decisionali: la prescrizione del medico, la proposta e l’eventuale sostituzione da parte del farmacista e la preferenza del paziente. La variabile combinazione tra gli ampi margini di discrezionalità consentiti dalla normativa, i pregiudizi individuali e gli onnipresenti conflitti di interesse determina inevitabilmente il sotto-utilizzo degli equivalenti».

Il Position Statement GIMBE analizza il fenomeno del sotto-utilizzo dei farmaci equivalenti in Italia e, sulla base di una revisione sistematica della letteratura internazionale e di dati nazionali, risponde a 5 domande: quanto è frequente l’uso dei farmaci equivalenti? L’utilizzo di farmaci equivalenti vs farmaci di marca influenza l’aderenza alla terapia? Quali evidenze dimostrano che i farmaci equivalenti sono altrettanto efficaci e sicuri dei farmaci di marca? Quali fattori contribuiscono al sotto-utilizzo dei farmaci equivalenti? Quali strategie attuare per incrementare l’utilizzo dei farmaci equivalenti?

«Considerato che i principali ostacoli ad un più ampio utilizzo dei farmaci equivalenti – conclude Cartabellotta – sembrano essere i pregiudizi sulla loro efficacia e sicurezza, bisogna innanzitutto rimuoverli formando e sensibilizzando medici, farmacisti e cittadini sui notevoli benefici di salute ed economici che potrebbero derivare da un cambio di rotta in tal senso. Queste attività, tuttavia, non saranno comunque sufficienti in assenza di strategie di sistema: integrare liste di trasparenza e reminder delle cartelle cliniche informatizzate dei medici di famiglia, allineare i loro sistemi premianti alle prescrizioni di equivalenti, monitorare le responsabilità dei farmacisti, studiare nuovi interventi di governance del farmaco, tra cui la non rimborsabilità dei farmaci di marca a brevetto scaduto il cui prezzo superi quello di riferimento di una determinata percentuale».

Il Position Statement GIMBE “Il sotto-utilizzo dei farmaci equivalenti in Italia” è disponibile a: www.gimbe.org/equivalenti.


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10 ottobre 2016
L’insidiosa trappola dei disturbi mentali in gravidanza e nel post-partum: un problema sottovalutato

IN OCCASIONE DELLA GIORNATA MONDIALE DELLA SALUTE MENTALE, LA FONDAZIONE GIMBE DENUNCIA IL SOTTO-UTILIZZO DI UN’ADEGUATA VALUTAZIONE DELLA DONNA IN GRAVIDANZA E NEL POST PARTUM E DIFFONDE LA SINTESI ITALIANA DELLE LINEE GUIDA NICE PER SUPPORTARE LA DEFINIZIONE DI PERCORSI ASSISTENZIALI INTEGRATI TRA OSPEDALE, CURE PRIMARIE, CONSULTORI, SERVIZI DI SALUTE MENTALE E SERVIZI SOCIALI.

Nel corso della gravidanza o dopo il parto possono esordire o riacutizzarsi nella donna diversi disturbi psichiatrici: depressione, disturbi d’ansia, disturbi dell’alimentazione, disturbi da uso di alcol e droghe, oltre a gravi malattie mentali quali psicosi, disturbo bipolare, depressione severa. Senza dimenticare che le psicosi che insorgono dopo il parto si caratterizzano per l’esordio rapido e la particolare gravità.

«L’importanza di riconoscere i problemi di salute mentale durante la gravidanza e nel post partum – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – è ampiamente sottovalutata per varie ragioni: scarsa sensibilizzazione dei professionisti sanitari, limitato coordinamento e assenza di percorsi integrati tra i vari servizi, mancanza di linee guida aggiornate».

Di conseguenza, per offrire un adeguato livello assistenziale in grado di identificare tempestivamente i disturbi psichiatrici gravi, riconoscere la loro rapida insorgenza e comprendere la loro natura, sono indispensabili interventi di formazione dei professionisti sanitari e percorsi assistenziali basati sulle migliori evidenze scientifiche e integrati tra i vari servizi (cure primarie, consultori, servizi per la maternità, salute mentale, servizi sociali, ospedale) al fine di offrire un accesso tempestivo alla valutazione specialistica.

«Le linee guida del NICE – continua il Presidente – disponibili in italiano grazie alla traduzione della Fondazione GIMBE, offrono un approccio sistematico e integrato alla prevenzione, diagnosi e trattamento dei problemi di salute mentale in gravidanza e nel post partum: utilizzo di strumenti internazionali validati per l’identificazione precoce dei sintomi, sviluppo di un piano di assistenza integrato, rischi e benefici delle differenti opzioni terapeutiche, in particolare raccomandando un minore utilizzo di psicofarmaci per alcuni disturbi (es. ansia o depressione di grado lieve o moderato) e sottolineando l’efficacia della psicoterapia».

Fondamentale il coinvolgimento attivo delle donne attraverso il processo decisionale condiviso: per migliorare la capacità di riconoscere il problema; per gestire le errate, ma comprensibili, preoccupazioni che rivelare la presenza di un disturbo mentale possa determinare la presa in carico del proprio figlio; per prevenire i rischi associati all’interruzione del trattamento con psicofarmaci (senza consulto medico) quando scoprono di essere gravide.

«Tutti i professionisti e i servizi coinvolti nell’assistenza a donne che desiderano, vivono o portano a termine una gravidanza – conclude Cartabellotta – dovrebbero tenere in considerazione queste linee guida per integrare le raccomandazioni in percorsi assistenziali integrati finalizzati a prevenire, diagnosticare e trattare con successo problemi di salute mentali anche gravi».

Le “Linee guida per la salute mentale della donna in gravidanza e dopo il parto” sono disponibili a: www.evidence.it/salute-mentale-gravidanza


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3 ottobre 2016
Sperimentazioni cliniche: protocolli più trasparenti per tutelare i pazienti e garantire la metodologia

AL FINE DI RIDURRE LE INACCETTABILI VARIABILITÀ DI GIUDIZIO DEI COMITATI ETICI, DI MIGLIORARE LA QUALITÀ METODOLOGICA DEI TRIAL CLINICI E DI TUTELARE AL MEGLIO I PARTECIPANTI, LA FONDAZIONE GIMBE HA REALIZZATO LA VERSIONE ITALIANA DELLO SPIRIT STATEMENT, STANDARD INTERNAZIONALE PER LA REDAZIONE DEI PROTOCOLLI DELLE SPERIMENTAZIONI CLINICHE.

Le sperimentazioni cliniche rappresentano il gold standard della ricerca per valutare l’efficacia degli interventi sanitari e, in particolare, hanno un ruolo cruciale nell’approvazione dei nuovi farmaci. Il protocollo di una sperimentazione clinica, oltre a fornire ai comitati etici tutte le informazioni necessarie per la sua approvazione, costituisce per i ricercatori il documento di riferimento per la pianificazione, conduzione e reporting dello studio. A dispetto di tale rilevanza, le linee guida per la stesura dei protocolli presentano una notevole difformità di obiettivi e raccomandazioni, condizionando da un lato completezza e qualità dei protocolli, dall’altro determinando la variabilità di giudizio dei comitati etici che, peraltro, non sempre utilizzano strumenti di valutazione standardizzati.

«Consistenti evidenze – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – dimostrano che spesso i protocolli sottoposti ai comitati etici non riportano informazioni indispensabili: outcome primario, metodo di assegnazione del trattamento, utilizzo del cieco, modalità per segnalare gli eventi avversi, elementi per calcolare la dimensione del campione, analisi statistiche pianificate, policy di pubblicazione, ruolo di sponsor e ricercatori nel disegno dello studio e nell’accesso ai dati».

Queste lacune, oltre a condizionare qualità metodologica del trial e reporting inadeguato in fase di pubblicazione, sono causa di emendamenti evitabili che contribuiscono al ritardo, spesso eccessivo, tra stesura del protocollo, approvazione etica e avvio del reclutamento dei partecipanti.

«Più in generale – continua il Presidente – il processo di regolamentazione della ricerca si dibatte oggi in un paradosso inaccettabile: da un lato è dominato da una burocrazia sproporzionata rispetto ai rischi reali per i partecipanti, dall’altro non li tutela a sufficienza perché dà via libera a studi dal disegno inadeguato e perché non mette in atto azioni concrete per garantire la pubblicazione di tutti i risultati, un obbligo scientifico, etico e morale».

Per colmare questi gap nel contenuto dei protocolli dei trial e uniformare le linee guida per la loro redazione, l’iniziativa internazionale SPIRIT ─ Standard Protocol Item: Recommendations for Interventional Trials ─ ha prodotto una checklist di 33 item che costituiscono il set minimo di informazioni da includere nei protocolli delle sperimentazioni cliniche.

«Al di là del dibattito sul numero ottimale dei comitati etici – conclude il Presidente – la Fondazione GIMBE ribadisce l’inderogabile necessità di allineare i metodi di valutazione e giudizio, anche alla luce della nuova normativa europea sulle sperimentazioni cliniche e agli standard delle riviste internazionali per la pubblicazione dei trial. Ecco perché i comitati etici, indiscussi protagonisti del processo di regolamentazione, oltre a governare i “tradizionali” aspetti etici della ricerca (consenso informato, privacy, convenzione economica, fattibilità locale, etc.), devono utilizzare standard internazionali validati per valutare i protocolli dei trial clinici».

Con questo obiettivo la Fondazione GIMBE ha realizzato la versione italiana dello SPIRIT Statement, un documento indirizzato non solo a ricercatori e comitati etici, ma a tutti i protagonisti della ricerca clinica: partecipanti allo studio, pazienti, enti regolatori, finanziatori istituzionali sponsor, peer reviewer, riviste, registri di trial, policy-makers.

La versione italiana dello SPIRIT Statement è disponibile a: www.gimbe.org/SPIRIT


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26 settembre 2016
La salute delle persone è il bene supremo del Paese: da GIMBE l’Osservatorio sulla sostenibilità del SSN

PER NEUTRALIZZARE LA MISCELA LETALE “DEFINANZIAMENTO + SPRECHI” È INDISPENSABILE RIMETTERE AL CENTRO DELL’AGENDA POLITICA LA SANITÀ PUBBLICA, OTTENERE IL MASSIMO RITORNO IN TERMINI DI SALUTE DAL DENARO PUBBLICO INVESTITO IN SANITÀ E MIGLIORARE LA TRASPARENZA DELL’INTERO SISTEMA, METTENDO DA PARTE OGNI INTERESSE DI CATEGORIA. ECCO PERCHÉ LA FONDAZIONE GIMBE AVVIA UN MONITORAGGIO CONTINUO E INDIPENDENTE SU RESPONSABILITÀ E AZIONI DI TUTTI STAKEHOLDERS DELLA SANITÀ.

Il Rapporto GIMBE sulla sostenibilità del SSN, presentato lo scorso giugno in Senato (www.rapportogimbe.it), ha quantificato per il 2025 un fabbisogno di € 200 miliardi, cifra che può essere raggiunta con l’apporto congiunto di tre “ingredienti”: adeguata ripresa del finanziamento pubblico, piano nazionale di disinvestimento dagli sprechi (stimati in oltre € 24 miliardi/anno)  e incremento della quota intermediata della spesa privata. Dalla consultazione pubblica del Rapporto, alla quale hanno partecipato migliaia di persone, è emersa la necessità di avviare un monitoraggio continuo e indipendente su responsabilità e azioni di tutti stakeholder della sanità: per questo la Fondazione ha lanciato l’Osservatorio GIMBE sulla sostenibilità del SSN.

«Riguardo a Governo e Parlamento – spiega Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – obiettivo permanente dell’Osservatorio è di vigilare sulle dinamiche e l’entità del finanziamento per la sanità pubblica e di valutare parallelamente l’azione legislativa: identificando carenze normative (priorità assoluta il riordino della sanità integrativa), individuando nei disegni di legge in corso di discussione criticità e possibili contraddizioni con altre normative e, soprattutto, monitorando lo status di applicazione di quelle vigenti».

Le valutazioni dell’Osservatorio saranno guidate da tre princìpi fondamentali: evidence for health, ovvero le migliori evidenze scientifiche devono essere integrate in tutte le decisioni politiche che riguardano la salute delle persone; health in all policies, perché la salute delle persone deve guidare tutte le politiche, non solo sanitarie, ma anche industriali, ambientali, sociali, economiche e fiscali; value for money, perché ottenere il massimo ritorno in termini di salute dal denaro investito in sanità è, al tempo stesso, mandato etico e obiettivo economico di un sistema sanitario.

«Le Regioni – continua il Presidente – saranno innanzitutto invitate a rendere pubbliche la percentuale di risorse destinate ai tre livelli essenziali di assistenza (prevenzione, distrettuale, ospedaliera) e quella ripartita tra pubblico e privato accreditato. Se, infatti, i criteri di riparto del Fondo Sanitario Nazionale possono essere oggetto di discussione, in quanto espliciti, l’assenza un quadro comparativo sull’allocazione regionale del denaro pubblico è un inaccettabile elemento di mancata trasparenza istituzionale».

Considerato che secondo il Rapporto GIMBE oltre € 12 miliardi di sprechi e inefficienze vengono assorbiti da sovra- e sotto-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie e da inadeguato coordinamento dell’assistenza, l’Osservatorio intende fornire evidenze e dati per facilitare a Regioni e Aziende sanitarie il processo di disinvestimento e riallocazione, sensibilizzando al tempo stesso professionisti sanitari e cittadini/pazienti.

«L’Osservatorio GIMBE – precisa Cartabellotta – ha già avviato diversi studi per quantificare l’impatto di questi fattori non solo sugli sprechi, ma soprattutto sugli esiti di salute e sull’equità di accesso. È stato inoltre standardizzato un approccio multifattoriale al cambiamento sulle tre determinanti del sovra- e sotto-utilizzo: offerta di servizi in relazione ai bisogni (non alla domanda) di salute, appropriatezza dei comportamenti professionali e aspettative di cittadini e pazienti».

Tra le priorità per contrastare il sovra-utilizzo: dai farmaci (shift da brand vs equivalenti, de-prescrizione, abuso di costosissimi farmaci oncologici in pazienti terminali), alle prestazioni diagnostiche inappropriate con rilevanti criticità nelle liste d’attesa, (TAC, risonanza magnetica, doppler TSA), dall’offerta di servizi (chirurgie oncologiche a bassi volumi), alla riorganizzazione integrata di ospedale e cure primarie secondo princìpi di intensità di cura. Tra le aree di sotto-utilizzo, innovazioni high value, screening oncologici, vaccinazioni, continuità terapeutica, assistenza socio-sanitaria a pazienti fragili e fasce socio-economiche svantaggiate.

L’Osservatorio mira ad espandere anche le evidenze sui conflitti di interesse: in particolare, se il disclosure code di Farmindustria ha fornito utili informazioni sui trasferimenti di denaro in maniera unidirezionale, è indispensabile conoscere l’entità dei finanziamenti ricevuti da vari stakeholder (enti pubblici, società scientifiche, associazioni di pazienti e di tutela dei consumatori) quale elemento indispensabile di trasparenza.

«Siamo convinti – conclude Cartabellotta –  che le attività di un’organizzazione indipendente finalizzate ad informare il Paese sulla salute, l’assistenza sanitaria e la ricerca biomedica possono determinare grandi benefici sociali ed economici. La campagna #salviamoSSN, il Rapporto e l’Osservatorio GIMBE sulla sostenibilità del SSN rappresentano testimonianze concrete del nostro impegno per il Paese, il cui sviluppo economico, oggi problema cruciale, dipende anche dalla salute e dal benessere delle persone».


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19 settembre 2016
Nuovi tagli alla sanit&#224;? Per il Governo &#232; il momento di investire sulla salute delle persone

LA FONDAZIONE GIMBE CHIEDE AL GOVERNO DI RIMETTERE AL CENTRO DELL’AGENDA POLITICA LA SANITÀ PUBBLICA E DI FORNIRE CIFRE CERTE SUL FINANZIAMENTO DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE. CON IL SISTEMA ALLO STREMO, I NUOVI LEA IN ARRIVO E IL REFERENDUM ALLE PORTE, ULTERIORI TAGLI RISCHIANO DI ASSESTARE IL COLPO DI GRAZIA… NON SOLO AL SSN.

Ancora una volta alla vigilia della Legge di Stabilità le stime sul finanziamento del SSN vengono progressivamente riviste al ribasso: dalle irrealistiche previsioni del DEF 2016, l’incremento è sceso ai € 2 miliardi richiesti dalle Regioni e promessi dal Ministro Lorenzin, sino ad una ulteriore riduzione ipotizzata alla luce delle ultime stime sul PIL rese pubbliche dal Ministro Padoan. Il Premier Renzi ha immediatamente smentito l’ipotesi di nuovi tagli, senza tuttavia fornire alcuna certezza sull’entità delle risorse che il Governo metterà sul piatto nella Legge di Stabilità, mentre la Lorenzin ribadisce la certezza dei € 113 miliardi per il 2017.

Considerato che sostituire la scomoda parola “tagli” con l’espressione “mancato aumento” produce gli stessi risultati in termini di risorse disponibili, la Fondazione GIMBE ribadisce con preoccupazione che:

  • nel periodo 2012-2015 il SSN ha lasciato per strada oltre € 25 miliardi per esigenze di finanza pubblica;
  • le risorse concordate tra Stato e Regioni nel Patto per la Salute 2014-2016 sono state decurtate di € 6,79 miliardi;
  • nel DEF 2016 oltre € 13 miliardi di “contributo delle Regioni alla finanza pubblica 2017-2019 nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza” - previsto dal comma 680 della Legge di Stabilità - si è trasformato in “contributo del Servizio Sanitario Nazionale alla complessiva manovra a carico delle Regioni”;
  • il finanziamento pubblico per il 2016 è precipitato in 32 mesi dai € 117,6 miliardi previsti dal DEF 2013  ai € 110,2 della Legge di Stabilità 2015, netto LEA;
  • negli ultimi 5 anni il fondo sanitario è cresciuto di soli € 3,1 miliardi.

«In questo contesto di progressivo definanziamento della sanità pubblica – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – accanto al crescente disagio di cittadini, pazienti, professionisti e operatori sanitari si sono consolidate inequivocabili evidenze sulle diseguaglianze regionali, sulla scarsa qualità dell’assistenza, sulle difficoltà di accesso alle prestazioni, sulla rinuncia dei cittadini alle cure e, per la prima volta in Italia, si è ridotta l’aspettativa di vita».

Tagli e mancati aumenti hanno fatto rotolare l’Italia sempre più giù nel confronto con gli altri Paesi: la percentuale del PIL destinata alla sanità è inferiore alla media dei paesi OCSE; la spesa sanitaria pubblica è inferiore a quella di Finlandia, Regno Unito, Francia, Belgio, Austria, Germania, Danimarca, Svezia e Olanda; tra i paesi del G7 siamo ultimi per spesa pubblica e spesa totale, ma secondi solo agli USA per spesa out-of-pocket.

«Questi dati – continua il Presidente – testimoniano che negli anni, per legittime esigenze di finanza pubblica, i Governi hanno progressivamente ridotto il finanziamento del SSN e scaricato la spesa privata sui cittadini, ignorando le raccomandazioni dell’OCSE che richiamava il nostro Paese a garantire che gli sforzi in atto per contenere la spesa sanitaria non intaccassero la qualità dell'assistenza».

Con il referendum costituzionale alle porte, l’On. Gelli ha recentemente enfatizzato i potenziali benefici della riforma ai fini della tutela della salute pubblica: infatti, il nuovo articolo 117 restituirebbe allo Stato maggiori capacità di indirizzo e verifica sulle Regioni rinforzando la sanità sul piano dell’equità e uniformità dei LEA e mettendo fine alla variabilità del diritto costituzionale alla tutela della salute, oggi condizionato dal luogo di residenza.

«Di fronte al PIL che cresce meno del previsto – conclude Cartabellotta –  e a un sistema sanitario ormai allo stremo, ostinarsi a utilizzare la sanità come un bancomat al portatore è da parte del Governo una scelta autodistruttiva. Perché piuttosto non giocare la carta della tutela della salute, offrendo a 60 milioni di cittadini un segnale concreto di voler finalmente rimettere al centro dell’agenda politica il SSN e l’intero sistema di welfare? Perché anzi non investire più dei 2 miliardi di euro previsti, parametrando l’incremento del finanziamento pubblico con la capacità delle Regioni di recuperare risorse da sprechi e inefficienze?»

La Fondazione GIMBE, ben consapevole della rilevanza degli obiettivi di finanza pubblica, lancia un monito al Premier Renzi e al Ministro Padoan: la salute delle persone - oltre ad essere ritenuto il bene più prezioso da ciascun cittadino elettore - condiziona inevitabilmente il benessere, le capacità e la produzione economica del Paese. È dunque arrivato il momento di investire sulla salute degli Italiani con l’obiettivo di invertire la rotta!

 


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12 settembre 2016
Ricerca biomedica: troppe pubblicazioni e poche evidenze utili per la salute delle persone

LA FONDAZIONE GIMBE LANCIA IN ITALIA LA CAMPAGNA LANCET-REWARD, FINALIZZATA A RIDURRE GLI SPRECHI E PREMIARE IL RIGORE NELLA RICERCA BIOMEDICA. OBIETTIVO FINALE: AUMENTARE LA PRODUZIONE DI EVIDENZE SCIENTIFICHE DI ELEVATA QUALITÀ PER MIGLIORARE LA SALUTE DELLE PERSONE

Nel gennaio 2014 la rivista The Lancet con la serie di articoli Research: Increasing Value, Reducing Waste ha lanciato un allarme alla comunità scientifica: oltre l’85% degli investimenti nella ricerca biomedica non produce adeguate evidenze per l’assistenza sanitaria e, di conseguenza, non fornisce alcun contributo nel migliorare la salute delle persone, generando ingenti sprechi.

«L’interesse per la ricerca biomedica nel nostro Paese – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – è oggi documentato da varie iniziative: il rilancio della ricerca indipendente AIFA, l’Human Technopole, la call per un’Agenzia Nazionale per la Ricerca. Tuttavia, l’inderogabile necessità di ottenere il massimo “valore” dal denaro investito impone un’attenta valutazione degli indicatori utilizzati per misurare il ritorno degli investimenti: produttività scientifica, pubblicazione di evidenze di elevata qualità, impatto della ricerca sui servizi sanitari e sugli esiti di salute, oltre ovviamente a brevetti e profitti, prioritari per chi produce farmaci e tecnologie sanitarie».

Dalla serie di Lancet è nata la campagna Lancet-REWARD (REduce research Waste And Reward Diligence), che ha formulato 17 raccomandazioni su cinque aree di potenziali sprechi: rilevanza delle priorità di ricerca; adeguatezza del disegno dello studio, dei metodi e delle analisi statistiche; efficienza dei processi di regolamentazione e gestione della ricerca; completa accessibilità ai dati; usabilità dei report della ricerca.

«La Fondazione GIMBE – continua il Presidente – prima e unica organizzazione italiana ad avere ufficialmente aderito alla campagna, ha realizzato la versione italiana delle raccomandazioni per diffondere la consapevolezza scientifica e sociale di quanto sia indispensabile ottenere il massimo ritorno in termini di salute dalle risorse investite nella ricerca biomedica».

Le raccomandazioni REWARD saranno inizialmente diffuse e condivise con gli stakeholders della ricerca in Italia (finanziatori pubblici e privati, ricercatori, enti regolatori, istituzioni di ricerca, comitati etici, editori e associazioni di pazienti). Successivamente, la Fondazione GIMBE avvierà un monitoraggio indipendente utilizzando gli indicatori definiti dalla campagna Lancet-REWARD.

«Con questa iniziativa – conclude Cartabellotta– vogliamo ribadire l’indifferibile esigenza di restituire vigore alla ricerca biomedica con nuove modalità di supervisione e regolamentazione, per promuovere il rigore metodologico, proteggere l’integrità del processo scientifico e allontanare i ricercatori da indebite influenze. Infatti, solo garantendo il rigore in tutte le fasi del processo di ricerca la comunità scientifica potrà proteggere sé stessa dai sofismi della politica, separare le conflittuali logiche capitalistiche da quelle della scienza e dare reale valore al denaro di finanziatori e contribuenti».

Per ulteriori informazioni sulla campagna Lancet-REWARD e per la versione italiana delle raccomandazioni: www.gimbe.org/REWARD


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5 settembre 2016
Assistenza alle persone in fine vita: meno accanimento e più condivisione

PIUTTOSTO CHE ESSERE GUIDATA DA RIGOROSI PROTOCOLLI, L’ASSISTENZA ALLE PERSONE IN FINE VITA DOVREBBE ESSERE BASATA SULLE EVIDENZE E PERSONALIZZATA SULLE PREFERENZE E NECESSITÀ DEL PAZIENTE AL FINE DI CREARE PIANI ASSISTENZIALI INDIVIDUALIZZATI. A TAL FINE FONDAZIONE GIMBE E FONDAZIONE ANT HANNO REALIZZATO LA VERSIONE ITALIANA DELLE LINEE GUIDA NICE PER L’ASSISTENZA NEL FINE VITA

Le decisioni terapeutiche e assistenziali nel fine vita sono assolutamente personali e, di conseguenza, devono essere prese individualmente con la massima libertà dalle persone. Anche se la Costituzione afferma che nessuno può essere obbligato ad trattamento sanitario contro la propria volontà, nei fatti l’Italia continua a rimanere molto indietro rispetto ad altri paesi europei, perché non esistono leggi che regolano l'affermazione della volontà della persona in fine vita.

Accanto al vuoto legislativo sul tema, professionisti e organizzazioni sanitarie non dispongono di linee guida recenti e credibili per la gestione clinico-assistenziale di un momento della vita dove, indipendentemente dal setting dove è assistito il paziente (ospedale, domicilio, hospice, ecc.), la cura (cure) deve lasciare il posto all’assistenza (care), nel pieno rispetto delle scelte con la persona.

«Spesso, anche a causa di pressanti richieste di familiari e caregiver poco informati – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – l’assistenza alle persone in fine vita è caratterizzata da interventi diagnostico-terapeutici inappropriati non condivisi con il paziente, sconfinando nell’accanimento terapeutico che non rispetta preferenze e aspettative della persona, peggiora la qualità di vita e consuma preziose risorse».

«È indispensabile – continua il Presidente – identificare un professionista sanitario responsabile della comunicazione e del processo decisionale condiviso sul fine vita per dare alla persona e ai suoi familiari e caregiver informazioni accurate sulla prognosi, per chiarire ogni incertezza e fornire l’opportunità di discutere eventuali ansie e timori».

«In Italia – precisa Raffaella Pannuti, Presidente della Fondazione ANT – assistiamo a domicilio circa 4.000 sofferenti ogni giorno. Questi pazienti necessitano di una presa in carico globale, multi-professionale e personalizzata, che sostenga le famiglie nel far fronte ai bisogni complessi di tipo medico e psico-sociale».

Le linea guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE), disponibili in italiano grazie alla traduzione realizzata congiuntamente da Fondazione GIMBE e Fondazione ANT Italia ONLUS, offrono un approccio sistematico e integrato alla gestione del fine vita nei soggetti adulti: dal riconoscimento della condizione alle strategie di comunicazione, dalle modalità per mantenere l’idratazione alla terapia farmacologica, dalla gestione della sintomatologia (dolore, respiro affannoso, nausea e vomito, ansia, delirium e agitazione, secrezioni respiratorie rumorose), alla prescrizione anticipatoria.

«Medici, infermieri, psicologi e tutti i professionisti sanitari che gestiscono persone in fine vita – concludono Cartabellotta e Pannuti – dovrebbero utilizzare queste linee guida per implementare percorsi assistenziali basati sulle evidenze, personalizzati sui bisogni del paziente e che tengano conto della sostenibilità economica».

Le “Linee guida per l’assistenza agli adulti nel fine vita” sono disponibili a: www.evidence.it/finevita.

Fondazione GIMBE e Fondazione ANT Italia ONLUS


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24 agosto 2016
GIMBE4young 2016: 30 borse di studio per un curriculum europeo

Nell’ambito del progetto GIMBE4Young, sull’onda del successo ottenuto nelle tre edizioni precedenti la Fondazione GIMBE indice una selezione nazionale per l’attribuzione di 30 borse di studio, del valore di € 800,00 ciascuna, destinate a laureati in Medicina e Chirurgia e Professioni Sanitarie (L/SNT1 e L/SNT2) e a specializzandi.

Le borse di studio, sostenute dalla Fondazione GIMBE, saranno destinate esclusivamente alla copertura della quota di partecipazione al corso di formazione “Evidence-based Practice” (Bologna, 18-19-20-21 gennaio 2017), che permette di acquisire l’EBP core curriculum, certificato dall’EU-EBM Unity Project.

La scadenza del bando è fissata al 9 settembre 2016.

Per ulteriori informazioni e invio candidature: www.gimbe4young.it/bando2016


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21 2016
Allarme tubercolosi: un'emergenza trascurata da arginare

IN ASSENZA DI LINEE GUIDA NAZIONALI AGGIORNATE, LA FONDAZIONE GIMBE HA REALIZZATO LA SINTESI ITALIANA DELLE LINEE GUIDA PUBBLICATE NEL GENNAIO 2016 DAL NICE CHE OFFRONO UN APPROCCIO SISTEMATICO E INTEGRATO ALLA PREVENZIONE, DIAGNOSI, TERAPIA E GESTIONE DELLA TBC, INTEGRANDO LE MISURE DI SANITÀ PUBBLICA CON QUELLE CLINICO-ASSISTENZIALI-ORGANIZZATIVE.

In Italia la tubercolosi (TBC) – secondo il Piano Nazionale per la Prevenzione 2014-2018 – è una patologia a bassa incidenza nella popolazione generale (7,7 x 100.000 abitanti nel 2010), ma molto più diffusa in gruppi a rischio (persone senza fissa dimora, soggetti che appartengono alle classi più povere, tossicodipendenti, immigrati da paesi ad elevata incidenza di TBC, soggetti immunocompromessi) e in alcune aree metropolitane dove l’incidenza può addirittura quadruplicare. Inoltre si osserva un trend in aumento nella classe di età 15-24 anni.

«Il ritorno della TBC – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – rappresenta un’emergenza sanitaria sottovalutata perché esistono numerosi ostacoli per un’efficace prevenzione e trattamento: standard assistenziali spesso obsoleti a dispetto di una notevole evoluzione delle conoscenze scientifiche, frammentazione e scarso coordinamento dei percorsi assistenziali tra i servizi di sanità pubblica, cure primarie e assistenza specialistica, barriere culturali e linguistiche, carenze nella rete di diagnosi e cura».

Il Piano Nazionale della Prevenzione 2014-2018 – con riferimento all’intesa Stato Regioni “Controllo della tubercolosi: obiettivi di salute, standard e indicatori 2013-2016” – identifica tra gli obiettivi prioritari “l’implementazione di linee guida aggiornate”, ma di fatto l’ultimo aggiornamento delle linee guida nazionali risale al 2010.

«La mancanza di linee guida aggiornate – continua il Presidente – in grado di sintetizzare le migliori evidenze scientifiche rappresenta un ulteriore ostacolo alla gestione ottimale della TBC: infatti l’uso appropriato dei nuovi test diagnostici (IGRA test, NAAT), le strategie per migliorare l’aderenza terapeutica (DOTS, case management) e i protocolli terapeutici per la TBC multi-farmaco resistente oggi sono ben lontani da un’implementazione uniforme sul territorio nazionale».

Le linea guida del NICE, disponibili in italiano grazie alla traduzione della Fondazione GIMBE, offrono un approccio sistematico e integrato alla prevenzione, diagnosi, terapia e gestione della TBC, integrando le misure di sanità pubblica con quelle clinico-assistenziali-organizzative: misure per il controllo dell’infezione, diagnosi e terapia dell’infezione latente (in particolare nei bambini di età inferiore a 2 anni), trattamento della TBC multi-farmacoresistente, strategie per migliorare la compliance terapeutica e potenziare il case management della TBC, protocolli di trattamento per la TBC attiva, strategie per riprendere la terapia dopo la sospensione per effetti avversi, criteri di appropriatezza per la vaccinazione BCG.

«Tutti i professionisti coinvolti nella gestione della malattia tubercolare – conclude Cartabellotta – dovrebbero prendere in considerazione queste linee guida al fine di garantire un’assistenza omogenea su tutto il territorio nazionale per una emergenza sanitaria che può essere adeguatamente prevenuta e trattata integrando le migliori evidenze nei percorsi assistenziali regionali e aziendali».

Le “Linee guida per la diagnosi, terapia, prevenzione e controllo della tubercolosi” sono disponibili a: www.evidence.it/TBC.


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14 2016
Linee Guida sotto la lente &#8220;AGREE&#8221;: arriva in Italia la Checklist per il controllo di qualit&#224;

LA FONDAZIONE GIMBE HA REALIZZATO LA VERSIONE ITALIANA UFFICIALE DELL’AGREE REPORTING CHECKLIST, STRUMENTO INDISPENSABILE PER GUIDARE ISTITUZIONI E SOCIETÀ SCIENTIFICHE A RIPORTARE NELLE LINEE GUIDA PER LA PRATICA CLINICA TUTTE LE INFORMAZIONI NECESSARIE A GARANTIRNE QUALITÀ, CHIAREZZA E TRASPARENZA

Nel 2003 Il gruppo AGREE (Appraisal of Guidelines, Research and Evaluation) ha sviluppato lo strumento AGREE, rivisto e aggiornato nel 2009 con la pubblicazione di AGREE II, standard di riferimento internazionale per valutare qualità delle linee guida pubblicate, disponibile in italiano grazie alla traduzione ufficiale della Fondazione GIMBE. Da AGREE II è nata l’AGREE Reporting Checklist, strumento destinato ai “produttori” di linee guida per aiutarli a includere tutte le informazioni relative al processo di elaborazione.

«Oltre 25 anni di ricerca sulle linee guida – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – hanno dimostrato che la loro qualità è strettamente legata sia al rigore metodologico che condiziona ricerca, valutazione e selezione delle evidenze scientifiche, sia a un’adeguata governance dei conflitti di interesse che influenzano in maniera rilevante la formulazione delle raccomandazioni cliniche».

L’AGREE Reporting Checklist contiene 23 item organizzati in sei dimensioni: obiettivi e ambiti di applicazione, coinvolgimento degli stakeholders, rigore metodologico, chiarezza espositiva, applicabilità, indipendenza editoriale. Per ciascun item la checklist elenca tutte le informazioni che Istituzioni e società scientifiche dovrebbero riportare per garantire qualità, chiarezza e trasparenza delle linee guida, così da  consentirne una adeguata valutazione.

«Le linee guida – conclude il Presidente – oltre a rappresentare standard per guidare la pratica clinica, oggi nel nostro Paese con la nuova legge sulla responsabilità professionale si apprestano a orientare anche il contenzioso medico-legale. Pertanto è indispensabile che tutti i produttori adottino l’AGREE Reporting Checklist per garantire qualità e trasparenza delle linee guida prodotte».

La traduzione italiana ufficiale dell’AGREE Reporting Checklist è stata sostenuta interamente dalla Fondazione GIMBE senza alcun supporto istituzionale o commerciale ed è disponibile a www.gimbe.org/agree


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7 2016
Rapporto GIMBE sostenibilità SSN: al via la consultazione pubblica

IL “PIANO DI SALVATAGGIO” DELLA SANITÀ PUBBLICA ELABORATO DALLA FONDAZIONE GIMBE RICHIEDE IL CONTRIBUTO ATTIVO DI TUTTI GLI STAKEHOLDERS DELLA SANITÀ ITALIANA, CITTADINI INCLUSI.

La Fondazione GIMBE il 7 giugno ha presentato alle Istituzioni presso la Biblioteca del Senato “Giovanni Spadolini” il Rapporto sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale 2016-2025, che sintetizza i risultati di studi, consultazioni e analisi indipendenti condotti nell’ambito della campagna #salviamoSSN.

Il Rapporto GIMBE è ora disponibile online per la consultazione pubblica, al fine di raccogliere commenti e suggerimenti di tutti gli stakeholders della sanità italiana, cittadini inclusi.

«La consultazione pubblica – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – è uno strumento molto diffuso in altri paesi: indispensabile per raccogliere in maniera sistematica e strutturata il contributo di tutti i protagonisti del mondo sanitario, che individualmente rischiano di esprimere un punto di vista parziale, non scevro da interessi personali o di categoria».

La Fondazione GIMBE invita pertanto tutti gli attori della sanità italiana, cittadini inclusi, a inviare suggerimenti, feedback e proposte sui singoli capitoli del Rapporto, oltre che riportare commenti generali ed effettuare l’upload di file.

Il modulo per la consultazione pubblica è disponibile all’indirizzo www.rapportogimbe.it/consultazione, sino al 30 settembre 2016.


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7 giugno 2016
Rapporto GIMBE: senza un preciso programma politico addio al Servizio Sanitario Nazionale entro il 2025

LA FONDAZIONE GIMBE HA ELABORATO UN DETTAGLIATO “PIANO DI SALVATAGGIO” PER LA SANITÀ PUBBLICA CHE, OLTRE ALLA NECESSARIA (MA NON SUFFICIENTE) RIPRESA DEL FINANZIAMENTO PUBBLICO, PREVEDE UNA RIFORMA COMPLESSIVA DELLA SANITÀ INTEGRATIVA E UN PIANO NAZIONALE DI DISINVESTIMENTO DAGLI SPRECHI. IN UN PAESE IN CUI PER LA PRIMA VOLTA SI MUORE DI PIÙ CHE IN PASSATO, È NECESSARIO RIMETTERE AL CENTRO DELL’AGENDA POLITICA SANITÀ PUBBLICA E SISTEMA DI WELFARE, SINTONIZZARE PROGRAMMAZIONE FINANZIARIA E SANITARIA E ATTUARE “INNOVAZIONI DI ROTTURA” AL FINE DI MANTENERE UN SERVIZIO SANITARIO PUBBLICO A TUTELA DELLA SALUTE.

La Fondazione GIMBE ha presentato oggi alle Istituzioni presso la Biblioteca del Senato “Giovanni Spadolini” il Rapporto sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale 2016-2025, che sintetizza i risultati di studi, consultazioni e analisi indipendenti condotti nell’ambito della campagna #salviamoSSN.

«L’attuale deriva del Servizio Sanitario Nazionale – esordisce Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – non consegue a un disegno occulto di smantellamento e privatizzazione, ma alla mancanza di un preciso disegno per salvaguardare una sanità pubblica, già sofferente prima della crisi economica e oggi agonizzante per la continua riduzione del finanziamento».

«Il Rapporto GIMBE – continua il Presidente – affronta in maniera indipendente e con un prospettiva decennale il tema della sostenibilità del SSN, ripartendo dal suo obiettivo primario, ovvero “promuovere, mantenere e recuperare la salute delle persone”, tenendo ben presente che la sanità rappresenta sia un considerevole capitolo di spesa pubblica da ottimizzare, sia una leva di sviluppo economico da sostenere».

Analizzati i trend della spesa pubblica, della compartecipazione alla spesa e dell’incremento delle addizionali regionali IRPEF ed esaminate le numerose criticità della sanità integrativa, il Rapporto GIMBE aggiorna al 2015 l’impatto degli sprechi sulla spesa sanitaria pubblica: € 24,73 miliardi erosi da sovra-utilizzo, frodi e abusi, acquisti a costi eccessivi, sotto-utilizzo, complessità amministrative, inadeguato coordinamento dell’assistenza.

 

«Il Rapporto GIMBE considera spreco tutto ciò che non migliora gli outcome di salute – spiega il Presidente – perché un sistema sanitario deve ottenere il massimo ritorno in termini di salute dalle risorse investite secondo il principio del value for money. Di conseguenza, abbiamo sviluppato un framework di sistema per guidare il processo di disinvestimento da interventi sanitari inefficaci, inappropriati e dal basso value e riallocare le risorse recuperate in interventi efficaci, appropriati e dall’elevato value sotto-utilizzati, causa di iniquità e diseguaglianze».

 

«Secondo le nostre stime – continua Cartabellotta – nel 2025 il fabbisogno del SSN sarà di 200 miliardi di euro, cifra che può essere raggiunta solo con l’apporto costante di tre “cunei di stabilizzazione”: l’incremento della quota intermediata della spesa privata, un piano nazionale di disinvestimento dagli sprechi e, ovviamente, un’adeguata ripresa del finanziamento pubblico».

Il “piano di salvataggio” del SSN proposto dalla Fondazione GIMBE (box) è compatibile con lo status economico del Paese e potenzialmente favorito dal nuovo testo costituzionale che riporta allo Stato competenze fondamentali in materia sanitaria. Tuttavia, per una sua efficace attuazione, la sanità pubblica e più in generale il sistema di welfare devono essere rimessi al centro dell’agenda politica al fine di sintonizzare programmazione finanziaria e sanitaria e attuare le necessarie “innovazioni di rottura”.

«Se vogliamo realmente salvare il SSN – conclude Cartabellotta – abbiamo poco tempo: dopo aver raccolto per anni inequivocabili evidenze sulle diseguaglianze regionali, sulla scarsa qualità dell’assistenza, sulle iniquità di accesso alle prestazioni e sulla rinuncia dei cittadini alle cure, oggi iniziamo a vedere i primi disastrosi effetti anche sulla mortalità, un dato che dovrebbe muovere senza indugi coscienza sociale e volontà politica».

La versione integrale del Rapporto GIMBE è disponibile per la consultazione pubblica all’indirizzo web: www.rapportogimbe.it

 

Rapporto GIMBE: il “Piano di salvataggio” del Servizio Sanitario Nazionale

  • Offrire ragionevoli certezze sulle risorse destinate al SSN, mettendo fine alle annuali revisioni al ribasso rispetto alle previsioni del DEF, e soprattutto con un graduale rilancio delle politiche di finanziamento pubblico.
  • Rimodulare i LEA sotto il segno del value, per garantire a tutti i cittadini servizi e prestazioni sanitarie ad elevato value, escludendo quelle dal basso value anche al fine di espandere il campo d’azione dei fondi integrativi.
  • Ripensare completamente la sanità integrativa attraverso:
    • definizione di un Testo Unico per tutte le forme di sanità integrativa;
    • estensione dell’anagrafe nazionale dei fondi integrativi alle assicurazioni private, identificando requisiti di accreditamento unici su tutto il territorio nazionale e rendendone pubblica la consultazione;
    • ridefinizione delle tipologie di prestazioni, essenziali e non essenziali, che possono essere coperte dalle varie forme di sanità integrativa;
    • coinvolgimento di forme di imprenditoria sociale, cogliendo tutte le opportunità offerte dalla recente riforma del terzo settore.
  • Definire indicatori per monitorare le Regioni nel processo di disinvestimento e riallocazione, integrandoli nella griglia LEA e, in caso di inadempimento ripetuto, nei criteri per il riparto del fondo sanitario.
  • Mettere sempre la salute al centro di tutte le decisioni (health in all policies), in particolare di quelle che coinvolgono lo sviluppo economico del Paese.

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20 maggio 2016
Registrare tutti i Trial Clinici è un imperativo scientifico, etico e morale

IN OCCASIONE DELLA GIORNATA INTERNAZIONALE DEI TRIAL CLINICI, LA FONDAZIONE GIMBE DIFFONDE LA VERSIONE ITALIANA DELLO STATEMENT DELL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITÀ CHE RIBADISCE LA NECESSITÀ DI REGISTRARE TUTTE LE SPERIMENTAZIONI CLINICHE AL LORO AVVIO E DI RENDERNE PUBBLICI TUTTI RISULTATI

20 maggio 2016 - Fondazione GIMBE, Bologna

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha recentemente pubblicato un nuovo statement sulla necessità di rendere pubblici i risultati dei trial clinici: nel ribadire che la pubblicazione delle sperimentazioni cliniche è un imperativo etico, lo statement stabilisce le tempistiche per il reporting, richiama la necessità di rendere pubblici i risultati di trial pregressi mai pubblicati e definisce numerosi aspetti tecnici. Lo statement aggiorna ed espande la posizione del 2005 secondo cui “la registrazione di tutti i trial clinici è una responsabilità scientifica, etica e morale”.

«La mancata pubblicazione dei risultati dei trial clinici – spiega Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – influenza negativamente lo stato dell’arte delle conoscenze, espone i pazienti a trattamenti sub-ottimali o dannosi, determina inefficienze nell’allocazione di risorse per la ricerca e distorce le decisioni regolatorie e di salute pubblica».

«Inoltre – continua il Presidente – la mancata pubblicazione e disseminazione di studi condotti sugli esseri umani trasgredisce un dovere etico: in particolare se vengono tenuti nascosti alcuni risultati, futuri volontari potrebbero essere esposti a rischi evitabili. Senza contare che la mancata pubblicazione di un trial clinico infrange il patto sottoscritto con il consenso informato dei partecipanti, certi di contribuire al progresso delle conoscenze».

Lo statement dell’OMS ribadisce innanzitutto che ogni trial clinico, prima della somministrazione del primo intervento al primo partecipante, deve essere inserito in un registro pubblico e gratuitamente accessibile in conformità agli standard internazionali definiti dall’OMS per l’International Clinical Trials Registry Platform. In secondo luogo, sottolinea la necessità di sottomettere per la pubblicazione su una rivista peer review entro 12 mesi dalla conclusione e comunque di pubblicare i dati entro 24 mesi dalla conclusione. Infine, richiama la necessità di pubblicare anche i risultati di trial pregressi, il cui ruolo è ancora rilevante per le conoscenze attuali.

«Considerata la limitata sensibilizzazione su questi temi nel nostro Paese – conclude Cartabellotta – in occasione della giornata internazionale dei trial clinici la Fondazione GIMBE dedica la versione italiana dello Statement dell’OMS a comitati etici, autorità regolatorie, associazioni professionali, sponsor, ricercatori e agenzie di finanziamento con l’auspicio che ciascuno, nei propri ambiti di competenza, agisca per garantire la registrazione di tutti i trial clinici e la pubblicazione di tutti i risultati».

La versione italiana dello statement OMS è disponibile a: www.evidence.it/trial_oms


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2 maggio 2016
Riduzione aspettativa di vita e screening oncologici: quanti morti evitabili?

IL RAPPORTO OSSERVASALUTE 2015 CONFERMA CHE, CON IL 4,1% DELLA SPESA SANITARIA TOTALE, LA PREVENZIONE E’ LA “CENERENTOLA” DEL SSN: MA L’INEFFICACIA DELLA PREVENZIONE NON E’ SOLO UN PROBLEMA DI RISORSE. I DATI ELABORATI DALLA FONDAZIONE GIMBE PORTANO ALLA LUCE GRAVISSIME INADEMPIENZE DELLE REGIONI SULL’IMPLEMENTAZIONE DEGLI SCREENING ONCOLOGICI PER IL PERIODO 2003-2013. E OGGI INIZIAMO A CONTARE I MORTI.

2 maggio 2016 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il rapporto Osservasalute 2015 ha confermato l’allarme lanciato dall’ISTAT a inizio d’anno: in Italia per la prima volta l’aspettativa di vita diminuisce e, come ha dichiarato il Prof. Walter Ricciardi, «è possibile una correlazione con i tagli alla sanità e, in particolare con la  scarsa prevenzione, il calo delle vaccinazioni e i pochi screening oncologici», sottolineando che «destinando un misero 4.1% della spesa sanitaria totale alla prevenzione  l’Italia è di fatto la Cenerentola d’Europa».

«L’interpretazione dei dati di Osservasalute 2015 – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – è in linea con quanto da noi recentemente riportato: la “miscela letale” tagli + sprechi, oltre a compromettere la qualità dell’assistenza, inizia a fare sentire i suoi effetti sull’aspettativa di vita degli Italiani. Tuttavia, se è indiscutibile che il finanziamento pubblico del SSN è ormai sceso a livelli di guardia, è altrettanto vero che le attuali modalità di pianificazione e organizzazione dei servizi sanitari non producono un adeguato ritorno di salute dalle risorse investite perché generano sprechi a tutti i livelli».

«In quest’ottica gli screening oncologici – continua il Presidente – rappresentano un esempio paradigmatico perché le (poche) risorse disponibili non vengono adeguatamente utilizzate dalle Regioni per erogare i LEA e lo Stato, ad eccezione dei Piani di Rientro, non è mai riuscito a mettere in atto strumenti efficaci per migliorare le performance delle Regioni inadempienti. La nostra recente analisi su 11 anni di adempimenti regionali dimostra, nella sua drammatica gravità, la mancata erogazione di screening oncologici efficaci per ridurre la mortalità».

La Fondazione GIMBE ha valutato le performance regionali 2003-2013 sull’adempimento agli screening oncologici utilizzando l’indicatore 2 della “Griglia LEA”, che descrive le attività dei 3 programmi organizzati  (mammella, cervice uterina e colon-retto) e l’adesione da parte della popolazione eleggibile. Nel periodo in esame lo score cumulativo dei 21 sistemi sanitari regionali, anche se progressivamente aumentato da 75 a 176, è rimasto ben al di sotto del punteggio massimo di 315, garanzia di una copertura degli screening oncologici in almeno il 50% della popolazione target (figura A2). Emerge pertanto un sotto-utilizzo di screening efficaci nel ridurre la mortalità con inaccettabili diseguaglianze regionali: infatti, a fronte di uno punteggio regionale massimo di 165, il range oscilla dai 127 punti della Valle D’Aosta ai 12 della Puglia (figura A3). Tutto questo a dispetto del Piano Screening 2007-2009 che, nel tentativo di superare le criticità nelle Regioni meridionali e insulari, ha stanziato risorse aggiuntive per 41,5 milioni di euro destinate ad Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna, dimostrando che la sostenibilità del SSN non dipende solo dalle risorse economiche.

«Davanti a questi dati ufficiali sull’adempimento delle Regioni – continua  Cartabellotta – è tempo di riflettere sulla responsabilità delle morti evitabili per la mancata attuazione degli screening oncologici.  Benvenuto il Piano Nazionale per la Prevenzione 2014-2018, ma le Istituzioni centrali tengano ben presente che a causa degli inadempimenti dei LEA da parte delle Regioni oggi iniziamo inevitabilmente a contare i morti».

«Il SSN sta affondando non perché esiste un disegno occulto di smantellamento e privatizzazione – conclude Cartabellotta –ma perché manca una programmazione sanitaria adeguata a medio-lungo termine per garantire la sostenibilità della sanità pubblica».

Per tale ragione, a tre anni dal lancio della campagna #SalviamoSSN, il prossimo 7 giugno la Fondazione GIMBE presenterà alle Istituzioni i risultati di ricerche, consultazioni e analisi indipendenti e il piano per la sostenibilità del SSN 2016-2025.

L’analisi GIMBE sugli adempimenti LEA 2003-2013 relativi agli screening oncologici è disponibile a: www.evidence.it/screening_2003-2013

 


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11 aprile 2016
DEF 2016: da una perfetta sintonia tra Stato e Regioni sempre meno risorse per la Sanità Pubblica

IL DOCUMENTO DI ECONOMIA E FINANZA 2016 CONFERMA IL TREND SUL PROGRESSIVO DEFINANZIAMENTO DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE CHE NEL 2019 SCENDERÀ AL 6.5% DEL PIL, COLLOCANDO L’ITALIA IN FONDO AI PAESI OCSE CON IL RISCHIO CONCRETO DI RIDURRE L’ASPETTATIVA DI VITA DEI CITTADINI. STATO E REGIONI PER UNA VOLTA A BRACCETTO CON UN’INTESA “CARBONARA” CHE ASSESTA IL COLPO DI GRAZIA AL SSN.

Secondo le previsioni del DEF, nel triennio 2017-2019 il PIL crescerà in media del 2,8% per anno, mentre la spesa sanitaria aumenterà annualmente a un tasso medio dell’1,5%: in dettaglio, dai 113,3 miliardi stimati per il 2016, la spesa sanitaria dovrebbe arrivare a 114,7 miliardi nel 2017, a 116,1 nel 2018 e 118,5 nel 2019.

«Le previsioni del DEF – spiega Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – sono uno specchietto per le allodole, perché negli ultimi anni la sanità ha ricevuto sempre meno di quanto previsto dal documento programmatico del Tesoro. L’esempio del 2016 è paradigmatico: dai 117,6 miliardi stimati dal DEF 2013, siamo scesi a 116,1 con il DEF 2014 e a 113,4 con il DEF 2015, per arrivare a un finanziamento reale di 111 miliardi, comprensivi di 800 milioni da destinare ai nuovi LEA».

«Se le stime del DEF  su aumento del PIL e spesa sanitaria sono corrette – continua il Presidente –  al di là di slogan populisti e promesse vane, la chiave di lettura è solo una: crescendo meno del PIL nominale, la spesa sanitaria non coprirà nemmeno l'aumento dei prezzi. Di conseguenza la sanità pubblica, a parità di potere di acquisto, nel prossimo triennio disporrà delle stesse risorse solo se la ripresa economica del Paese raggiungerà previsioni più che ambiziose. In caso negativo, sul SSN non potranno che abbattersi ulteriori tagli».

Ma il dato più preoccupante è che, secondo le stime del DEF, nel triennio 2017-2019 il rapporto tra spesa sanitaria e PIL decrescerà dello 0,1% anno, attestandosi al 6,5% nel 2019.

«Il 6,5% è una soglia d’allarme – precisa Cartabellotta  – che desta enormi preoccupazioni per la salute dei cittadini, al di sotto della quale secondo le stime dell’OMS si riduce l’aspettativa di vita. Finiremmo  in fondo ai paesi OCSE, dopo essere già stati richiamati, con la revisione del SSN di gennaio 2015, a “garantire che gli sforzi in atto per contenere la spesa sanitaria non vadano a intaccare la qualità dell'assistenza”».

Tutto questo avviene in un clima di grande sintonia tra Stato e Regioni: infatti le previsioni del DEF tengono conto dell’intesa Stato-Regioni dello scorso 11 febbraio, che ha permesso al “contributo alla finanza pubblica […] nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza” previsto dal comma 680 della Legge di Stabilità di trasformarsi nel DEF 2016 in “contributo del Servizio Sanitario Nazionale alla complessiva manovra a carico delle Regioni definita dalla Legge di Stabilità 2016”, concretizzando anche i desiderata delle Regioni.

Infatti, il comma  680 della Legge di Stabilità rimandava al 31 gennaio di ogni anno la proposta delle Regioni sul contributo alla finanza pubblica, lasciando ulteriori margini di recupero di risorse per la Sanità. L’Intesa Stato-Regioni dell’11 febbraio, rideterminando il fabbisogno sanitario nazionale in 113 miliardi per il 2017 e in 115 miliardi per il 2018, da un lato ha fornito ragionevoli certezze alle Regioni, dall’altro ha sancito che il contributo alla finanza pubblica per gli anni 2017-2019 graverà quasi del tutto sulle spalle della Sanità (3,5 miliardi per il 2017 e 5 miliardi per il 2018 e 2019), assolvendo le Regioni dal compito di presentare proposte e il Governo da quello di  valutarle, fatta eccezione per i residuali 480 milioni.

«In un ottica di finanza pubblica – conclude Cartabellotta – siamo indubbiamente di fronte ad una strategica intesa Stato-Regioni, oculatamente non data in pasto ai media. Secondo una prospettiva di sanità pubblica,  l’11 febbraio 2016 rischia di passare alla storia come la data in cui Stato e Regioni hanno assestato il colpo di grazia al SSN».


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5 aprile 2016
Art. 5 DdL Responsabilità Professionale: tutto da riscrivere?

IN OCCASIONE DELL’AUDIZIONE PRESSO LA 12A COMMISSIONE IGIENE E SANITÀ DEL SENATO LA FONDAZIONE GIMBE “SEZIONA” L’ARTICOLO 5 E PROPONE UNA EQUILIBRATA RIFORMULAZIONE DEL TESTO CHE DEVE TENERE IN DEBITA CONSIDERAZIONE LE DIFFICOLTÀ DI APPLICARE LE RACCOMANDAZIONI CLINICHE AL PAZIENTE INDIVIDUALE, GLI OSTACOLI ORGANIZZATIVI, I CRITERI DI QUALITÀ E TRASPARENZA DELLE LINEE GUIDA, L’AMPLIAMENTO DELL’ELENCO DEI PRODUTTORI E LA NECESSITÀ DI UN GARANTE ISTITUZIONALE.

5 aprile 2016 - Fondazione GIMBE, Bologna

Si è appena conclusa l’audizione della Fondazione GIMBE presso 12a Commissione Igiene e Sanità del Senato della Repubblica in merito al DdL n. 2224 e connessi “Disposizioni in materia di responsabilità professionale del personale sanitario”. L’art. 5, nella formulazione approvata dalla Camera dei Deputati lo scorso 28 gennaio, stabilisce che “Gli esercenti le professioni sanitarie, nell'esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative e riabilitative, si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle buone pratiche clinico-assistenziali e alle raccomandazioni previste dalle linee guida elaborate dalle società scientifiche iscritte in apposito elenco istituito e regolamentato con decreto del Ministro della salute, da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Ai fini della presente legge, le linee guida sono inserite nel Sistema nazionale per le linee guida (SNLG) e pubblicate nel sito internet dell'Istituto superiore di sanità.”.

«Le numerose contraddizioni riscontrate nel testo attuale – spiega Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – sono state oggi illustrate alla Commissione: anzitutto la formulazione dello stesso titolo dell’art. 5 ignora che raccomandazioni e buone pratiche, oltre che clinico-assistenziali, sono  anche organizzative e la responsabilità professionale riguarda anche coloro che non svolgono attività clinica. In secondo luogo, l’attuale testo non fa alcun cenno alle “prestazioni assistenziali”, erogate in particolare da professionisti sanitari non medici».

Sul rovente dibattito scatenato dal rischio di ridurre l’autonomia professionale, la posizione della Fondazione GIMBE è chiara: «Le linee guida – continua il Presidente – forniscono raccomandazioni e norme di buona pratica per informare senza obbligare tutti i professionisti sanitari, ma le loro decisioni e azioni devono sempre considerare caratteristiche cliniche e aspettative e preferenze del paziente individuale. Per questo proponiamo di utilizzare un’espressione meno vincolante di “si attengono”».

Sulla questione dei produttori delle linee guida la Fondazione GIMBE ha ribadito il suo scetticismo: «La responsabilità di produrre le linee guida non può essere affidata ex lege esclusivamente alle società scientifiche – prosegue Cartabellotta – ma deve essere estesa a Istituzioni, enti di ricerca e altre organizzazioni scientifiche. Infatti, oltre 25 anni di ricerca sulle metodologie di produzione delle linee guida hanno dimostrato che la loro qualità e trasparenza non sono garantite dall'autorevolezza dei produttori, né tantomeno dalla loro legittimazione normativa, ma sono strettamente legate al rigore metodologico del processo di elaborazione e a un'adeguata governance dei conflitti di interesse, aspetti del tutto trascurati dal testo dell’art. 5».

Infine, la Fondazione GIMBE propone  la necessità di un garante istituzionale - auspicabilmente l’Istituto Superiore di Sanità - che attraverso  strumenti standardizzati e condivisi, validi le linee guida prodotte, al fine di tutelare l’integrità della scienza nell’interesse dei pazienti.

La relazione integrale e gli allegati dell’audizione sono disponibile a: www.gimbe.org/ddl_responsabilita_professionale

 

FONDAZIONE GIMBE

Proposta modifica articolo 5 DdL n. 2224 e connessi

“Disposizioni in materia di responsabilità professionale del personale sanitario”

TESTO ORIGINALE

TESTO PROPOSTO

Art. 5. Buone pratiche clinico-assistenziali e raccomandazioni previste dalle linee guida

5. Raccomandazioni e buone pratiche clinico-assistenziali-organizzative previste dalle linee guida

Gli esercenti le professioni sanitarie,

Non modificato

nell’esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative e riabilitative,

nell’esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, assistenziali, riabilitative e palliative,

si attengono,

fanno riferimento,

salve le specificità del caso concreto,

tenendo conto delle specificità del paziente e del contesto organizzativo

alle buone pratiche clinico-assistenziali e alle raccomandazioni previste dalle linee guida

alle raccomandazioni e alle buone pratiche clinico-assistenziali-organizzative delle linee guida

elaborate dalle società scientifiche

elaborate da istituzioni e organizzazioni private no-profit.

iscritte in apposito elenco istituito e regolamentato con decreto del Ministro della salute, da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.

Eliminato

Ai fini della presente legge, le linee guida sono inserite nel Sistema nazionale per le linee guida (SNLG) e pubblicate nel sito internet dell’Istituto superiore di sanità.

Ai fini della presente legge, le linee guida sono validate dall’Istituto superiore di sanità per la loro qualità e trasparenza e pubblicate nel sito internet del Sistema nazionale linee guida (SNLG).

 


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21 marzo 2016
Linee guida: parola d'ordine Trasparenza

PER GARANTIRE INTEGRITÀ E CREDIBILITÀ DELLE LINEE GUIDA, LA LEGGE SULLA RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE NON PUÒ IGNORARE CHE I CONFLITTI D’INTERESSE INFLUENZANO LE RACCOMANDAZIONI CLINICHE. AL FINE DI AVVIARE UN DIBATTITO COSTRUTTIVO, LA FONDAZIONE GIMBE HA PUBBLICATO LA VERSIONE ITALIANA DEI PRINCÌPI DEL GUIDELINES INTERNATIONAL NETWORK PER LA DISCLOSURE E LA GESTIONE DEI CONFLITTI DI INTERESSE E ASSEGNATO UNA BORSA DI STUDIO PER VALUTARE QUALITÀ E TRASPARENZA DELLE LINEE GUIDA ITALIANE.

Sull’articolo 5 del disegno di legge “Disposizioni in materia di responsabilità professionale del personale sanitario” la Fondazione GIMBE ribadisce la propria posizione: oltre 25 anni di ricerca sulle metodologie di produzione delle linee guida hanno dimostrato che la loro qualità non è garantita dall'autorevolezza dei produttori, né tantomeno dalla loro legittimazione normativa, ma è strettamente legata al rigore metodologico del processo di elaborazione e a un'adeguata governance dei conflitti di interesse.

«Consistenti evidenze scientifiche – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – dimostrano che il processo di produzione delle linee guida per la pratica clinica è ampiamente influenzato dai varie tipologie di conflitti di interesse: al fine di garantire integrità e credibilità delle linee guida è indispensabile un approccio sistematico alla loro disclosure e gestione».

Ai conflitti economici diretti legati alle relazioni finanziarie dell’organizzazione e dei componenti del panel con produttori di farmaci e altre tecnologie sanitarie rilevanti per l’argomento trattato dalla linea guida, si affiancano anche i conflitti indiretti, quali avanzamenti di carriera, incremento dell’attività professionale e prestigio sociale, ideologie e attaccamento alle proprie convinzioni. Il Guidelines International Network (G-I-N), che rappresentata 99 organizzazioni che producono linee guida in 49 paesi, ha recentemente elaborato i princìpi per una gestione trasparente e giudiziosa dei conflitti di interesse nella produzione delle linee guida. La Fondazione GIMBE – membro fondatore del G-I-N – ha pubblicato la versione ufficiale in lingua italiana per avviare un dibattito costruttivo tra politica, istituzioni, società scientifiche, professionisti e cittadini.

 

«In un momento storico – conclude il Presidente – dove le linee guida, oltre che rappresentare standard per guidare le pratiche professionali si apprestano ad orientare anche il contenzioso medico-legale, è indispensabile che tutti i “produttori” di linee guida, siano società scientifiche o agenzie governative, applichino rigorose policy per la disclosure e la gestione dei conflitti di interesse economici diretti e indiretti di tutti i componenti del panel».

 

Al fine di valutare qualità e trasparenza delle linee guida italiane, la Fondazione GIMBE ha assegnato la borsa di studio “Gioacchino Cartabellotta 2016” ad Antonio Simone Laganà (Università degli Studi di Messina) per valutare se le linee guida prodotte in Italia – da società scientifiche, istituzioni nazionali e regionali, organizzazioni private – rispettano gli standard G-I-N sulle metodologie di produzione e sulla governance dei conflitti di interesse. Lo studio sarà condotto sotto l’egida del G-I-N e dell’Istituto Superiore di Sanità.

Princìpi per la disclosure e la gestione dei conflitti di interesse nelle linee guida per la pratica clinica
(Guidelines International Network, Ann Intern Med 2015)

 

  1. Le organizzazioni che producono linee guida dovrebbero mettere in campo ogni strategia per evitare di includere membri con COI economici diretti o indiretti rilevanti.
  2. La definizione e la gestione dei COI dovrebbe essere determinata prima della costituzione del GDG e si applica a tutti i membri, a prescindere dalla disciplina o dalla categoria di stakeholder che rappresentano.
  3. Il GDG dovrebbe utilizzare una modulistica standardizzata per la disclosure dei COI.
  4. Tutti i membri del GDG dovrebbero dichiarare pubblicamente i propri COI economici diretti ed indiretti, che dovrebbero essere facilmente accessibili agli utilizzatori della linea guida.
  5. Tutti i membri del GDG dovrebbero dichiarare e aggiornare i propri COI, in caso di variazioni, ad ogni riunione e ad intervalli regolari (es. ogni anno per i GDG permanenti).
  6. I coordinatori dei GDG non dovrebbero avere COI economici diretti o indiretti rilevanti. Nel caso in cui l’uno o l’altro siano inevitabili, occorre nominare un co-coordinatore senza COI con il compito di guidare il GDG.
  7. Esperti con conoscenze o esperienze specifiche con COI rilevanti possono partecipare alla discussione su singoli argomenti, ma occorre garantire un adeguato equilibrio delle opinioni.
  8. Nessun membro del GDG con potere decisionale sulla direzione o sulla forza delle raccomandazioni cliniche dovrebbe avere COI finanziari diretti.
  9. Un comitato di sorveglianza dovrebbe essere responsabile dello sviluppo e implementazione delle policy sui COI.

 

COI: conflitti di interesse
GDG: gruppo di sviluppo della linea guida

 

La versione integrale dei princìpi GIN è disponibile a: www.gimbe.org/COI-GIN


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9 marzo 2016
Ricerca indipendente: dai risultati dello studio GIMBE-AIFA alle nuove regole per il rilancio del programma

IN OCCASIONE DELLA 11° CONFERENZA NAZIONALE GIMBE SONO STATI PRESENTATI I RISULTATI DELLO STUDIO “RICERCA INDIPENDENTE SUI FARMACI IN ITALIA: STUDIO CROSS-SECTIONAL SUI PROGETTI FINANZIATI DALL’AIFA”. CONTESTUALMENTE IL PRESIDENTE MELAZZINI HA ANNUNCIATO L’IMMINENTE RIPRESA DEL PROGRAMMA AIFA PER LA RICERCA INDIPENDENTE, UNA RISORSA INDISPENSABILE PER IL SSN E PER I PAZIENTI

Nel 2015 la Fondazione GIMBE ha assegnato la prima edizione della borsa di studio “Gioacchino Cartabellotta” al Dott. Corrado Iacono con l’obiettivo di verificare quanti tra i 207 progetti finanziati dal Programma di Ricerca Indipendente AIFA 2005-2009 sono stati pubblicati e quanti invece non lo sono perché ancora in corso, interrotti, oppure già conclusi ma non ancora pubblicati.

«I risultati emersi dallo studio sono molto interessanti» afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE. «Solo il 25% degli studi è stato registrato in registri a pubblico accesso; il gap temporale tra l’approvazione del grant da parte di AIFA e l’avvio degli studi è in media di 515 giorni; 3 studi (2%) non sono mai stati avviati, 36 (17%) sono ancora in corso, 44 (21%) sono stati interrotti e 124 (60%) sono conclusi. Le motivazioni principali dell’interruzione degli studi sono reclutamento insufficiente, default contrattuale, indisponibilità di farmaco/placebo, problematiche nell’attivazione dei centri e obsolescenza del quesito di ricerca. Gli sprechi stimati dovuti all’interruzione ammontano a oltre 9 milioni di euro. Dei 168 studi conclusi o interrotti solo  il 64% risultano pubblicati».

La Fondazione GIMBE, che continuerà il follow-up degli studi in corso, inviterà i principal investigators a registrare tutti gli studi finanziati dall’AIFA rendendo disponibili anche i risultati. I prossimi step prevedono l’analisi della produttività scientifica per ciascun progetto e la stima dettagliata degli sprechi, attraverso analisi per sottogruppi.

Dal palco della Conferenza GIMBE il Mario Melazzini, Presidente dell’AIFA, ha annunciato la ripresa del programma di ricerca indipendente: «Rilanciare la ricerca indipendente di qualità in Italia è uno degli obiettivi strategici dell’AIFA. La prossima settimana porterò in Consiglio di Amministrazione le proposte per il finanziamento dei progetti già approvati con il Bando del 2012. Entro l'estate, o subito dopo, mi sono prefissato di far partire il nuovo Bando 2016 e di rispettare annualmente questa scadenza». Anche in  considerazione dei risultati dello studio GIMBE-AIFA, il Presidente ha affermato la necessità di mettere dei paletti precisi sull’erogazione dei finanziamenti, sui tempi di avvio degli studi, sulla loro conduzione e sulla pubblicazione dei risultati. Il mancato rispetto di questi vincoli comporterà, contrariamente al passato, la restituzione dei fondi assegnati, perché - ha concluso Melazzini - «non possiamo permetterci di sprecare un solo euro, ma nemmeno un singolo centesimo».


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7 marzo 2016
Tagli, sprechi, mancata integrazione professionale e consumismo sanitario: fuoco incrociato sul SSN

OLTRE 600 PROFESSIONISTI HANNO PARTECIPATO ALLA 11A CONFERENZA NAZIONALE GIMBE CHE, A TRE ANNI DAL LANCIO DELLA CAMPAGNA “SALVIAMO IL NOSTRO SSN”, MANTIENE I RIFLETTORI PUNTATI SULLA PIÙ GRANDE CONQUISTA SOCIALE DEI CITTADINI ITALIANI: UN SERVIZIO SANITARIO PUBBLICO, EQUO E UNIVERSALISTICO DA DIFENDERE E GARANTIRE ALLE FUTURE GENERAZIONI.

«Le evidenze sul definanziamento della sanità pubblica – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE –  sono incontrovertibili: nel nostro Paese la percentuale del PIL destinato alla spesa sanitaria è inferiore alla media OCSE e tra i paesi del G7 siamo ultimi per spesa pubblica e spesa totale, ma secondi solo agli USA per spesa out-of-pocket, a inequivocabile testimonianza che la politica si è progressivamente sbarazzata di una consistente quota di spesa pubblica, scaricandola sui cittadini. Ci stiamo avvicinando a una soglia di definanziamento che, oltre a compromettere la qualità dell’assistenza, riduce anche l’aspettativa di vita, mentre l’avanzamento strisciante dell’intermediazione assicurativa mina silenziosamente il modello di un servizio sanitario pubblico».

In sanità si investe dunque sempre di meno, ma si continuano a sprecare preziose risorse: una voragine da 25 miliardi di euro che ogni anno viene assorbita da sovra- e sotto-utilizzo di prestazioni sanitarie, corruzione, acquisti a costi eccessivi, complessità amministrative e inadeguato coordinamento dell’assistenza. Ecco perché le stime presentate dalla Fondazione GIMBE sulle risorse disponibili per la sanità sino al 2025 indicano che – indipendentemente dalla quota di finanziamento pubblico – la sostenibilità del SSN è strettamente legata al disinvestimento da sprechi e inefficienze.

«Considerato che attualmente manca una strategia di sistema per ridurre gli sprechi e aumentare il value dell’assistenza – continua il Presidente – una quota consistente della spesa sanitaria non produce alcun ritorno di salute. Per alcune categorie di sprechi le Istituzioni stanno andando nella giusta direzione, almeno a livello normativo: anticorruzione, criteri di selezione dei direttori generali, acquisti centralizzati, patto per la sanità digitale. Tuttavia, siamo ancora in alto mare sulla riorganizzazione integrata tra ospedale e cure primarie, dove la palla passa alle Regioni, e soprattutto sul contributo attivo e deciso dei professionisti nel definire in maniera condivisa servizi e prestazioni sanitarie da cui disinvestire. Su questo, oltre alla programmazione sanitaria, pesa l’estrema frammentazione delle categorie professionali e lo sfrenato consumismo sanitario, ormai integrati nel DNA del nostro SSN».

La Fondazione GIMBE in occasione della Conferenza ha presentato il framework per il disinvestimento in sanità al fine di guidare Regioni, aziende e professionisti nel recupero di preziose risorse, con strumenti e azioni che agiscono sulle tre determinanti del sovra e sottoutilizzo: (ri)programmazione sanitaria, al fine di riallineare l’offerta di servizi e prestazioni ai reali bisogni di salute della popolazione; knowledge translation per migliorare il trasferimento delle evidenze alle decisioni professionali; informazione e coinvolgimento attivo di cittadini e pazienti al fine di ridurre aspettative irrealistiche e domanda inappropriata.

«Salvare il SSN è una “missione possibile” solo a patto che ciascuno faccia la sua parte sino in fondo – conclude Cartabellotta – La sostenibilità della sanità pubblica è nelle mani di Stato, Regioni, professionisti sanitari e cittadini che contribuiscono in maniera sinergica ad affondare il SSN: per questo la Fondazione GIMBE a gran voce richiama tutti gli attori del sistema alle proprie responsabilità con precise richieste».

PER SALVARE LA SANITA’ PUBBLICA LA FONDAZIONE GIMBE CHIEDE…

… ALLO STATO DI:

  • Arrestare il definanziamento del SSN e fornire ragionevoli certezze sulle risorse da destinare alla sanità pubblica.
  • Avviare un’adeguata governance per regolamentare su scala nazionale l’intermediazione assicurativa.
  • Rendere realmente continuo l’aggiornamento dei LEA.
  • Potenziare gli strumenti di indirizzo e verifica nei 21 servizi sanitari regionali.

…ALLE REGIONI DI:

  • Avviare e mantenere un virtuoso processo di disinvestimento da sprechi e inefficienze e riallocazione delle risorse in servizi essenziali e innovazioni.
  • Responsabilizzare e coinvolgere attivamente in questo processo le Aziende sanitarie e queste, a cascata, professionisti sanitari e cittadini.

…A TUTTI I PROFESSIONISTI SANITARI DI:

  • Mettere da parte interessi di categoria e sterili competizioni.
  • Integrare competenze e responsabilità in percorsi assistenziali condivisi, basati sulle evidenze e centrati sul paziente.
  • Identificare servizi e prestazioni sanitarie inefficaci, inappropriati e dal low value da cui disinvestire.

…A CITTADINI E PAZIENTI DI:

  • Convincersi che SSN non significa Supermercato Sanitario Nazionale.
  • Ridurre le aspettative nei confronti di una medicina mitica e di una sanità infallibile.
  • Essere consapevoli, in qualità di "azionisti  di maggioranza", che il SSN è un bene comune da tutelare e garantire alle future generazioni.

Il report integrale della conferenza sarà disponibile a www.gimbe.org/conferenza2016


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3 marzo 2016
Servizio Sanitario Nazionale: uno per tutti, tutti per uno

DOMANI 4 MARZO BOLOGNA CAPITALE DELLA SANITÀ PUBBLICA: DALLA 11A CONFERENZA NAZIONALE GIMBE IL GRIDO D’ALLARME SUL RISCHIO CONCRETO DI PERDERE IL NOSTRO SERVIZIO SANITARIO PUBBLICO, EQUO E UNIVERSALISTICO. SOLO LA COLLABORAZIONE DI TUTTI I PROTAGONISTI POTRÀ CONSERVARE ALLE FUTURE GENERAZIONI LA PIÙ GRANDE CONQUISTA SOCIALE DEI CITTADINI ITALIANI

La sostenibilità dei sistemi sanitari è una sfida globale, ma al tempo stesso non è un problema esclusivamente finanziario perché un’aumentata disponibilità di risorse non permette di risolvere cinque questioni chiave: l’estrema variabilità nell’utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie, non giustificata dalla eterogeneità clinica né dalle preferenze dei pazienti; gli effetti avversi degli eccessi di medicalizzazione (overdiagnosis e overtreatment); le diseguaglianze conseguenti al sotto-utilizzo di servizi e prestazioni dall’elevato value; l’incapacità di attuare efficaci strategie di prevenzione, specialmente quella non medicalizzata; gli sprechi che si annidano a tutti i livelli.

Nella lettura inaugurale Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE, farà il punto sul progressivo definanziamento della sanità pubblica e illustrerà il framework GIMBE per il disinvestimento da sprechi e inefficienze, dimostrando che la riqualificazione della spesa sanitaria rappresenta una strategia irrinunciabile per contribuire alla sostenibilità del SSN.

Considerato che per salvare la Sanità pubblica tutti gli stakeholders devono mettere da parte interessi di categoria e sterili competizioni e intraprendere una nuova stagione di collaborazione, i vertici di tutti le rappresentanze professionali saranno protagonisti del forumIl valore dell'integrazione professionale: un confronto culturale in territorio neutrale”: Alessandro Beux (TSRM), Antonio Bortone (CoNaPS), Roberta Chersevani (FNOMCeO), Barbara Mangiacavalli (IPASVI), Maria Vicario (FNCO).

Nella sessione dedicata alla ricerca indipendente saranno presentati in anteprima i risultati dello studio AIFA-GIMBE per conoscere il “fato” dei 207 progetti finanziati dall’AIFA. A seguire Silvio Garattini (Direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri) e Mario Melazzini (Presidente dell’Agenzia Italiana del Farmaco) si confronteranno sul futuro della ricerca indipendente in Italia.

Gli 8 progetti del Laboratorio Italia realizzati da Regioni e aziende sanitarie, utilizzando le evidenze scientifiche per guidare l’appropriatezza professionale e i reali bisogni dei pazienti per riorganizzare i servizi, documenteranno con i fatti che l’appropriatezza è la chiave per la sostenibilità del SSN.

Nel corso dell’evento saranno consegnati il Premio “Salviamo il Nostro SSN” all’On. Sen Emilia Grazia De Biasi (Presidente della Commissione Igiene e Sanità del Senato) e il “Premio Evidence” al Prof. Walter Ricciardi (Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità).

La Conferenza è interamente sostenuta dalla Fondazione GIMBE senza apporto di sponsor istituzionali o commerciali.

Per informazioni: www.gimbe.org/conferenza2016


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29 febbraio 2016
All’On. Emilia Grazia De Biasi e al Prof. Walter Ricciardi i prestigiosi riconoscimenti della Fondazione GIMBE

A tre anni dal lancio della campagna “Salviamo il Nostro SSN”, la 11a Conferenza Nazionale GIMBE mantiene i riflettori puntati sulla più grande conquista sociale dei cittadini italiani: un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico da difendere e garantire alle future generazioni. Due i prestigiosi riconoscimenti che saranno assegnati a Bologna il prossimo 4 marzo in occasione della Conferenza.

Il Premio “Salviamo il nostro SSN” dal 2014 viene assegnato a istituzioni o personalità che si sono distinte per la salvaguardia della sanità pubblica, attraverso attività di evidence-based policymaking e l’utilizzo del denaro pubblico per servizi e prestazioni sanitarie efficaci, appropriate e dall'high value, in linea con la Carta GIMBE per la tutela della salute. Dopo il SSR della Regione Toscana (2014) e il Ministero della Salute guidato dall’On. Beatrice Lorenzin (2015), la terza edizione del premio “Salviamo il Nostro SSN” sarà conferita all’On. Sen. Emilia Grazia De Biasi, Presidente della Commissione Igiene e Sanità del Senato.

Il Premio Evidence, istituito nel 2013, viene assegnato a una personalità del mondo sanitario che nel corso della sua carriera si è distinta per la pubblicazione di rilevanti evidenze scientifiche, per l’integrazione delle migliori evidenze nelle decisioni professionali, manageriali o di politica sanitaria,  per l’insegnamento dell'Evidence-based Practice/Evidence-based HealthCare  a livello universitario, specialistico, di formazione continua. Dopo il Prof. Luigi Pagliaro (2013), il Prof. Silvio Garattini (2014) e il Prof. Giuseppe Remuzzi (2015), la quarta edizione del Premio Evidence sarà assegnata al Prof. Walter Ricciardi, Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Professore Ordinario di Igiene e Medicina  Preventiva dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

Le motivazioni saranno rese note in occasione della cerimonia di premiazione.

Per informazioni: www.gimbe.org/conferenza2016      


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10 febbraio 2016
Linee Guida e Responsabilità Professionale: puntare tutto su rigore metodologico e trasparenza

LA FONDAZIONE GIMBE SPOSTA IL FOCUS DEL ROVENTE DIBATTITO DAL “CHI” PRODUCE LE LINEE GUIDA A “COME” VENGONO ELABORATE, RIPARTENDO DAI CRITERI DI QUALITÀ DEFINITI DALLA COMUNITÀ SCIENTIFICA INTERNAZIONALE. INDISPENSABILE VALORIZZARE IL RUOLO DELL’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ CHE L’ART. 5 SI LIMITA A CITARE COME “CONTENITORE” DELLE LINEE GUIDA

L’articolo 5 del disegno di legge “Disposizioni in materia di responsabilità professionale del personale sanitario” – approvato dalla Camera dei Deputati il 28 gennaio – stabilisce che “Gli esercenti le professioni sanitarie, nell'esecuzione delle prestazioni sanitarie […] si attengono […] alle buone pratiche clinico-assistenziali e alle raccomandazioni previste dalle linee guida elaborate dalle società scientifiche iscritte in apposito elenco istituito e regolamentato con decreto del Ministro della Salute […]. Ai fini della presente legge, le linee guida sono inserite nel Sistema Nazionale per le Linee Guida (SNLG) e pubblicate nel sito internet dell'Istituto Superiore di Sanità”.

Autorevoli organizzazioni ed esperti hanno rilevato all’unisono i rischi, ampiamente documentati in letteratura, di legittimare per decreto le Società Scientifiche quali produttori di linee guida perché, in assenza di un garante istituzionale, i prodotti finali rischiano di non riflettere adeguatamente le evidenze scientifiche e di essere condizionati da conflitti di interesse.

Su questo non nutre alcun dubbio Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE: «Oltre 25 anni di ricerca sulle metodologie di produzione delle linee guida hanno dimostrato che la loro qualità non è garantita dall’autorevolezza dei produttori, né tantomeno dalla loro legittimazione normativa, ma è strettamente legata al rigore metodologico nel processo di elaborazione – che condiziona la ricerca, la valutazione e la selezione delle evidenze scientifiche – e ad un’adeguata governance dei conflitti di interesse che influenzano in maniera rilevante la formulazione delle raccomandazioni cliniche».

Per tali ragioni, la comunità scientifica internazionale “accredita” le linee guida valutandone il processo di elaborazione con due strumenti. Se il ben noto strumento AGREE II è finalizzato a valutare la qualità di linee guida già pubblicate, a fornire gli standard internazionali per la produzione di linee guida è il Guidelines International Network (G-I-N) che rappresentata 99 organizzazioni che producono linee guida in 49 paesi. Grazie alle traduzioni ufficiali realizzate dalla Fondazione GIMBE, membro fondatore del G-I-N, entrambi gli strumenti sono disponibili anche in lingua italiana.

«In questo momento di rinnovato interesse per le linee guida nel SSN – continua il Presidente – è indispensabile ribadire che gli ingredienti fondamentali delle linee guida di buona qualità sono rigore metodologico e trasparenza. Ecco perché, al fine di riallineare il dibattito tra politica, Istituzioni, società scientifiche, professionisti sanitari e pazienti, la Fondazione GIMBE richiama l’attenzione sui criteri di qualità G-I-N, standard metodologici a cui qualsiasi produttore di linee guida, sia esso società scientifica, agenzia governativa, organizzazione indipendente, dovrebbe aderire per tutelare l’integrità della scienza nell’interesse di cittadini e pazienti».

«Infine – conclude Cartabellotta – il Senato deve prendere in considerazione due modifiche fondamentali al testo del decreto: innanzitutto, prevedere un riferimento esplicito a standard metodologici internazionali per la produzione di linee guida; in secondo luogo affidare il ruolo di garante metodologico all’Istituto Superiore di Sanità, attualmente citato come mero “collettore” di linee guida tramite il proprio sito web».

 

REQUISITI FONDAMENTALI DI UNA LINEA GUIDA AFFIDABILE DI ELEVATA QUALITÀ
(Guidelines International Network, Ann Intern Med 2012)

  1. Composizione del gruppo di sviluppo della linea guida. Il gruppo di sviluppo della LG dovrebbe includere diversi stakeholders rilevanti: professionisti sanitari, metodologi, esperti sull’argomento e pazienti.
  2. Processo decisionale. Una LG dovrebbe descrivere il processo utilizzato per raggiungere il consenso tra i membri del gruppo e, se applicabile, per l’approvazione da parte di sponsor. Questo processo dovrebbe essere definito prima di avviare lo sviluppo della LG.
  3. Conflitti di interesse. Una LG dovrebbe riportare la disclosure dei conflitti di interesse finanziari e non finanziari di tutti i componenti del GDG, oltre che descrivere le modalità di registrazione e di risoluzione dei conflitti individuati.
  4. Ambito della linea guida. Una LG dovrebbe specificare obiettivi e ambiti di applicazione.
  5. Metodi. Una LG dovrebbe descrivere in maniera esplicita e dettagliata i metodi utilizzati per la sua produzione.
  6. Revisione delle evidenze scientifiche. I professionisti coinvolti nella produzione di LG dovrebbero utilizzare metodi sistematici per identificare e valutare le evidenze scientifiche.
  7. Raccomandazioni della linea guida. Le raccomandazioni di una LG dovrebbero essere formulate in maniera chiara ed essere basate su evidenze relative a benefici, rischi e, se possibile, costi.
  8. Rating delle evidenze e delle raccomandazioni. Una LG dovrebbe utilizzare un sistema di rating per classificare e comunicare sia la qualità e l’affidabilità delle evidenze, sia la forza delle raccomandazioni cliniche.
  9. Peer review e consultazione degli stakeholders. Prima della sua pubblicazione una LG dovrebbe essere sottoposta a un processo di revisione da parte di stakeholders esterni.
  10. Validità e aggiornamento della linee guida. Una LG dovrebbe prevedere un termine di validità e/o descrivere la strategia che il GDG prevede di utilizzare per aggiornare le raccomandazioni.
  11. Finanziamenti e sponsor. Una LG dovrebbe dichiarare i finanziamenti ricevuti sia per la revisione delle evidenze sia per la formulazione delle raccomandazioni

 

LG= linea guida; GDG: guidelines development group (gruppo di sviluppo della linea guida)


L’articolo integrale è disponibile a: www.evidence.it/gin

 


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28 gennaio 2016
Appropriatezza dei test diagnostici: qualità della ricerca prima di tutto

AL RIACCENDERSI DELLE POLEMICHE SUL DECRETO APPROPRIATEZZA, CONSIDERATA LA LIMITATA QUALITÀ DELLE EVIDENZE SCIENTIFICHE SUI TEST DIAGNOSTICI, LA FONDAZIONE GIMBE HA REALIZZATO LA VERSIONE ITALIANA DI STARD 2015 E QUADAS-2, STANDARD INTERNAZIONALI PER MIGLIORARE IL REPORTING E LA VALUTAZIONE CRITICA DEGLI STUDI DI ACCURATEZZA DIAGNOSTICA

La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto Ministeriale 9 dicembre 2015 sull’appropriatezza prescrittiva ha riacceso le polemiche sulla libertà decisionale del medico, senza andare al cuore del problema. Ovvero che una prescrizione non può essere dicotomicamente classificata come appropriata/inappropriata perché esiste una categoria intermedia di dubbia appropriatezza influenzata dalle zone grigie della ricerca, dalla variabilità di malattie e condizioni e dalle preferenze e aspettative di cittadini e pazienti.

«Senza entrare nel merito delle singole prestazioni inserite nel decreto appropriatezza – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – è certo che la ricerca sull’accuratezza dei test diagnostici è ancora ben lontana dagli standard metodologici dei trial clinici che valutano l’efficacia dei trattamenti. Di conseguenza, la qualità delle evidenze su cui basare decisioni cliniche e criteri di appropriatezza delle prestazioni diagnostiche è molto bassa».

Infatti, è ben documentato che gli studi di accuratezza diagnostica descrivono in maniera inadeguata o addirittura omettono gli elementi essenziali dei metodi, rendendo difficile se non impossibile sia la valutazione critica che la possibilità di ripetere lo studio. Inoltre, i risultati possono essere riportati in modo selettivo, oppure interpretati con ingiustificato ottimismo, riducendo il valore della ricerca diagnostica.

«Si tratta di comportamenti e omissioni dei ricercatori che condizionano negativamente le revisioni sistematiche e le linee guida per la pratica clinica – continua il Presidente –  e considerato che oggi il dibattito sulla responsabilità professionale riparte giustamente dalle linee guida, occorre tenere presente che le raccomandazioni sui test diagnostici, molto più di quelle terapeutiche, sono influenzate dalla scarsa qualità della ricerca».

Questo alimenta l’accettazione acritica di numerose tecnologie diagnostiche, non sempre più accurate di quelle già in uso, sprecando preziose risorse e, a volte, peggiorando gli esiti di salute.

«Considerato il costante impegno per migliorare qualità metodologica, etica, integrità, rilevanza e valore sociale della ricerca clinica – conclude Cartabellotta – la Fondazione GIMBE ha realizzato la versione italiana di STARD 2015 e QUADAS-2, strumenti destinati rispettivamente a migliorare il reporting degli studi di accuratezza diagnostica in fase di redazione degli articoli scientifici e la valutazione critica degli studi pubblicati».

Lo STARD 2015 è disponibile a: www.gimbe.org/STARD

Il QUADAS-2 è disponibile a: www.gimbe.org/QUADAS


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21 gennaio 2016
Evidence-based Practice: dopo 25 anni ancora un tabù per la formazione universitaria

IN OCCASIONE DELLA TERZA EDIZIONE DEL BANDO PER IL CORSO “EVIDENCE-BASED PRACTICE”, LA FONDAZIONE GIMBE PUNTA IL DITO SULLE CARENZE FORMATIVE DEI GIOVANI PROFESSIONISTI SANITARI CHE CONTRIBUISCONO AD ALIMENTARE COMPORTAMENTI INAPPROPRIATI, GENERANDO SPRECHI PER IL SSN

Per il terzo anno consecutivo 30 laureati in Medicina e Chirurgia e Professioni Sanitarie e specializzandi under 32, provenienti da 17 regioni sono stati selezionati tra oltre 300 candidati per partecipare al corso di formazione Evidence-based Practice (Bologna, 20-21-22-23 gennaio 2016) grazie alle borse di studio interamente sostenute dalla Fondazione GIMBE. Il corso permetterà ai partecipanti di acquisire conoscenze e competenze indispensabili per il loro aggiornamento continuo, secondo quanto standardizzato dall’Evidence-based Practice core curriculum, certificato a livello europeo.

«Nessun professionista sanitario oggi può fare a meno di strumenti e competenze per ricercare e valutare criticamente le migliori evidenze scientifiche» afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE. «Purtroppo oggi il crescente sovraccarico dell’informazione biomedica rende estremamente complesso l’aggiornamento professionale, perché meno del 5% della letteratura pubblicata “merita” di essere realmente integrata nelle decisioni cliniche».

«Considerato che, ad eccezione di lodevoli eccezioni, metodi e strumenti dell’Evidence-based Practice non sono stati ancora introdotti formalmente nella formazione universitaria del medico e delle professioni sanitarie – continua il Presidente – la Fondazione GIMBE riconferma questa iniziativa che suscita un grande interesse tra i giovani professionisti sanitari italiani, che si trovano in un allarmante e ormai incolmabile ritardo rispetto ai colleghi europei».

Le borse di studio sono erogate nell’ambito del programma GIMBE4young con il quale la Fondazione GIMBE intende sensibilizzare i giovani professionisti sanitari sui gap tra l'attuale formazione di base e specialistica, gli obiettivi formativi previsti dal Programma Nazionale ECM e le competenze richieste dal SSN, dove un adeguato trasferimento delle evidenze alla pratica clinica è indispensabile per ridurre gli sprechi dovuti al sovra/sottoutilizzo di farmaci, test diagnostici e altri interventi sanitari.

«25 anni dopo la nascita dell’Evidence-based Medicine – conclude Cartabellotta – è inaccettabile che le Istituzioni continuino a trascurare l’irrinunciabile necessità di fornire alle nuove generazioni di professionisti sanitari strumenti e competenze per essere indipendenti nella gestione delle evidenze scientifiche ed acquisire un sano scetticismo sull’efficacia degli interventi sanitari, troppo spesso introdotti sul mercato sulla base di semplici “pubblicazioni” e non di evidenze di buona qualità».

Per ulteriori informazioni: www.gimbe4young.it


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9 dicembre 2015
Screening Oncologici 2003-2013: quali responsabilità per le morti evitabili?

IL POSITION STATEMENT GIMBE, PRESENTATO IERI A OXFORD, CONTIENE LE RACCOMANDAZIONI PER AUMENTARE IL VALUE DI 5 SCREENING ONCOLOGICI. DALL’ANALISI DI 11 ANNI DI ADEMPIMENTI REGIONALI AI PROGRAMMI ORGANIZZATI DI SCREENING EMERGE, NELLA SUA DRAMMATICA GRAVITÀ, LA MANCATA EROGAZIONE DI SCREENING EFFICACI PER RIDURRE LA MORTALITÀ.

Le strategie di screening oncologico ad elevata intensità hanno l’obiettivo di identificare il maggior numero di tumori possibili, nella speranza che la diagnosi precoce coincida sempre con una riduzione della morbilità e mortalità: di conseguenza, vengono ampliate le popolazioni target, utilizzati test molto più sensibili e aumentata la frequenza. Le strategie di screening variano anche in relazione al loro value: quelle ad elevato value producono grandi benefici rispetto a rischi e costi associati, mentre le strategie dal basso value restituiscono benefici enormemente più piccoli rispetto a rischi e costi.

«La notevole diffusione di screening oncologici intensivi al di fuori dei programmi organizzati – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – risponde a forti sollecitazioni che spingono medici e cittadini verso l’approccio della massima probabilità di diagnosticare ogni forma di cancro. Infatti, tutti siamo istintivamente portati a credere che l’identificazione precoce di una lesione e la conseguente tempestività del trattamento migliorino sempre la prognosi del tumore senza comportare alcun rischio».

Al fine di diffondere la consapevolezza di come si modifica il value degli screening in relazione alla loro intensità, il Position Statement GIMBE – presentato ieri dal Presidente a Oxford in occasione della conferenza internazionale “Hellish Decisions in Healthcare – ha valutato secondo questo nuovo approccio cinque screening oncologici (mammella, cervice uterina, colon retto, ovaio e prostata), identificando i test diagnostici raccomandati e non raccomandati, al fine di guidare le decisioni politiche, manageriali e professionali, oltre che informare le scelte dei cittadini.

«In accordo alle migliori evidenze scientifiche – continua il Presidente – dovrebbero essere offerti alle popolazioni target solo screening oncologici di provata efficacia nel ridurre la mortalità: di fatto, tutti quelli attualmente inclusi nei livelli essenziali di assistenza nell’ambito dei programmi organizzati per lo screening del carcinoma della mammella, della cervice uterina e del colon-retto. Tuttavia, nonostante le politiche sanitarie nazionali siano evidence-based, assistiamo impotenti a un inaccettabile paradosso: da un lato i programmi di screening organizzato, già a carico del SSN, non sono adeguatamente implementati, dall’altro il SSN rimborsa una valanga di test diagnostici dal basso value che a fronte di benefici incerti presentano rischi reali e consumano preziose risorse».

La Fondazione GIMBE ha valutato le performance regionali nel periodo 2003-2013 utilizzando l’indicatore 2 della “Griglia LEA”, che descrive le attività dei 3 programmi di screening e l’adesione da parte della popolazione eleggibile. Lo score cumulativo delle performance regionali è aumentato da 75 a 176, pur rimanendo molto lontano dal punteggio massimo ottenibile (315), garanzia di una copertura ottimale sul 50-60% della popolazione eleggibile. Nonostante i limiti dell’indicatore LEA e la certezza che parte della popolazione target effettua screening al di fuori dei programmi organizzati, emerge indiscutibilmente il sotto-utilizzo di strategie di screening ad elevato value con enormi differenze regionali: a fronte di uno score massimo di 165 ottenibile da ciascuna Regione nel periodo 2003-2013, l’adempimento LEA documenta un inaccettabile livello di diseguaglianze regionali, con un range che oscilla dai 127 punti della Valle D’Aosta ai 12 della Puglia. Tutto questo a dispetto del Piano Screening 2007-2009 che, nel tentativo di superare le criticità nelle Regioni meridionali e insulari, ha stanziato 41,5 milioni di euro per Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna.

«Oggi per garantire il massimo ritorno in termini di salute dal denaro investito – conclude Cartabellotta – da un lato è indispensabile una ottimale implementazione solo degli screening oncologici efficaci nel ridurre la mortalità, dall’altro occorre arginare la percezione professionale e sociale che in oncologia la diagnosi precoce costituisce sempre e comunque la migliore opzione. A tal fine bisogna contrastare tutte le strategie dal low value che aumentano i rischi per la popolazione a fronte di benefici non documentati, determinando inaccettabili sprechi di denaro pubblico».

Il Position Statement GIMBE “Screening oncologici: il nuovo approccio basato sul value”, che include l’appendice “Gli screening oncologici in Italia”, è disponibile a: www.evidence.it/screening


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23 novembre 2015
Standard Ospedalieri: strumento promettente per garantire uniformità ed equità dell’assistenza

UNA GIORNATA DI STUDIO ORGANIZZATA DALLA FONDAZIONE GIMBE PER ANALIZZARE CON IL TOP MANAGEMENT DELLA SANITÀ ITALIANA OPPORTUNITÀ E CRITICITÀ DEGLI STANDARD OSPEDALIERI NEL PROCESSO DI RIORGANIZZAZIONE TRA OSPEDALE E CURE PRIMARIE. UN ECCELLENTE PUNTO DI PARTENZA PER GARANTIRE UNIFORMITÀ ED EQUITÀ DELL’ASSISTENZA OSPEDALIERA, MA NON SENZA UN CONTINUO E PROGRESSIVO ADEGUAMENTO DEL DOCUMENTO SOTTO LA REGIA DI AGENAS.

Direttori generali, sanitari e amministrativi e responsabili della programmazione sanitaria regionale hanno partecipato il 20 novembre alla convention “Innovazioni organizzative tra ospedale e cure primarie. La chiave per la sostenibilità del Ssn”, organizzata dalla Fondazione Gimbe per condividere con il top management della sanità italiana opportunità e criticità del “Regolamento sugli standard qualitativi, tecnologici, strutturali e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera”, uno dei pochi traguardi raggiunti dal Patto per la Salute.
Nella sessione inaugurale Nino Cartabellotta – Presidente della Fondazione Gimbe – ha presentato le previsioni sul trend del finanziamento 2016-2025, da cui emerge che la sostenibilità del Ssn è strettamente legata al processo di disinvestimento da strutture, processi e prestazioni inefficaci, dannosi, inappropriati e dal low-value. In questo processo è indispensabile l’utilizzo degli strumenti di clinical governance per favorire il trasferimento delle migliori evidenze alle pratiche professionali e alla riorganizzazione dell'assistenza sanitaria, al fine di ridurre gli sprechi conseguenti al sovra- e sotto-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie e all’inadeguato coordinamento dell'assistenza tra ospedale e cure primarie. In particolare, un’adeguata riorganizzazione della rete ospedaliera guidata dagli standard e dai dati del Programma Nazionale Esiti permetterebbe alle Regioni un cospicuo disinvestimento da sprechi e inefficienze che, oltre a consumare preziose risorse, peggiorano gli esiti di salute delle persone.

Mario Braga – Agenas – ha analizzato le relazioni tra diseguaglianze e sostenibilità, precisando che un Ssn sostenibile deve centrare quattro obiettivi: rispettare le finalità costitutive, soddisfacendo i bisogni di salute e di servizi sanitari degli individui e della collettività; produrre benessere; essere dinamico, reagendo e adattandosi a cambiamenti culturali, sociali, tecnologici, economici, di aspettative ed epidemiologici; rispettare il futuro, non compromettendo bisogni e aspettative delle prossime generazioni.
La sessione interattiva ha permesso di confrontare le posizioni dei partecipanti sulle sei sezioni principali del documento sugli standard ospedalieri: classificazione delle strutture ospedaliere, standard di strutture per singola disciplina, volumi ed esiti, reti ospedaliere, standard generali di qualità e continuità ospedale-territorio. Dai risultati della survey ha preso il via il confronto tra i vari stakeholders sugli standard ospedalieri come garanzia di equità e uniformità dell'assistenza su tutto il territorio nazionale. Ettore Attolini (Ares Puglia), Mario Braga (Agenas), Tiziano Carradori (Aou Ferrara), Francesca Moccia (Cittadinanzattiva), Fausto Nicolini (Fiaso), Paolo Petralia (Aopi), Costantino Troise (Anaao Assomed), Franco Vimercati (Fism) e Gian Paolo Zanetta (Federsanità Anci) hanno concordato che gli standard ospedalieri rappresentano un eccellente punto di partenza, ma che numerose criticità organizzative della sanità italiana – enfatizzate dalla eterogeneità di 21 sistemi sanitari – rendono necessario sia un progressivo adeguamento del documento, facendo tesoro dei fattori facilitanti e degli ostacoli identificati da Regioni e Aziende sanitarie nella fase di applicazione, sia un costante e continuo coordinamento di Agenas.

 


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12 novembre 2015
Senza disinvestimento la Sanità pubblica non è sostenibile

IL PESANTE DEFINANZIAMENTO ATTUATO DAL GOVERNO, LE PREVISIONI DEL DEF 2015, L’IMPOSSIBILITÀ DI INCREMENTARE SPESA OUT-OF-POCKET E TICKET, IL CONTRIBUTO ALLA FINANZA PUBBLICA RICHIESTO ALLE REGIONI DALLA LEGGE DI STABILITÀ IDENTIFICANO NELLA PROGRESSIVA E IMMEDIATA RIQUALIFICAZIONE DELLA SPESA SANITARIA L’UNICA POSSIBILITÀ PER GARANTIRE LA SOSTENIBILITÀ DI UN SSN PUBBLICO EQUO E UNIVERSALISTICO.

In occasione dell’Healthcare Summit, organizzato dal Gruppo 24Ore, alla tavola rotonda “Dal Patto per la salute all'intesa: la Sanità pubblica e la manovra 2016”, Nino Cartabellotta – Presidente della Fondazione GIMBE – ha presentato a rappresentanti delle Istituzioni e dell’industria i risultati degli studi condotti nell'ambito della campagna “Salviamo il Nostro SSN”.

«In condizioni di crisi economica – ha esordito Cartabellotta – un paese può mettere in atto tre strategie per garantire la sostenibilità del proprio sistema sanitario: ridurre il finanziamento pubblico; identificare altri canali di finanziamento (ticket, intermediazione assicurativa); ridurre gli sprechi e aumentare il value dell’assistenza per garantire il massimo ritorno in termini di salute delle risorse investite».

«Se vogliamo mantenere un modello di sanità pubblica, equa e universalistica – ha ribadito il Presidente – il tema della sostenibilità non può essere affrontato con strategie di piccolo cabotaggio finalizzate a garantire la sopravvivenza di un sistema che fa acqua da tutte le parti e a proteggere lobbies e interessi di categoria, ma servono una visione più ampia e, soprattutto, innovazioni di rottura».

Il Presidente ha dimostrato che oggi esistono alcune ragionevoli certezze su cui basare una programmazione di medio-lungo periodo:

  • Il DEF 2015 lascia intendere che la percentuale del PIL destinato alla sanità pubblica diminuirà sino al 2020 (6.6%) per poi tornare a crescere. In ogni caso tutti i governi europei stanno disinvestendo dalla sanità, per cui l’incremento del FSN sino al 2025 dovrebbe attestarsi intorno ai 10 miliardi di euro.
  • La spesa privata out-of-pocket (33 miliardi di euro nel 2014) difficilmente potrà aumentare oltre 1 miliardo/anno considerato il notevole impoverimento della popolazione; possibile solo che il carico sui cittadini venga alleggerito da un ingresso ben gestito del pilastro assicurativo nel SSN.
  • Una consistente quota della spesa sanitaria può essere “riqualificata” attraverso il processo di disinvestimento da sprechi e inefficienze e riallocazione in servizi essenziali e innovazioni.
  • In assenza di un’adeguata riorganizzazione, tutte le eventuali risorse aggiuntive (pubbliche e private) finirebbero in parte per alimentare gli sprechi.

«Per guidare Regioni, Aziende Sanitarie e professionisti nel processo di disinvestimento da sprechi e inefficienze – ha spiegato Cartabellotta – la Fondazione GIMBE, adattando al contesto italiano tassonomie internazionali degli sprechi in sanità, ha utilizzato i dati ufficiali delle Istituzioni e stimato un impatto di oltre 25 miliardi/anno, assorbiti da sei categorie di sprechi: sovra-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci e inappropriate, frodi e abusi, tecnologie sanitarie e beni e servizi non sanitari acquistati a costi eccessivi, sottoutilizzo di servizi e prestazioni sanitarie efficaci e appropriate, inadeguato coordinamento dell’assistenza».

Considerato che il tendenziale a 10 anni identifica nella riqualificazione della spesa sanitaria la principale fonte di incremento di risorse, la Fondazione GIMBE esorta il Governo a:

  • Offrire a tutti gli stakeholders ragionevoli certezze sulle risorse da destinare alla sanità pubblica, evitando l’estenuante yo-yo degli ultimi anni, nella consapevolezza che il definanziamento della sanità pubblica si sta pericolosamente avvicinando a limiti che riducono l’aspettativa di vita della popolazione.
  • Avviare un’adeguata governance per regolamentare l’intermediazione assicurativa, identificando quali prestazioni, idealmente solo quelle non essenziali, possono essere finanziate da risorse private.
  • Rendere realmente continuo l’aggiornamento dei LEA, i criteri di appropriatezza clinica e organizzativa e potenziare gli strumenti di indirizzo e verifica sui 21 sistemi regionali per garantire equità d’accesso a tutte le persone e coordinare il processo di disinvestimento.

Alle Regioni, chiamate dalla Legge di Stabilità a concorre alla finanza pubblica per 3.980 miliardi nel 2017 e 5.480 per gli anni 2018 e 2019 con la certezza che le risorse recuperate rimangono in sanità, la Fondazione GIMBE chiede di avviare e mantenere un virtuoso processo di disinvestimento da sprechi e inefficienze e riallocazione in servizi essenziali e innovazioni, responsabilizzando e coinvolgendo attivamente le aziende sanitarie e queste, a cascata, professionisti sanitari e cittadini.


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30 ottobre 2015
Sostenibilità dei sistemi sanitari: le risorse economiche non sono tutto

A TAORMINA ESPERTI PROVENIENTI DA TUTTO IL MONDO DISCUTONO LE STRATEGIE PER GARANTIRE LA SOSTENIBILITÀ DEI SISTEMI SANITARI. CONSIDERATO CHE UN INCREMENTO DELLE RISORSE ECONOMICHE È INSUFFICIENTE PER RISOLVERE NUMEROSE SFIDE, È PRIORITARIO MIGLIORARE IL PROCESSO DI TRASFERIMENTO DELLE CONOSCENZE ALLA PRATICA CLINICA E ALL’ORGANIZZAZIONE DEI SERVIZI SANITARI AL FINE DI RIDURRE GLI SPRECHI ED AUMENTARE IL VALUE DELL’ASSISTENZA.

Si è aperta a Taormina la settima edizione della International Conference for Evidence-based Health Care Teachers and Developers – organizzata dalla Fondazione GIMBE  – che ha permesso a 110 professionisti provenienti da 25 paesi di tutti i continenti di confrontarsi su un tema di estrema attualità: incrementare il value e ridurre sprechi e inefficienze in sanità integrando le migliori evidenze scientifiche in tutte le decisioni che riguardano la salute delle persone. Infatti, oltre 20 anni di ricerca sull’Evidence-based Healthcare hanno insegnato che l’inadeguato processo di produzione, sintesi, presentazione e trasferimento delle conoscenze genera numerosi gap tra ricerca e assistenza sanitaria e conseguenti sprechi dovuti al sovra e sotto-utilizzo di farmaci, test diagnostici ed altri interventi sanitari.

La sessione introduttiva presieduta da Nino Cartabellotta – Presidente della Fondazione GIMBE  – e da Sir Muir Gray – direttore del programma Better Value Healthcare all’Università di Oxford  – ha permesso  di condividere che la sostenibilità dei sistemi sanitari è una sfida globale, ma al tempo stesso che non è un problema esclusivamente finanziario. Infatti, un’aumentata disponibilità di risorse non è la chiave per risolvere cinque grandi sfide:

  • L’estrema variabilità nell’utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie, non giustificata dalla eterogeneità clinica né dalle preferenze dei pazienti
  • Gli effetti avversi dell’eccesso di medicalizzazione, in particolare la sovra-diagnosi e il sovra-trattamento
  • Le diseguaglianze conseguenti al sotto-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie dall’high value
  • L’incapacità di attuare efficaci strategie di prevenzione, specialmente quella non medicalizzata
  • Gli sprechi

Sir Muir Gray ha enfatizzato il passaggio dalla Evidence-based health care alla Evidence and Value-based health care: «Se il value è il miglior risultato di salute ottenuto per unità monetaria utilizzata, è indubbio che rappresenta l’unità di misura che, più di ogni altra, permette di identificare servizi e prestazioni da cui disinvestire (low-value) e su cui riallocare (high value)».

Cartabellotta ha analizzato le strategie con cui un Paese, in condizioni di crisi economica, può affrontare la crisi di sostenibilità del proprio sistema sanitario:

  • Ridurre il finanziamento pubblico, investendo meno risorse in sanità
  • Incrementare il gettito finanziario da altri canali: ticket, intermediazione assicurativa
  • Avviare un rigoroso processo di disinvestimento (da sprechi e inefficienze) e ri-allocazione delle risorse in servizi essenziali e innovazioni.

«In Italia – ha puntualizzato  il Presidente  – la prima strada è stata ampiamente battuta dalla politica che scelto di disinvestire pesantemente dal SSN per ragioni di finanza pubblica. I ticket sono uno strumento impopolare e al momento non sostenibile per una popolazione fortemente impoverita, mentre l’intermediazione assicurativa, in assenza di governance istituzionale, si sta insinuando pericolosamente nel nostro sistema pubblico».

La lettura del Presidente  ha affrontato in maniera analitica i presupposti del processo di disinvestimento e riallocazione, analizzato la tassonomia degli sprechi nel SSN, proposto il framework per il disinvestimento - già oggetto di un protocollo di intesa siglato dalla Fondazione GIMBE con Agenas – e concluso lanciando 4 messaggi chiave:

  • Oltre il 50% degli sprechi in sanità consegue all’inadeguato trasferimento dei risultati della ricerca alla pratica clinica e all’organizzazione dei servizi sanitari.
  • Gli sprechi conseguenti a sovra-utilizzo e sotto-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie e l’inadeguato coordinamento dell’assistenza possono essere ridotti migliorando il processo di trasferimento delle conoscenze (knowledge translation).
  • I decisori devono disinvestire da strategie organizzativo-gestionali (low-value) e riallocare le risorse nei processi di knowledge translation, perché la gestione delle conoscenze e il loro trasferimento alle pratiche professionali e all’organizzazione dei servizi sanitari oggi richiede un approccio di sistema.
  • Tutti i professionisti sanitari, medici in particolare, devono essere consapevoli che la sostenibilità del SSN è nelle loro mani.

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26 ottobre 2015
Legge di stabilità e proteste dei medici: polveriera SSN a rischio di esplosione

IL CONTINUO DEFINANZIAMENTO DELLA SANITÀ PUBBLICA, L’ETERNO CONFLITTO TRA STATO E REGIONI, LE INCOMPIUTE DEL PATTO PER LA SALUTE, LA VIGOROSA PROTESTA DEI MEDICI E L’IMPERANTE CONSUMISMO SANITARIO HANNO INNESCATO UNA MISCELA ESPLOSIVA SENZA PRECEDENTI. LA FONDAZIONE GIMBE RICHIAMA TUTTI GLI STAKEHOLDERS A RIALLINEARE I PROPRI INTERESSI SULLA SALUTE DELLE PERSONE PER IL BENE COMUNE: SALVARE LA SANITÀ PUBBLICA.

La Legge di Stabilità ha destinato al fondo sanitario nazionale 2016 solo 111 miliardi che, in quanto comprensivi di 800 milioni per i nuovi LEA, lasciano sostanzialmente immutato il finanziamento della sanità pubblica. Se la matematica non è un’opinione - rispetto a quanto previsto dal Patto per la Salute – il SSN nel 2015-2016 ha lasciato per strada 6,8 miliardi che si aggiungono agli oltre 25 già sottratti da varie manovre finanziarie nel periodo 2012-2015. Di conseguenza, nonostante l’OCSE nel rapporto del gennaio 2015 sul SSN abbia fortemente raccomandato di “garantire che gli sforzi in atto per contenere la spesa sanitaria non vadano a intaccare la qualità dell'assistenza”, il definanziamento della sanità pubblica si sta pericolosamente avvicinando a limiti che non solo minano la qualità dell’assistenza, ma compromettono anche la salute delle persone.

«Se è indubbio che la politica ha deciso di sbarazzarsi di una quota consistente della spesa pubblica destinata alla sanità – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – è altrettanto certo che non è ancora stata avviata una reale (ri)programmazione in grado di recuperare risorse da sprechi e inefficienze. Infatti, le misure contenute nel Patto per la Salute sono rimaste al palo in un anno bruciato dal riaccendersi del conflitto tra Stato e Regioni, oggi più rovente che mai per la certezza che le risorse per il 2016 saranno inferiori a quelle stabilite e per le schermaglie tra il Ministro Lorenzin e alcuni Governatori sul fallimento del modello federalista vs quello centralista».

«Inoltre – continua Cartabellotta – pur consapevoli che oggi il SSN non può fare a meno della “terza gamba”, non si intravede alcuna governance istituzionale dell’intermediazione assicurativa che, insinuandosi subdolamente tra incertezze delle Istituzioni e minori tutele della sanità pubblica, contribuisce lentamente ma inesorabilmente a trasformare il modello di SSN pubblico, equo e universalistico in un sistema misto».

In questa miscela esplosiva di definanziamento, conflitti istituzionali e diseguaglianze regionali, si è inserita la vigorosa protesta dei medici nei confronti di una politica ostile, accusata di aver messo in campo interventi fortemente lesivi della dignità professionale (in particolare eccesso di burocrazie e sanzioni), di non concretizzare irrinunciabili richieste (rinnovo di contratti e convenzioni e legge sulla responsabilità professionale in primis) e di delegittimare ulteriormente il medico con il famigerato comma 566 sulle competenze avanzate delle professioni sanitarie.

«Considerato che la coperta è molto corta – conclude Cartabellotta – oggi la crisi di sostenibilità del SSN può essere superata solo attraverso un gioco di squadra, dove tutti gli stakeholders oltre a “rivendicare”, devono impegnarsi anche a “fare” e, soprattutto, a “rinunciare” con il fine ultimo di preservare la sanità pubblica alle future generazioni».

A tal fine la Fondazione GIMBE richiama Stato, Regioni, professionisti e cittadini sulle loro responsabilità e ribadisce a gran voce il messaggio della campagna “Salviamo il Nostro SSN”: per salvare realmente la sanità pubblica bisogna riallineare gli interessi di tutti gli stakeholders sull’obiettivo della legge 833/78, ovvero “promuovere, mantenere, e recuperare la salute fisica e psichica di tutta la popolazione”.

  • In tema di finanziamento lo Stato, oltre a fornire ragionevoli certezze sulle risorse da destinare alla sanità pubblica evitando l’estenuante yo-yo degli ultimi anni, deve regolamentare al più presto l’ingresso delle assicurazioni nel SSN. Inoltre, per garantire equità d’accesso a tutte le persone deve rendere realmente continuo l’aggiornamento dei LEA e potenziare gli strumenti di indirizzo e verifica nei 21 sistemi regionali, visto il fallimento dei piani di rientro.
  • In quanto responsabili della “programmazione e organizzazione dei servizi sanitari”, alla luce di quanto previsto dalla Legge di Stabilità (concorso alla finanza pubblica per 3.980 miliardi nel 2017 e 5.480 per gli anni 2018 e 2019) e con la certezza che le risorse recuperate rimangono in sanità, le Regioni devono avviare e mantenere un virtuoso processo di disinvestimento da sprechi e inefficienze e riallocazione in servizi essenziali e innovazioni, responsabilizzando e coinvolgendo attivamente le aziende sanitarie e queste, a cascata, professionisti sanitari e cittadini.
  • Per la professione medica, accanto alle ragionevoli rivendicazioni, è arrivato il momento di affrontare spinose questioni mai risolte attraverso radicali proposte di cambiamento, per restituire al medico una leadership indiscussa nei confronti di politica, management, cittadini e pazienti. Dall’identificazione di servizi e prestazioni inefficaci e inappropriate per guidare il disinvestimento a un aggiornamento professionale che vada oltre il “creditificio” e i “baracconi fieristici” dei congressi, dall’autoregolamentazione etica della libera professione alla gestione trasparente dei conflitti di interesse, da una sana collaborazione interprofessionale a una rinnovata relazione con il paziente sotto il segno del processo decisionale condiviso, abbandonando definitivamente il modello paternalistico.
  • 60 milioni di cittadini devono ridurre le aspettative nei confronti di una medicina mitica e di una sanità infallibile riconoscendo nel SSN il Servizio Sanitario Nazionale creato per tutelare la salute delle persone e non il Supermercato Sanitario Nazionale dove tutti hanno diritto a tutto. Anche perché gli effetti collaterali degli eccessi di medicalizzazione, inclusi la sovra-diagnosi e il sovra-trattamento, peggiorano lo stato di salute, medicalizzano la società, consumano preziose risorse e, paradossalmente, aumentano il contenzioso medico-legale.

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24 settembre 2015
Ancora tagli? I cittadini meritano chiarezza sul futuro della sanità pubblica

GOVERNO, PARLAMENTO E REGIONI DEVONO ALLINEARE GLI OBIETTIVI POLITICI, ECONOMICI E SOCIALI SULLA SANITA’ PUBBLICA, PER FORNIRE CERTEZZE SULLE RISORSE E ATTUARE UN’ADEGUATA PROGRAMMAZIONE SANITARIA. RIPERCORRENDO UN DESOLANTE CALVARIO DI TAGLI, CONFLITTI ISTITUZIONALI E IMBARAZZANTI SILENZI, LA FONDAZIONE GIMBE CHIEDE ALLE ISTITUZIONI CHIAREZZA SUL FUTURO DELLA SANITA’ PUBBLICA

Se l’autunno 2014  iniziava per la sanità sotto i buoni auspici del Patto per la Salute, quello del 2015 si apre con un clima ben diverso: infatti, sul SSN aleggia lo spettro di nuovi tagli con la Legge di Stabilità 2016, nella realistica consapevolezza di aver bruciato un anno, di non aver ancora assorbito il colpo della manovra d’estate e di poggiare su un traballante tavolo a tre gambe (Governo, Parlamento, Regioni) fortemente disallineate sulle priorità politiche, economiche e sociali della sanità pubblica.

«La cronistoria degli ultimi 12 mesi – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – si riduce a uno spettacolo patetico che delegittima le Istituzioni e fomenta un conflitto tra poli indeboliti con compromessi al ribasso: le conseguenze di questo conflitto si riversano su aziende e professionisti sanitari, ma soprattutto su pazienti e famiglie delle fasce socio-economiche più deboli».

Ecco le tappe del calvario senza fine della sanità italiana:

  • 15 novembre 2012. Nell'assordante silenzio di Governo e Regioni, scadeva il termine per sottoscrivere il Patto per la Salute 2013-2015, determinando l'impietosa applicazione delle misure di contenimento della spesa pubblica che hanno sottratto alla sanità oltre 30 miliardi di euro.
  • 10 luglio 2014. Governo e Regioni sottoscrivono il Patto per la Salute che fissa le risorse e definisce la programmazione sanitaria per il triennio 2014-2016.
  • 16 ottobre 2014. Con la Legge di Stabilità 2015 il Governo gioca di fioretto: non prevede tagli alla sanità, ma chiede alle Regioni di recuperare 4 miliardi. Si riaccende il conflitto istituzionale tra Governo, che non consente sconti, e Regioni che si tricerano dietro lo slogan "no money, no Patto".
  • 26 febbraio 2015. Dopo oltre 4 mesi di consultazioni le Regioni - incapaci di formulare una proposta concreta - rinunciano all'incremento del fondo sanitario di oltre 2 miliardi previsto dal Patto; le imminenti elezioni in sette Regioni rimandano continuamente la decisione su "dove tagliare".
  • 2 luglio 2015. La Conferenza Stato Regioni raggiunge l'accordo sulla proposta di intesa per i tagli alla sanità: 2,352 miliardi per il 2015 e il 2016.
  • 4 agosto 2015. La Camera vota la fiducia al decreto Enti Locali che recepisce i tagli.
  • 18 settembre 2015. Il Governo approva la nota di aggiornamento del DEF 2015 senza indicare nuovi tagli alla sanità, ma questo non esclude che la Legge di Stabilità 2016 possa prevederli.

Negli ultimi 12 mesi, dunque, l'agenda politica della sanità è stata occupata dal conflitto tra Governo e Regioni riacceso dalla Legge di Stabilità 2015 (ottobre-febbraio), quindi congelata per non turbare le elezioni regionali (marzo-maggio), infine dedicata alla manovra d'estate (giugno-luglio). Nel frattempo, sono impietosamente scaduti gli adempimenti del Patto per la Salute sotto il segno di una schizofrenia legislativa che ha permesso alla politica di concorrere al "suicidio assistito" del SSN senza identificare alcuna responsabilità.

Nonostante i protagonisti della politica  continuino a sbandierare un sistema sanitario “tra i migliori del mondo” la realtà della sanità italiana è ben diversa e necessita di un riallineamento degli obiettivi politici, economici e sociali di Governo, Parlamento e Regioni, per fornire certezze sulle risorse e attuare un’adeguata (ri)programmazione sanitaria in grado di disinvestire realmente da sprechi e inefficienze e di riallocare le risorse in servizi essenziali e innovazioni.

«Nel clima di continua incertezza in cui annaspa la sanità da oltre tre anni – continua il Presidente – è aumentato oltre ogni limite il disagio di pazienti, professionisti e organizzazioni sanitarie che continuano ad aspettare invano risposte concrete da numerosi provvedimenti rimasti al palo: rinnovo di contratti e convenzioni, attuazione dei nuovi LEA, nuovi ticket ed esenzioni, attuazione degli standard ospedalieri, riorganizzazione delle cure primarie, nuove competenze delle professioni sanitarie (comma 566), legge sulla responsabilità professionale, etc.».

«Ma soprattutto – conclude Cartabellotta – i cittadini italiani meritano chiarezza sul futuro della sanità pubblica, perché mentre la politica rilascia continue (e discordanti) dichiarazioni, l’intermediazione assicurativa si insinua strisciando tra le incertezze delle Istituzioni e contribuisce a demolire impietosamente l’articolo 32 della Costituzione e il modello di un SSN pubblico, equo e universalistico».

Se questo fosse il vero obiettivo della politica, interessata a sbarazzarsi di una fetta consistente della spesa pubblica, è giunto il momento di svelare le carte, sia per governare adeguatamente il doloroso passaggio a un sistema sanitario misto, sia per acquisire la consapevolezza che la Repubblica non tutela più la nostra salute come diritto fondamentale.


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16 settembre 2015
Qualità e appropriatezza: fatti non parole

IN UN MOMENTO STORICO IN CUI LA QUALITÀ DELL’ASSISTENZA DIVENTA PROTAGONISTA PER GARANTIRE LA SOSTENIBILITÀ DEL SSN, LA FONDAZIONE GIMBE PUBBLICA LA VERSIONE ITALIANA DELLE LINEE GUIDA SQUIRE 2.0, PER GUIDARE ISTITUZIONI E PROFESSIONISTI A PIANIFICARE, CONDURRE E PUBBLICARE PROGETTI DI MIGLIORAMENTO DELLA QUALITÀ DELL’ASSISTENZA SANITARIA.

La sostenibilità di un sistema sanitario è oggi strettamente legata alla capacità di integrare le migliori evidenze nella pratica professionale e nell’erogazione dei servizi sanitari, migliorando tutte le dimensioni della qualità dell’assistenza: sicurezza, efficacia, appropriatezza, coinvolgimento di cittadini e pazienti, equità ed efficienza. Tuttavia, i progetti di miglioramento della qualità hanno generalmente una dimensione locale, sono spesso sostenuti solo dal volontarismo e solo raramente vengono pubblicati. Senza contare che nel nostro Paese la ricerca sui servizi sanitari – “sorella povera” della ricerca clinica e di quella di base – dispone di esigui finanziamenti.

«Tutte le prese di posizione sull’appropriatezza prescrittiva esplose dopo la pubblicazione del Decreto Enti Locali – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – seppur corrette, sono prevalentemente basate su opinioni senza alcun riferimento a evidenze prodotte nelle organizzazioni sanitarie italiane, dove è giunto il momento di condurre studi sistematici di miglioramento della qualità, inclusa l’appropriatezza prescrittiva».

Nel 2008 è stata pubblicata la linea guida SQUIRE (Standards for QUality Improvement Reporting Excellence), standard per l’eccellenza nel reporting degli studi di miglioramento della qualità: da allora  la costante evoluzione delle conoscenze ne ha reso necessario l’aggiornamento, con la pubblicazione delle nuove linee guida per il reporting dei progetti sistematici finalizzati a migliorare qualità e value dell’assistenza sanitaria.

Al fine di rendere immediatamente fruibile le linea guida a professionisti e organizzazioni sanitarie, la Fondazione GIMBE ha realizzato la versione italiana ufficiale dello SQUIRE 2.0, pubblicata contestualmente al BMJ Safety and Quality e ad altre 13 riviste internazionali.

«Siamo certi – conclude Cartabellotta – che SQUIRE 2.0 rappresenta un documento di riferimento per istituzioni e professionisti che intendono pianificare, condurre e pubblicare progetti di miglioramento della qualità dell’assistenza erogata dal SSN, contribuendo così alla sua sostenibilità. Indubbiamente, scrivere sul miglioramento con metodo e rigore scientifico è un’attività complessa, ma condividere successi, fallimenti e sviluppi attraverso le pubblicazioni rappresenta uno step fondamentale per migliorare la qualità e la sostenibilità dei servizi sanitari».

La versione italiana della linee guida SQUIRE 2.0 è disponibile a: www.gimbe.org/SQUIRE


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6 agosto 2015
Bozza DM appropriatezza prescrittiva: poche luci, tante ombre

ALL’ENORME POLVERONE MEDIATICO DELLE ULTIME SETTIMANE SEGUE UN DOCUMENTO DOVE NON EMERGE UNA CHIARA DEFINIZIONE DELLE PRIORITÀ, LATITA IL COINVOLGIMENTO DELLE CATEGORIE PROFESSIONALI E NON VIENE ESPLICITATA UNA METODOLOGIA RIGOROSA PER RICERCARE, VALUTARE, SELEZIONARE E SINTETIZZARE LE EVIDENZE A SUPPORTO DEI CRITERI DI APPROPRIATEZZA

La ricerca sui servizi sanitari dimostra che, per essere implementato con successo, qualunque standard di appropriatezza professionale deve essere dotato di tre “fattori prognostici favorevoli”: essere evidence-based, condiviso con i professionisti e adattato al contesto locale.

«Anche tenendo conto che l’adattamento locale (regionale) avverrà in una fase successiva – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – la bozza del DM sull’appropriatezza al momento non presenta comunque i primi due requisiti. In particolare, non risultano adeguate modalità di coinvolgimento dei professionisti, né viene reso esplicito il metodo utilizzato per ricercare, valutare, selezionare e sintetizzare le evidenze a supporto dei criteri di appropriatezza».

Le prestazioni identificate sono in totale 180 di cui 35 odontoiatriche, 53 di genetica, 9 relative a TAC e RM (degli arti e della colonna), 2 di dialisi e 4 di medicina nucleare. La somma delle prestazioni di allergologia e di laboratorio (non differenziate) dovrebbe essere pari a 77.

  • Prestazioni odontoiatriche. La bozza di DM si limita a specificare per ciascuna prestazione i soggetti beneficiari (minori fino a 14 anni, vulnerabili per motivi sanitari e per motivi sociali), lasciando alle Regioni il compito di fissare le soglie di reddito o di ISEE che definiscono la vulnerabilità sociale. In altri termini, non si intravede alcuna azione per arginare l’inappropriatezza prescrittiva.
  • Prestazioni di genetica. È l’unico caso in cui viene citato il coinvolgimento di una società scientifica, ovvero la Società Italiana di Genetica Umana (SIGU), seppur indirettamente tramite “rilevanti esponenti”. Assolutamente condivisibile il principio che “saranno riservate alla diagnosi di specifiche malattie […] non sarà più possibile prescriverle per una generica mappatura del genoma o a fini di ricerca”.
  • Prestazioni di allergologia. “Alcuni test allergologici e le immunizzazioni (cosiddetti vaccini) siano prescritti solo a seguito di visita specialistica allergologica”. La reale efficacia delle immunizzazioni (vaccini) è ampiamente oggetto di dibattito in letteratura e, per definizione, non è possibile definire l’appropriatezza di un intervento sanitario la cui efficacia non è ancora stata dimostrata.
  • Colesterolo e trigliceridi. Si prevede che “in assenza di qualsiasi fattori di rischio (familiarità, ipertensione, obesità, diabete, cardiopatie, iperlipemie, etc) colesterolo e trigliceridi siano ripetuti ogni 5 anni”, non tenendo conto che:
    • colesterolo e trigliceridi pari non sono: infatti, non esistono evidenze che giustifichino il dosaggio dei trigliceridi (oltre al colesterolo totale e HDL) nei soggetti senza fattori di rischio;
    • considerata l’assenza di evidenze per definire il timing ottimale, il “taglio burocratico” dei 5 anni potrebbe essere eccessivo per alcune categorie di soggetti (es. valori ripetutamente normali) e restrittivo per altri (es. valori costantemente ai limiti superiori);
    • i fattori di rischio elencati non coincidono con quelli previsti dalla carta del rischio cardiovascolare nell’ambito del Progetto Cuore dell’Istituto Superiore di Sanità: in particolare viene clamorosamente ignorato il fumo di sigaretta.
  • TAC e RM. Rispetto al metodo utilizzato viene fatto riferimento a un “livello di appropriatezza valutata in base alla documentazione scientifica internazionale […] con score di appropriatezza da 0 a 10”. Risulta incomprensibile l’utilizzo di uno score non validato invece del metodo RAND (score 1-9) utilizzato da oltre 20 anni dalle società scientifiche, inclusa l’American College of Radiology, i cui criteri di appropriatezza vengono utilizzati in tutto il mondo. Sul metodo per individuare le prestazioni inappropriate viene riportato che “hanno contribuito esponenti di rilievo della disciplina (già nel 2008 ha lavorato un gruppo di esperti con il coordinamento del Prof Simonetti)”.
  • Dialisi. Le parole “Le condizioni di erogabilità sono riservate alle metodiche dialitiche di base (domiciliari e ad assistenza limitata) che risultano appropriate solo per pazienti che non presentano complicanze da intolleranza al trattamento e/o che non necessitano di correzione metabolica intensa” sono molto oscure e danno luogo a contraddizioni. In particolare:
    • se è ovvio che la dialisi domiciliare può essere prescritta ai pazienti senza comorbidità, è difficile che i pazienti dializzati a domicilio non abbiamo comorbidità;
    • in assenza di servizi in grado di rispondere in modo efficace e tempestivo a eventuali complicanze, nessun nefrologo prescriverà mai una dialisi domiciliare;
    • la correzione metabolica intensa non esiste, tranne nei pazienti in rianimazione.
  • Medicina nucleare. Impossibile esprimere qualunque giudizio visto che il testo riporta semplicemente che “Si tratta di 4 prestazioni di interesse assolutamente specialistico […] legate a patologie gravi di tipo neoplastico”.

«Infine – conclude il Presidente – rimangono impliciti i criteri seguiti per definire le priorità. Infatti, eccezion fatta per le 9 prestazioni TAC/RM, tutta la diagnostica strumentale (doppler, gastroscopie, colonscopie, ecografia addome e pelvi, ecocardiografia, etc.) è stata “graziata” in maniera incomprensibile, tenendo conto della lunghezza delle liste di attesa e dell’alto rischio d’inappropriatezza prescrittiva».


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28 2015
Appropriatezza prescrittiva: l’inerzia dei medici e le imposizioni della politica

I MEDICI ALZANO LE BARRICATE CONTRO LE SANZIONI ECONOMICHE, MA NON RIESCONO A PROPORRE AZIONI CONCRETE E UNANIMI PER MIGLIORARE L’APPROPRIATEZZA PRESCRITTIVA, CONTINUANDO A TRINCERARSI DIETRO LA MEDICINA DIFENSIVA. DAL CANTO SUO LA POLITICA, OBBLIGATA A FARE CASSA, IMPONE SOLUZIONI SEMPLICISTICHE PRIVE DI BASI SCIENTIFICHE A PROBLEMI COMPLESSI.

Con la “manovra d’estate” Governo e Regioni hanno concordato di recuperare 106 milioni/anno dal 2015 al 2017 da prestazioni specialistiche e riabilitative inappropriate. A meno che la discussione parlamentare non faccia saltare il banco, come si può paventare dagli eventi delle ultime ore, un decreto ministeriale definirà le condizioni di erogabilità e le indicazioni prioritarie per tali prestazioni. Al di fuori di tali condizioni le prestazioni saranno poste a totale carico dell’assistito, con penalizzazioni economiche per i medici non in grado di motivare le prescrizioni inappropriate, oltre che per i direttori generali che non abbiano applicato tali misure sanzionatorie nella propria azienda.

«Il problema delle prestazioni inappropriate – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – esiste in tutti i setting assistenziali ed ha conseguenze cliniche, economiche e sociali molto rilevanti. Tuttavia, se non è compito della politica definire i criteri di appropriatezza professionale, che derivano dalle migliori evidenze scientifiche, la classe medica non può limitarsi ad una levata di scudi, ma deve riconoscere l’esistenza del fenomeno e pianificare azioni concrete, in assenza delle quali la politica finisce per sostituirsi alla scienza medica senza alcun imbarazzo».

«Inoltre – precisa Cartabellotta – se è indubbio che il timore di conseguenze medico-legali per aver tralasciato qualcosa spinge i medici a prescrivere ogni possibile test diagnostico e a mantenere un approccio terapeutico spesso aggressivo, bisogna accettare che la medicina difensiva è diventata un mero paravento per giustificare le inappropriatezze prescrittive. Se così non fosse, i contenziosi da eccessi diagnostici e terapeutici non sarebbero in costante ascesa, testimoniando che la medicina difensiva non riesce nemmeno a raggiungere il suo obiettivo primario».

Per tali ragioni – nell’ambito del progetto “Salviamo il Nostro SSN” – la Fondazione GIMBE ritiene necessario ribadire dieci punti al fine di avviare un confronto collaborativo tra gli stakeholders della sanità sulla spinosa questione dell’inappropriatezza prescrittiva.

  1. I criteri di appropriatezza professionale derivano dalle evidenze scientifiche o, in assenza di queste, da processi di consenso formale.
  2. Il primum movens dell’inappropriatezza professionale è l’asimmetria informativa tra le evidenze scientifiche disponibili e le conoscenze integrate dai medici nelle proprie decisioni e dai cittadini-pazienti nelle scelte che riguardano la propria salute.
  3. L’inappropriatezza professionale può essere in eccesso (overuse) o in difetto (underuse): ridurre la prima permette di recuperare risorse, implementare la seconda richiede investimenti.
  4. Qualunque intervento per ridurre l’inappropriatezza professionale deve essere guidato dal principio del “disinvestimento e riallocazione”, perché in tutti i percorsi assistenziali convivono aree di overuse e di underuse.
  5. L’inappropriatezza professionale, in particolare quella relativa ai test diagnostici, non può essere “giustificata” solo dalla medicina difensiva, alla quale si affiancano altre determinanti di sovra-utilizzo: logiche di finanziamento e incentivazione di aziende e professionisti basate sulla produzione, medicalizzazione della società, aspettative di cittadini e pazienti, turnover delle tecnologie sanitarie, conflitti di interesse.
  6. La scienza della modifica dei comportamenti professionali (implementation science), finalizzata a migliorare l’appropriatezza prescrittiva, lungi dal fornire “ricette magiche”, insegna che i risultati migliori si ottengono con strategie multifattoriali che combinano vari interventi in relazione agli ostacoli locali.
  7. Non esistono evidenze scientifiche che sostengono l’efficacia di sanzioni economiche ai medici con l’obiettivo di migliorare l’appropriatezza prescrittiva.
  8. L’utilizzo indiscriminato delle tecnologie diagnostiche contribuisce all’eccesso di medicalizzazione della società perché la tecnologia, profondamente radicata nel nostro concetto di malattia e nella nostra cultura, genera atti di fede non basati sulle evidenze.
  9. Occorre migliorare la governance delle innovazioni tecnologiche, favorendo l’introduzione nella pratica clinica solo di quelle che, oltre a presentare chiare evidenze di reali benefici, hanno un elevato value.
  10. È indispensabile ricostruire un’adeguata relazione medico-paziente, fornendo informazioni bilanciate su rischi e benefici degli interventi sanitari e permettendo al paziente di sviluppare aspettative realistiche e prendere decisioni realmente informate.

«Il sovra-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie è un complesso fenomeno professionale, etico, sociale ed economico – conclude Cartabellotta –  e qualunque soluzione proposta per arginare l’inappropriatezza prescrittiva non può prescindere dalla necessità di interventi sociali e culturali, in particolare dalla responsabilità di informare adeguatamente cittadini e pazienti sull’efficacia, sicurezza e appropriatezza degli interventi sanitari, al fine di arginare quell’asimmetria informativa tra il mondo della ricerca e quello dell’assistenza, che genera aspettative irrealistiche nei confronti di una medicina mitica e di una sanità infallibile, aumentando il contenzioso medico-legale».


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13 2015
Il disinvestimento per la sostenibilità del SSN: ai nastri di partenza il protocollo d’intesa Agenas-GIMBE

SIGLATO L’ACCORDO TRA LA AGENZIA NAZIONALE PER I SERVIZI SANITARI REGIONALI E LA FONDAZIONE GIMBE: AL VIA SPERIMENTAZIONI NAZIONALI, REGIONALI E AZIENDALI FINALIZZATE A CONSOLIDARE MODELLI OPERATIVI PER IL DISINVESTIMENTO DA SPRECHI E INEFFICIENZE E LA RIALLOCAZIONE DELLE RISORSE IN SERVIZI ESSENZIALI E INNOVAZIONI

«Le migliori evidenze scientifiche – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – dovrebbero guidare tutte le decisioni professionali, manageriali e politiche che riguardano la salute delle persone. In realtà oggi l’inadeguato utilizzo delle evidenze è ampiamente documentato in sanità, a livello di cure primarie e nell’assistenza ospedaliera, nella medicina generale e in tutte le discipline specialistiche. Infatti, audit clinici condotti in vari setting assistenziali dimostrano che rilevanti evidenze scientifiche non vengono adeguatamente trasferite nella pratica, determinando da un lato il sovra-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci o inappropriati, dall’altro il sotto-utilizzo di quelli efficaci e appropriati, generando così imponenti sprechi nei sistemi sanitari».

La sostenibilità di qualunque sistema sanitario, indipendentemente dalla sua natura e dalla quota di PIL destinata alla sanità, non può più prescindere da un’adeguata governance del processo di trasferimento delle conoscenze alla pratica clinica e all’organizzazione dei servizi sanitari: «L’obiettivo del Protocollo di Intesa – precisa Francesco Bevere, Direttore Generale dell’Agenas – è proprio quello di realizzare, in linea con gli indirizzi del Ministero della salute e con la collaborazione delle Regioni, sperimentazioni nazionali, regionali e aziendali finalizzate a consolidare modelli operativi per il disinvestimento da sprechi e inefficienze e la riallocazione delle risorse in servizi essenziali e innovazioni. Il processo di disinvestimento riguarderà in particolare il sovra-utilizzo e il sotto-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie (appropriatezza professionale) e l’inadeguato coordinamento dell’assistenza tra differenti setting di cura (appropriatezza organizzativa)».

«Le sperimentazioni – continua Bevere – saranno condotte secondo un approccio di sistema alla clinical governance al fine di favorire il trasferimento delle migliori evidenze alle pratiche professionali e alla riorganizzazione dell’assistenza ospedaliera e territoriale, secondo le indicazioni del Patto per la Salute 2014-2016».

«Siamo fiduciosi – conclude Cartabellotta – che in un momento particolarmente critico per la Sanità pubblica, “provata” dalla ripetuta sottrazione di risorse, possano emergere soluzioni innovative per consentire a Regioni e Aziende sanitarie di avviare il virtuoso percorso di disinvestimento e riallocazione, coinvolgendo attivamente professionisti sanitari e pazienti».


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3 2015
Il parto non è una malattia: il percorso nascita deve essere riorganizzato

IL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE DEVE PERMETTERE ALLE DONNE DI SCEGLIERE DOVE PARTORIRE IN SICUREZZA SENZA MEDICALIZZARE UNA CONDIZIONE FISIOLOGICA. È INACCETTABILE CHE IL DIBATTITO SUL PERCORSO NASCITA RISTAGNI NELLA STRENUA DIFESA DEI PUNTI NASCITA CON MENO DI 500 PARTI/ANNO, NELL'IMPIETOSO RAFFRONTO TRA I TASSI REGIONALI DI PARTI CESAREI E NEI RISCHI MEDICO-LEGALI DOVUTI ANCHE ALL'ECCESSO DI MEDICALIZZAZIONE.

La maggior parte delle donne che partoriscono sono sane, hanno una gravidanza fisiologica, vanno incontro a travaglio spontaneo e danno alla luce un neonato dopo la 37a settimana di gestazione. Tuttavia, come afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE, «anche in assenza di reali fattori di rischio continuiamo a mantenere modelli organizzativi che medicalizzano gravidanza e parto, a dispetto di evidenze scientifiche che dimostrano che per la maggior parte delle gravidanze fisiologiche non ci sono benefici materni e neonatali per scegliere la sala parto, dove il travaglio è oggi caratterizzato da troppi interventi ostetrico-ginecologici, divenuti routinari, ma spesso inappropriati».

«In particolare – continua Cartabellotta – il SSN dovrebbe garantire a tutte le donne la libertà di scegliere, nell'area di domicilio o nelle immediate vicinanze, dove partorire in sicurezza: oltre alla sala parto in ospedale pubblico o in clinica privata, anche a casa propria e nei centri nascita a gestione esclusivamente ostetrica, sia fuori (freestanding) che dentro (alongside) l’ospedale. Ovviamente, prevedendo protocolli condivisi per trasferire la donna, quando necessario, verso le U.O. di Ostetricia e Ginecologia».

Secondo il “Certificato di assistenza al parto (CeDAP). Analisi dell'evento nascita” del Ministero della Salute, i dati rilevati per l’anno 2011 evidenziano che, in Italia, meno dello 0,1% dei parti avviene a domicilio o in altra struttura non ospedaliera, pubblica o privata. Il dato è confermato dal fatto che, a oggi, l’offerta di centri nascita a gestione ostetrica si conta sulle dita di una mano sia per i freestanding che per gli alongside.

«Invece di avviare un confronto multi-professionale sulla riorganizzazione del percorso nascita basata su criteri di appropriatezza clinica e dei reali bisogni della donna – conclude il Presidente – il dibattito politico, pubblico e professionale ripropone continuamente le stesse criticità: la strenua difesa dei punti nascita al di sotto dei 500 parti/anno, i tassi di parti cesarei che in tutte le Regioni del centro-sud oscillano tra 35 e 65%, nonostante anni di Piano di Rientro, a dimostrazione dell’incapacità di questo strumento di favorire la riorganizzazione dei servizi e i rischi medico-legali, sicuramente reali, ma inevitabilmente condizionati dall'eccessiva medicalizzazione del parto».

Le migliori evidenze scientifiche recentemente sintetizzate dal National Institute of Clinical Excellence (NICE) oggi consigliano alle donne a basso rischio di partorire, previa disponibilità di un’assistenza ostetrica 1:1, al proprio domicilio o in un centro nascita (esterno all'ospedale, o adiacente alla sala parto), dove la percentuale di interventi ostetrico-ginecologici è più bassa e gli esiti neonatali sono di fatto sovrapponibili a quelli della sala parto. La sintesi in italiano delle linee guida NICE per l’assistenza a partorienti sane e neonati e per la scelta del setting del parto – realizzata dalla Fondazione GIMBE – è disponibile a: www.evidence.it/linee-guida-parto


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23 giugno 2015
Bando per l’erogazione di 30 Borse di Studio

Nell’ambito del progetto GIMBE4Young, sulla base del successo ottenuto nelle edizioni precedenti la Fondazione GIMBE indice una selezione nazionale per l’attribuzione di n. 30 borse di studio, ciascuna del valore nominale di € 800,00, destinate a laureati in Medicina e Chirurgia e Professioni Sanitarie e a specializzandi.

Le borse di studio, interamente sostenute dalla Fondazione GIMBE, saranno destinate alla copertura della quota di partecipazione al corso di formazione “Evidence-based Practice” (Bologna, 20-21-22-23 gennaio 2016), che permette di acquisire l’EBP core curriculum, set di conoscenze, attitudini e skills certificato dall’EU-EBM Unity Project.

La scadenza del bando è fissata al 11 settembre 2015.

Per ulteriori informazioni: www.gimbe4young.it/bando2015   


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26 maggio 2015
Epatite C: tutti i falsi miti sul Sofosbuvir

È indispensabile riallineare aspettative dei pazienti e politiche sanitarie alle reali prove di efficacia del “super-farmaco” e definire le priorità di trattamento secondo criteri di costo-efficacia.

L’impossibilità di garantire il trattamento con il sofosbuvir a tutti i pazienti affetti dal virus dell’epatite C ha generato la mobilitazione della magistratura e della politica. Il 16 maggio il pm Guariniello ha aperto un fascicolo a carico di ignoti con ipotesi di reato per omissione di cure e lesioni colpose perché il Governo non avrebbe assicurato alle Regioni le somme necessarie a garantire a tutti i pazienti la costosissima terapia  in grado di “cancellare la malattia”. Due giorni dopo il Governatore Enrico Rossi ha dichiarato che la Regione Toscana garantirà a tutti i cittadini toscani  l'accesso gratuito alla terapia farmacologica per la cura dell'epatite C perché “bloccare la progressione del danno epatico in uno stadio precoce risolve definitivamente la malattia, riduce il rischio di diffusione ed evita tutte le spese derivanti dal trattamento della malattia”.

Dal canto suo Luca Pani difende l’operato dell’AIFA che, grazie ai criteri prescrittivi identificati e ai fondi stanziati dallo Stato, garantisce oggi il trattamento a 7.000 pazienti, seppure con preoccupanti variabilità regionali e rimprovera Enrico Rossi di diffondere a fini elettorali informazioni illusorie nei confronti di oltre un milione di cittadini italiani affetti da epatite C.

In un momento particolarmente critico per la sostenibilità della sanità pubblica, la Fondazione GIMBE invita tutti gli stakeholders a valutare con sano scetticismo e adeguato rigore metodologico tutte le innovazioni farmacologiche e tecnologiche evitando, sull’onda di un contagioso entusiasmo, di enfatizzare i benefici e minimizzare i rischi degli interventi sanitari.

Al fine di informare correttamente politiche sanitarie, professionisti e pazienti la Fondazione GIMBE ha pubblicato il Position Statement “Efficacia e costo-efficacia del sofosbuvir nel trattamento dell’epatite C” da cui emergono alcune criticità metodologiche relative alla robustezza delle prove di efficacia, oltre che all’entità e alla precisione dei benefici del farmaco.

  • Tutti gli studi che hanno valutato l’efficacia del sofosbuvir sono stati finanziati, progettati e realizzati dall’azienda produttrice  Gilead Science e, al momento, non esiste alcuno studio indipendente.
  • Non conosciamo il reale valore aggiunto del farmaco rispetto a un confronto appropriato, sia perché mancano trial di efficacia comparativa del sofosbuvir con altri agenti antivirali ad azione diretta, sia perché tutti gli studi prevedono l’associazione del sofosbuvir con ribavirina ± peginterferon-alfa.
  • Alcuni studi presentano limiti metodologici rilevanti (controlli storici, assenza di blinding).
  • Tutti gli studi hanno utilizzato come misura di esito un end-point surrogato, ovvero la risposta virologica sostenuta al di sotto della soglia minima identificabile a 24 o a 12 settimane dalla sospensione del farmaco.
  • La risposta virologica sostenuta non garantisce l’eradicazione del virus dal sangue (che resta solo al di sotto della soglia minima identificabile), né permette di identificare la persistenza del virus nei tessuti. 
  • Per alcuni sottogruppi di pazienti la stima dell’effetto del trattamento è incerta a causa della loro limitata numerosità campionaria.
  • Non esistono prove di efficacia dirette su outcome clinicamente rilevanti: evoluzione dell’epatite in cirrosi, scompenso della cirrosi, insorgenza di epatocarcinoma, mortalità.
  • Non è nota la probabilità di re-infezione nei pazienti che hanno ottenuto una risposta virologica sostenuta.
  • Non conosciamo gli effetti avversi, oltre che la compliance, nel mondo reale.


A seguito di queste valutazioni la Fondazione GIMBE conclude che:

  • Il sofosbuvir costituisce una rilevante innovazione terapeutica, ma le evidenze disponibili documentano solo che il farmaco è efficace nel determinare una risposta virologica sostenuta in una percentuale che raggiunge il 90% in alcuni (ma non in tutti) sottogruppi di pazienti.
  • La storia naturale dell’epatite C e le prove di efficacia disponibili non giustificano in nessun contesto sanitario, indipendentemente dalla disponibilità di risorse, una policy che preveda il trattamento di tutti i pazienti con epatite C con l’obiettivo di prevenire l’evoluzione dell’epatite cronica in cirrosi, lo scompenso della cirrosi, lo sviluppo dell’epatocarcinoma, i trapianti di fegato e la mortalità.
  • In assenza di prove di efficacia dirette sulla capacità del sofosbuvir di rallentare l’evoluzione dell’epatite C verso forme avanzate di malattia scommettere sui potenziali risparmi per l’assistenza sanitaria è puramente speculativo e non supportato da alcun dato scientifico.
  • Assimilare la risposta virologica sostenuta nel singolo paziente alla eradicazione del virus C dalla popolazione è una suggestiva, ma inverosimile, strategia di sanità pubblica.
  • Considerato che la mortalità nei pazienti con epatite C è molto bassa e che nessuno studio ha dimostrato che il sofosbuvir riduce la mortalità , il termine “farmaco salvavita” è improprio e non  dovrebbe più essere utilizzato.
  • Definire le priorità di trattamento in relazione alla costo-efficacia del sofosbuvir nei vari sottogruppi di pazienti rappresenta oggi l’unica soluzione accettabile dal punto di vista clinico, etico ed economico.
  • I dati relativi a tutti i pazienti trattati dovrebbero essere raccolti in maniera sistematica al fine di documentare l’efficacia e la sicurezza del farmaco nel mondo reale.
  • Tutti gli stakeholder che intervengono pubblicamente esaltando l’efficacia del sofosbuvir, oltre le evidenze disponibili, dovrebbero dichiarare gli eventuali conflitti di interesse finanziari e non finanziari.


Il Position Statement GIMBE è disponibile a: www.evidence.it/sofosbuvir


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15 aprile 2015
Beatrice Lorenzin riceve il premio “Salviamo il Nostro SSN” dalla Fondazione GIMBE

Il premio è stato assegnato al Ministero della Salute per il “costante impegno per evitare ulteriori tagli alla Sanità pubblica, il contributo determinante nel giungere alla sottoscrizione del Patto per la Salute, il continuo richiamo alle Regioni per impegnarsi a ridurre sprechi e inefficienze e l’ambizioso traguardo raggiunto con l’aggiornamento dei LEA”.

In occasione della 10a Conferenza Nazionale GIMBE, interamente dedicata alla riduzione degli sprechi e all’aumento del value in Sanità, la Fondazione GIMBE ha assegnato il Premio Salviamo il Nostro SSN al Ministero della Salute.

Il Ministro Lorenzin, impossibilitata a ritirare personalmente il premio in occasione della Conferenza, ha ribadito nel messaggio inviato che «il nostro servizio sanitario è un bene comune che va difeso, potenziato e innovato. Ma perché ciò sia possibile occorre mettere assieme tutte le energie, confrontare le buone pratiche, creare un rapporto sinergico tra tutti i protagonisti coinvolti e, soprattutto, realizzare un SSN sostenibile […] incrementando le capacità di convertire le risorse in valore».

 

«Il messaggio dell’On. Ministro – afferma il Dott. Nino Cartabellotta - Presidente della Fondazione GIMBE – conferma che in condizioni di crisi economica esiste una strategia alternativa ai tagli, finalizzata a ottenere migliori risultati dalle risorse investite, grazie alla riduzione degli sprechi e all’incremento del value in sanità, tema che ha ispirato il progetto “Salviamo il Nostro SSN” e costituito il filo conduttore della 10a Conferenza Nazionale GIMBE. Purtroppo, nonostante l’impegno del Ministro a evitare nuovi tagli, oggi il SSN deve fare i conti con 2.3 miliardi in meno, frutto della rinuncia delle Regioni all’incremento previsto dal Fondo Sanitario Nazionale per l’incapacità a ridurre sprechi e inefficienze».

 


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9 aprile 2015
Diritto fondamentale alla tutela della salute: renderlo reale è la vera sfida della riforma del Titolo V della Costituzione

Dall’analisi delle contraddizioni tra diseguaglianze e diritto costituzionale alla tutela della salute è nata l’alleanza tra Fondazione GIMBE e Associazione G. Dossetti, che richiedono al Senato una modifica dell’articolo 117 del Titolo V per  restituire realmente allo Stato il ruolo di garante del diritto alla tutela della salute delle persone e assicurare l’uniforme attuazione dei LEA su tutto il territorio nazionale.

Il 10 marzo 2015 la Camera dei Deputati ha approvato in prima lettura il testo della riforma della Carta Costituzionale, che ora tornerà al Senato. Allo Stato vengono assegnate “la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” e “le disposizioni generali e comuni per la tutela della salute; per le politiche sociali; per la sicurezza alimentare”, mentre alle Regioni viene attribuita la competenza specifica in materia di “programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali”. Inoltre, grazie alla clausola di salvaguardia, lo Stato può intervenire, su proposta del Governo, in materie non riservate alla legislazione esclusiva qualora lo richieda la “tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”.

Nella nuova Carta Costituzionale il diritto alla tutela della salute (art. 32)  è l’unico cui viene attribuito il carattere di “fondamentale”. «In tal senso  - afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE - le modifiche apportate dal legislatore, seppure rilevanti, a nostro avviso non sono ancora sufficienti per garantire l’uniforme attuazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA) su tutto il territorio nazionale: con l’attuale formulazione dell’art. 117 del Titolo V, infatti, lo Stato non recupera il diritto a esercitare i poteri sostitutivi nei confronti delle Regioni inadempienti nell'attuazione dei LEA, sia perché la legislazione esclusiva riguarda solo la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali - ma non quelli sanitari - che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, sia perché la clausola di salvaguardia non include la tutela della salute».

Se è vero è che la dizione “diritti sociali” comprenderebbe anche quelli sanitari, per evitare ogni forma di equivoco interpretativo nell’ambito della riforma costituzionale, l’Associazione Giuseppe Dossetti e la Fondazione GIMBE ritengono indispensabile esplicitare la tutela dei diritti sanitari.

«Infatti - afferma Claudio Giustozzi, Segretario Nazionale dell’Associazione G. Dossetti - la riforma del Titolo V della Costituzione approvata nel 2001 ha dato vita a ventuno sistemi sanitari diversi, incapaci di assicurare in modo omogeneo i LEA, eludendo i princìpi di equità e universalità sui quali si fonda il nostro servizio sanitario nazionale (SSN): questa situazione rischia seriamente di peggiorare l'inadeguatezza dei sistemi sanitari regionali più deboli limitando soprattutto le tutele sanitarie delle fasce più fragili e bisognose della popolazione». 

In tal senso, in occasione della 10a Conferenza Nazionale GIMBE (Bologna, 27 marzo 2015)  la Fondazione GIMBE e l’Associazione G. Dossetti hanno formalizzato la richiesta ai membri del Senato di rivedere l’articolo 117, così come proposto di seguito, al fine di assegnare in maniera inequivocabile allo Stato il ruolo di garante del diritto alla tutela della salute assicurando una uniforme erogazione dei LEA in tutte le regioni e riallineando il SSN sui princìpi di equità e universalismo che lo contraddistinguono:

TESTO DELL’ARTICOLO 117 DELLA COSTITUZIONE COME APPROVATO DALLA CAMERA DEI DEPUTATI IL 10/03/2015

TESTO DELL’ARTICOLO 117 DELLA COSTITUZIONE COME PROPOSTO DALL’ASSOCIAZIONE GIUSEPPE DOSSETTI
E DALLA FONDAZIONE GIMBE

     m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; disposizioni generali e comuni per la tutela della salute; per le politiche sociali e per la sicurezza alimentare;

     m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili, sociali e sanitari che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; disposizioni generali e comuni per la tutela della salute; per le politiche sociali e per la sicurezza alimentare;

   Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell'interesse nazionale.

   Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela della salute delle persone, ovvero la tutela dell'interesse nazionale.


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30 marzo 2015
Disinvestire da 25 miliardi di sprechi e inefficienze: ecco come salvare la sanità pubblica

RIDURRE GLI SPRECHI CON L’IMPEGNO DI POLITICA, MANAGEMENT, PROFESSIONISTI SANITARI E CITTADINI; REINVESTIRE IN RICERCA COMPARATIVA INDIPENDENTE E INTRODURRE IL VALUE PER RIMBORSARE I FARMACI INNOVATIVI; RESTITUIRE REALMENTE ALLO STATO IL RUOLO DI GARANTE DEL DIRITTO ALLA SALUTE CON LA RIFORMA DEL TITOLO V. ASSEGNATA BORSA DI STUDIO “GIOACCHINO CARTABELLOTTA” PER VALUTARE GLI ESITI DELLA RICERCA INDIPENDENTE AIFA. PREMIATI IL PROF. REMUZZI E IL MINISTERO DELLA SALUTE

Si è tenuta a Bologna il 27 marzo la 10a edizione della Conferenza Nazionale GIMBE alla quale sono intervenuti oltre 400 partecipanti provenienti da tutte le regioni italiane e rappresentativi di tutte le professioni sanitarie. La Conferenza, sostenuta interamente dalla Fondazione GIMBE senza apporto di sponsor istituzionali o commerciali, ha puntato i riflettori sulla riduzione degli sprechi e all’aumento del value in sanità, quale strada maestra per contribuire alla sostenibilità del SSN.

Nella presentazione del Framework GIMBE per il disinvestimento in sanità il Presidente Nino Cartabellotta, integrando evidenze scientifiche internazionali e dati pubblicati dalle Istituzioni nazionali, ha aggiornato il quadro di sprechi e inefficienze che nel 2014 erodono oltre 25 miliardi di euro: sovra-utilizzo di interventi sanitari inefficaci e inappropriati, frodi e abusi, tecnologie sanitarie e beni e servizi non sanitari acquistati a costi eccessivi, sotto-utilizzo di interventi sanitari efficaci e appropriati, complessità amministrative e inadeguato coordinamento dell’assistenza.

Gianpiero Fasola, Sandra Petraglia, Giuseppe Recchia, Giuseppe Remuzzi, Walter Ricciardi, e Roberta Siliquini, ospiti del Forum “Scienza, Ricerca e Sanità: innovazione fa sempre rima con sostenibilità?” si sono confrontati sulla difficile compatibilità tra innovazioni farmacologiche e tecnologiche e sostenibilità delle cure. Rispondendo alle provocazioni del Presidente Nino Cartabellotta, hanno discusso sulla necessità di potenziare la ricerca comparativa sull’efficacia degli interventi sanitari (già prevista tra gli impegni dei nuovi LEA), sulla inderogabile necessità di definire a livello istituzionale il concetto di value per rimborsare le innovazioni tecnologiche e sulla necessità di un maggior senso di responsabilità dell’industria nel definire i prezzi dei farmaci innovativi.

Dall’analisi delle contraddizioni tra diseguaglianze e diritto costituzionale alla tutela della salute è nata  la partnership tra Fondazione GIMBE e Associazione Dossetti, che richiedono al Senato una modifica dell’articolo 117 del Titolo V per  restituire realmente allo Stato il ruolo di garante del diritto alla salute delle persone e assicurare l’uniforme attuazione dei LEA su tutto il territorio nazionale.

Il Premio Evidence 2015 è stato assegnato al Prof. Giuseppe Remuzzi - Direttore del Dipartimento di Medicina dell’Azienda Ospedaliera Papa Giovanni XXIII e coordinatore della ricerca presso l’Istituto Mario Negri di Bergamo - per aver “pubblicato rilevanti evidenze scientifiche, contribuendo in maniera rilevante al progresso delle conoscenze in ambito nefrologico e l’impegno volto a diffondere la cultura della scienza tra i cittadini italiani”. Il Premio Salviamo il Nostro SSN 2015 è stato conferito al Ministero della Salute per “il costante impegno del Ministro nell’evitare ulteriori tagli a SSN, il contributo determinante per giungere alla sottoscrizione del Patto per la Salute, il continuo richiamo alle Regioni per impegnarsi a ridurre sprechi e inefficienze senza rinunciare all’incremento del Fondo Sanitario Nazionale e per l’ambizioso traguardo raggiunto con l’aggiornamento dei LEA”. Il Ministro Lorenzin, impossibilitata a ritirare personalmente il premio, ha ribadito nel messaggio inviato che “il nostro servizio sanitario è un bene comune che va difeso, potenziato e innovato. Ma perché ciò sia possibile occorre mettere assieme tutte le energie, confrontare le buone pratiche, creare un rapporto sinergico tra tutti i protagonisti coinvolti e, soprattutto, realizzare un SSN sostenibile […] incrementando le capacità di convertire le risorse in valore”.

La borsa di studio “Gioacchino Cartabellotta” istituita dalla Fondazione GIMBE è stata assegnata a Corrado Iacono per verificare quanti fra i 207 progetti finanziati dall'AIFA, con quasi 100 milioni di euro, sono stati pubblicati e quanti, invece, sono ancora in corso, sono stati interrotti oppure completati ma non pubblicati.

Infine, otto progetti di eccellenza del Laboratorio Italia realizzati nelle Aziende sanitarie utilizzando le evidenze scientifiche per guidare l’appropriatezza professionale e i reali bisogni dei pazienti per riorganizzare i servizi hanno dimostrato che il processo di disinvestimento è una mission possible.

I GIMBE Awards individuale e 4Young sono stati assegnati rispettivamente a Sebastian Grazioso (Azienda USL di Reggio Emilia) e a Matteo Scardino (Città della Salute e della Scienza, Torino). L’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese si è aggiudicata il GIMBE Award aziendale.

Tutte le presentazioni sono disponibili a: www.gimbe.org/conferenza2015-report


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26 marzo 2015
La Fondazione GIMBE premia il Prof. Giuseppe Remuzzi

In occasione della 10a Conferenza Nazionale GIMBE (Bologna, 27 marzo 2015), interamente dedicata alla riduzione degli sprechi e all’aumento del value in Sanità, è prevista la cerimonia di consegna del Premio Evidence: istituito nel 2013, viene assegnato a una personalità del mondo sanitario che nel corso della sua carriera professionale si è distinta per la pubblicazione di rilevanti evidenze scientifiche, cliniche o metodologiche, per l’integrazione delle migliori evidenze nelle decisioni professionali, manageriali o di politica sanitaria,  per l’insegnamento dell'Evidence-based Practice a livello universitario, specialistico, di formazione continua.

La terza edizione del Premio Evidence sarà assegnata al Prof. Giuseppe Remuzzi, Direttore Dipartimento di Medicina dell’Azienda Ospedaliera Papa Giovanni XXIII e Coordinatore delle Ricerche dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Bergamo e del Centro di Ricerche Cliniche per le  Malattie Rare Aldo e Cele Daccò.

Le motivazioni saranno rese note in occasione della cerimonia di premiazione.

Per informazioni: www.gimbe.org/conferenza2015      


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11 marzo 2015
Disinvestire da sprechi e inefficienze e riallocare in servizi essenziali e innovazioni: la strada maestra per la sostenibilità della Sanità pubblica

QUESTO IL FILO CONDUTTORE DELLA 10a CONFERENZA NAZIONALE GIMBE  DAL TITOLO “AUMENTARE IL VALUE E RIDURRE GLI SPRECHI IN SANITÀ”. BOLOGNA, ROYAL HOTEL CARLTON, 27 MARZO 2015

Il Patto per la Salute 2014-2016 ha fissato le risorse per il SSN  e definito le strategie di politica sanitaria per il prossimo triennio, in linea con uno dei principi fondamentali del progetto “Salviamo il Nostro SSN”, lanciato nel 2013 dalla Fondazione GIMBE: nonostante i tagli, la Sanità pubblica rimane sostenibile a condizione di ridurre inefficienze e sprechi che si annidano a tutti i livelli.

Se i “risparmi derivanti dall’applicazione delle misure contenute nel Patto rimangono nella disponibilità delle singole Regioni per finalità sanitarie”, tutte le Regioni dovrebbero avviare un virtuoso processo di disinvestimento (da sprechi e inefficienze) e riallocazione (in servizi essenziali e innovazioni), coinvolgendo attivamente aziende e professionisti sanitari. Purtroppo, a fronte della richiesta avanzata dal Governo con la Legge di Stabilità di recuperare 4 mld di euro, le Regioni hanno rinunciato all’incremento di 2 mld del Fondo Sanitario Nazionale, mettendo a rischio sia l’applicazione del Patto per la Salute, sia i nuovi livelli essenziali di assistenza.

Per dimostrare che esiste un’altra strada, la Fondazione GIMBE dedica la 10a Conferenza Nazionale alla riduzione degli sprechi e all’aumento del value in sanità: in questa occasione la Fondazione presenterà il framework per guidare il processo di disinvestimento da sprechi e inefficienze, in particolare quelli correlati al sovra/sottoutilizzo di servizi e prestazioni sanitarie e all’inadeguato coordinamento dell’assistenza tra vari setting di cura.

Nel forumScienza, Ricerca e Sanità” autorevoli rappresentanti delle istituzioni e dell’industria si confronteranno sulla difficile compatibilità tra innovazioni farmacologiche e tecnologiche e sostenibilità delle cure in un sistema di risorse limitate: Gianpiero Fasola (CIPOMO e Azienda Ospedaliero-Universitaria di Udine), Luca Pani (Agenzia Italiana del Farmaco), Giuseppe Recchia (GlaxoSmithKline), Giuseppe Remuzzi (Azienda Ospedaliera Papa Giovanni XXIII e Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, Bergamo), Walter Ricciardi (Istituto Superiore di Sanità), Roberta Siliquini (Consiglio Superiore di Sanità).

Dall’analisi delle contraddizioni tra diseguaglianze e diritto costituzionale alla tutela della salute nasce la partnership tra Fondazione GIMBE e Associazione Dossetti, che richiedono una modifica dell’articolo 117 del Titolo V che possa realmente restituire allo Stato il ruolo di garante del diritto alla salute delle persone e assicurare l’uniforme attuazione dei LEA su tutto il territorio nazionale.

Infine, gli 8 progetti del Laboratorio Italia realizzati da Regioni e aziende sanitarie, utilizzando le evidenze scientifiche per guidare l’appropriatezza professionale e i reali bisogni dei pazienti per riorganizzare i servizi, dimostreranno che il processo di disinvestimento e riallocazione è la strada maestra per contribuire alla sostenibilità della Sanità pubblica.

La partecipazione alla Conferenza - sostenuta interamente dalla Fondazione GIMBE senza apporto di sponsor istituzionali o commerciali - è gratuita: www.gimbe.org/conferenza2015-iscrizione.


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2 marzo 2015
La salute degli italiani è ostaggio di un bancomat al portatore: le Istituzioni si pronuncino all’unisono

Il taglio di oltre due miliardi di euro sancito dall’intesa Stato-Regioni rischia di lasciare incompiute le innovazioni organizzative previste dal Patto per la Salute e di arrestare il decollo dei nuovi LEA. Soprattutto non lascia intravedere alcuna volontà politica condivisa per ridurre sprechi e inefficienze, preservare la Sanità pubblica e garantire il diritto costituzionale alla tutela della salute.

La Conferenza Stato-Regioni, dopo aver rinunciato all’incremento di 2 mld del fondo sanitario nazionale previsto dal Patto per la Salute, ha convenuto sull’importo di 2,352 mld da tagliare alla Sanità, ai quali si aggiungono 285 mln tolti all’edilizia sanitaria. Al momento, l’unica strategia definita per recuperare risorse è “l’attuazione del Regolamento sugli standard ospedalieri”, anche se “Regioni e Province Autonome potranno conseguire il raggiungimento dell’obiettivo finanziario intervenendo su altre aree della spesa sanitaria” che saranno rese note entro il prossimo 15 marzo.

«La preoccupazione maggiore per i cittadini italiani – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – è rappresentata non solo dall’ennesimo taglio lineare, edulcorato come “mancato incremento del fondo sanitario nazionale”, ma soprattutto dal quadro inquietante i cui contenuti appaiono sempre più netti: il Governo si sbarazza progressivamente di una quota della spesa pubblica destinata alla Sanità, le Regioni sono incapaci di formulare proposte unitarie per ridurre inefficienze e sprechi, la Repubblica, quale garante del diritto costituzionale alla tutela della salute, ha un ruolo sempre più sfumato, ormai quasi evanescente».

«Le contraddizioni tra tutela dei diritti costituzionali, finanziamento pubblico della Sanità e programmazione-organizzazione dei servizi sanitari e sociali – continua il Presidente – dimostrano che i ruoli e le responsabilità istituzionali finiscono per diluirsi e svanire nelle stesse pieghe normative che oggi alimentano il conflitto istituzionale tra Stato e Regioni, indeboliscono il ruolo della Repubblica quale garante dell’articolo 32 della Costituzione ed erodono progressivamente i diritti dei cittadini».  

Peraltro, se la Legge di Stabilità ha ribadito quanto concordato da Stato e Regioni nel Patto per la Salute, ovvero  che “i risparmi derivanti dall'applicazione delle misure contenute nel Patto rimangono nella disponibilità delle singole Regioni per finalità sanitarie”, perché le Regioni, contestualmente alla rinuncia ai 2 mld, volevano rinunciare a questa opportunità, chiedendo l’abrogazione del comma 557, dell’articolo 1?

«Appare evidente - precisa Cartabellotta– che le Regioni, oltre a dimostrarsi incapaci di attuare un virtuoso processo di disinvestimento e riallocazione, hanno l’ambizione di gestire in totale autonomia le risorse assegnate dallo Stato per finalità sanitarie, così da poterle “spostare” verso altri settori. Una richiesta che stride con la garanzia del diritto alla tutela della salute, affidato dalla Costituzione alla Repubblica, ma di fatto attuato da Stato e Regioni».

Tutto questo a dispetto di quanto affermato dal Presidente Sergio Mattarella che, in occasione del discorso di insediamento al Quirinale, ha pronunciato parole rassicuranti, affermando di essere “il garante della Costituzione”, che “la garanzia più forte della nostra Costituzione consiste nella sua applicazione” e che “garantire la Costituzione significa garantire i diritti dei malati”.

«Se è vero che, richiamando Carlo Levi, le “parole sono pietre” - conclude Cartabellotta  la Fondazione GIMBE chiede a tutte le Istituzioni di fare chiarezza all’unisono sul futuro della Sanità pubblica, perché oggi le inderogabili necessità imposte al Governo da esigenze di finanza pubblica, invece che tagliare sprechi e inefficienze, stanno ridimensionando il diritto costituzionale alla tutela della salute».


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16 febbraio 2015
La morte di Nicole è un problema di sistema: la Repubblica non è più in grado di garantire la tutela della Salute dei cittadini

L’inammissibile morte della piccola Nicole, che ha suscitato lo sdegno e l’incredulità del Presidente Mattarella e con lui di tutti i cittadini italiani, apre una dolorosa piaga sulla sicurezza dei modelli organizzativi della Sanità italiana, svelando lo spettro di un fallimento del sistema di tutela della Salute a livello politico, organizzativo e professionale.

Ascoltando le voci dei vari stakeholders, sembra che le responsabilità siano sempre degli altri: il Presidente della Regione Crocetta ha assolto gli ospedali, accusato i medici e chiesto al Ministro di rivedere le normative nazionali; la Lorenzin ha replicato – giustamente – che l’accreditamento delle strutture sanitarie compete esclusivamente all’amministrazione regionale; Diego Piazza – presidente dell’ACOI – è certo che la tragedia è figlia dei tagli lineari e di carenze del management, mentre Vito Trojano – presidente dell’AOGOI – conferma che l’accreditamento delle strutture neonatali in Sicilia non è ancora applicato in molte realtà; l’Anaao Assomed Sicilia fa rilevare che il servizio di trasporto emergenze neonatali nel bacino Catania, Ragusa, Siracusa non è mai stato attivato. L’assessore Borsellino, colpita dalle “dure” parole del Ministro, si limita a interpretare il più classico dei cliché della politica nostrana annunciando – senza per ora rassegnare – le proprie dimissioni.

In occasione di una tragedia di simile portata, oltre a evitare strumentalizzazioni, è indispensabile mettere da parte ogni forma di conflitto di interesse di categoria e, se necessario, uscire anche dalle proprie posizioni istituzionali, per identificare con lucidità le reali criticità di sistema che non si risolveranno affatto quando la magistratura – ormai unico arbitro della Sanità italiana – avrà identificato le responsabilità che ricadranno, verosimilmente, sugli anelli più deboli della catena.

«Si continua a ignorare che un determinante fondamentale degli esiti di salute, in particolare nell’emergenza – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – è rappresentato dai requisiti minimi di accreditamento delle strutture sanitarie, definiti e verificati da ciascuna Regione in assoluta autonomia. Purtroppo, tale processo di accreditamento non è stato sempre guidato dalla necessità di tutelare al meglio la salute dei cittadini, ma troppo spesso condizionato dall’esigenza di garantire gli interessi degli erogatori».

«Questo eccesso di autonomia delle Regioni non governato a livello centrale  – continua Cartabellotta –  ha concretizzato situazioni estremamente pericolose per la salute dei cittadini, da un lato legittimando inaccettabili carenze strutturali, tecnologiche, organizzative delle strutture pubbliche, dall’altro consentendo l’accreditamento di erogatori privati anche in assenza di adeguati requisiti. Di conseguenza, l’eterogeneità nell’offerta di servizi e prestazioni sanitarie condiziona la salute, la vita e la morte dei cittadini italiani, in particolare nelle Regioni le cui performance, in termini di erogazione di LEA e di equilibrio finanziario, hanno ripetutamente dimostrato che gli episodi di malasanità sono figli legittimi di una cattiva gestione politica».  

La tragedia di Catania mette a nudo tutte le contraddizioni istituzionali tra diritto alla tutela della Salute e organizzazione dei servizi sanitari, dimostrando che oggi le responsabilità delle Istituzioni finiscono per diluirsi e svanire nelle pieghe normative. Infatti, se per garantire l’uguaglianza dei cittadini lo Stato dovrebbe allineare a standard nazionali i requisiti minimi di accreditamento di tutte le strutture sanitarie del Paese, di fatto non detiene alcuna competenza legislativa perché pianificazione e organizzazione dei servizi sanitari sono state affidate alle Regioni con inaccettabili diseguaglianze regionali. Non a caso il recente rapporto OCSE ha “bacchettato” il nostro SSN, denunciando che “le riforme costituzionali del 2001 hanno contribuito a creare 21 sistemi sanitari regionali con differenze notevoli sia per quanto riguarda l’assistenza che gli esiti”. Per rimediare a questa situazione, il Governo ha lavorato intensamente e proprio venerdì notte la Camera ha approvato  il nuovo articolo 117 del titolo V che separa nettamente le competenze in materia sanitaria tra Stato e Regioni.

«Difficile percepire i potenziali vantaggi di questa riforma per la tutela della Salute degli Italiani – conclude  Cartabellotta – che non sembra decretare “la fine di 21 diversi servizi sanitari”, perché con il nuovo art. 117 lo Stato non potrà comunque esercitare i poteri sostitutivi nei confronti delle Regioni inadempienti nell'attuazione dei LEA, in quanto la legislazione esclusiva riguarda solo la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali – ma non quelli sanitari (!)– che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale».

Se, come ha affermato il Presidente Mattarella nel suo discorso di insediamento, “Garantire la Costituzione significa garantire i diritti dei malati”, la Fondazione GIMBE chiede, in occasione di una riforma costituzionale di simile portata, di passare dalle parole ai fatti assegnando in maniera inequivocabile allo Stato il ruolo di garante per il diritto alla Salute dei cittadini italiani.


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3 febbraio 2015
#lavoltabuona anche per la Sanità pubblica? Adesso o mai più Presidente Renzi

Le Regioni, piuttosto che impegnarsi a ridurre inefficienze e sprechi per recuperare 4 mld richiesti dalla Legge di Stabilità, rinunciano ai 2 mld di aumento del fondo sanitario nazionale. Nel frattempo tutte le criticità conseguenti alla mancata attuazione delle misure contenute nel Patto per la Salute ricadono sui cittadini-contribuenti-elettori, in particolare sulle fasce più deboli.

Il 31 gennaio l’elezione del Presidente della Repubblica ha dominato la scena mediatica, oscurando la scadenza in cui le Regioni dovevano presentare le proprie proposte al Governo per recuperare i 4 mld richiesti dalla Legge di Stabilità. Senza troppi clamori, dopo oltre 3 mesi di scaramucce a distanza, per adempiere al compito assegnato pare che le Regioni abbiano definitivamente rinunciato ai 2 mld previsti dal Patto per la Salute, vanificando tutti gli sforzi del Ministro Lorenzin.

«Riversare sulla salute dei cittadini le conseguenze del conflitto istituzionale con lo Stato – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – parlando di “Pacco per la Salute”  o perseguendo la strategia “no money no Patto” che ha ritardato per quasi due anni la sottoscrizione del Patto per la Salute -  non rappresenta per le Regioni un’operazione di immagine in questo insolito, ma indiscutibile, periodo di stabilità del Governo».

«Se da un lato è evidente che nella legge di Stabilità il Governo ha “giocato di fioretto” – continua Cartabellotta -  non prevedendo esplicitamente tagli alla Sanità, ma chiedendo alle Regioni di recuperare 4 mld, dall’altro è certo che l’articolo 1 del Patto per la Salute ha fissato le risorse per gli anni 2014-2016 “salvo eventuali modifiche che si rendessero necessarie in relazione al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica e a variazioni del quadro macroeconomico”».  

Se le Regioni hanno sottoscritto il Patto per la Salute accettando quella clausola - fortemente voluta dal MEF – perché Chiamparino ha denunciato che la legge di Stabilità incrina il rapporto di lealtà istituzionale e di pari dignità tra enti dello Stato?

In realtà, questa volta il Governo ha posto le Regioni nella condizione ideale per attuare un virtuoso processo di disinvestimento (da sprechi e inefficienze) e riallocazione (in servizi essenziali e innovazione). Infatti, la Legge di Stabilità oltre a ribadire che  “i risparmi derivanti dall'applicazione delle misure contenute nel Patto rimangono nella disponibilità delle singole Regioni per finalità sanitarie”, ha precisato che "il conseguimento degli obiettivi di salute e assistenziali da parte dei direttori generali costituisce adempimento ai fini dell'accesso al finanziamento integrativo del SSN e comporta la loro decadenza automatica in caso di inadempimento".  Cosa mancava alle Regioni per avviare il processo di disinvestimento e riallocazione, coinvolgendo e responsabilizzando le Aziende sanitarie e queste a cascata i professionisti sanitari?

«Con questa rinuncia le Regioni  – precisa Cartabellotta – hanno dimostrato che, in assenza di una regia nazionale, non sono in grado di attuare una spending review “interna”, perché  avvezze a difendere strenuamente servizi e prestazioni sanitarie inefficaci, inappropriati e spesso dannosi per mere logiche di consenso elettorale».

Peraltro, alla notizia della rinuncia ai 2 mld, tranne la Regione Veneto che ha alzato le barricate, solo stakeholders privati (Farmindustria, Assobiomedica, AIOP, Federfarma, Assobiomedici) hanno pubblicamente espresso il loro disappunto chiedendo al Governo di intervenire, ragionevolmente preoccupati per i loro profitti.

«Dopo aver mirabilmente ricomposto il puzzle politico ricompattando la sinistra, sbriciolando il centro-destra e mettendo all’angolo i grillini – conclude Cartabellotta – è tempo che Renzi si impegni in prima persona affinché sia #lavoltabuona anche per il SSN, perché mettere in discussione la Sanità pubblica significa compromettere non solo la salute, ma soprattutto la dignità dei cittadini e la loro capacità di realizzare ambizioni e obiettivi che dovrebbero essere visti dalla politica come il vero ritorno degli investimenti in Sanità. Se invece la salvaguardia del SSN non rientra nell’agenda di Governo perché è già stata silenziosamente imboccata la strada dell’intermediazione assicurativa e finanziaria dei privati e la politica non intende più tutelare la salute dei cittadini italiani, sarà in ogni caso #lavoltabuona per riformulare l’art. 32 della Costituzione».


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19 dicembre 2014
I professionisti sanitari del futuro alla scuola GIMBE

Al via il corso Evidence-based Practice riservato ai vincitori della seconda edizione del bando

Grazie alle borse di studio interamente sostenute dalla Fondazione GIMBE per un valore complessivo di 24.000 euro, 30 studenti e giovani professionisti sanitari, provenienti da 13 regioni e selezionati tra oltre 270 candidati parteciperanno al corso di formazione Evidence-based Practice: il corso permetterà ai partecipanti di acquisire conoscenze e competenze indispensabili per il loro aggiornamento continuo, secondo quanto standardizzato dall’Evidence-based Practice core curriculum, certificato a livello europeo dall’EU-EBM Unity Project.

«Nessun professionista sanitario oggi può fare a meno di strumenti e competenze per ricercare e valutare criticamente le migliori evidenze scientifiche» afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE. «Purtroppo oggi il crescente sovraccarico dell’informazione biomedica rende estremamente complessa questa modalità di aggiornamento, anche perché solo il 5% della letteratura pubblicata “merita” di essere realmente integrata nelle decisioni cliniche».

«Considerato che, ad eccezione di realtà isolate, metodi e strumenti dell’Evidence-based Practice non sono stati ancora introdotti formalmente nella formazione di base del medico e delle professioni sanitarie – conclude il Presidente – la Fondazione GIMBE ha riconfermato questa iniziativa che ha suscitato un enorme interesse nelle nuove generazioni di professionisti sanitari».

Le borse di studio rientrano nel progetto GIMBE4YOUNG attraverso il quale la Fondazione GIMBE intende colmare i gap tra l'attuale formazione di base e specialistica, gli obiettivi formativi previsti dal Programma Nazionale per la Formazione Continua in Medicina e le competenze richieste dal servizio sanitario nazionale dove un adeguato trasferimento delle evidenze alla pratica clinica è indispensabile per ridurre gli sprechi dovuti al sovra/sottoutilizzo di farmaci, test diagnostici e altri interventi sanitari.

La Fondazione GIMBE ha già previsto una terza edizione: il bando sarà pubblicato il 27 marzo 2015, in occasione della 10a Conferenza Nazionale GIMBE.

Per ulteriori informazioni: www.gimbe4young.it


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